NESSUNO TOCCHI CAINO NEWS
Anno 19 - n. 43 - 23-11-2019
Contenuti del numero:
1. LA STORIA DELLA SETTIMANA : LA REPRESSIONE IN IRAN NON E’ SOLO DI QUESTI GIORNI, DURA DA 40 ANNI – DI E. ZAMPARUTTI
2. NEWS FLASH: USA: EX GIUDICI STATALI E FEDERALI, PUBBLICI MINISTERI, FUNZIONARI DI POLIZIA E PARENTI DELLE VITTIME ESORTANO IL GOVERNO FEDERALE A SOSPENDERE LE ESECUZIONI
3. NEWS FLASH: NIGERIA: NESSUN GOVERNATORE SOSTIENE LA PENA DI MORTE PER I DISCORSI DI ODIO
4. NEWS FLASH: SIERRA LEONE: DICIOTTENNE CONDANNATO ALL’IMPICCAGIONE PER OMICIDIO
5. NEWS FLASH: THAILANDIA: CONFERMATA CONDANNA A MORTE DI CITTADINO SPAGNOLO
6. I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA :
LA REPRESSIONE IN IRAN NON E’ SOLO DI QUESTI GIORNI, DURA DA 40 ANNI – DI E. ZAMPARUTTI
Il popolo iraniano è oggi protagonista delle cronache per le rivolte che si sono estese a oltre 130 città a causa dei rincari del costo della benzina.
Ci giungono notizie di centinaia di morti e migliaia di feriti per la cieca repressione in atto da parte dei Pasdaran, complice il black-out di internet e delle comunicazioni imposto dal regime.
A ben vedere, in Iran la repressione è in atto da quarant’anni, da quando, nel 1979, la rivoluzione komeinista ha portato al potere un regime teocratico che ha fatto della sistematica violazione dei diritti umani la leva del suo dominio. Nella giornata mondiale dell’infanzia con Nessuno tocchi Caino abbiamo voluto far conoscere lo scempio di quella norma internazionale, una delle poche cogenti, che vieta le esecuzioni di minorenni e che pone l’Iran in aperta violazione della Convenzione sui Diritti del Fanciullo che pure ha ratificato.
Nel 2019, sono stati impiccati almeno 6 minorenni al momento del fatto secondo quanto riportato da fonti non-ufficiali. Erano stati 7 nel 2018 (comprese due ragazze per l’omicidio del marito che erano state costrette a sposare a 13 e 15 anni), 5 nel 2016, 3 nel 2015 e almeno 17 nel 2014.
La Fondazione Abdorrahman Boroumand ha documentato almeno 140 esecuzioni di minorenni in Iran dall’inizio del 2000. Nel Rapporto ufficiale dello Special Rapporteur delle Nazioni Unite per l’Iran Javaid Rehman, reso pubblico lo scorso 23 ottobre, vi sarebbero almeno 90 minorenni nei bracci della morte iraniani.
L’Iran primeggia anche tra quei pochi altri Paesi in cui negli ultimi sei anni abbiamo registrato esecuzioni di minori, con un numero di ragazzi impiccati che è più del doppio di quanti mandati al patibolo da Arabia Saudita, Pakistan, Sudan del Sud e Yemen messi insieme.
In base alla legge iraniana, le femmine di età superiore a nove anni e i maschi con più di quindici anni sono considerati adulti e, quindi, possono essere condannati a morte, anche se le esecuzioni sono normalmente effettuate al compimento del diciottesimo anno d’età.
A seguito delle richieste della comunità internazionale, il regime iraniano ha dato ad intendere che il nuovo codice penale – approvato nella sua ultima versione dal Consiglio dei Guardiani nell’aprile 2013 – abolisce la pena di morte per gli adolescenti di età inferiore a 18 anni.
Tuttavia, ai sensi degli articoli 145 e 146 del nuovo codice penale, l’età della responsabilità penale è ancora quella della “pubertà”, cioè nove anni lunari per le ragazze e quindici anni lunari per i ragazzi. Quindi, l’età della responsabilità penale non è cambiata affatto nel nuovo codice penale. Per i reati Hudud, come sodomia, stupro, fornicazione, apostasia, consumo di alcool per la quarta volta, moharebeh (fare guerra a Dio) e i reati Qisas, come l’omicidio, resta per i giudici il potere discrezionale di decidere se un bambino ha capito la natura del reato e, pertanto, se può essere condannato a morte.
