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venerdì 31 agosto 2018

Su "Nelle isole estreme" di Amy Liptrot (Guanda), con una premessa



Ci sono situazioni in cui qualcuno mi dic:e Ma sai tu te lo puoi permettere di parlare così, di fare il fighetto di sinistra perché leggi libri, stai coi letterati, frequenti mostre, vai di qua e di là, stai con la meglio gente e allora a me girano le palle e mi tolgono anche tutte le residue voglie di scrivere qualcosa su questo blog e sapete, per me ognuno può frequentare quelle cazzo di persone che vuole o che in quel momento può frequentare. Capita di frequentare, conoscere, stringere amicizia con persone che poi col tempo non avresti mai voluto frequentare o almeno a me è capitato e a qualcuno no ma non so nemmeno se invidiarle quelle che frequentano solo le persone che vogliono frequentare. 
Per dire, io non mi vergognerò mai di esser salito sull'Audi millenaria di un tossico buonissimo che mi ha offerto un passaggio per un concerto e mentre lo dava lo ascoltai parlare per trenta minuti di sesso, eroina, fabbrica e Ummagumma.
Però, tanto per essere chiari, e non per giustificazioni, io non frequento di persona quasi nessuno, non vado per mostre o concerti, non vado a presentazioni letterarie o festival, se esco lo faccio in solitaria o con la mia compagna e lo faccio per montagne, passeggiate nei boschi, far spesa, lago e parenti (poche volte i parenti). Gli unici letterati che sento e che amo fraternamente uno sta a Berlino e l'altro fa il farmacista in Toscana. Con tutto il resto del mondo letterario/artistico/musicale/politico ho scambi puramente tecnici, quando capita e quando non ne ho sto meglio ed evito ogni possibile scambio ulteriore. 
Le persone che frequento sono solo quelle che mi stanno intorno per il mio lavoro al cinema e solo negli orari di lavoro: i colleghi, i responsabili, il direttore, la segretaria, quelli che puliscono i cessi come me, i camionisti che mi portano il materiale, i due fornitori che mi perseguitano e tutti gli elettricisti e gli idraulici che vengono al cinema per la manutenzione. Indimenticabili per sempre saranno gli ungheresi che arrivarono a sostituire i sedili delle sale e in particolare uno, geniale nel volermi scroccare i soldi per i caffè ma gentilissimo a regalarmi una bottiglia di vino quando se ne andarono.



Ed è anche per questo che ho amato follemente “Nelle isole estreme” di Amy Liptrot (Guanda, traduzione di Stefania De Franco), perché arriva in maniera ferocemente semplice sulle cose essenziali: vita, morte, sopravvivenza, rinascita, natura incontaminata, durissima e insieme fragile. Prima di leggerlo ero insieme affascinato e prevenuto. Affascinato perché fra i tanti sogni che ho sin da adolescente, uno è quello di visitare le Orcadi e le Shetland e perché adoro le isole, tantissimo. Prevenuto perché temevo di leggere l'ennesimo romanzo autobiografico di una persona che rinasce, che ce la fa, che supera i momenti bui e si mettere sulla giusta carreggiata. E invece, salvo alcuni passaggi non totalmente convincenti e forse anche ripetitivi, mi sono trovato di fronte a un libro a cuore aperto che racconta la propria storia, quella di una donna che nasce su un'isola delle Orcadi, Mainland, dove vivere non è da tutti, con un padre che soffre di disturbo bipolare e la madre che diventa una cristiana rinata. Una donna che sin da giovane, seppur felice di vivere su quell'isola, conosce gli angoli bui della mente e vuole superare tutti i limiti, vuole vivere l'ebbrezza dell'infinito, degli incontri artistici, delle esperienze pulsanti e che si trasferisce a Londra per brindare alla vita e finendo per uscire tutte le sere e ubriacarsi e frequentare club e sperimentare esperienze di ogni genere, per esplodere in uno dei luoghi più cool sulla terra. Ma la vita londinese s'inabissa nell'alcolismo e Amy diventa un fantasma che esce da una sbronza dietro l'altra, che nemmeno si ricorda cos'ha fatto e con chi è stata la sera prima, che cambia casa alla velocità della luce e che nei bicchieri e nelle bottiglie svuotati uno dietro l'altro vive, si perde, si annulla. Il risveglio è tragico e la destinazione è la riabilitazione, durissima, con l'alcool che ti gira sempre per la testa e che sarà per sempre parte di te con le sue cicatrici. Ed allora Amy decide di tornare a casa, di respirare l'aria di quelle isole, di ricongiursi al ritmo del vento, agli isolanti, ai contadini, alle case, alle maree, all'acqua fredda del mare del nord, ai precipizi, alle camminate, alle leggende, alle tragedie, alla pioggia continua, agli animali a rischio d'estinzione. E ogni giorno senza bere si trasforma in un nuovo sguardo sul mondo, ogni notte nell'erba a riconoscere i suoni di uccelli dimenticati significa riprendersi la propria vita, la propria storia, il proprio nome, le proprie sensazioni. 

