-uno dei miei dischi estivi per eccellenza-
Le mie ferie, ormai terminate, sono state caratterizzate dalla stanzialità luganese, passeggiate all'alba e tuffi mattutini nell'acqua gelida. Per il resto ho cercato in tutti i modi di scrivere, leggere ed evitare, non sempre riuscendoci, i turisti, di qualunque nazionalità fossero.
Se volevo bere un caffè mi sono rifugiato nei bar di periferia dove, per fortuna, di turisti se ne vedono pochi, tranne forse quelli che si spostano verso la fermata di Flixbus o qualche consumatore seriale di Airbnb di corsa per non lasciarsi sfuggire la prossima meta da immortalare.
Ho letto tanto (anche qualcosa in anteprima che uscirà a settembre) ma ho soprattutto riletto tantissimo. Ho ripreso in mano, anche solo per poche pagine: Faulkner, Ellis, Cechov, Gogol, Roth, Houellebecq, Pynchon, Proust, Ellroy, Simone Cattaneo, Salamov, Carver, Dubus, Vollmann, Hamsun, Drieu.
Ieri, prima di tornare al lavoro, sono arrivato a metà di questo romanzo a cui sono molto affezionato, perché questa copia è di mio nonno, XXI edizione, che costava 1800 lire, con la traduzione di Carlo Coardi:
e mentre stavo sudando e spaccandomi le braccia preparando pop-corn (venti sacchi di salato e otto di dolci) ci pensavo parecchio e intanto che lavoravo e pensavo e ripensavo dietro di me passava uno dei miei migliori colleghi che stava sistemando il magazzino e rifornendo le varie postazioni di vendita (frigoriferi dei gelati e delle bibite, armadi, caramelle) e intanto scambiavamo due chiacchiere sulle rispettive sventure e sfighe, discutevamo dello stato di crisi del cinema, sorridevamo di colleghe, ragazze, uscite serali, droghe, occhiali da sole, dolore alle braccia, aumenti delle casse malati, prospettive di lavoro a Zurigo o Ginevra.
Quando sono passato a pulire la macchina ho riflettuto su ciò che amo di più di Furore e se sono bellissimi e coinvolgenti tutti quei capitoli in cui Steinbeck riflette sul capitalismo e le sue contraddizioni, lo sfruttamento, l'impoverimento dei contadini, io amo Furore per i capitoli più intimisti, i dialoghi fra questi uomini e donne che hanno perso tutto e emigrano in cerca di fortuna in California, personaggi bellissimi come il predicatore o il nonno di Tom Joad, il fratellino Al che adora il fratello uscito di prigione e potrei andare avanti per tante righe a scriverne. Di sicuro è un romanzo che non è minimamente invecchiato (da leggere nella nuova traduzione) e mantiene tutta la sua bellezza, sia di contenuti (impossibile non riflettere sulla situazione economica attuale e sul fenomeno delle migrazioni) che stilisticamente e rileggendolo ho scoperto nuove sfumature che mi ero perso in passato, alcuni personaggi hanno assunto un vigore che prima non avevo colto e la madre che accoglie il figlio a casa dopo quattro anni di prigione, senza fargli sentire il peso del suo gesto, è da brividi.
Salve Andrea! Le sue parole mi hanno fatto venir voglia di leggere Furore, sembra molto interessante; nel frattempo le chiedo cosa ne pensa di Carver, se è un autore che apprezza o meno. Buona giornata!
RispondiEliminaBuongiorno Susanna, adoro Carver. È uno degli autori di cui mi sono formato. Buona giornata anche a lei.
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