Sento dire che di fronte alle proteste di piazza c’è il rischio che alle prossime elezioni si affermino le forze conservatrici. Lo trovo ridicolo se penso che l’attuale Ministro della Giustizia del Governo “riformista” di Hassan Rohani è l’ultraconservatore Ebrahim Raisi, 60 anni, conosciuto per avere condannato a morte decine di migliaia di prigionieri politici negli anni Ottanta, ovvero durante il decennio successivo alla rivoluzione khomeinista. Non esiste il volto buono del regime, non esiste il “moderato” Rohani con il quale proseguire nella politica di appeasement, perché la natura di questo regime è sempre la stessa: quella che riconosce nella Guida Suprema il suo fondamento e nel disconoscimento dei diritti umani come internazionalmente riconosciuti la sua ragion d’essere.
Per questo sconcerta il silenzio del Governo italiano sulle esecuzioni e le condanne a morte, a partire da quelle dei minori, che continuano in Iran, sconcerta l’assenza di una parola a sostegno del popolo iraniano e di condanna della repressione in atto, sconcerta la prosecuzione della politica di accondiscendenza che anziché sostenere un cambio democratico in Iran assimila, rendendoci indifferenti alle quotidiane atrocità a danno del popolo iraniano, i nostri regimi cosiddetti democratici sempre più a quello iraniano.
Elisabetta Zamparutti
Tesoriere di Nessuno tocchi Caino e Componente il Comitato europeo per la prevenzione della tortura per conto dell’Italia
(Fonti: NtC, 20/11/2019)
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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH
USA: EX GIUDICI STATALI E FEDERALI, PUBBLICI MINISTERI, FUNZIONARI DI POLIZIA E PARENTI DELLE VITTIME ESORTANO IL GOVERNO FEDERALE A SOSPENDERE LE ESECUZIONI
Centinaia di ex giudici statali e federali, pubblici ministeri, funzionari di polizia e penitenziari, e parenti delle vittime di omicidio hanno firmato una serie di lettere per sollecitare il governo federale a fermare le cinque esecuzioni federali previste per dicembre 2019 e gennaio 2020.
In quattro lettere separate indirizzate al presidente Donald Trump e al procuratore generale William Barr, 175 familiari di vittime di omicidio, 65 ex giudici statali e federali, 59 pubblici ministeri statali e federali e funzionari di polizia in servizio o ex, e 26 ex funzionari penitenziari hanno offerto diverse prospettive sul perché le esecuzioni non dovrebbero aver luogo. I familiari delle vittime di omicidio sono il gruppo più numeroso. Quando il procuratore generale Barr ha annunciato il 25 luglio che il governo federale avrebbe ripreso le esecuzioni dopo una pausa di 16 anni, ha tentato di giustificare quella decisione come un servizio alle famiglie delle vittime. Barr all’epoca disse: "È un dovere nei confronti delle vittime e delle loro famiglie portare avanti la pena imposta dal nostro sistema giudiziario". Sono 175 i familiari di vittime che non sono d’accordo, ed hanno preso una posizione collettiva contro il concetto stesso di pena di morte. “La pena di morte n
on previene la violenza. Non risolve il crimine. Non fornisce servizi a famiglie come la nostra. Non aiuta a risolvere gli oltre 250.000 casi di omicidio irrisolti negli Stati Uniti. Esacerba il trauma di perdere una persona cara e crea un'altra famiglia in lutto. Spreca anche molti milioni di dollari che potrebbero essere meglio investiti in programmi che riducano effettivamente il crimine e la violenza e che rispondano ai bisogni di famiglie come la nostra." Gli altri gruppi non hanno sostenuto l'abolizione della pena di morte, ma hanno criticato i difetti sistemici nella pena di morte federale per come è attualmente amministrata, e hanno affermato che le esecuzioni dovrebbero essere fermate. La lettera dei giudici federali e statali sosteneva che "ci sono troppi problemi con il sistema federale di pena di morte e troppe domande senza risposta sulla procedura di esecuzione recentemente annunciata dal governo, per consentire alle esecuzioni di procedere". I giudici hanno scritto c
he, in base alla loro esperienza professionale, "il pregiudizio razziale, le disparità geografiche e l’assistenza legale inadeguata hanno inquinato in maniera troppo forte le decisioni di chiedere e imporre la pena di morte". La lettera di funzionari delle forze dell'ordine e pubblici ministeri afferma che "il sistema capitale federale è contrassegnato da molti degli stessi problemi preoccupanti riscontrati nei sistemi statali", confermando le stesse preoccupazioni dei giudici, e aggiungendo un riferimento alla “allarmante frequenza di condanne che poi si rivelano sbagliate”.
