Copio due articoli de Il Dubbio, giornale a cui sono abbonato e che leggo con piacere tutti i giorni:
Caro Renzi, il garantismo del Pd ha troppe pause...
LETTERA APERTA ALL’EX PRESIDENTE DEL CONSIGLIO
di Piero Sansonetti, 21 febbraio 2019
Carissimo senatore Renzi, ho scritto su questo giornale, nei giorni scorsi, che considero sproporzionata l’iniziativa della magistratura contro i suoi genitori, e che non riesco a non vedere in quegli arresti un'azione evidentemente politica ed evidentemente rivolta contro di lei. Penso che ciò sia grave. Come sono state altrettanto gravi, in passato, altre iniziative dei Pm. Ho apprezzato la sua reazione, che ho trovato ragionevole ma al tempo stessa netta e fiera. E’ stata la reazione di un garantista.
Personalmente sono convinto della necessità che la sinistra ritrovi la sua anima garantista. Purtroppo io credo che la sinistra italiana abbia delle radici che la legano al giustizialismo, radici che hanno origine nel vecchio stalinismo di 40 anni fa, e che poi si sono rafforzate negli anni della lotta al terrorismo e, successivamente, negli anni di “Mani pulite”, quando i magistrati assunsero il monopolio della moralità, dell’etica, dell’autorevolezza, radendo al suolo il prestigio della politica.
Etuttavia è sempre esistito un pezzetto di sinistra ( quello socialista, quello liberale e in piccola misura anche quello cristiano e persino quello comunista) che non ha mai pensato di potere barattare lo Stato di diritto con dei vantaggi politici, o elettorali. Lei naturalmente può farmi osservare che la sua formazione politica ha avuto poco o niente a che fare col “tronco” giustizialista della vecchia sinistra, e neppure con il “tronchetto” girotondino degli ultimi vent’anni. È vero. Ma non è di questo che voglio discutere. Voglio solo farle osservare che il comportamento del Pd, anche in questi ultimi anni, è stato assai altalenante. E che forse - io dico: senza forse - è giunto il momento di criticare apertamente quegli atteggiamenti, e di dare un taglio netto alle tradizioni super- legalitarie e autoritarie.
Mi riferisco a episodi di alcuni anni fa, che però sono stati molto gravi, ma anche ad avvenimenti più recenti. Il Pd, ad esempio, si schierò per il varo della legge Severino, che non è una legge garantista e che assegna un potere esorbitante alla magistratura, e poi si schierò per la sua applicazione retroattiva, giungendo a determinare l’espulsione dal Parlamento del capo dell'opposizione. Cosa mai avvenuta nel dopoguerra. Quel giorno i senatori dei 5 Stelle esposero uno striscione di tipo fascista: “Fuori uno, tutti a casa”, che riecheggiava il famoso discorso di Mussolini sul “bivacco di manipoli”: non ricordo che il suo partito insorse.
Il Pd sollecitò qualche mese dopo le dimissioni del ministro Lupi e poi della ministra Guidi, che pure non erano nemmeno stati indagati, ma travolti dai giornali, dai 5 Stelle e dalle fughe di notizie ( intercettazioni prive di qualunque valore penale) permesse da pezzi della magistratura e cavalcate, fuori da ogni etica professionale, dai giornalisti. Ricorderà sicuramente i colloqui assolutamente privati tra la ministra Guidi e il suo fidanzato, sbattuti in prima pagina. Fu un’infamia, lo sa: un’infamia. Non ci fu reazione del Pd, e Guidi fu scaricata. Si dimise. Come era stato scaricato, qualche mese prima, il segretario del partito in Campania, Stefano Graziano, che poi fu assolto da tutto - proprio da tutto - ed ora credo che sia commissario del Pd in Calabria. In Parlamento il Pd ha votato molte volte a favore dell’arresto di deputati o senatori avversari, o persino alleati. Penso all’arresto del senatore Caridi, deciso quattro giorni dopo l’invio da parte della magistratura di una richiesta lunga 4000 pagine, e dunque deciso senza defezioni e senza che nessuno avesse letto neppure un centinaio di quelle pagine. Un anno dopo la Cassazione disse che l’arresto non era legittimo, ma il Parlamento non se ne era accorto, e neanche il Pd.
