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giovedì 28 febbraio 2019

L'orrore per gli All you can eat; Ernesto Rossi; racconti deludenti; un film che amo; Nivhek




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Non amo andare per ristoranti, pizzerie, fast-food, trattorie, sagre (ho i brividi quando vedo le tavolate di legno riempite di gente che mangia costine e beve birra) anche se mi mancano molto alcuni locali discosti di Salonicco e di Creta e Rodi e mi piacerebbe un sacco tornare a mangiare in quei ristoranti di Haute cuisine dove, per mia fortuna, mi è stato concesso di potermi infilare. 
Qualche tempo fa sono stato invitato a partecipare con altri parenti a un compleanno organizzato in uno di quei locali All you can eat che vanno tanto di moda e dove si viene spinti/invogliati a riempirsi di cibo fino allo sfinimento. 
Ho accettato per pura pietà e per non far incazzare mio padre e ne sono uscito inorridito. 
Sono uno che mangia poco e son stato sempre abituato a mangiare con parsimonia. 
Tanto per dirvi che a casa mia non c'è mai stata l'abitudine di riempire i piatti e i piatti di pasta arrivano al massimo agli 80, 90 grammi e se provate a riempirgli troppo il piatto mio padre è capace di lanciarlo fuori dalla finestra. 
Quanto ho visto mi ha disgustato: piatti strabordanti, gente che non mi ricordava nient'altro che dei maiali che a corto di cibo da mesi, un casino infernale di suoni, rumori, urla, di gente che si alzava ogni dieci minuti e mi spingeva e voleva mangiare e mangiare e poi piatti abbandonati a se stessi o gente che li doveva finire per non pagare un supplemento e un bambino che si ingozzava di cozze manco fossero popcorn e cibo scadente che mai avrei offerto a qualcuno e un gruppo di ventenni che sembravano i miei nonni e intanto pensavo all'impatto sul pianeta di questa merda di locali, di questi cittadini/coetanei/famiglie/conoscenti che non fanno che ingozzarsi e ingozzarsi di cibo ogni volta che possono, della filiera del cibo e piu' in generale di questo moltiplicarsi ossessivo compulsivo di spazi dedicati alla Religione del Cibo.
Io ho mangiato il poco che potevo mangiare (un piattino striminzito anche perché, per l'ansia e il disgusto, lo stomaco si era ridotto a un preservativo usato) e appena ho potuto me ne sono uscito all'aperto insieme a mia cugina che vuole mantenere a tutti i costi il suo peso forma.
Lei si fumava una sigaretta e io tenevo un bicchiere di vino in mano e guardavamo i tir sfrecciare sulla Superstrada.
Tutti e due abbiamo convenuto che non eravamo due gran belle persone e poi lei mi ha chiesto "Cosa pensi di votare alle prossime Europee, Radicale di merda che sei?" e siamo scoppiati a ridere quando abbiamo visto uscire mio padre pronto a dirci "Questa è la prima e ultima volta che mi portano in un posto del genere".

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Si stanno avvicinando le Europee e quanto mi fanno riflettere le vite, gli scritti, le azioni di Ernesto Rossi, Eugenio Colorni, Altiero Spinelli, Riccardo Bauer, Gaetano Salvemini, Ada Montanari, Ursula Hirschmann e molti altri. La speranza è 

Sul sito della Banca d'Italia ci sono due libri splendidi dedicati a Ernesto Rossi: I libri di economia appartenuti a Ernesto Rossi e che si possono scaricare gratuitamente qui.

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Mi avevano consigliato i racconti di "Un buon posto dove stare" di Francesca Manfredi (La nave di Teseo) e li ho letti ieri sera/notte e mi hanno decisamente deluso. Sono scritti bene ma non mi hanno trasmesso nulla. Tutti belli al punto giusto, scritti nel modo giusto, con l'atmosfera giusta, con le frasi giuste, puliti al punto giusto, inquietanti quel tanto che basta. Come andare a scuola, insomma, quando sei nel campo giusto e finisci per prendere il diploma, poi la laurea, poi diventi uno scrittore ma non c'è mai un bivio, una scossa, un ripensamento, una caduta che ti fa sentire vivo in questi racconti.

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-un film che ogni volta che lo vedo mi spiazza-


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-qui-


mercoledì 27 febbraio 2019

"Il taglio" di Anthony Cartwright (66thand2nd)



Anthony Cartwright è uno dei migliori cantori contemporanei della working class, degli sfruttati, degli esclusi, degli emarginati, degli sconfitti, di tutti coloro ignorati dalla globalizzazione, dal liberismo, dei disoccupati e dei lavoratori. Uno scrittore che ha saputo in ogni suo libro restituire vita e dignità a storie, oserei dire, volutamente dimenticate, a uomini e donne sbeffeggiati, vilipesi o coccolati a seconda dell'opportunità politica e mass mediatica del momento. 

Con “Il taglio” (66thand2nd, traduzione di Riccardo Duranti) l'autore inglese decide di affrontare con una prospettiva insolita, livida, commovente e che rifiuta tesi precostituite, i convulsi giorni del referendum sulla Brexit raccontandoci della storia d'amore fra Cairo Jukes, operaio e ex pugile, abitante  Dudley, città del Black Country con un passato di di strategico polo industriale, e Grace Trevithick, film-maker londinese di grande talento, arrivata in città per documentare gli umori di un “popolo” al centro dell'attenzione pubblica e così distante da lei.

Questo incontro, raccontato a capitoli alterni intitolati “Prima” e “Dopo”, è l'occasione per delineare un incredibile affresco di un mondo che viene quasi sempre descritto assecondando stereotipi stantii, a cui non viene concesso di essere incazzato e deluso per aver perso tutto, per non avere uno straccio di lavoro decente, per sentirsi distanti dall'Unione Europea, dalle élite londinesi/bancarie/intellettuali, dalla modernità a tutti i costi, da governi che non hanno mantenuto nessuna delle loro promesse e che anzi hanno peggiorato ulteriormente le loro condizioni di vita. 

Uomini e donne sfiduciati, utilizzati come fondale a fini elettorali, considerati nient'altro che bifolchi, ubriaconi, ignoranti, campagnoli, razzisti e che decidono di vendicarsi dei torti subiti scagliandosi contro tutti e anche contro se stessi, in una spirale autodistruttiva, perché ormai tutto sembra perduto e quello che conta è fargliela pagare a quelli che, col culo parato/i floridi conti in banca, in un modo o nell'altro se la cavano sempre.

Ancora una volta Anthony Carthwright si rivela un autore micidiale che non concede facili scappatoie al lettore che si sente trascinato in una spirale nerissima dove anche l'amore che esplode dentro un uomo di grandissima dignità sembra, ribadisco sembra, non poter far nulla contro un mondo in rovina.

Alcuni estratti:

Vede Alan annuire di nuovo, poi firma la ricevuta dei soldi decurtati d'un giorno, più dieci sterline per essersi infradiciati stamattina, senza neanche bisogno di una penna: Alan firma con un dito sullo schermo del cellulare di Tony, un trucchetto che Tony ha cominciato a usare, anche se poi li paga tutti in contanti con banconote spiegazzate che arrivano in sacchetti direttamente dall'ufficio postale come fossero ancora uomini di un'epoca ormai lontana. Come fossero operai che risalgono il vicolo da questa stessa fabbrica quand'era ancora in piedi, uomini che hanno staccato presto il venerdì e ora vanno a occuparsi dei loro orti oppure si piazzano davanti al bancone del pub o portano a spasso i cani o vanno a casa dalla propria famiglia, compilano la schedina e sognano un fine settimana di vacanza al mare. Come se ci fosse ancora qualcuna di queste cose.” (pag. 40)

