Buongiorno Elisabetta comincio col chiederti se ti va di spiegare cos'é Nessuno tocchi Caino perché non credo che fra i visitatori di questo blog siano in molti a conoscerlo, quali sono i suoi obiettivi e magari ti va di spiegare la scelta della moratoria della pena di morte invece dell'abolizione?
Nessuno tocchi Caino è una lega internazionale di cittadini e di parlamentari per l’abolizione della pena di morte nel mondo. È un'associazione senza fine di lucro fondata a Bruxelles nel 1993 e costituente il Partito Radicale Transnazionale.
Il nome è tratto dalla Genesi. Nella Bibbia non c’è scritto solo “occhio per occhio, dente per dente”, c’è scritto anche: “Il Signore pose su Caino un segno, perché non lo colpisse chiunque l'avesse incontrato”. Nessuno tocchi Caino vuol dire giustizia senza vendetta.
La pena di morte non attiene alla sfera delle convinzioni religiose. Il problema non è la Bibbia né il Corano: molti paesi cristiani praticano la pena di morte; non pochi paesi islamici l’hanno abolita. Il problema è la traduzione letterale di testi millenari in norme penali e prescrizioni valide per i nostri giorni, operata a fini politici.
Il 98% delle esecuzioni nel mondo avviene in paesi autoritari e illiberali come Cina, Iran, Arabia Saudita... La soluzione definitiva del problema sta proprio qui e, prima che l’abolizione della pena di morte, riguarda l’affermazione della democrazia, lo stato di diritto, i diritti umani. È vero che la democrazia di per sé non significa ‘no’ alla pena di morte (basti pensare agli Stati Uniti), ma è altrettanto vero che solo in un sistema democratico l’abolizione può essere concepita e durare nel tempo. Anche i dittatori la possono abolire, da un giorno all’altro e per decreto, come pure da un giorno all’altro e per decreto la possono ripristinare.
Una moratoria universale delle esecuzioni stabilita dalle Nazioni Unite, è il nostro principale obiettivo. L’abolizione non può essere imposta per decreto, mentre la moratoria può essere il luogo di incontro tra paesi mantenitori e paesi abolizionisti: gli uni farebbero un passo in avanti verso l’abolizione, gli altri riuscirebbero a salvare migliaia di vite umane. L’esperienza ci dimostra che dopo alcuni anni di moratoria difficilmente si torna indietro, spesso si procede verso la completa abolizione. È accaduto nella ex Unione Sovietica, nella ex Iugoslavia e nel Sudafrica che ha abolito la pena di morte dopo cinque anni di moratoria.
La campagna per la moratoria ONU è partita dall’Italia su impulso di Nessuno tocchi Caino. Nel 1994, per la prima volta, una risoluzione fu presentata all’Assemblea Generale dell’ONU dal Governo italiano. Perse per otto voti. Dal 1997 su iniziativa italiana e dal 1999 su iniziativa europea, la Commissione dell’ONU per i Diritti Umani ha approvato ogni anno una risoluzione che chiede “una moratoria delle esecuzioni capitali, in vista della completa abolizione della pena di morte”. La campagna è riuscita a conseguire lo storico risultato dell’approvazione da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 2007 della Risoluzione per la moratoria universale delle esecuzioni capitali. Da allora ogni due anni l’UNGA vota il testo ed il numero dei Paesi pro moratoria è aumentato costantemente.
A distanza di 12 anni dall'approvazione della prima Risoluzione Universale delle esecuzioni da parte dell'Assemblea Generale dell'Onu quali passi avanti sono stati avanti e magari anche quelli indietro? Di questi giorni giorni è la notizia della moratoria firmata dal governatore della California Gavin Newsom.
L’approvazione della Risoluzione, ma anche l’azione svolta per il suo conseguimento, ha impresso un’accelerazione politica al processo abolizionista storicamente in corso. Da allora non solo sono aumentati i voti a favore del testo ma sono aumentati anche i Paesi a vario titolo abolizionisti. Se nel 2007 i mantenitori erano 51, oggi sono scesi a 36 come documenta il Rapporto annuale di Nessuno tocchi Caino, pubblicato dal 1997, e che riporta paese per paese fatti di cronaca, avvenimenti politici e giuridici, dati statistici e studi comparativi sotto diversi profili della questione pena di morte.
Un tema scottante che affrontate è quello del “segreto di stato” sulla pena di morte in molti Paesi. Come si può rompere questo silenzio all'interno di una realpolitik che vede gli interessi economici prevalere, quasi sempre, sui diritti?
Molti Paesi, per lo più autoritari, non forniscono statistiche ufficiali sull’applicazione della pena di morte, per cui il numero delle esecuzioni potrebbe essere molto più alto.
In alcuni casi, come la Cina e il Vietnam, la questione è considerata un segreto di Stato e le notizie di esecuzioni riportate dai giornali locali o da fonti indipendenti rappresentano una minima parte del fenomeno.