I funzionari penitenziari hanno parlato direttamente dell'effetto delle esecuzioni sul personale carcerario che le deve eseguire. "Il bilancio psicologico dell'esecuzione di una condanna a morte è ben documentato", hanno scritto. “Quelli di noi che hanno partecipato alle esecuzioni hanno vissuto di persona il trauma, mentre altri hanno visto il peso che ha avuto sui colleghi. Riteniamo che il governo federale stia aggravando il rischio per il personale penitenziario programmando queste esecuzioni così ravvicinate tra loro”. La loro lettera sottolinea il rischio presentato dal nuovo protocollo, la linea temporale accelerata delle esecuzioni e la carenza di personale nelle carceri. “I nostri colleghi sono dei professionisti, ma spetta ai dirigenti evitare di porre i dipendenti pubblici in condizioni in cui affrontano un rischio reale di danni o errori. Ci auguriamo che le esecuzioni programmate vengano riconsiderate per garantire la sicurezza e il benessere dei dipendenti delle prigioni federali". Il governo degli Stati Uniti ha programmato cinque esecuzioni in un periodo di cinque settimane tra il 9 dicembre 2019 e il 15 gennaio 2020, di cui tre previste dal 9 dicembre al 13 dicembre. In una richiesta separata, Earlene Peterson ha chiesto al presidente Trump di commutare la condanna a morte di Daniel Lewis Lee, che dovrebbe essere giustiziato il 9 dicembre per gli omicidi della figlia, del genero e della nipote di Peterson. Un tribunale federale ha sospeso l'esecuzione dell'11 dicembre di Lezmond Mitchell. La lettera dei familiari delle vittime includeva individui in casi di alto profilo - come Bud Welch, la cui figlia, Julie, è stata uccisa nell'attentato di Oklahoma City e diversi familiari di persone uccise negli attacchi terroristici dell'11 settembre - oltre a numerosi familiari delle vittime nei casi in cui i pubblici ministeri non hanno chiesto la pena di morte o in cui l'omicidio rimane irrisolto. La lettera sottolinea che "l'attuale sistema divide le famiglie delle vittime di omicidi in maniera casuale tra chi riceverà molta attenzione e molte risorse dedicate e che, senza un processo capitale, non ne riceverà". Questo, dice, "invia il messaggio offensivo che alcuni omicidi sono peggiori di altri e alcune vittime contano più di altre, anche se la maggior parte di noi non riceve mai i servizi di cui abbiamo bisogno dopo aver subito la violenza". Sia i giudici che i pubblici ministeri hanno esortato il Procuratore Generale a intraprendere una revisione sistematica della pena di morte federale per porre rimedio all'arbitrarietà sistemica nella sua attuazione. I giudici hanno scritto: "Proprio come solo il 2% delle contee americane produce la maggior parte delle condanne a morte degli stati, vediamo la stessa concentrazione geografica nel sistema federale. Solo tre stati - Texas, Missouri e Virginia - rappresentano quasi la metà di tutte le attuali condanne a morte federali. E mentre l'America sta facendo i conti con l'ingiustizia razziale, vediamo che le persone di colore costituiscono il 55% di quelle nel braccio della morte federale.” “La disparità razziale è particolarmente forte negli stati con più condanne a morte federali.” Oltre alle disparità razziali, i giudici hanno evidenziato che, "in modo schiacciante", i condannati a morte nel sistema federale "sono poveri, soffrono di malattie mentali e / o sono stati sottoposti a traumi negli anni dello sviluppo. In altre parole, la pena di morte federale non viene imposta ai "peggiori tra i peggiori". Invece, proprio come negli stati, viene applicata in modo parziale contro le popolazioni più vulnerabili". I pubblici ministeri hanno sollevato preoccupazioni simili e hanno anche messo in dubbio la decisione di spostare le già limitate risorse federali su procedure che comporteranno inevitabilmente costose azioni penali e ricorsi." “I casi di pena di morte sono estremamente costosi", hanno scritto, "richiedono molte più risorse umane e finanziarie rispetto ai casi in cui la pena di morte non viene perseguita. Ci sono domande ragionevoli sul fatto che queste risorse possano essere utilizzate meglio su altre priorità di sicurezza pubblica, come garantire che gli agenti delle forze dell'ordine in tutto il paese abbiano accesso alle attrezzature e alla tecnologia necessarie e espandere le unità dedicate alla risoluzione dei casi irrisolti". I pubblici ministeri hanno affermato di "essere profondamente preoccupati che il governo federale abbia intenzione di procedere con le esecuzioni nonostante le serie domande sull'equità e l'affidabilità del sistema che ha emesso le condanne". Hanno scritto: "Vi esortiamo a prevenire questa ingiustizia revocando le date delle esecuzione programmate e ordinando che non si effettuino esecuzioni federali fino a quando non sarà possibile completare una revisione completa del sistema".
(Fonti: The Washington Post, Reuters, 12/11/2019)
NIGERIA: NESSUN GOVERNATORE SOSTIENE LA PENA DI MORTE PER I DISCORSI DI ODIO
I governatori dei trentasei stati della Nigeria, sotto l'egida del Forum dei Governatori della Nigeria (NGF), hanno dichiarato il 20 novembre 2019 che nessun governatore sostiene la pena di morte proposta per chi pronuncia discorsi di odio.