Nonostante lui parlasse sempre del senso di perdita e di sconfitta, qui c'era gente che si divertiva, che cercava di sfruttare al massimo le cose e di andare avanti. Gli animali dello zoo nel bel mezzo della città, il giro sulla ruota panoramica, le risate che avevano sentito: c'era anche quest'altra storia, voleva dirgli. Non è che tutti e tutto stessero colando a picco, almeno questa era la sua impressione, perlomeno non come lo descriveva lui. La verità era che la gente che aveva intervistato, con l'eccezione di Cairo, era stata unanime nel dire che avrebbe votato per rimettere in moto le cose, che il paese se la sarebbe cavata da solo nel mondo. Perfino il padre di Cairo l'aveva detto, in un certo senso. La gente alzava le spalle e diceva che non era poi la fine del mondo. Grace aveva imparato a pensare che la gente si facesse delle illusioni e doveva controllarsi per non dirlo durante le interviste, però non era più tanto sicura come prima. Pensava alla madre che borbottava ascoltando il telegiornale ed era stata colpita da una cosa che le aveva detto Cairo: “Ti è mai passato per la testa che può anche darsi che tu abbia torto?”. Non era del tutto convinta che non le fosse mai passato per la testa.” (pag. 85)

Parecchie cose non ci sono più, cancellate. Il passato industriale. In gran parte viene nascosto. Il punto è che la gente qui ha costruito quello che il nostro paese è poi diventato. Adesso vi comportate – anzi, ci comportiamo – come se ci fosse qualcosa di cui vergognarsi in quello che abbiamo fatto. Il resto del paese si vergogna di noi. In un modo o nell'altro, vorreste che scomparissimo. Andrà a finire che sorgeranno campi, che si costruiranno muri, aspetta e vedrai, e non sarà la mia gente a farlo, Grace, sarà la tua. Sta già succedendo, con le buone maniere che usate voi.” (pagg. 132-133)





lunedì 25 febbraio 2019

Vanessa PRNTT e due righe su "Non si uccidono così anche i cavalli?"


Che bello ascoltare dal palco dell'8º Congresso italiano del Partito Radicale Nonviolento, Transnazionale e Transpartito la voce di Vanessa, amica e compagna di partito. Il suo intervento è stato bellissimo, ascoltatelo. Lo trovate qui e scorrendo sul banner laterale troverete il suo nome.


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C'è tantissimo di me nel personaggio di Gloria, protagonista insieme a Robert, dell'intenso “Non si uccidono così anche i cavalli?” di Horace McCoy (SUR, traduzione di Luca Conti, prefazione di Violetta Bellocchio) e pubblicato per la prima volta nel 1935. 

Gloria è stanca di vivere, piena di odio e rancore per l'esistenza che la circonda, per attrici/comparse/registi/fuggiaschi/impresari/moraliste, per i ballerini di questa competizione di ballo senza fine a cui si è iscritta insieme a quell'uomo, un po' coglione e in cerca di fortuna fra le luci di Hollywood che troverà la forza di esaudire il suo desiderio di dire addio al mondo perché quando non sei più buona per la vita, sei troppo marcia, non hai più nulla da offrire, da vivere, una ragione per respirare non è forse meglio finire uccisi come i cavalli con un colpo in testa e smettere di soffrire? 

Poco più di 120 pagine che sono come sedersi su una sedia elettrica.

Nella prefazione si legge: “Se Gloria Beatty si risvegliasse nel mondo di oggi, forse proverebbe a ottenere celebrità e attenzione online, magari avrebbe la scaltrezza di fare leva sul proprio essere una perdente verace, una donna considerata non abbastanza bella o seduttiva, e magari troverebbe un pubblico che le darebbe corda per divertirsi alle sue spalle: quasi sicuramente, però, resterebbe delusa nel vedere che la scienza non è ancora riuscita a inventare “una maniera piacevole di morire”. Quello che possiamo fare noi è considerarla, a tutti gli effetti, un fantasma del tempo presente intrappolato nelle pagine di un capolavoro del passo."


sabato 23 febbraio 2019

Da Wanda Nara ai libri




C'è stato un tempo in cui mi avevano diagnosticato  una possibile carriera calcistica. Era il tempo delle favole o delle opportunità del cazzo da afferrare. Sapevo giocare a calcio e in quel momento venivo da una stagione in cui mi veniva tutto semplice ma ero un ragazzino depresso e malmesso che aveva ormai quasi perso del tutto la voglia di stare con gli altri, di accettare l'agonismo, i rituali camerateschi e dissi di no a una splendida offerta per uno come me nato nel nulla. 
La mia famiglia non mi aiutò in quei giorni, anzi, mi mise pressione e mi fece sentire ancora peggio. 
La specialità della mia famiglia è sempre stata farmi sentire una merda durante ogni momento di difficoltà che ho avuto nella mia vita. 
Quando stavo male solo merda da chi mi stava attorno e aveva il mio stesso sangue ma rimpiango di aver detto di no a quell'offerta perché è stato come rinunciare a una parte di me stesso che se avessi avuto vicino qualcuno che mi avesse confortato forse avrei potuto anche vivere e accettare in maniera migliore. 

Ci ho ripensato su in questi giorni seguendo molto da distanza la vicenda Wanda Nara e Icardi, anche se ho un padre interista che mi fa una testa così su queste questioni e per come sono fatto io sto dalla parte di Wanda Nara. Sarò impopolare e . Poi ok tutte le manie di protagonismo ma il problema alla base è quello di continuare a pensare che il calcio sia un feudo maschile inespugnabile e aver dato alle discussioni calcistiche/contrattuali questo genere di rilevanza. E Wanda Nara non fa nulla di diverso da quello che fanno i suoi colleghi. Anzi, oggi, mi fosse data la possibilità, con una bionda del genere ci andrei subito a parlare.

Vivo il calcio, non preoccupatevi, anche se non vedo mai una partita in tv. Potrei aggiungere altro e conosco situazioni altro ma preferisco pensare ad altro, andare allo stadio quando mi capita, in completa solitudine, vivendo lo sport per come vivo tutto il resto della mia vita. 

Come faro' domani, dopo il lavoro.

Fra un libro e l'altro e l'ultimo Marias, dopo averlo letto in prestito, l'ho comprato perché non potevo non rileggerlo:



venerdì 22 febbraio 2019

Divagando su "Il Grande Capo" di Jim Harrison (Baldini + Castoldi)



“Il Grande Capo” di Jim Harrison (Baldini+Castoldi, traduzione di Anita Taroni e Stefano Travagli) é un romanzo che mi ha convinto a metà. Ci sono delle pagine bellissime e altre invece molto ma molto più deboli e in generale il romanzo mi è sembrato troppo lungo, sfilacciato, inconcludente e soprattutto un'occasione persa, con una linea narrativa che vive su un pretesto molto pretestuoso, quello della comunità religiosa, che evolve senza mai davvero convincere. Eppure ci sono due elementi di questo romanzo a cui non sono potuto rimanere indifferente e uno é l'attrazione sessuale, direi quasi appetito sessuale, erotica, e l'altra è quella della dipendenza alcolica. Tutto il romanzo è permeato dal sesso e dall'alcool (Sunderson che osserva l'adolescente Mona darà fastidio a molti) e mi ha fatto pensare a me quando, d'estate, mi affaccio alla finestra della cucina con un bicchiere di Chasselas in mano e guardando verso il palazzo di fronte mi capita di incrociare il corpo di una donna che ama farsi guardare, apparentemente protetta dalla tenda del balcone, dopo che si è fatta una doccia,  il suo seno nudo, le sue forme che invogliano a una scopata e poi una ragazzina che a fine giornata esce sul balcone in accappatoio e si mette a fumare spazzolandosi i capelli e poi quell'altra che si aggira in mutandine e canottiera dentro casa e poi si mette a pulire il balcone sempre in mutandine e canottiera con una sigaretta in mano. In questi sguardi oltre la strada e il marciapiede persistono quello stesso odore di desiderio, sesso, senso di colpa, voglia che si respira in maniera densa nelle pagine di Jim Harrison. La stessa perdizione, inconcludenza, gli stessi incontri fugaci, fallimenti, posti bui che ti si incollano addosso se per caso sei uno come me o la mia compagna.