E’ stato così con Minzolini, anche lui buttato fuori dal Senato, col voto del Pd, dopo che un giudice lo aveva condannato e senza che nessuno avesse niente da dire sul fatto che questo giudice era stato in precedenza un deputato del centrosinistra, avversario politico di Minzolini. Alcuni senatori del Pd si dissociarono. Ma il resto del partito fu compatto. Mi fermo qui, ma l’elenco potrebbe continuare per diverse pagine.
Voglio solo fare un accenno all’ultimo caso, e cioè al voto contro Salvini. Ho letto l’intervista del presidente del Pd all’Huffington Post e in gran parte la condivido. C’è un punto però che non posso accettare: la distinzione tra il caso Renzi e il caso Salvini. E’ chiaro che nel caso dei suoi genitori quel che colpisce è la sproporzione del provvedimento. Quanta gente è stata messa in custodia cautelare per il sospetto di due o tre fatture gonfiate? Forse mai nessuno. Giusto. Ma secondo lei non c’è nessuna sproporzione nel chiedere che il ministro Salvini sia processato per sequestro di persona, come i banditi sardi negli anni sessanta o la banda della Magliana? E’ evidente la sproporzione che rende lampante il valore politico, e non giudiziario, delle accuse. E allora perché il Pd non ha votato contro l’autorizzazione a procedere? Per non assomigliare a Berlusconi, accusato spesso di volersi difendere dai processi e non nei processi? Senatore, guardi che io penso tutto il male possibile delle politiche di Berlusconi ( e ancora molto, molto più male di quella di Salvini) ma sul terreno del garantismo, Berlusconi è stato sempre coerente e imparziale, e se si vuole essere davvero garantisti non c’è niente di male ad imitarlo. Anzi, è necessario.
Ieri, in un’intervista concessa a Paola Sacchi, la senatrice Stefania Craxi ( che è la figlia di uno statista che fu malmenato dalla giustizia) l’ha invitata a dare un taglio netto col vecchio giustizialismo della sinistra. Ha ragione la senatrice Craxi. La ascolti. In questi giorni ho letto molte dichiarazioni di esponenti del Pd che difendono lei e accusano i leghisti. Chiedono perché la magistratura si accanisca coi suoi genitori e perdoni Salvini per la Diciotti o per i 49 milioni. Possibile che non si riesca a esprimere il proprio garantismo senza chiedere punizioni per gli altri? Possibile che anche il Pd debba restare imprigionato in quel livello infimo della polemica, tipico dei 5 stelle, che suona così: “E allora gli altri?”
Senatore, il garantismo è uno solo: uno. Non ammette pause, non ha variabili. Se il garantismo accetta un’eccezione muore. Non esiste più. Vale per San Francesco e per Riina. Il garantismo pone lo stato di diritto al di sopra di tutto, impone che lo stato di diritto non sia negoziabile, non possa essere emendato, corretto, limitato, adattato alle circostanze. E’ difficile, per un politico, essere garantista: ma è necessario, se vogliamo che la modernità sia uno sviluppo della civiltà e non una sua sospensione.
Lei è in grado di imporre questa svolta? E’ in grado di promettere che non userà mai più la leva della giustizia e del moralismo come strumento di lotta politica? Di giurare che la grande lezione di Aldo Moro - penso proprio al Moro del discorso a difesa della Dc sulla Lockheed e poi al Moro delle lettere dal covo delle Br - diventerà la sua bussola?
Io ci spero.
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INTERVISTA ALLA SCRITTRICE GIADA CERI ESPERTA DI QUESTIONI CARCERARIE IN LIBRERIA CON “LA GIUSTA QUANTITÀ DI DOLORE”
«La prima fabbrica dell’insicurezza si chiama prigione»
di Orlando Trinchi 19 febbraio 2019
«Quanto sarebbe la giusta quantità di dolore necessaria e sufficiente a compensare il delitto? Quanto equa la retribuzione?».