È un romanzo fatto di paesaggi assordanti nella loro bellezza e Amy Liptrop, donna fragile e scrittrice di luminoso talente, si fa interprete coraggiosa di una natura poetica e violenta tanto da diventare lei stessa un'isola delle Orcadi.

Un passaggio:

Il venerdì e il sabato sera, a casa, fumavo inquieta alla finestra ascoltando i rumori del pub di sotto e chiedendomi se essere sobria riservasse solo quello. Avevo l'impressione di essermi preparata per qualcosa, ma non sapevo cosa. Ero in forma, in salute, pulita e di nuovo solo a casa per l'interno fine settimana, troppo spaventata per uscire. Se il futuro era quello, non lo volevo.
L'uscita dalla terapia non era la fine, bensì l'inizio. Essere sobri è un conto – l'avevo fatto centinaia di volte -, restare sobri è una sfida quotidiana, piena di momenti in cui tutto filava liscio e io ero certa di aver fatto la cosa giusta, altri in cui tutto era terribilmente difficile.
La distanza dalla mia famiglia, a oltre mille chilometri, cominciava a pesarmi, mentre quando bevevo non m'importava più di tanto. Parlavo spesso con i miei. A papà serviva una mano alla fattoria e la mamma m'invitava ad andare a trovarla. Pur essendo quasi inverno, respirare l'aria dell'isola per un breve periodo, in attesa di trovare lavoro, poteva giovarmi per recuperare forze e appetito.
Londra non era più la stessa. Nella mia vecchia vita ero un'estranea insoddisfatta. Alle Orcadi, però, papà aveva ricevuto le visite di periti e imprenditori e girava voce di soldi in arrivo. Se la fattoria fosse stata venduta, cosa mi sarebbe rimasto? Cosa mi aspettava? Che senso aveva salvarmi?
Escogitai un piano. Concordavo con la mamma che un po' più di spazio mi avrebbe fatto bene, eppure una parte di me, quella dipendente, aveva altri progetti. Tornare alle Orcadi sarebbe stato un teste. Se dopo un anno senza bere non avessi ancora trovato un lavoro decente, e mi fossi sentita ancora frustrata, avrei cercato un impiego anonimo, magari come addetta alle pulizie, mi sarei trasferita nell'ennesima stanza in affitto, mi sarei isolata e avrei ripreso a bere. Arrendersi sarebbe stato stupendo.” (pp. 85-86)




giovedì 30 agosto 2018

Ilaria Cucchi: «Salvini, il film su mio fratello lo dedico a te» di Valentina Stella (Il Dubbio)

Ho conosciuto e conosco persone finite e che stanno anche oggi in carcere.