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Lo davano ieri pomeriggio in tv e con grande gioia son tornato a guardarlo, ritrovandolo ancora una volta splendido.


giovedì 21 febbraio 2019

Il Congresso del Partito Radicale, la sorte di Radio Radicale e la situazione carceraria. Intervista a Rita Bernardini

Da seguire Rita Bernardini, in vista del congresso del Partito Radicale che inizia domani.
Qui.






Tre articoli da Il Dubbio + Tiny Ruins

Copio due articoli de Il Dubbio, giornale a cui sono abbonato e che leggo con piacere tutti i giorni:




Caro Renzi, il garantismo del Pd ha troppe pause...
LETTERA APERTA ALL’EX PRESIDENTE DEL CONSIGLIO

di Piero Sansonetti, 21 febbraio 2019 

Carissimo senatore Renzi, ho scritto su questo giornale, nei giorni scorsi, che considero sproporzionata l’iniziativa della magistratura contro i suoi genitori, e che non riesco a non vedere in quegli arresti un'azione evidentemente politica ed evidentemente rivolta contro di lei. Penso che ciò sia grave. Come sono state altrettanto gravi, in passato, altre iniziative dei Pm. Ho apprezzato la sua reazione, che ho trovato ragionevole ma al tempo stessa netta e fiera. E’ stata la reazione di un garantista.

Personalmente sono convinto della necessità che la sinistra ritrovi la sua anima garantista. Purtroppo io credo che la sinistra italiana abbia delle radici che la legano al giustizialismo, radici che hanno origine nel vecchio stalinismo di 40 anni fa, e che poi si sono rafforzate negli anni della lotta al terrorismo e, successivamente, negli anni di “Mani pulite”, quando i magistrati assunsero il monopolio della moralità, dell’etica, dell’autorevolezza, radendo al suolo il prestigio della politica.

Etuttavia è sempre esistito un pezzetto di sinistra ( quello socialista, quello liberale e in piccola misura anche quello cristiano e persino quello comunista) che non ha mai pensato di potere barattare lo Stato di diritto con dei vantaggi politici, o elettorali. Lei naturalmente può farmi osservare che la sua formazione politica ha avuto poco o niente a che fare col “tronco” giustizialista della vecchia sinistra, e neppure con il “tronchetto” girotondino degli ultimi vent’anni. È vero. Ma non è di questo che voglio discutere. Voglio solo farle osservare che il comportamento del Pd, anche in questi ultimi anni, è stato assai altalenante. E che forse - io dico: senza forse - è giunto il momento di criticare apertamente quegli atteggiamenti, e di dare un taglio netto alle tradizioni super- legalitarie e autoritarie.

Mi riferisco a episodi di alcuni anni fa, che però sono stati molto gravi, ma anche ad avvenimenti più recenti. Il Pd, ad esempio, si schierò per il varo della legge Severino, che non è una legge garantista e che assegna un potere esorbitante alla magistratura, e poi si schierò per la sua applicazione retroattiva, giungendo a determinare l’espulsione dal Parlamento del capo dell'opposizione. Cosa mai avvenuta nel dopoguerra. Quel giorno i senatori dei 5 Stelle esposero uno striscione di tipo fascista: “Fuori uno, tutti a casa”, che riecheggiava il famoso discorso di Mussolini sul “bivacco di manipoli”: non ricordo che il suo partito insorse.

Il Pd sollecitò qualche mese dopo le dimissioni del ministro Lupi e poi della ministra Guidi, che pure non erano nemmeno stati indagati, ma travolti dai giornali, dai 5 Stelle e dalle fughe di notizie ( intercettazioni prive di qualunque valore penale) permesse da pezzi della magistratura e cavalcate, fuori da ogni etica professionale, dai giornalisti. Ricorderà sicuramente i colloqui assolutamente privati tra la ministra Guidi e il suo fidanzato, sbattuti in prima pagina. Fu un’infamia, lo sa: un’infamia. Non ci fu reazione del Pd, e Guidi fu scaricata. Si dimise. Come era stato scaricato, qualche mese prima, il segretario del partito in Campania, Stefano Graziano, che poi fu assolto da tutto - proprio da tutto - ed ora credo che sia commissario del Pd in Calabria. In Parlamento il Pd ha votato molte volte a favore dell’arresto di deputati o senatori avversari, o persino alleati. Penso all’arresto del senatore Caridi, deciso quattro giorni dopo l’invio da parte della magistratura di una richiesta lunga 4000 pagine, e dunque deciso senza defezioni e senza che nessuno avesse letto neppure un centinaio di quelle pagine. Un anno dopo la Cassazione disse che l’arresto non era legittimo, ma il Parlamento non se ne era accorto, e neanche il Pd.

E’ stato così con Minzolini, anche lui buttato fuori dal Senato, col voto del Pd, dopo che un giudice lo aveva condannato e senza che nessuno avesse niente da dire sul fatto che questo giudice era stato in precedenza un deputato del centrosinistra, avversario politico di Minzolini. Alcuni senatori del Pd si dissociarono. Ma il resto del partito fu compatto. Mi fermo qui, ma l’elenco potrebbe continuare per diverse pagine.

Voglio solo fare un accenno all’ultimo caso, e cioè al voto contro Salvini. Ho letto l’intervista del presidente del Pd all’Huffington Post e in gran parte la condivido. C’è un punto però che non posso accettare: la distinzione tra il caso Renzi e il caso Salvini. E’ chiaro che nel caso dei suoi genitori quel che colpisce è la sproporzione del provvedimento. Quanta gente è stata messa in custodia cautelare per il sospetto di due o tre fatture gonfiate? Forse mai nessuno. Giusto. Ma secondo lei non c’è nessuna sproporzione nel chiedere che il ministro Salvini sia processato per sequestro di persona, come i banditi sardi negli anni sessanta o la banda della Magliana? E’ evidente la sproporzione che rende lampante il valore politico, e non giudiziario, delle accuse. E allora perché il Pd non ha votato contro l’autorizzazione a procedere? Per non assomigliare a Berlusconi, accusato spesso di volersi difendere dai processi e non nei processi? Senatore, guardi che io penso tutto il male possibile delle politiche di Berlusconi ( e ancora molto, molto più male di quella di Salvini) ma sul terreno del garantismo, Berlusconi è stato sempre coerente e imparziale, e se si vuole essere davvero garantisti non c’è niente di male ad imitarlo. Anzi, è necessario.

Ieri, in un’intervista concessa a Paola Sacchi, la senatrice Stefania Craxi ( che è la figlia di uno statista che fu malmenato dalla giustizia) l’ha invitata a dare un taglio netto col vecchio giustizialismo della sinistra. Ha ragione la senatrice Craxi. La ascolti. In questi giorni ho letto molte dichiarazioni di esponenti del Pd che difendono lei e accusano i leghisti. Chiedono perché la magistratura si accanisca coi suoi genitori e perdoni Salvini per la Diciotti o per i 49 milioni. Possibile che non si riesca a esprimere il proprio garantismo senza chiedere punizioni per gli altri? Possibile che anche il Pd debba restare imprigionato in quel livello infimo della polemica, tipico dei 5 stelle, che suona così: “E allora gli altri?”

Senatore, il garantismo è uno solo: uno. Non ammette pause, non ha variabili. Se il garantismo accetta un’eccezione muore. Non esiste più. Vale per San Francesco e per Riina. Il garantismo pone lo stato di diritto al di sopra di tutto, impone che lo stato di diritto non sia negoziabile, non possa essere emendato, corretto, limitato, adattato alle circostanze. E’ difficile, per un politico, essere garantista: ma è necessario, se vogliamo che la modernità sia uno sviluppo della civiltà e non una sua sospensione.

Lei è in grado di imporre questa svolta? E’ in grado di promettere che non userà mai più la leva della giustizia e del moralismo come strumento di lotta politica? Di giurare che la grande lezione di Aldo Moro - penso proprio al Moro del discorso a difesa della Dc sulla Lockheed e poi al Moro delle lettere dal covo delle Br - diventerà la sua bussola?

