NESSUNO TOCCHI CAINO NEWS
Anno 19 - n. 40 - 26-10-2019
Contenuti del numero:
1. LA STORIA DELLA SETTIMANA : ERGASTOLO: NESSUNO TOCCHI CAINO, LA CONSULTA APRE UNA BRECCIA NEL MURO DI CINTA DEL FINE PENA MAI
2. NEWS FLASH: ESPERTO ONU: L'IRAN CONTINUA A GIUSTIZIARE MINORENNI, NE HA 90 NEL BRACCIO DELLA MORTE
3. NEWS FLASH: BANGLADESH: 16 CONDANNATI A MORTE PER L’OMICIDIO DELLA STUDENTESSA BRUCIATA VIVA
4. NEWS FLASH: CINA: CORTE SUPREMA CHIEDE AI TRIBUNALI CONTROLLO RIGOROSO DELLA PENA DI MORTE
5. NEWS FLASH: TANZANIA: CORTE D’APPELLO CONFERMA TRE CONDANNE CAPITALI
6. I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA :
ERGASTOLO: NESSUNO TOCCHI CAINO, LA CONSULTA APRE UNA BRECCIA NEL MURO DI CINTA DEL FINE PENA MAI
Per l’associazione Nessuno tocchi Caino, da anni impegnata, con il Partito Radicale, per l’abolizione dell’ergastolo ostativo, la decisione della Corte Costituzionale “apre una breccia nel muro di cinta del fine pena mai.”
Si recepisce così, almeno per i permessi premio, quanto già stabilito dalla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo nella sentenza Viola vs Italia che già aveva fatto cadere la presunzione di pericolosità assoluta nei confronti dei detenuti per reati di cui all’art 4 bis, primo comma.
“La decisione della Corte Costituzionale è un primo passo nell’affermazione del diritto alla speranza ed infrange il totem della collaborazione come unico criterio di valutazione del ravvedimento”, hanno dichiarato i dirigenti di Nessuno tocchi Caino Rita Bernardini, Sergio D’Elia ed Elisabetta Zamparutti. “Ora la Corte deve affermare lo stesso per gli altri benefici penitenziari secondo la progressività del trattamento penitenziario. Continueremo in questa lotta, consapevoli di aver fatto bene a perseguire, già quattro anni fa, la via dei ricorsi alle Alte Giurisdizioni per scalfire quello che sembrava intoccabile in nome di una malintesa antimafia che poco ha a che fare con i principi costituzionali, cioè la collaborazione con la giustizia come unico criterio di valutazione del ravvedimento, della rottura con logiche criminali del passato e del cambiamento dei detenuti per i reati dell’art 4 bis. La Consulta ha tratto coraggio dalla sentenza CEDU – hanno dichiarato i dirigenti di Nessuno tocchi Caino - a conferma di quel dialogo tra le corti nazionali e sovranazionali che le rafforza reciprocamente nell’affermazione dello Stato di Diritto, a partire dal divieto di tortura e di ogni trattamento inumano e degradante. Continueremo a monitorare l’attuazione della sentenza Viola e a tal fine, con l’Avv. Andrea Saccucci, abbiamo comunicato al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa (Rule 9(2)) di tenere conto del monitoraggio che Nessuno tocchi Caino condurrà sull’esecuzione della sentenza CEDU. Inoltre, abbiamo incardinato la prima azione collettiva di 252 ergastolani ostativi al Comitato Diritti Umani delle Nazioni Unite e abbiamo sollevato il problema anche nel processo di Revisione Periodica Universale (UPR) dell’Onu nei confronti dell’Italia che sarà discusso a novembre a Ginevra.”
D’Elia, Bernardini e Zamparutti hanno concluso affermando: “Oggi ha vinto la speranza contro la paura, ha vinto lo Stato di Diritto contro la Ragion di Stato che per troppi anni, in nome dell’emergenza, ha stravolto i principi costituzionali. Ha vinto Spes contra spem, motto di una vita di Marco Pannella, che ci ha animato in questi anni, e i detenuti di Opera protagonisti del docu-film di Ambrogio Crespi Spes contra Spem - Liberi dentro che contro ogni speranza sono stati speranza, determinando con il loro cambiamento anche l’orientamento dei giudici della Consulta. Si invera oggi quel pensiero che fu di Leonardo Sciascia per il quale la mafia non la si combatte con la terribilità della pena ma con lo Stato di Diritto.”
(Fonti: NtC, 23/10/2019)
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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH
ESPERTO ONU: L'IRAN CONTINUA A GIUSTIZIARE MINORENNI, NE HA 90 NEL BRACCIO DELLA MORTE
L’Iran ha giustiziato sette minorenni l'anno scorso e due finora quest'anno, anche se la legge sui diritti umani proibisce la pena di morte per chiunque sia minorenne, ha dichiarato il 23 ottobre 2019 un esperto indipendente Onu sui diritti umani.