Questa e altre le domande che, fin dal titolo – La giusta quantità di dolore ( Edizioni Exorma) – pone e si pone Giada Ceri, da sempre attiva nei progetti del Terzo settore in ambito penitenziario e autrice di romanzi e racconti – quali L'uno. O l'altro ( Giano Editore, 2003), Il fascino delle cause perse ( Italic Pequod, 2009), Gli imperatori. Sei volti del potere ( Melville Edizioni, 2016) –, in un reportage narrativo che indaga spazi e problematiche cardinali dell'universo carcerario, cui nel 2014 aveva già dedicato per la Fondazione Circolo Fratelli Rosselli la cura del Quaderno È una bella prigione, il mondo.
Ma quanto è lunga “la notte” in carcere?. Quanto e con quali esiti la violazione del diritto alla riservatezza incide sulla condizione detentiva?
La violazione del diritto alla riservatezza – più o meno percepita, più o meno occultata – è un problema che non riguarda soltanto la condizione detentiva. Il carcere tuttavia amplifica certi processi: e dunque, muri che si alzano, porte che si chiudono e un’ossessione securitaria che spavaldamente promette soluzioni facili ed efficaci. La tutela della dignità di ogni persona ancora oggi deve fare i conti con il potere punitivo attribuito allo Stato e “sicurezza” ( insieme a “certezza della pena”) è una delle parole più fraintese – quando sono i dati oggettivi a mostrare che più carcere significa meno sicurezza per tutti. La distanza fra reale e percepito si allarga. E, di nuovo, la responsabilità di questo è collettiva: di chi comanda (“governare” non mi pare oggi il verbo adeguato) e di chi si lascia comandare, sorvegliare, illudere e blandire.
A suo avviso, l’istituzione delle REMS ha realmente rappresentato un superamento degli OPG?
La chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari – istituzioni totali di contenzione – era una necessità e un dovere e questo è bene ribadirlo, soprattutto adesso. Chiarito questo, è indubbio che ci sono state e ci sono delle criticità nel passaggio alle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza: le liste di attesa per l’assegnazione alle Rems, per esempio, alcuni ritardi nel rendere operative le nuove strutture… L’attuazione delle disposizioni di legge non è avvenuta in maniera esaustiva e restano delle lacune, dovute in parte anche al mancato recepimento, da parte dell’attuale Governo, delle proposte elaborate dagli Stati generali dell’esecuzione penale del 2015- 2016. Il pieno ed effettivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari richiede dunque ancora del lavoro perché le nuove strutture non finiscano per ospitare anche persone con problemi che altrove non si riesce a gestire. Lavoro, dunque, e un’attenzione costante: il momento attuale – non solo sul piano politico ma su quello culturale in senso più ampio – tende fortemente alla regressione e all’involuzione.
Registra un avanzamento, per quanto attiene alla situazione italiana, riguardo l’effettiva applicazione di misure alternative al carcere?
È evidente che ancora per molti, in Italia, quella di “alternative al carcere” rappresenta un’idea peregrina. Eppure, come sottolineo nel libro, la nostra Costituzione parla di “pene”, usa il plurale, non individua il carcere come perno del sistema e unica risposta possibile ad ogni reato. Infatti la riforma dell’Ordinamento penitenziario nata dal lavoro degli Stati generali disegnava un modello diverso di esecuzione penale; ma i suoi esiti effettivi sono stati piuttosto parziali rispetto all’ampiezza della riflessione e della proposta. Ciò detto: meglio poco che nulla, questo c’è e a partire da questo bisogna andare avanti. Ma è indubbio che, nella sostanza, il carcere oggi continua a costituire la modalità privilegiata di esecuzione della pena in Italia. Tutto sembra tornare a chiudersi: le carceri ( come i porti) e la capacità di ragionare in maniera critica, lucida, autonoma senza rinunciare alla propria umanità. Dobbiamo scarcerare le nostre società.
Ci può parlare delle criticità oggi riscontrate in termini di assistenza sanitaria in carcere?