Io ci spero. 


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INTERVISTA ALLA SCRITTRICE GIADA CERI ESPERTA DI QUESTIONI CARCERARIE IN LIBRERIA CON “LA GIUSTA QUANTITÀ DI DOLORE”

«La prima fabbrica dell’insicurezza si chiama prigione»

di Orlando Trinchi 19 febbraio 2019 

«Quanto sarebbe la giusta quantità di dolore necessaria e sufficiente a compensare il delitto? Quanto equa la retribuzione?».

Questa e altre le domande che, fin dal titolo – La giusta quantità di dolore ( Edizioni Exorma) – pone e si pone Giada Ceri, da sempre attiva nei progetti del Terzo settore in ambito penitenziario e autrice di romanzi e racconti – quali L'uno. O l'altro ( Giano Editore, 2003), Il fascino delle cause perse ( Italic Pequod, 2009), Gli imperatori. Sei volti del potere ( Melville Edizioni, 2016) –, in un reportage narrativo che indaga spazi e problematiche cardinali dell'universo carcerario, cui nel 2014 aveva già dedicato per la Fondazione Circolo Fratelli Rosselli la cura del Quaderno È una bella prigione, il mondo.

Ma quanto è lunga “la notte” in carcere?. Quanto e con quali esiti la violazione del diritto alla riservatezza incide sulla condizione detentiva?

La violazione del diritto alla riservatezza – più o meno percepita, più o meno occultata – è un problema che non riguarda soltanto la condizione detentiva. Il carcere tuttavia amplifica certi processi: e dunque, muri che si alzano, porte che si chiudono e un’ossessione securitaria che spavaldamente promette soluzioni facili ed efficaci. La tutela della dignità di ogni persona ancora oggi deve fare i conti con il potere punitivo attribuito allo Stato e “sicurezza” ( insieme a “certezza della pena”) è una delle parole più fraintese – quando sono i dati oggettivi a mostrare che più carcere significa meno sicurezza per tutti. La distanza fra reale e percepito si allarga. E, di nuovo, la responsabilità di questo è collettiva: di chi comanda (“governare” non mi pare oggi il verbo adeguato) e di chi si lascia comandare, sorvegliare, illudere e blandire.

A suo avviso, l’istituzione delle REMS ha realmente rappresentato un superamento degli OPG?

La chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari – istituzioni totali di contenzione – era una necessità e un dovere e questo è bene ribadirlo, soprattutto adesso. Chiarito questo, è indubbio che ci sono state e ci sono delle criticità nel passaggio alle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza: le liste di attesa per l’assegnazione alle Rems, per esempio, alcuni ritardi nel rendere operative le nuove strutture… L’attuazione delle disposizioni di legge non è avvenuta in maniera esaustiva e restano delle lacune, dovute in parte anche al mancato recepimento, da parte dell’attuale Governo, delle proposte elaborate dagli Stati generali dell’esecuzione penale del 2015- 2016. Il pieno ed effettivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari richiede dunque ancora del lavoro perché le nuove strutture non finiscano per ospitare anche persone con problemi che altrove non si riesce a gestire. Lavoro, dunque, e un’attenzione costante: il momento attuale – non solo sul piano politico ma su quello culturale in senso più ampio – tende fortemente alla regressione e all’involuzione.

Registra un avanzamento, per quanto attiene alla situazione italiana, riguardo l’effettiva applicazione di misure alternative al carcere?

È evidente che ancora per molti, in Italia, quella di “alternative al carcere” rappresenta un’idea peregrina. Eppure, come sottolineo nel libro, la nostra Costituzione parla di “pene”, usa il plurale, non individua il carcere come perno del sistema e unica risposta possibile ad ogni reato. Infatti la riforma dell’Ordinamento penitenziario nata dal lavoro degli Stati generali disegnava un modello diverso di esecuzione penale; ma i suoi esiti effettivi sono stati piuttosto parziali rispetto all’ampiezza della riflessione e della proposta. Ciò detto: meglio poco che nulla, questo c’è e a partire da questo bisogna andare avanti. Ma è indubbio che, nella sostanza, il carcere oggi continua a costituire la modalità privilegiata di esecuzione della pena in Italia. Tutto sembra tornare a chiudersi: le carceri ( come i porti) e la capacità di ragionare in maniera critica, lucida, autonoma senza rinunciare alla propria umanità. Dobbiamo scarcerare le nostre società.

Ci può parlare delle criticità oggi riscontrate in termini di assistenza sanitaria in carcere?

Fra le criticità più gravi c’è quella che riguarda la salute mentale negli istituti di pena. La riforma dell’Ordinamento penitenziario – quella proposta dal precedente Governo, non quella sopravvissuta sotto il Governo attuale – tentava di affrontare e risolvere tale questione, sia pur non in maniera esaustiva. Ma, lo sappiamo, del lavoro svolto negli anni precedenti poco si è salvato e ad aggravare la situazione esistente oggi nelle carceri italiane c’è il ritorno a livelli allarmanti di sovraffollamento ( una condizione che certo non favorisce il mantenimento o il recupero della salute da parte di chi è detenuto, né il lavoro del personale medico, paramedico e penitenziario). Il disagio psichico si addensa, gli atti di autolesionismo e i suicidi aumentano e c’è chi torna a proporre soluzioni di pura edilizia: costruire più carceri. Quando – e non è pura teoria: sono i dati a confermarlo – il punto è che la galera è patogena per sua stessa natura e “salute in carcere” una contraddizione in termini. 

Per reiterare un quesito presente nel testo, le necessità di carattere affettivo e sessuale dietro le sbarre rappresentano “un diritto o un privilegio”? Ha osservato passi avanti al riguardo?

No, almeno per quanto concerne gli adulti. La chiusura su questo punto conferma il carattere afflittivo della pena così come ancora oggi è concepita nel nostro sistema. La vita in carcere dovrebbe essere quanto più possibile simile alla vita fuori dal carcere – un carcere secondo Costituzione, intendo. E la nostra Costituzione parla di senso di umanità e di diritti che è interesse di ognuno rispettare. La lesione dei diritti di un singolo o di un gruppo indebolisce i diritti di tutti.

Nel libro, a proposito del linguaggio adottato in prigione, lei evidenzia che “tutto diventa - ino, in carcere”. Il ministero britannico della Giustizia si appresta a varare una significativa riforma delle carceri, introducendo vetri al posto delle sbarre e modificando il lessico. Ritiene che sarebbe auspicabile un modello simile anche in Italia?

Circa i vetri antisfondamento in carcere sono state già formulate alcune perplessità. Per esempio: nelle nostre strutture penitenziarie sarebbe possibile installare un sistema di ventilazione affidabile ed efficace? La sostituzione delle sbarre rischia di risolvere un problema creandone altri. A parte questo, e senza trascurare l’importanza che certi apparenti dettagli acquistano nella vita di chi è detenuto, resta il fatto – sostanziale – che la cella è una “camera” nella quale si dovrebbe soltanto pernottare. Una riforma significativa dovrebbe a mio avviso preoccuparsi di ridurre al minimo la necessità del carcere. Quanto al lessico: una circolare del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria invitava, nel 2017, ad abbandonare l’uso scritto e orale del linguaggio infantilizzante che caratterizza il mondo delle persone detenute ( ma usi analoghi esistono anche in altri contesti). Ora, io sono convinta che la lingua abbia una propria forza rispetto alla realtà ( La giusta quantità di dolore trova in questa convinzione il proprio senso), però credo anche che spesso i nomi siano conseguenza delle cose. E dunque: benvenuto tutto ciò che favorisce politiche e atteggiamenti umanamente e costituzionalmente rispettosi, ma la miglior garanzia di questo rispetto sta nella consapevolezza dei diritti che la persona conserva anche quando è detenuta, e nelle scelte coerenti con questa consapevolezza.