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Ilaria Cucchi: «Salvini, il film su mio fratello lo dedico a te»
La sorella di Stefano Cucchi parla del fratello, del processo per la sua morte e del film

Sulla mia pelle ha aperto ieri la sezione Orizzonti della 75 ª Mostra del cinema: è il racconto degli ultimi drammatici giorni di vita di Stefano Cucchi, morto nove anni fa all’ospedale Pertini di Roma mentre era sotto la custodia dello Stato. Il film, che vede protagonisti Alessandro Borghi e Jasmine Trinca, per la prima volta in Italia uscirà contemporaneamente il 12 settembre sia in sala che su Netflix, disponibile in 190 Paesi del mondo. Come ha spiegato il regista Alessio Cremonini « Sulla mia pelle nasce dal desiderio di strappare Stefano alla drammatica fissità delle terribili foto che tutti noi conosciamo, quelle che lo ritraggono morto sul lettino autoptico, per ridargli vita, movimento, parola». La giustizia dopo nove lunghissimi anni ancora non è riuscita a mettere un punto definitivo sull’intera vicenda. Ma la famiglia che ha soprattutto il volto della sorella di Stefano, Ilaria Cucchi, non ha mai smesso di cercare la verità sulla morte del ragazzo.

Ilaria Cucchi, cosa pensa di questo film e quale funzione creda possa assumere?

E’ un film molto attuale e assume una funzione importantissima soprattutto in questo momento in cui si vogliono convincere le persone che i diritti di qualcuno possano essere sacrificabili in nome di presunti interessi superiori, come se il nostro benessere fosse legato al sacrificio di queste persone e dei loro diritti. Serve affinché non cali mai il silenzio su questa drammatica vicenda e su re- altà simili in cui si negano i diritti dell’essere umano. Non bisogna mai voltarsi dall’altra parte quando accadono certe cose.

A chi dedica questo film?

Oggi questo film lo dedico a Matteo Salvini ( il vice premier disse che la sorella di Cucchi si sarebbe dovuta vergognare per aver pubblicato la foto del carabiniere indagato per la morte del fratello, ndr) e a tutti coloro che non hanno voluto vedere dietro quel volto, dietro Stefano Cucchi, un essere umano e che avrebbero voluto che di questa storia non se ne parlasse più.

È in corso processo Cucchi Bis che vede accusati per omicidio preterintenzionale i tre agenti che lo arrestarono – Di Bernardo, D’Alessandro e Tedesco – oltre al maresciallo Mandolini per calunnia e falso e Nicolardi che, insieme a Tedesco, deve rispondere di calunnia nei confronti di tre agenti della penitenziaria precedentemente processati per la stessa vicenda e poi assolti. A che punto è il procedimento e che cosa si aspetta?

Siamo in una fase completamente nuova, in una fase di ve- rità, in un momento in cui dopo tanto tempo si parla delle cose per quelle che sono e per come sono andate, ossia di un violentissimo pestaggio nei confronti di mio fratello. Finalmente dopo anni e anni di battaglie siamo riusciti a far riconoscere che Stefano non era morto per cause naturali. Ogni nostro piccolo passi avanti, ogni nostra vittoria nelle aule giudiziarie e fuori, come nel caso di questo film, rappresentano un passo avanti per tanti altri, per coloro che hanno bisogno di continuare a credere che possa esistere una giustizia davvero giusta e uguale per tutti.

Che giudizio dà dell’intera vicenda processuale?

La storia di mio fratello è simile a tante altre vicende in cui la prima cosa che si tenta di fare un attimo dopo il verificarsi di queste tragedie è la spersonalizzazione dei morti, è la colpevolizzazione delle vittime.

Con una nota il Sappe, il sindacato di Polizia Penitenziaria, ha replicato alle considerazioni espresse dall’editorialista del Corriere della Sera, Pierluigi Battista, nell’articolo “Stefano Cucchi, un film ricorda una storia da non dimenticare”: ribadiscono che gli agenti di polizia penitenziaria sono stati assolti dalle accuse. Che idea si è fatta di questa polemica?