Fra le criticità più gravi c’è quella che riguarda la salute mentale negli istituti di pena. La riforma dell’Ordinamento penitenziario – quella proposta dal precedente Governo, non quella sopravvissuta sotto il Governo attuale – tentava di affrontare e risolvere tale questione, sia pur non in maniera esaustiva. Ma, lo sappiamo, del lavoro svolto negli anni precedenti poco si è salvato e ad aggravare la situazione esistente oggi nelle carceri italiane c’è il ritorno a livelli allarmanti di sovraffollamento ( una condizione che certo non favorisce il mantenimento o il recupero della salute da parte di chi è detenuto, né il lavoro del personale medico, paramedico e penitenziario). Il disagio psichico si addensa, gli atti di autolesionismo e i suicidi aumentano e c’è chi torna a proporre soluzioni di pura edilizia: costruire più carceri. Quando – e non è pura teoria: sono i dati a confermarlo – il punto è che la galera è patogena per sua stessa natura e “salute in carcere” una contraddizione in termini.
Per reiterare un quesito presente nel testo, le necessità di carattere affettivo e sessuale dietro le sbarre rappresentano “un diritto o un privilegio”? Ha osservato passi avanti al riguardo?
No, almeno per quanto concerne gli adulti. La chiusura su questo punto conferma il carattere afflittivo della pena così come ancora oggi è concepita nel nostro sistema. La vita in carcere dovrebbe essere quanto più possibile simile alla vita fuori dal carcere – un carcere secondo Costituzione, intendo. E la nostra Costituzione parla di senso di umanità e di diritti che è interesse di ognuno rispettare. La lesione dei diritti di un singolo o di un gruppo indebolisce i diritti di tutti.
Nel libro, a proposito del linguaggio adottato in prigione, lei evidenzia che “tutto diventa - ino, in carcere”. Il ministero britannico della Giustizia si appresta a varare una significativa riforma delle carceri, introducendo vetri al posto delle sbarre e modificando il lessico. Ritiene che sarebbe auspicabile un modello simile anche in Italia?
Circa i vetri antisfondamento in carcere sono state già formulate alcune perplessità. Per esempio: nelle nostre strutture penitenziarie sarebbe possibile installare un sistema di ventilazione affidabile ed efficace? La sostituzione delle sbarre rischia di risolvere un problema creandone altri. A parte questo, e senza trascurare l’importanza che certi apparenti dettagli acquistano nella vita di chi è detenuto, resta il fatto – sostanziale – che la cella è una “camera” nella quale si dovrebbe soltanto pernottare. Una riforma significativa dovrebbe a mio avviso preoccuparsi di ridurre al minimo la necessità del carcere. Quanto al lessico: una circolare del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria invitava, nel 2017, ad abbandonare l’uso scritto e orale del linguaggio infantilizzante che caratterizza il mondo delle persone detenute ( ma usi analoghi esistono anche in altri contesti). Ora, io sono convinta che la lingua abbia una propria forza rispetto alla realtà ( La giusta quantità di dolore trova in questa convinzione il proprio senso), però credo anche che spesso i nomi siano conseguenza delle cose. E dunque: benvenuto tutto ciò che favorisce politiche e atteggiamenti umanamente e costituzionalmente rispettosi, ma la miglior garanzia di questo rispetto sta nella consapevolezza dei diritti che la persona conserva anche quando è detenuta, e nelle scelte coerenti con questa consapevolezza.
Lei approfondisce, anche dal lato umano, la figura dell'operatore sociale. Dopo lo stop alle agevolazioni Ires per gli enti non commerciali presente nell'ultima Legge di Bilancio, il governo avanza al riguardo ripensamenti che si concretizzeranno “nel primo provvedimento utile”. Ritiene che attualmente la politica stia riservando la giusta attenzione al Terzo settore? L’aspetto umano è fondamentale nel libro per la semplice ragione che il carcere è un’invenzione dell’uomo, per l’uomo o contro l’uomo a seconda del punto di vista. E le persone che ci lavorano ( tutte: dai direttori agli agenti ai volontari etc.) condividono di fatto le stesse condizioni. Riformare l’esecuzione della pena e la giustizia secondo principi anzitutto costituzionali ( non continuiamo a ripetere che la nostra Carta è la più bella?) sarebbe un passo avanti per tutti. Quanto alla sua domanda: da tempo la politica ama rivolgersi “al cuore e alla pancia” dei cittadini, più che alla loro testa. Per ripensare bisogna prima aver pensato: una pratica, mi pare, oggi sempre meno diffusa.