Lei approfondisce, anche dal lato umano, la figura dell'operatore sociale. Dopo lo stop alle agevolazioni Ires per gli enti non commerciali presente nell'ultima Legge di Bilancio, il governo avanza al riguardo ripensamenti che si concretizzeranno “nel primo provvedimento utile”. Ritiene che attualmente la politica stia riservando la giusta attenzione al Terzo settore? L’aspetto umano è fondamentale nel libro per la semplice ragione che il carcere è un’invenzione dell’uomo, per l’uomo o contro l’uomo a seconda del punto di vista. E le persone che ci lavorano ( tutte: dai direttori agli agenti ai volontari etc.) condividono di fatto le stesse condizioni. Riformare l’esecuzione della pena e la giustizia secondo principi anzitutto costituzionali ( non continuiamo a ripetere che la nostra Carta è la più bella?) sarebbe un passo avanti per tutti. Quanto alla sua domanda: da tempo la politica ama rivolgersi “al cuore e alla pancia” dei cittadini, più che alla loro testa. Per ripensare bisogna prima aver pensato: una pratica, mi pare, oggi sempre meno diffusa.

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L’ESPONENTE DEL PARTITO RADICALE SOLLECITA UN INCONTRO AL GUARDASIGILLI

Sovraffollamento, Bernardini chiede un’operazione- verità

L’esponente del Partito Radicale Rita Bernardini scrive al ministro della giustizia Alfonso Bonafede per chiedergli un incontro chiarificatore sull’effettiva urgenza del sovraffollamento penitenziario e l’aggiornamento delle schede riguardanti di ogni singolo istituto penitenziario in nome della trasparenza. La lettera contiene anche il preannuncio di una sua iniziativa nonviolenta nel caso non ci siano i chiarimenti richiesti.

Egregio Signor Ministro, dopo l'incontro del 4 dicembre 2018 torno a disturbarti, augurandomi che presto il Partito Radicale possa tornare a farti visita. Per quel che riguarda le condizioni di detenzione nelle nostre carceri, infatti, le cose non vanno affatto bene e, purtroppo, miglioramenti non si vedono all'orizzonte. Pur se da posizioni e impostazioni diverse, io credo che su due cose dobbiamo necessariamente essere d'accordo: sulla necessità di rimuovere immediatamente le cause che determinano una condizione di detenzione “illegale” e sulla doverosa inconfutabilità dei dati riguardanti le carceri fornite dal Ministero della Giustizia. Mi riferisco, in particolare, ai dati sul sovraffollamento penitenziario perché da questo derivano tutta una serie di conseguenze sulla vita detentiva che possono determinare la sistematica violazione dei diritti umani, già pesantemente sanzionata nel 2013 con la sentenza “Torreggiani e altri” da parte della Corte EDU. È accaduto che il Presidente del DAP, Francesco Basentini, abbia minimizzato il dato del sovraffollamento in occasione dell'audizione tenuta lo scorso 5 febbraio presso la Commissione Giustizia della Camera dei deputati, arrivando ad affermare che le nostre strutture possono ospitare molti più detenuti di quelli che ci sono oggi ( 60.125 al 31 gennaio 2018) perché il parametro della capienza regolamentare ( 50.550 posti) sarebbe quello dei 9 metri quadri a disposizione di ogni detenuto. Ora, segnalo che è lo stesso Tuo Ministero a precisare - sul sito istituzionale- sia che “i posti sono calcolati sulla base del criterio di 9 mq per singolo detenuto + 5 mq per gli altri”, sia che “Il dato sulla capienza non tiene conto di eventuali situazioni transitorie che comportano scostamenti temporanei dal valore indicato”

il che – tradotto – vuol dire che nella capienza regolamentare sono considerati anche i posti inagibili ( quindi inutilizzabili) che ammontano a circa 4.500. Evidenzio inoltre che la popolazione è distribuita in modo non uniforme sul territorio nazionale così che abbiamo istituti come Taranto, Como, Lodi e Latina che ospitano quasi il doppio dei detenuti che potrebbero contenere, e carceri semivuote come Camerino ( zero presenze), Arezzo, Alba e Gorizia. Sul sovraffollamento, ti chiedo pertanto un'immediata “operazione verità” perché, come afferma il Presidente della Corte Costituzionale Lattanzi, intervistato recentemente da Radio Radicale proprio sulla situazione delle carceri, “per governare, per decidere, per legiferare, innanzitutto occorre conoscere; conoscere la realtà, non la realtà immaginata, ma la realtà effettiva.” Mi auguro che su questo non sia necessario intraprendere una lotta nonviolenta volta a conoscere la realtà effettiva del sovraffollamento e che, nel giro di pochi giorni, chiarezza sia fatta attraverso il confronto e il dialogo. In attesa di questa “operazione verità” che auspico non vada oltre alcuni giorni, ti comunico anche che le schede riguardanti i singoli istituti penitenziari, che faticosamente eravamo riusciti ad ottenere con il precedente governo, da quando si è insediato il nuovo cioè quello di cui fai parte, non sono state più aggiornate, il che va a scapito di quella “trasparenza” che dovrebbe caratterizzare l'operato di qualsivoglia amministrazione pubblica.

Con i più cordiali saluti

RITA BERNARDINI

( Coordinatrice Presidenza Partito Radicale) 19 febbraio, 2019



martedì 19 febbraio 2019

Quello che sono - Tim Hecker



Ci sono artisti che parlano per me.
Raccontano per me.
Sono pochi, pochissimi.
Tim Hecker è uno di questi.
C'è questo pezzo, That World, primo estratto da Anoyo, che uscirà a maggio.
Che è la risposta che darei alle persone se fossi costretto a rispondere di me.
Qualcosa di sincero.
Oggi è stata una giornata di merda fin dal risveglio.
Mi bevo un'altra birra anche se dovrei andare a letto perché domani vorrei alzarmi presto per fare alcune cose.
Ma non m'interessa perché tanto ho puntato la sveglia e mi tocca alzarmi lo stesso.

E solo oggi ho saputo che è morta la sorellastra di mia madre.
Di un tumore.
In un hospice.
Forse.
O forse in un altro modo e in un altro posto.
Mi hanno detto.
A settembre.

Una donna mangiata viva dalla depressione.


Andrea Consonni, Violet MonumentalViolet Monumental II, 19 febbraio 2019

lunedì 18 febbraio 2019

Cosa c'è di meglio?


Ieri era una domenica primaverile, fuori faceva caldo e cosa potevo chiedere di meglio al mio pomeriggio post lavorativo se non di rimanere chiuso in casa in felpa col cappuccio tirato sopra la testa e pantaloni del pigiama e terminare la lettura dello scatenato e toccante "Facciamo che ero morta" di Jen Beagin (Einaudi, traduzione di Federica Aceto) rileggere un paio dell'incredibile raccolta di racconti "Persone care" di Vera Giaconi (SUR, traduzione di Giulia Zavagna)

Due libri con qualche sbavatura qua e là ma che sono quel genere di libri che dopo che hai cominciato a leggerli funzionano come delle calamite e non riesci a mollarli. 

E poi tornare a sfogliare qualche pagina a caso dell'intramontabile "Le avventure di Augie March" di Saul Bellow e dirsi che sta per venire l'ora di acquistare qualcosa di suo che non ho mai letto e poi sedersi sul divano e non fare altro che infilare "Knocturne" nello stereo e stilare due liste: una coi buoni propositi per i giorni a venire e l'altra con le faccende da sbrigare, quasi tutte legate al lavoro, bollette, scadenze elettorali.

E questo pomeriggio non andrà in maniera molto diversa e domani faranno sei giorni di lavoro di fila che mi stanno fermi in gola per la voglia di piangere che mi hanno messo e il senso di inutilità che hanno portato a galla con la mia compagna che fa di tutto per tirarmi su di morale e solo lei è capace di farmi ridere come piace a me. 