Battista faceva un discorso molto più ampio rispetto a quello che sostiene Donato Capece del Sappe. Battista scrive di violazione dei diritti dei cittadini privati della libertà personale in stato di detenzione: ciò è intollerabile. Poi leggo che Capece esprime solidarietà a me e alla mia famiglia. Sinceramente tutta questa solidarietà non la vedo: lui insieme ad altri suoi colleghi è imputato per averci offeso.

Tra le battaglie dell’Associazione Stefano Cucchi c’è quella contro la tortura. Esiste già una proposta per abolire il reato da poco introdotto. Tra i favorevoli Giorgia Meloni che vorrebbe eliminarlo per permettere alle forze dell’ordine di «svolgere meglio il proprio lavoro». Come risponde?

Giorgia Meloni, in qualche maniera, sta dicendo che per fare i poliziotti bisogna essere dei picchiatori. Stenderei dunque un velo sulle sue parole.




mercoledì 29 agosto 2018

su "Gli atti di mia madre" di András Forgách (Neri Pozza)



Sono rimasto affascinato dalla scelta di András Forgách (scrittore, poeta, drammaturgo ungherese) nel raccontare della scoperta, in seguito di una telefona di un uomo che ha trovato quel nome in uno dei documenti finalmente consultabili degli archivi dei servizi segreti comunisti, che la madre Bruria (e anche il padre) fosse stata per anni una collaboratrice segreto del regime comunista ungherese. L'autore evita accuratamente di scrivere una biografia lineare o un reportage/memoriale classico che metta in fila rivelazioni, eventi cronologici, riflessioni ma al contrario costruisce con “Gli atti di mia madre” (Neri Pozza, traduzione di Mariarosaria Sciglitano) un libro reticolare, morboso, paranoico, da Grande Fratello esattamente come ciò di cui sta raccontando ed ecco allora lunghe pagine che descrivono la vita apparentemente normale della madre e del padre, documenti della polizia e quelli scritti dalla madre e dal padre, affreschi cupi o solari di vita familiare e dell'ambiente/amicizie dei quattro figli (due maschi e due femmine), estratti di manuali per il controllo poliziesco, poesie il tutto atto a ricreare l'atmosfera paranoica di quegli anni, le meschinità ma anche l'utopia di un mondo migliore, le violenze sottili e psicologiche, i baratri della follia. L'autore si prende spazio solo nell'ultima parte del libro dove si sfoga, analizza la psicologia della madre, cerca, senza tregua e possibili soluzioni, di interrogarsi sulle motivazioni che l'hanno portata a diventare una collaboratrice e la sua voce è quella di un figlio che si sente tradito e che non sa come continuare ad amare quella madre e quel padre dai quali ha ricevuto amore, insegnamenti e possibilità di leggere, viaggiare, crescere.

Un libro cupissimo, angosciante e doloroso che mette i brividi e toglie il sonno.

Un estratto:

In molti stravedevano per Bruria, per molti questo sarà un poderoso ceffone, una delusione e un'incomprensione e un'incommensurabile tristezza. Quindi sarebbe nostra madre quella collaboratrice segreta e persona della rete. Ah, ci saranno anche quelli che lo avevano già messo in conto. Io, l'avevo già detto in anticipo, diranno, ah, io ne ero sicuro. Urliamo. Piangiamo. Sediamoci e parliamone. Parliamone di nuovo. Parliamone dieci, cento, mille volte. Leggiamo i dossier. Perché dovrei leggere questi dossier? Uno è quello del reclutamento, “R”, l'altro è quello del lavoro operativo, “L”. Apprendiamo una nuova lingua, un nuovo lessico, conosciamo da vicino il mondo che ci ripugna in maniera così elementare, per il quale ci si rizzano i peli sulla schiena, per il quale ci si gela il sangue, per il quale ci svegliamo di soprassalto nel cuore della notte, che è così scomodo e che fino ad allora avevamo contemplato comodamente a distanza. Quelli erano sempre gli altri. Altre persone sulle quali avevamo espresso giudizi con leggerezza. Sono sempre gli altri a prendere il cancro. Sono sempre gli altri a morire in un incidente automobilistico. E adesso è qui, sotto la nostra pelle, più doloroso di un tatuaggio perché é invisibile.
E ancora una cosa brutta. Uno di colpo pensa che, nonostante tutto, si tratti comunque di una cosa eccezionale, vuoi per il tormento, vuoi per il dolore o la vergogna, perché anche ora, mentre scrivo, spesso nei momenti più inopinati mi vengono gli attacchi, arrossisco per la vergogna che bisogna alleviare in qualche modo. Ma fa parte della tragedia anche il fatto che non lo sia. Alcuni casi si somigliano in modo deludente. Sono casi del tutto banali. Tutto inizia e finisce quasi allo stesso modo. La monotonia dei fascicoli, il linguaggio ottuso dei servizi segreti e dello Stato impregna ogni azione come trementina. Il tutto è come un mostro immerso nello spirito. L'olio di fegato di merluzzo che ci dava ogni sera e bisognava mandare giù. Adesso, per quel che mi riguarda, è l'odore di muffa a colmare la mia stanza. Prima, quando ci sono entrato, stavo quasi per soffocare. Bisogna prendere e visionare uno per volta fino all'ultima lettera, all'ultima busta, all'ultimo dossier, all'ultimo album fotografico, all'ultima borsa, all'ultimo ricordo. Siedo in mezzo all'odore di muffa, c'è un odore tale e quale a quello del nostro vecchio guardaroba. Odore dell'infanzia. Lo riconosco. Le vecchie carte, lettere di posta aerea, giornali ingialliti, i ritagli di giornale, opuscoli, cartoline, fotografie, documenti di riconoscimento e certificati. Finora erano sparsi per ogni dove in un disordine impressionante. Giro per casa, li raccolgo, li porto nella mia stanza. Li riguardo per la seconda volta per capire cosa sia successo. La prima volta li ho guardati a dieci anni dalla morte di mia madre. Da lì è nato il romanzo Zehuze. Ho iniziato allora a mettere ordine nella terribile babilonia. Ma comunque ordine non ce n'è.
Nel contempo, in modo perverso, questa svolta ha anche i suoi vantaggi. Getta una luce vivida sulla storia personale. Il fatto che tutto si ridimensioni, che si debba ridimensionare, costringe a misurare di nuovo il peso di ogni cosa, a prendere visione, da una certa distanza, della vita vissuta troppo da vicino e per questo non molto sensibile a connessioni più ampie. La si potrebbe definire anche una possibilità. Ultima o prima, non importa.” (pp. 231-232)



martedì 28 agosto 2018

su "Lettere da Barcellona" di Bobo Craxi (Biblion Edizioni)



Amando profondamente Barcellona, gli eventi che l'hanno attraversata/ferita/animata negli ultimi anni mi hanno scosso profondamente e sto parlando del processo indipendentista catalano, la strage sulla Rambla del 17 agosto 2017, i movimenti anti-turismo; tutte questioni che mi interessano e coinvolgono particolarmente sia a livello emotivo che intellettuale. Ho cercato di documentarmi come potevo, sempre a distanza, su ciò che stava accadendo e i dubbi sulla lotta indipendentista si sono ampliati perché sono andati a confrontarsi con l'idea di Europa che ho (aperta e unita, senza confini), il nazionalismo/sovranismo che sembra andare per la maggiore, le piccole patrie dentro cui rinchiudersi, la federazione dei popoli (quali popoli?), il riemergere delle frontiere (vivo in un paese che non fa parte dell'Unione Europea), l'equilibrio fra passato/presente e futuro fra franchismo e i suoi oppositori, le risposte che la sinistra in tutte le sue varie sfumature ha dato, può dare e non riesce nemmeno a dare, tanto è incapace di sviluppare un pensiero coraggioso e rinnovato.