Anche in Bielorussia vige il segreto di Stato, retaggio della tradizione sovietica, e le notizie sulle esecuzioni filtrano dalle prigioni tramite parenti dei giustiziati o organizzazioni internazionali molto tempo dopo la data dell’esecuzione.
In Iran, dove pure non esiste segreto di Stato sulla pena di morte, le sole informazioni disponibili sulle esecuzioni sono tratte da notizie selezionate dal regime e uscite su media statali o rese pubbliche da fonti ufficiose o indipendenti.
Ci sono poi situazioni in cui le esecuzioni sono tenute assolutamente nascoste dallo stato e le notizie raramente filtrano dai giornali locali. È il caso di Corea del Nord, Egitto, Laos, Malesia e Siria.
Vi sono, poi, Paesi come Arabia Saudita, Indonesia, Iraq, Singapore e Sudan del Sud, dove le esecuzioni sono di dominio pubblico solo una volta che sono state effettuate, mentre familiari, avvocati e gli stessi condannati a morte sono tenuti all’oscuro di tutto.
A ben vedere, in quasi tutti questi Paesi, la soluzione definitiva del problema, più che alla lotta contro la pena di morte, attiene alla lotta per la democrazia, l’affermazione dello Stato di diritto, la promozione e il rispetto dei diritti politici e delle libertà civili.
Vi sono, però, anche Paesi considerati “democratici”, come Giappone, India, Taiwan e gli stessi Stati Uniti, dove il sistema della pena capitale è per molti aspetti coperto da un velo di segretezza.
Nel dicembre 2018, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato una nuova Risoluzione che invita gli Stati membri a stabilire una moratoria sulle esecuzioni, in vista dell’abolizione della pratica. Questa Risoluzione è stata rafforzata nella parte in cui chiede agli Stati di “rendere disponibili le informazioni rilevanti, disaggregate per sesso, età a razza, ed altri criteri comuni, circa l’uso della pena di morte,” includendo, tra l’altro, il numero di persone condannate a morte, il numero di persone nel braccio della morte, il numero di esecuzioni, il numero di condanne annullate o commutate in appello, e informazioni su ogni esecuzione in calendario, che possano contribuire a eventuali dibattiti trasparenti sia a livello nazionale che internazionale, compresi quelli sugli obblighi degli Stati relativi alla pratica della pena di morte.
Altra azione che Nessuno tocchi Caino sta portando avanti è quella di contenere l'utilizzo della pena di morte nella guerra al terrorismo e più in generale tutti i processi nei confronti, ad esempio, dei miliziani dell'Isis. Quali margini ci sono per una campagna del genere?
Siamo impegnati con un progetto sostenuto dall’Unione Europea a contenere la pena di morte in tempo di guerra al terrorismo in tre Paesi, l’Egitto, la Somalia e la Tunisia. È una campagna che fa perno sul fatto che il terrorismo, come ogni altra emergenza, la si può vincere solo con più Stato di Diritto e non con la sua abdicazione. Il dialogo e l’approccio non ideologico della moratoria, apre molte porte.
Arriviamo all'Italia. Non esiste la pena di morte ma esistono forme di morte differita come l'ergastolo ostativo, forme di tortura e isolamento come il 41bis e in generale sono sotto gli occhi di tutti le condizioni drammatiche in cui versano le carceri e la giustizia italiana. La riforma Orlando, che era comunque un primo passo avanti, è stata messa da parte per opportunità elettorale e si invocano pene ancora più pesanti, carcerazioni ancora più dure. Buttare la chiave, sembra il mantra che fa un po' comodo e piace a tutti.
Secondo te si può uscire da questa situazione e come?
Quali sarebbero secondo te le prime misure necessarie da realizzare?
Io per esempio finisco spesso per litigare quando parlo di carcere e giustizia e mi danno sempre dall'amico/complice dei ladri, dei corrotti, dei mafiosi, degli assassini e ti dico che certe volte penso che se qualcuno proponesse la pena di morte riceverebbe un plebiscito.