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Sulle questioni politiche non dico nulla, se non che quanto sta accadendo con la votazione  online su Salvini è la logica conseguenza di anni e anni di processi televisivi, di gogne mediatiche, di onestà onestà sbandierate come carta igienica, di giustizialismo d'accatto, di rincorsa spasmodica dei desideri di un presunto popolo sovrano, di politici improvvisati, di giornalisti trasformati in magistrati/tribuni/inquisitori, di forche tenute nell'armadio e pronte a essere erette in ogni piazza, di riforme mai fatte, di ignoranza diffusa, di parlamento spostato nei talk show televisivi.

Con tutto questo mondo non voglio avere proprio avere a che fare.


sabato 16 febbraio 2019

Ci sei tu

Ci sei tu che da anni mi chiedi spiccioli per farti e io te li lascio nel guanto che ti protegge la mano anche d'estate.
Ci sei tu coi tuoi ematomi, ulcere, cicatrici.
Ci sei tu con i denti rotti e i capelli bellissimi, le camicie di donna di classe e le scarpe eleganti.
Ci sei tu con le tue gambe mozzafiato e le sciarpe di lana per coprirti le labbra spaccate.
Ci sei tu che mi parli e non ti capisco perché le parole ti muoiono dentro e io faccio finta di capirti e ti lascio i soldi che mi hai chiesto.
Ci sono io che oggi, in una giornata di inverno primaverile, ti avrei presa e abbracciata e portata via, lontano da tutto.
Ci sei invece tu che mi guardi in faccia e mi chiedi se sto bene perché dalla faccia che ho sembra che sto di merda.
E ci sono io che non so cosa dirti e me ne vado.


venerdì 15 febbraio 2019

IRAN. NESSUNO TOCCHI CAINO, RIDUZIONE DELLE ESECUZIONI PER DROGA MA I NUMERI RESTANO PREOCCUPANTI

Nessuno tocchi Caino, nel quarantennale della rivoluzione komeinista, rende note le cifre della pena di morte in Iran nel 2018.

Sono almeno 277 le esecuzioni compiute del 2018, di cui 89 riportate da fonti ufficiali iraniane e 188 casi segnalati da fonti non ufficiali. Il numero effettivo delle esecuzioni è probabilmente molto superiore ai dati forniti nel dossier di Nessuno tocchi Caino. Dai dati emerge un calo nel numero delle esecuzioni rispetto al 2017 (erano state almeno 544). A incidere su questo calo, la legge di riforma delle norme sul traffico degli stupefacenti, entrata in vigore il 14 novembre del 2017. Nel 2018 le esecuzioni per droga sono infatti scese ad almeno 23 rispetto alle almeno 257 del 2017.
I reati che hanno motivato le condanne a morte sono stati in termini di frequenza: omicidio, 195 esecuzioni (circa 63%); moharebeh (fare guerra a Dio), “corruzione in terra”, rapina ed estorsione: 32 (circa 10%); traffico di droga: 23 esecuzioni (circa 7%); stupro: 23 (circa 7%); reati di natura politica e “terrorismo”: 13 (4%); in almeno 10 altri casi (3%) non sono stati specificati i reati per i quali i detenuti sono stati trovati colpevoli.
L’impiccagione è il metodo preferito con cui è applicata la Sharia in Iran.
Almeno 13 persone sono state impiccate sulla pubblica piazza nel 2018 secondo le notizie ufficiali raccolte da Nessuno tocchi Caino, un numero nettamente inferiore alle 36 del 2017.
Le esecuzioni di donne sono state almeno 5 (rispetto alle 12 del 2017). Due di loro erano minorenni al momento del fatto. Con quelle del 2018, salgono ad 86 le donne giustiziate sotto la presidenza Rouhani.
Le esecuzioni di minorenni sono continuate nel 2018, fatto che pone l’Iran in aperta violazione della Convenzione sui Diritti del Fanciullo che pure ha ratificato. Sono stati giustiziati almeno 6 presunti minorenni al momento del fatto.
Nel 2018, almeno 10 persone sono state impiccate per fatti di natura essenzialmente politica. Ma è probabile che molti altri giustiziati per reati comuni fossero in realtà oppositori politici, in particolare appartenenti alle varie minoranze etniche iraniane, tra cui azeri, curdi, baluci e ahwazi. Accusati di essere mohareb, cioè nemici di Allah, gli arrestati sono di solito sottoposti a un processo rapido e severo che si risolve spesso con la pena di morte. Oltre alla morte, la punizione per Moharebeh è l’amputazione della mano destra e del piede sinistro, secondo il codice penale iraniano.
Non c’è solo la pena di morte, secondo i dettami della Sharia iraniana, ci sono anche torture, amputazioni degli arti, fustigazioni e altre punizioni crudeli, disumane e degradanti. Non si tratta di casi isolati e avvengono in aperto contrasto con il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici che l’Iran ha ratificato e queste pratiche vieta. Migliaia di ragazzi subiscono ogni anno frustate per aver bevuto alcolici o aver partecipato a feste con maschi e femmine insieme o per oltraggio al pubblico pudore. Le autorità iraniane considerano le frustate una punizione adeguata per combattere comportamenti ritenuti immorali e insistono perché siano eseguite sulla pubblica piazza come “lezione per chi guarda”.
Nel 2018, secondo le informazioni dell’Osservatorio sui diritti umani in Iran, sono state emesse oltre 110 sentenze di flagellazione e 11 sono state eseguite. Inoltre, è stato riportato almeno un caso di amputazione degli arti. Inoltre, si stima che durante la protesta esplosa nel Paese nel gennaio 2018, sarebbero stati effettuati 8.000 arresti arbitrari, sarebbero state uccise almeno 58 persone e 12 tra i manifestanti imprigionati sarebbero stati uccisi sotto tortura.



giovedì 14 febbraio 2019

Due righe su "Vicini di casa" di Tom Berger" (SUR) e un abbraccio



“Vicini di casa” di Thomas Berger (SUR, traduzione di Andrea Asioli e trasposto al cinema nel 1981 da John G. Avildsen con John Belushi e Dan Aykroyd)  è uno di quei libri che mentre lo stai leggendo non sai se ridere, sentirti un coglione, un moralista, uno stronzo e pensare al tipo di vicino che sei e ai vicini che stanno intorno a te. Semplicemente esplosivo nel raccontare una storia apparentemente semplicissima come l'arrivo di un paio di nuovi vicini e ciò che accade quando quei vicini sono un tantino strani e voi commettete lo sbaglio, in totale buona fede, di aprirgli la porta e di accoglierli nel vostro salotto e da quel momento nulla nella vostra vita sarà come prima.

In “Vicini di casa” stiamo parlando di due vicini, come Harry e Ramona, anticonformisti, sfrontati, sfrenati, lascivi, beoni, che vi sparano addosso, vi fregano i soldi, dormono nel vostro letto, importunano vostra moglie e vostra figlia, vi accusano di inesistenti stupri, furti e taccagneria, ammiccano, provocano sessualmente, vogliono la vostra auto, vi svuotano il frigo. Insomma due vicini del cazzo che vorreste cacciar via a pedate nel culo. 
Ma poi io, noi, voi che tipo di vicini siamo? Non è che siamo un po' come i tre della famiglia Keese: Earl, la moglie Enid e la figlia Elaine? Dei benpensanti appesi e arresi alle consuetudini, alla monotonia di una vita costruita su certezze di poco conto, tradizioni, orari da rispettare, pensieri polverosi, appuntamenti fissi che si ripetono settimana dopo settimana? Siete forse il capofamiglia ingrassato che sta sulla poltrona a guardare la tv e a elogiare la comoda vita da travet, le leggi, la rubrica telefonica con le persone fidate e che guarda al mondo fuori dalla finestra di casa o dal finestrino del trenino degli impiegati come a un diorama di un presente intramontabile? Siete mica quella donna/madre/casalinga che si dipinge le unghie sparando giudizi ipocriti su tutto ciò che si muove intorno alla vostra casa? Siete quella ragazzina che dietro il visino e i modi da perfetta studentessa è una stronza delle peggiori? Siete sicuri insomma che anche io, noi, voi forse non facciamo un bel po' schifo e che siamo degli esseri insopportabili e che pure avere noi come vicini non è altro che un vero e proprio strazio da non augurare a nessuno? Quella che si potrebbe insomma definire una mazzata sui coglioni? 