In questi giorni ho letto un libricino appassionante di cento pagine che s'intitola “Lettere da Barcellona” (Biblion Edizioni, introduzione di Steven Forti) e che raccoglie tutti gli articoli e le riflessioni di Bobo Craxi sul processo independentista catalano dal maggio 2017 alla primavera 2018 pubblicate su Huffington Post e sono piombato con tutto me stesso in un ipotetico colloquio politico con chi quelle vicende le ha seguite in prima persona (il figlio studia a Barcellona; Craxi, insieme a Fassino e Prodi è autore di un appello per la riapertura del dialogo tra Stato Spagnolo e Generalitat Catalana e molto altro lo scoprirete leggendo questo libro), anche  e soprattutto per merito dello stile di Bobo, preciso, semplice, puntuale e sempre denso di dubbi e serietà nel riportare fatti e incontri, come di solito si comporta un buon socialista. 
Cosa trarre da questo libro/discussione/incontro? 
Altri dubbi, tanti, di difficile risoluzione ma l'invito a continuare a riflettere e a tessere i fili del dialogo, dell'incontro, della comprensione e dell'apertura deve rimanere costante per evitare ogni possibile svolta autoritaria, disgregativa, razzista che non farebbe riportare indietro le lancette della Storia.

Lascio un passaggio: 

Risolvere la questione catalana significa sconfiggere i nemici dell'Europa” - 9 settembre 2017

La questione catalana riassume su di sé tutte le ragioni di crisi che sono proprie della società occidentale e in particolare quella europea. La crisi economica che sfocia nella crisi democratica, delle istituzioni ed i popoli che si mettono in fuga verso l'illusione di una terra promessa o di un luogo dove poter mettersi al riparo dai drammi dell'insidia del tempo che noi viviamo. Intendiamoci quella fra Madrid e Barcellona è una storia di divisione antica ed anche il retaggio dell'incompiuta transizione fra gli anni della dittatura franchista e la democrazia Che ha ritrovato il proprio slancio nella crescita economica ma che alla prima battuta di arresto si è ritrovata a fare i conti con quello che la storia aveva lasciato in sospeso. L'Europa tuttavia non può consentirsi divisioni unilaterali all'interno dei suoi Stati membri, ma l'area mediterranea ha prodotto l'onda di ritorno delle primavere arabe che insiste anche nel nostro continente, ma alla difficoltà di gestire le crisi economiche e le crisi politiche troppo spesso si offrono via d'uscita autoritarie. L'attentato di Barcellona anziché offrire una risposta unitaria bene ordinata sia sul piano politico che sul piano della cooperazione interna ed internazionale della sicurezza è stata l'occasione per accelerare la deflagrazione dello scontro all'interno dello Stato spagnolo.

Vi sono state reciproche accuse di negligenza da parte del governo centrale verso gli organi di controllo di polizia catalano è stato un'accusa sanguinosa rivolta direttamente al giovane re Filippo di essere colluso con gli Stati canaglia del Golfo che hanno armato in questo decennio le filiere dell'insorgenza islamista. Le crisi si assommano, una dopo l'altra ma assieme si collegano : la depressione economica produce il grande dilemma della insicurezza prodotta da immigrazione e dal terrorismo nichilista. Vi possono essere risposte forti, unitarie, espresse da coesione e capacità di tolleranza che é una visione delle Comunità mature, e l'Europa dovrebbe essere capace di visioni mature, ci sono risposte emotive, autoritarie che producono il sollievo di un attimo ma non colgono la radice del problema che attiene alla fase che é figlia dell'instabilità del nuovo ordine mondiale fondato sul Mercato che tutto può tranne che regolare gli squilibri sociali e ridurre i conflitti, anzi finisce per determinarli.

Nel caso Catalano è ancora possibile evitare lo scontro frontale se riemerge la politica come elemento regolatore dei conflitti anche all'interno degli stessi Stati, d'altronde un Referendum Unilaterale ottenuto attraverso una forzatura parlamentare che ha piegato qualsiasi opposizione e violato la Costituzione dello Stato Spagnolo non può essere il viatico per una futura nazione democratica, così come una risposta autoritaria di Madrid che si spinge ad annullare l'autonomia Catalana e ad incarcerare venti o duecento dirigenti del fronte indipendentista non sarà facilmente digeribile né in Catalogna né in Europa.