Si può uscire da questa situazione assicurando la conoscenza di e su quello che è il carcere e su quelle che sono le condizioni di detenzione che riguardano tanto i detenuti che il personale che lavora in questi istituti. Occorre anche concepire un carcere conforme ai dettami della nostra Costituzione e delle Convenzioni internazionali che assegnano un funzione preminentemente rieducativa, riabilitativa alla pena e non meramente retributiva. Ed anche su questi contenuti occorre assicurare una conoscenza diffusa. Al contempo è importante, e su questo siamo impegnati come Nessuno tocchi Caino con il progetto “Spes contra spem-Liberi dentro”, far capire a chi è detenuto che spesso, quel cambiamento che vorremmo vedere nelle istituzioni lo possiamo conquistare se noi per primi incarniamo il cambiamento e quindi lo prefiguriamo con i nostri comportamenti. Il progetto trae il suo nome dalla Lettera di San Paolo ai Romani e dal passaggio Spes contra spem relativo all’incrollabile fede di Abramo che “ebbe fede sperando contro ogni speranza”. Il motto di Paolo di Tarso era il titolo del Congresso di Nessuno tocchi Caino tenuto nel dicembre 2015 nel Carcere di Opera dove, proprio nei giorni del Congresso, è stato girato il docu-film “Spes contra spem – Liberi dentro” di Ambrogio Crespi, presentato il 7 settembre 2016 nella sezione Eventi Speciali della Biennale del Cinema di Venezia con la partecipazione anche del Ministro Andrea Orlando. Dal docu-film, che riguarda le condizioni di vita di chi è condannato alla pena dell’ergastolo ostativo ed al regime di isolamento del 41-bis, emerge con chiarezza che l’istituzione-carcere può rendere possibile la “conversione” di persone detenute in persone autenticamente libere.
Due ultime domande: si è appena concluso l'Ottavo Congresso del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito che è riuscito a raggiungere e superare i 3000 iscritti . Io dopo un lungo e difficile percorso mi sono iscritto nel 2018 e ho respirato subito un'aria di grande libertà.
Intanto quello che si è svolto è stato un Congresso italiano del Partito Radicale ed è stato convocato sulla chiusura di Radio Radicale. Ora dobbiamo organizzare il 41° Congresso del Partito Radicale che vedo come quanto di più necessario per affrontare le sfide del nostro tempo.
Radio Radicale è a rischio chiusura. Ai lettori di questo blog ti va di spiegare in due parole perché è importante che Radio Radicale continui a continui a vivere? Io ti dico che senza Radio Radicale mi sentirei orfano e ancora più solo.
Perché Radio Radicale assicura quel servizio pubblico di conoscenza, nella integralità di quanto viene detto, quindi senza sintesi giornalistiche, dei dibattiti parlamentari, delle sedute del CSM, dei processi penali oltre che dei congressi di tutti i partiti politici, così come convegni sui tempi più disparati. Insomma, è una bussola, l’unica secondo me, che aiuta ad orientarsi in un momento di confusione generale e generalizzata. Marco Pannella la definiva la più grande università popolare. È così perché Radio Radicale aiuta a capire, a conoscere attraverso il dibattito ed il confronto, insomma, aiuta a crescere. Perché Radio Radicale assicura un servizio pubblico che nessun altro è stato finora in grado di assicurare vivere.
Link utili:
https://www.nessunotocchicaino.it/
https://twitter.com/HandsOffCain_It
https://www.partitoradicale.it/
https://twitter.com/elizamparutti
E di seguito ripropongo l'appello per NASRIN SOTOUDEH LIBERA!
Riteniamo vergognosa e inaccettabile la condanna di Nasrin Sotoudeh alla pena senza precedenti di 38 anni di carcere e di 148 frustate per fatti essenzialmente legati alle sue attività di avvocato di detenuti politici e difensore dei diritti umani, per le quali nel 2012 il Parlamento europeo l’ha insignita del Premio Sakharov per la libertà di pensiero.
La sua condanna è stata annunciata appena qualche giorno dopo l’elezione di Ebrahim Raisi a capo del sistema giudiziario iraniano, noto a tutti per essere stato componente negli anni Ottanta della cosiddetta “commissione della morte”, responsabile di decine di migliaia di esecuzioni di prigionieri politici effettuate nel decennio successivo alla Rivoluzione Islamica.
Enormi e politicamente motivate ci appaiono le accuse che le sono state mosse di “collusione contro la sicurezza nazionale”, “propaganda contro lo Stato”, “istigazione alla corruzione e alla prostituzione” e di “essere apparsa in pubblico senza hijab”.
Al contrario, sappiamo che l’attivista iraniana ha dedicato la sua vita a battersi contro la pena di morte e a difendere le persone vittime del regime oscurantista e misogino dei mullah e, in particolare, le donne che tra dicembre 2017 e gennaio 2018 avevano manifestato pacificamente contro la legge della Repubblica Islamica che le obbliga a indossare il velo (Hijab).
La condanna a una pena assurda di 38 anni e la tortura medioevale della fustigazione sono un insulto alla civiltà giuridica, alla dignità della persona e al senso di umanità, che sono principi basilari e valori universalmente riconosciuti.
Ci appelliamo al parlamento e al governo italiani e ai rappresentanti dei parlamenti e dei governi europei perché intervengano con urgenza sulle autorità iraniane per ottenere la liberazione di Nasrin Sotoudeh e porre fine alle pene e ai trattamenti inumani e degradanti che le sono stati inflitti.
Per firmare qui.
Andrea Consonni, In Passage, 18 marzo 2019