Pubblicato nel 1980, “Vicini di casa” è una black comedy memorabile e per niente invecchiata, costruita su splendidi dialoghi e scene tragicomiche al limite del surreale (nel palazzo dove sono cresciuto ne sono accadute comunque anche di peggio) e che raccontando questo incontro-scontro fra due visioni antitetiche dell'esistenza non fa che mettere alla berlina tutti noi schiavi del conformismo, con l'assurda e in parte giustificabile presunzione di congelare la vita dentro a un recinto di sicurezze, con l'incapacità di liberarci dai nostri pregiudizi e la pretesa di essere superiori agli altri o anche con quell'insopportabile abitudine di riempirci la bocca di parole come libertà, individualismo, diritti quando invece non vogliamo altro che approfittarci degli altri o di ergerci sul piedistallo del Moralista dell'anno. 

È un romanzo che potrei quasi definire crudele per come non concede scappatoie a nessuno e per come pagina dopo pagina costruisce un finale terribilmente liberatorio e spiazzante che vi metterà addosso una gran voglia di scoppiare a ridere per poi chiedervi, col sorriso che vi muore in faccia, se anche voi non siete destinati prima o poi a fare quella stessa fine.


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Mi preme anche mandare un grande abbraccio ai pazienti (e ovviamente anche al personale e parenti) del CRA di Cernusco Lombardone colpito ieri da un violento incendio. Ci sono stato secoli fa a dare una mano per qualche giorno per un progetto della Biblioteca dell'Ospedale di Lecco e ebbi modo di vivere momenti molto intensi.

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mercoledì 13 febbraio 2019

Muoversi a Lecco e le telefonate di lavoro


Ieri a Lecco c'era il lago, smosso da un vento freddo impetuoso, che brillava così tanto che mi ha messo una voglia matta di spogliarmi e buttarmici dentro e farci un bagno e nuotare e nuotare. La mia ragazza mentre le parlavo delle varie montagne che proteggono la città mi indicava un solitario coraggioso che stava sfidando il freddo col suo windsurf e tutti e due non abbiamo pensato che fosse un pazzo ma l'abbiamo semplicemente invidiato.

E che bello poi entrare ne La Libreria Volante e chiedere a Shanti se erano arrivati i libri che avevo ordinato (era arrivato solo "Persone care" che ho già letto e con dei racconti che mi hanno travolto mentre per "Il taglio", "Il silenzio dei satelliti" e  "Non qui, non altrove" mi faro' vivo la settimana prossima), in un negozio di dischi per il cd dei Massimo Volume e poi entrare in un edicola e acquistare il numero 700 di Tex, "L'oro dei Pawnee (a sorpresa molto bello), il terzo splendido episodio di Mister No Revolution, "Sognando California" e una copia de Il Foglio con dentro un articolo di Giulio Meotti "Per evitare l’accusa di razzismo gli scrittori riscrivono i propri romanzi. Keira Drake, l’autrice di “The Continent”, ha dovuto scrivere una versione "ripulita" della sua opera" e che si chiude citando Lionel Shriver, una delle mie scoperte letterarie del 2018:

"La scrittrice Lionel Shriver ha annunciato: “Il giorno in cui i miei romanzi verranno inviati a un ‘lettore sensibile’ sarà il giorno in cui smetterò”.

Ma in questi due giorni di riposo ho ricevuto dodici telefonate di lavoro e ventiquattro messaggi sul gruppo whatsapp e allora l'ansia non se ne è andata ed è ancora tutta al suo posto che mi ha tolto  lala vogl di mangiare e di uscire oggi a fare una bella camminata.

Avevo il terrore di trovare qualcuno che mi conoscesse e doverci scambiare due chiacchiere, parlare magari ancora di lavoro.





Andrea Consonni, Killer, 13 febbraio 2019

lunedì 11 febbraio 2019

"Il pericolo iraniano, manifestazione Partito Radicale" e altre piccole cose



Giovedì 14 febbraio alle 15 il Partito Radicale Nonviolento Transnazionale Transpartito terrà una manifestazione davanti all’Ambasciata dell’Iran a Roma per denunciare il “pericolo iraniano” nei giorni in cui a Varsavia e Monaco si svolgono due conferenze mondiali sull’argomento.  A quarant’anni dalla “rivoluzione islamica” il Partito Radicale, Nessuno Tocchi Caino e il Global Committee for the Rule of Law “Marco Pannella” (GCRL) rappresenteranno che cosa ha significato e significa il regime islamico per il martoriato popolo iraniano privato dei più elementari diritti umani soprattutto nei confronti delle minoranze, delle donne e degli omosessuali.

Una minaccia, quella iraniana, costantemente rivolta alla destabilizzazione del Medio Oriente (e non solo), con il sostegno continuo a regimi dispotici e le continue ingerenze contro dissidenti democratici ovunque si trovino nel mondo. 

Nessuno Tocchi Caino presenterà i dati 2018 relativi alla pena di morte in Iran
Lo Stato degli Ayatollah, del resto, continua a mantenere il triste primato delle esecuzioni capitali nel mondo. Infatti, se la Cina è al primo posto in termini assoluti, l’Iran afferma la sua macabra superiorità se il numero dei giustiziati viene raffrontato con il numero totale degli abitanti.

Alla manifestazione saranno presenti tra gli altri gli esponenti del Partito Radicale e di Nessuno Tocchi Caino (tutti già parlamentari radicali) Rita Bernardini, Sergio D’Elia, Elisabetta Zamparutti, Maurizio Turco e Maria Antonietta Farina Coscioni. Anche Laura Harth Rappresentante all’ONU del Partito Radicale, l’Amb. Giulio Terzi di Sant’Agata già Ministro degli Esteri e Presidente del GCRL, e Matteo Angioli Segretario del GCRL.

L’ambasciata si trova in via Nomentana, 361.


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Nutro per Malcolm Lowry una devozione assoluta. I suoi "Sotto il vulcano" e "Caustico Lunare" stanno fra i romanzi che mi hanno maggiormente segnato nella mia vita. Dell'opera perduta "Verso il Mar Bianco" (Feltrinelli, traduzione di Marco Rossari) ne ha scritto, come al solito splendidamente, Tommaso Pincio.

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Gli ultimi cinque giorni di lavoro sono stati carichi di odio, putridume, meschinità, vigliaccheria, falsità, mani rotte. Sono arrivato a quest'ora del giorno col cuore e la testa vuoti. Mi sento completamente a terra. Per fortuna domani potrò guidare per qualche ora con affianco la mia compagna e che bello sarebbe partire e lasciarsi tutto alle spalle e vivere altrove. Non andrà in questo modo ma almeno domani vedremo il lago e ascolteremo un po' di radio ad alto volume come due stronzi qualunque.

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sabato 9 febbraio 2019

I miei parenti senza rimpianti

Oggi uscendo dal lavoro ascoltavo un nonno dell'età di mio padre inondare il nipote di tutta una serie di rimpianti sulla Lugano di un tempo e mentre, metro dopo metro, quasi mi assopivo stanchissimo ripensavo a un fatto accadutomi alle Medie quando la maestra ci chiese di fare una piccola inchiesta chiedendo ai nostri nonni e parenti anziani cosa rimpiangevano dei tempi andati. 