Javaid Rehman ha anche detto al Comitato per i Diritti Umani dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite di avere "informazioni credibili", che ci siano almeno 90 persone attualmente nel braccio della morte in Iran che erano minorenni al momento del reato.
Rehman, investigatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani in Iran, ha espresso profonda preoccupazione per l'uso complessivo della pena di morte nella Repubblica islamica, affermando che il suo tasso di esecuzione "rimane uno dei più alti al mondo" anche dopo un calo registrato recentemente. Le esecuzioni infatti sono state 507 nel 2017, e 253 nel 2018. Finora nel 2019, ha affermato, "stime prudenti indicano che sono state eseguite almeno 173 esecuzioni".
Ha accolto con favore un emendamento a una legge antidroga iraniana nel 2017 che ha portato alla riduzione delle esecuzioni nel 2018, ma ha affermato che "c'è ancora molto lavoro da fare". Ha anche affermato di sentirsi incoraggiato dal miglioramento del dialogo tra le autorità iraniane e l'Ufficio dell'Alto Commissario per i Diritti Umani "sull'amministrazione della giustizia e sulle esecuzioni di minori."
Per quanto riguarda la situazione generale dei diritti umani in Iran nell'ultimo anno, Rehman ha citato una serie di fattori negativi, tra cui una situazione economica in declino che, ha affermato, viene "aggravata dall'impatto delle sanzioni, con gravi conseguenze per la realizzazione di diritti sociali".
Gli Stati Uniti hanno aumentato le sanzioni contro l'Iran da quando il presidente Donald Trump si è ritirato l'anno scorso dall'accordo tra potenze mondiali e Iran del 2015 sul nucleare.
L'amministrazione americana sostiene, in parte supportata dall’osservatorio sulle attività nucleari delle Nazioni Unite, che l'Iran non stia rispettando l'accordo, e sta sollecitando anche altri paesi a intensificare la pressione su Teheran.
In tale contesto economico, ha affermato Rehman, coloro che chiedono il rispetto dei diritti umani "sono stati intimiditi, attaccati, arrestati e detenuti".
"Tra settembre 2018 e luglio 2019, almeno otto importanti avvocati sono stati arrestati per aver difeso prigionieri politici e difensori dei diritti umani, molti dei quali hanno ricevuto lunghe condanne".
Inoltre, ha affermato Rehman, i manifestanti che chiedono una migliore protezione dei diritti dei lavoratori presso lo zuccherificio Haft Tappeh sono stati arrestati con accuse di attentare alla sicurezza nazionale. Sette di loro sono stati recentemente condannati a pene tra i sei e i 19 anni, sebbene il capo della magistratura abbia ordinato una revisione delle condanne.
Rehman, un britannico di origine pachistana, professore di diritto islamico, ha affermato che i giornalisti che hanno denunciato la protesta di Haft Tappeh e altre questioni relative ai diritti dei lavoratori sono stati arrestati e detenuti.
Almeno 32 persone sono state arrestate da gennaio 2018 per aver protestato contro le leggi sul velo obbligatorio, la maggior parte delle quali donne che in molti casi hanno subito pene più severe rispetto alle loro controparti maschili. Ha detto che persone che lavorano nel campo dell’arte e della cultura "sono state ripetutamente oggetto di arresti e detenzioni per il loro lavoro".
Rehman ha affermato che le minoranze etniche e religiose sono rappresentate in modo sproporzionato sia tra le persone giustiziate per motivi di “sicurezza nazionale”, sia, nel complesso, tra i detenuti per motivi politici.
"Sono soggetti a arresti arbitrari e detenzione per la loro partecipazione a una serie di attività pacifiche come la difesa dell'uso delle lingue minoritarie, l'organizzazione o la partecipazione a proteste pacifiche e l'affiliazione con i partiti dell'opposizione".
Nella costituzione dell'Iran sono riconosciute solo 3 minoranze religiose: cristiani, ebrei e zoroastriani, ha affermato Rehman. Ha esortato a modificare la costituzione per consentire a tutte le minoranze religiose e coloro che non detengono alcuna credenza religiosa "di godere pienamente dei loro diritti".
(Fonti: Associated Press, 23/10/2019)
BANGLADESH: 16 CONDANNATI A MORTE PER L’OMICIDIO DELLA STUDENTESSA BRUCIATA VIVA
Il preside di una scuola religiosa in Bangladesh è tra le 16 persone condannate a morte il 24 ottobre 2019 per l'omicidio di una ragazza che si era rifiutata di ritirare una denuncia per molestie sessuali contro di lui, ha detto il pubblico ministero.