Rivolgendosi ai giornalisti ad Abuja alla fine della riunione dei governatori, il vice presidente del Forum e governatore dello stato di Sokoto, Aminu Tambuwal, ha dichiarato che nessun governatore ha voluto sostenere la pena di morte come punizione per i discorsi di odio.
Rispondendo alle domande dei giornalisti poco dopo il briefing, Tambuwal, che ha esortato l'Assemblea Nazionale a condurre un'audizione pubblica sul disegno di legge sui discorsi di odio, ha affermato che le opinioni della gente devono essere prese molto sul serio.
Sul ddl anti-odio ha detto: "Non sono sicuro di aver sentito alcun governatore esporsi e dire che è a sostegno della pena di morte per i discorsi di odio.
"Credo che l'Assemblea Nazionale dovrebbe tenere un'audizione pubblica su quel disegno di legge, e seguire il giusto processo legislativo in modo che le opinioni dei nigeriani e non solo dei governatori siano incluse in quel disegno di legge per rispettare le opinioni dei nigeriani qualunque direzione prenda il dibattito e l'eventuale approvazione o meno del ddl."
All'incontro hanno partecipato i governatori degli Stati di Bauchi, Sokoto, Yobe, Zamfara, Kebbi, Nasarawa, Niger, Imo, Adamawa e Kwara.
Altri Stati rappresentati dai Vice Governatori erano Gombe, Enugu, Edo, Rivers, Akwa Ibom, Oyo, Ebonyi, tra gli altri.
(Fonti: Vanguard Nigeria News, 21/11/2019)
SIERRA LEONE: DICIOTTENNE CONDANNATO ALL’IMPICCAGIONE PER OMICIDIO
Il diciottenne Osman Kamara è stato condannato all’impiccagione per omicidio il 14 novembre 2019 dall’Alta Corte situata a Siaka Stevens Street a Freetown, in Sierra Leone. Kamara avrebbe ucciso il 22enne James Alieu Bangura durante una lite per una stecca di “ash” (cenere), una droga derivata dalla cannabis sativa. L'uccisione sarebbe avvenuta ad Alousa, un night club lungo Guard Street a Freetown il 2 gennaio 2019.
Prima della sentenza, il procuratore statale Adrian Fisher nel suo discorso aveva esortato i giurati a emettere un verdetto di colpevolezza contro l'imputato.
Il procuratore ha anche fatto riferimento alla testimonianza del patologo del governo, il dott. Simeon Owizz Koroma, secondo cui il decesso del 22enne è dovuto a un omicidio. Il condannato in sua difesa ha affermato che la vittima lo aveva provocato chiamandolo "Tolo Ebola".
THAILANDIA: CONFERMATA CONDANNA A MORTE DI CITTADINO SPAGNOLO
La Corte Suprema della Thailandia il 20 novembre 2019 ha confermato la condanna a morte del cittadino spagnolo Artur Segarra Princep, 40 anni, per l'omicidio premeditato del connazionale David Bernat, 41 anni, commesso nel 2016.
Segarra è stato prelevato dalla Prigione Centrale di Bang Kwang per ascoltare il verdetto presso la Corte Penale Centrale a Ratchadaphisek Road a Bangkok. Ha salutato diversi giornalisti spagnoli in attesa lì mentre entrava nell'edificio della corte.
Lo spagnolo è stato dichiarato colpevole di reati tra cui omicidio premeditato, occultamento di cadavere, detenzione illegale e furto.
I pubblici ministeri in precedenza avevano detto alla corte che parti umane erano state trovate nel fiume Chao Phraya nelle province di Bangkok, Nonthaburi e Pathum Thani la mattina del 30 gennaio 2016. È stato successivamente dimostrato che provenivano dalla vittima, Bernat.
La Corte ha basato la sua sentenza su prove circostanziali e registrazioni di telecamere di sorveglianza, dichiarazioni di testimoni tra cui una cameriera e una fidanzata di Segarra e campioni di DNA di Segarra e della vittima raccolti da un congelatore e da una sega elettrica.
La Corte ha concluso che Segarra abbia portato il suo amico di affari Bernat in una stanza del PG Condominium Rama IX nel distretto di Huay Kwang il 19 gennaio 2016. Qui Segarra lo avrebbe ucciso, avrebbe poi congelato il corpo, smembrato con la sega elettrica, abbandonando poi i sacchetti contenenti le parti del corpo nel fiume Chao Phraya, in diversi punti.
L'avvocato di Segarra ha reso noto che il suo cliente eserciterà il suo diritto di chiedere la grazia e di essere rinchiuso in una prigione in Spagna.
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