Andai subito in crisi perché la stessa esperienza surreale era già accaduta a mia sorella e comunque ricordo di essere andato in quei giorni dai miei nonni paterni e poi da qualche parente anziano e di aver stilato il mio bel riassunto di quell'inchiesta. La mattina che ci toccò leggere ad alta voce quanto avevamo prodotto ascoltai un paio di miei compagni che raccontavano di come i loro nonni rimpiangevano i bei tempi andati e quando invece fu il mio turno mi trovai a raccontare che i miei nonni non rimpiangevano quasi un bel niente dell'Italia d'inizio/metà Ventesimo secolo: non rimpiangevano le case miserevoli senz'acqua corrente/telefono/elettricità/televisione, non rimpiangevano la scuola di un tempo, le sagre, i lavatoi pubblici, le celebrazioni religiose obbligatorie, le riunioni familiari domenicali e i parenti sempre addosso, la polenta quasi tutti i giorni, la puzza di letame, la condizione della donna, i bottegai usurai, l'impossibilità di curarsi e di dentisti, l'assenza di vaccini, la gerla, l'ignoranza diffusa a cui anche loro erano costretti, i pantaloncini corti, i dogmi, l'impossibilità del divorzio e dell'aborto, la leva militare di quel genere, il Fascismo, l'obbligo di saper parlare il dialetto per poter comunicare e molto altro.

Mio nonno rimpiangeva gli scomparsi prati dove giocava un tempo e la giovinezza violentata dalla guerra. 

La professoressa ebbe qualcosa da ridire e mi disse, Lo sappiamo che tuo nonno e la sua famiglia...e mi toccò risponderle, esattamente com'era accaduto a mia sorella, che la mia nonna paterna, che veniva da una famiglia di proletari e che a dodici anni lavorava in una ditta di scarpe si era un po', come dire, moderata nelle risposte per non farmi fare troppa  brutta figura. 

Ricordo ancora la zia di mia madre che mi disse: "La gente come noi moriva senza potersi mai curare e aveva una vergogna....anche quelli là morivano degli stessi problemi, ma quelli come noi erano peggio della merda...e invece adesso guarda, Andrea, qualcosa è cambiato...tuo zio e tuo nonno non sarebbero mai morti oggi."

Fine.

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giovedì 7 febbraio 2019

Residenza Arcadia, le vicine di casa, libri e altre piccole cose


Imperfetto ma dannatamente bella e angosciante la graphic novel di Daniel Cuello "Residenza Arcadia" (Bao) e (quasi) interamente ambientata in un palazzo e capace di raccontare di vite degli abitanti di una "residenza", la meschinità, gli odi trasversali, i regolamenti assurdi, le riunioni degli inquilini, la viltà, i segreti, la dittatura, i traumi che trasformano le persone, l'orrore dell'esistenza.

Ho sempre vissuto in un palazzo e uno degli aspetti della vita condominiale che ho dovuto, mio malgrado, imparare a sopportare sono le chiacchiere delle casalinghe sulle scale, quelle insomma portatrici della presunta (per quanto mi riguarda, orrenda) saggezza popolare/familiare/materna.
Esattamente come in questo momento: le solite quattro che chiacchierano dell'odore che esce dalla casa dei Tamil, del conguaglio elevato ( e ci credo coglione tenete il riscaldamento acceso a mille per poter stare in casa in maglietta), degli immigrati, dei nuovi vicini che lasciano le scarpe sullo zerbino, dei turni di lavatrice (ingiusti, sempre ingiusti secondo loro), del figlio di questo o di quell'altra. La voce che si alza e si abbassa a seconda della presunta gravità degli argomenti o della vicinanza del colpevole della malefatta. Hanno parlato anche di me, prima. Li ho sentiti distintamente, volevano farsi sentire. Come dire, Uomo avvisato mezzo salvato.


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Entrare in un paio di biblioteche e scegliere libri assecondando la curiosità del momento. Questo è uno dei tanti libri presi in prestito.

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Sulla recessione, pensioni, reddito di cittadinanza vorrei scrivere molte cose ma lascio stare. Mi limito solo a esprimere tutti i miei dubbi sull'idea che a un pensionamento corrisponderà l'assunzione di un giovane in cerca di lavoro. Avere questa convinzione di entrata e uscita significa non rendersi conto di come funzionano l'industria, i concorsi, gli investimenti. Ne ho parlato con mio padre e poi con mio zio che hanno orientamenti politici diversi ma tutti e due concordavano sul fatto che in questa situazione e con queste politiche nessuno dei titolari delle loro ditte assumerebbe personale in sostituzione. Lo vedo anche nella mia catena, il mio collega che prossimamente andrà in pensione non verrà sostituito e le sue mansioni saranno distribuite fra noi dipendenti. Non significa molto questo mio breve appunto se non che a furia di elargire mance elettorali, accontentare i desideri dei cittadini, fidarsi del paradiso in terra a pagarne le conseguenze saranno ancora una volta, nella stragrande maggioranza, quelli che hanno creduto proprio in queste promesse.

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Un sito che vi consiglio: https://www.nuoveradici.world/


Andrea Consonni, Static Hum, 7 febbraio 2019

lunedì 4 febbraio 2019

da Amy Hempel ai ricordi



C'é uno splendido racconto di Amy Hempel che si intitola  “Oggi sarà una giornata tranquilla” della raccolta “Ragioni per vivere” (1985) e contenuta in “Ragioni per vivere. Tutti i racconti” (Sem, traduzione di Silvia Pareschi) che si conclude in questo modo:

Al buio, sdraiati per terra immobili, era come dormire sotto le stelle dopo aver cantato davanti a un fuoco ormai ridotto a un mucchio di braci.
Si erano già dati la buonanotte da qualche minuto quando il ragazzo e la ragazza sentirono la voce del padre nell'oscurità.
“Ragazzi, mi sono appena ricordato... ho una notizia bella e una brutta. Quale volete per prima?”
Rispose la figlia. “Togliamoci il pensiero” disse. “Cominciamo da quella brutta.”
Il padre sorrise. Sono bravi ragazzi, decise. I miei figli sono ragazzi a posto. Si girò sorridendo verso le loro teste, che sapeva rivolte verso di lui nel buio, e dubitò di potersi mai sentire... non meglio, ma più di così.
“Ho mentito” disse. “Non c'è nessuna brutta notizia.” (pagg. 93-94)

e che mi ha fatto pensare a quando la mia famiglia partiva per il mare o per qualunque altro viaggio. Erano sempre vacanze o viaggi che giungevano dopo un evento che aveva lasciato il segno e prima di un altro, lì, in attesa, che avrebbe portato a delle trasformazioni. 

Ricordo ancora la Renault 11 color diarrea piena di valigie per il nostro mese a Pesaro, la gabbia col pappagallo stretta fra me e mia sorella, le partenze notturne, le file ai caselli ma ricordo soprattutto la serenità dei miei genitori che hanno sempre adorato i lunghi viaggi in macchina e di quei viaggi, che partivano alle 4 di mattina verso l'Adriatico oppure quando mia madre mi svegliava all'alba per dirmi che saremmo andati a Venezia e poi invece ci saremmo trovati a Bologna o a St. Moritz, ricordo la leggerezza dei miei genitori, i racconti, l'odore intenso di nicotina nell'abitacolo, mia sorella che si lamentava di qualcosa accadutole a scuola e io che cercavo di studiare la strada come un esploratore nell'Amazzonia e poi lei che mi tormentava e io che le rubavo spazio e mia madre che cantava e mio padre che si accendeva un'altra sigaretta e tornava ragazzino e mia madre che poi diceva Non è il momento di parlarne e mia sorella Di cosa mamma non volete parlarci? Di niente, rispondeva lei e poi saremmo tornati a dormire, fumare, respirare, pisciare negli autogrill, sognare il primo tuffo o la prima pasta con le cozze, salutare i bambini nelle altre macchine, stamparsi in testa il mare di Genova.

L'ultima volta che ci siamo ritrovati tutti e quattro in macchina insieme è stato usciti dal Besta di Milano dove mia madre si era sottoposta a una terapia per il tumore che le era arrivato fino al cervello e mio padre stava per dire qualcosa a mia sorella arrivata tardi all'ospedale e c'era mia madre che diceva Non è il momento di parlarne Vittorio, lascia stare e mentre mia madre pronunciava quelle parole con la sua solita grazia ebbi la consapevolezza di essere ormai diventato adulto e di aver compreso perfettamente cosa volesse nascondere mia madre con quella carezza sul collo di mio padre. 

Quel giorno mangiammo insieme a casa di mia sorella e fu l'ultimo vero pranzo di famiglia.