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L’ESPONENTE DEL PARTITO RADICALE SOLLECITA UN INCONTRO AL GUARDASIGILLI
Sovraffollamento, Bernardini chiede un’operazione- verità
L’esponente del Partito Radicale Rita Bernardini scrive al ministro della giustizia Alfonso Bonafede per chiedergli un incontro chiarificatore sull’effettiva urgenza del sovraffollamento penitenziario e l’aggiornamento delle schede riguardanti di ogni singolo istituto penitenziario in nome della trasparenza. La lettera contiene anche il preannuncio di una sua iniziativa nonviolenta nel caso non ci siano i chiarimenti richiesti.
Egregio Signor Ministro, dopo l'incontro del 4 dicembre 2018 torno a disturbarti, augurandomi che presto il Partito Radicale possa tornare a farti visita. Per quel che riguarda le condizioni di detenzione nelle nostre carceri, infatti, le cose non vanno affatto bene e, purtroppo, miglioramenti non si vedono all'orizzonte. Pur se da posizioni e impostazioni diverse, io credo che su due cose dobbiamo necessariamente essere d'accordo: sulla necessità di rimuovere immediatamente le cause che determinano una condizione di detenzione “illegale” e sulla doverosa inconfutabilità dei dati riguardanti le carceri fornite dal Ministero della Giustizia. Mi riferisco, in particolare, ai dati sul sovraffollamento penitenziario perché da questo derivano tutta una serie di conseguenze sulla vita detentiva che possono determinare la sistematica violazione dei diritti umani, già pesantemente sanzionata nel 2013 con la sentenza “Torreggiani e altri” da parte della Corte EDU. È accaduto che il Presidente del DAP, Francesco Basentini, abbia minimizzato il dato del sovraffollamento in occasione dell'audizione tenuta lo scorso 5 febbraio presso la Commissione Giustizia della Camera dei deputati, arrivando ad affermare che le nostre strutture possono ospitare molti più detenuti di quelli che ci sono oggi ( 60.125 al 31 gennaio 2018) perché il parametro della capienza regolamentare ( 50.550 posti) sarebbe quello dei 9 metri quadri a disposizione di ogni detenuto. Ora, segnalo che è lo stesso Tuo Ministero a precisare - sul sito istituzionale- sia che “i posti sono calcolati sulla base del criterio di 9 mq per singolo detenuto + 5 mq per gli altri”, sia che “Il dato sulla capienza non tiene conto di eventuali situazioni transitorie che comportano scostamenti temporanei dal valore indicato”
il che – tradotto – vuol dire che nella capienza regolamentare sono considerati anche i posti inagibili ( quindi inutilizzabili) che ammontano a circa 4.500. Evidenzio inoltre che la popolazione è distribuita in modo non uniforme sul territorio nazionale così che abbiamo istituti come Taranto, Como, Lodi e Latina che ospitano quasi il doppio dei detenuti che potrebbero contenere, e carceri semivuote come Camerino ( zero presenze), Arezzo, Alba e Gorizia. Sul sovraffollamento, ti chiedo pertanto un'immediata “operazione verità” perché, come afferma il Presidente della Corte Costituzionale Lattanzi, intervistato recentemente da Radio Radicale proprio sulla situazione delle carceri, “per governare, per decidere, per legiferare, innanzitutto occorre conoscere; conoscere la realtà, non la realtà immaginata, ma la realtà effettiva.” Mi auguro che su questo non sia necessario intraprendere una lotta nonviolenta volta a conoscere la realtà effettiva del sovraffollamento e che, nel giro di pochi giorni, chiarezza sia fatta attraverso il confronto e il dialogo. In attesa di questa “operazione verità” che auspico non vada oltre alcuni giorni, ti comunico anche che le schede riguardanti i singoli istituti penitenziari, che faticosamente eravamo riusciti ad ottenere con il precedente governo, da quando si è insediato il nuovo cioè quello di cui fai parte, non sono state più aggiornate, il che va a scapito di quella “trasparenza” che dovrebbe caratterizzare l'operato di qualsivoglia amministrazione pubblica.
Con i più cordiali saluti
RITA BERNARDINI
( Coordinatrice Presidenza Partito Radicale) 19 febbraio, 2019