Gli omicidi versarono cherosene su Nusrat Jahan, 18 anni, dandole fuoco sul tetto della sua madrasa ad Aprile nel distretto sud-orientale di Feni. Secondo la polizia l'omicidio della studentessa fu eseguito per ordine del preside.
"La sentenza dimostra che nessuno è al di sopra della legge", ha dichiarato il pubblico ministero Hafez Ahmed ai giornalisti dopo il verdetto della corte.
Ha aggiunto che gli avvocati della difesa hanno tentato senza successo di stabilire che Jahan si era suicidata.
L'avvocato della difesa Giasuddin Nannu ha dichiarato che i suoi clienti presenteranno appello presso l’ Alta Corte.
La morte di Jahan suscitò indignazione pubblica e manifestazioni di massa che chiedevano la punizione dei suoi assassini. A marzo la ragazza aveva subito pressioni per ritirare una denuncia alla polizia contro il preside della scuola per tentato stupro, ha detto la sua famiglia.
Il primo ministro Sheikh Hasina aveva incontrato la sua famiglia e aveva promesso di consegnare gli assassini alla giustizia.
"Non posso dimenticarla per un momento. Sento ancora il dolore che ha attraversato", ha detto la madre Shirin Akhtar mentre scoppiava a piangere a casa sua dopo il verdetto.
Il fratello di Jahan, Mahmudul Hasan Noman, ha chiesto che le condanne a morte siano eseguite rapidamente e ha chiesto protezione per la sua famiglia dalle vendette.
“Viviamo nella paura. Siamo stati minacciati anche oggi in aula ”, ha detto Noman.
Il Bangladesh ha visto un drammatico aumento del numero di casi di stupro negli ultimi mesi, con 217 donne e minori stuprati a settembre, il numero più alto in un solo mese dal 2010, secondo un rapporto pubblicato dal Bangladesh Mahila Parishad, un gruppo per i diritti delle donne.
Molti altri casi non vengono denunciati perché le donne temono di essere stigmatizzate. Gli attivisti per i diritti attribuiscono il crescente numero di stupri a una mancanza di consapevolezza, alla cultura dell’impunità, decadenza morale e persone influenti che proteggono i sospetti stupratori per motivi politici.
(Fonti: Reuters, 24/10/2019)
CINA: CORTE SUPREMA CHIEDE AI TRIBUNALI CONTROLLO RIGOROSO DELLA PENA DI MORTE
La Corte Suprema del Popolo (SPC) il 17 ottobre 2019 ha chiesto ai tribunali di vari livelli di osservare rigorosamente la politica cinese di controllo rigoroso e applicazione prudente della pena di morte.
I tribunali dovrebbero assicurarsi che la pena di morte sia amministrata solo per un numero estremamente limitato di criminali condannati per reati estremamente gravi, ha affermato la SPC in una conferenza sulla giustizia penale.
La SPC ha il dovere di rivedere tutte le decisioni sulla pena di morte emesse dai tribunali inferiori.
Nel trattare i casi legati alla droga dovrebbero essere proseguite sia le punizioni severe che le repressioni mirate.
I processi penali non dovrebbero essere indifferenti all'opinione pubblica, né dovrebbero essere dettati dall'opinione pubblica, secondo la SPC, e le sentenze penali dovrebbero garantire che si faccia giustizia in ogni caso.
(Fonti: Xinhua, 17/10/2019)
TANZANIA: CORTE D’APPELLO CONFERMA TRE CONDANNE CAPITALI
Una Corte d'Appello della Tanzania ha confermato le condanne a morte inflitte a tre residenti del villaggio di Ihumwa nella municipalità di Dodoma per aver ucciso nel novembre 2011 un abitante del loro villaggio, cui avevano rubato 59 capi di bestiame, secondo quanto riportato dal Daily News il 20 Ottobre 2019.
Nel loro giudizio emesso di recente a Dodoma, i giudici della Corte d'Appello hanno notato dalle prove che Philimon Chimwagamwaga, la vittima, il cui corpo fu trovato nella boscaglia, fu ucciso mentre pascolava il bestiame e che gli autori dell’omicidio se ne andarono via con gli animali.
I giudici Batuel Mmilla, Sivangilwa Mwangesi e Jacobs Mwambegele si sono pronunciati contro i tre ricorrenti, Wyclife Salum, alias Nyendo, Shaban Kefa, alias Njulumui e John Mangwela, respingendo l’appello presentato contro la sentenza dell’Alta Corte.
"Riteniamo che l’accusa contro i ricorrenti sia stata sufficientemente provata per cui l'appello risulta privo di merito. Senza ulteriori indugi, lo respingiamo nella sua interezza", hanno concluso i giudici.
(Fonti: The Daily News, 20/10/2019)
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