La stagione che stiamo vivendo in Europa costituita dalle Vie di uscita e delle rottura produce delle lesioni democratiche difficilmente ricomponibili e quel che é peggio delle situazioni transitorie di scarso beneficio come dimostra la travagliata vicenda della Brexit, il rigore dell'applicazione dei vincoli e degli Statuti senza flessibilità e del Federalismo Europeo senza fantasia e coesione politica mostra tutti i limiti dell'opera incompiuta e questo stato di incertezza e di immobilismo apre la strada all'avventurismo della disperazione che é la ricerca del protezionismo possibile all'interno delle proprie certezze identitarie. L'Europa deve saper riconoscere tutte le sue identità che sono il portato di una lunga Storia e con intelligenza anche gli antichi imperi, compreso quello Spagnolo dovrebbero saper raggiungere il miglior grado di compromesso.

Risolvere la questione Catalana significa sconfiggere i nemici dell'Europa che si annidano anche fra coloro che si dichiarano nostri migliori amici, ne uscirebbe più rafforzata la nostra unità politica e ne uscirebbero rafforzate le istituzioni democratiche parlamentari oggi lesionate dai tentativi di strappi autoritari." (pp. 37-40)


lunedì 27 agosto 2018

su "Lo scontro quotidiano" di Manu Larcenet (Coconino Press/Fandango)




Basta cominciare a leggere il romanzo grafico “Lo scontro quotidiano” (Coconino Press/Fandango) di Manu Larcenet per accorgersi che si è di fronte a uno dei migliori disegnatori in circolazione in Europa e non solo. Questa è un'opera di una maturità urticante e commovente con disegni e storia che si intrecciano in maniera indimenticabile: il protagonista è Marco, un fotografo affermato che decide di mollare tutto e ritirarsi in una casa isolata per prendersi una pausa e respirare. È in cura psichiatrica da tempo, non sa/non vuole una relazione stabile, vede pochissimo i propri genitori, non sa cosa fare della propria vita, non sa più cosa fotografare eppure questa solitudine e questo ritirarsi gli offrono la possibilità di nuovi incontri (un gatto, un reduce dell'Algeria, una veterinaria che diventerà la sua compagna), una nuova carriera fotografica (un reportage sulla chiusura del cantiere navale dove ha lavorato il padre malato ormai d'Alzheimer) e infine una figlia. Larcenet racconta così la storia di un uomo fragilissimo, dipendente dalle medicine, che cerca un rapporto col padre, col mondo, col proprio passato, con le donne, con la genitorialità, che disprezza profondamente i salotti artistici e che non può fare a meno del fratello e come sfondo una Francia disgregata, con l'avanzare del Front National,  la scomparsa della sinistra, l'annientamento/confusione/solitudine della classe operaia/lavoratrice, una Francia che non ha mai veramente fatto i conti col proprio passato coloniale e con la terribile guerra d'Algeria. Riesce a raccontare tutta questa fragilità e commozione con dei disegni che uniscono ilarità, personaggi quasi dai tratti infantili a pagine livide e indimenticabili come quelle col protagonista che piange con lacrime bianche su sfondo nero o le sedute psichiatriche che ricordano quasi i Peanuts ma con un tasso di drammaticità elevatissimo o riuscendo a trasmettere tutta l'ilarità di un incontro tra fratelli fra scherzi e mani alzate e urla che ti fanno subito ridere e poi quei volti/disegni/fotografie degli operai sconfitti oppure le crisi di panico che conosco bene e che sono proprio quell'attimo in cui tutto si ferma e non siamo più niente e finiamo all'ospedale quando invece avremmo dovuto occuparci di nostra nipote. 

Le ultime due pagine dell'opera sono state per me da lacrimoni.



su "Il partito della democrazia. Per una riflessione critico-storica sul Partito Socialista Italiano" di Paolo Bagnoli (Biblion Edizioni)



Ho letto il breve (una sessantina di pagine), ma denso di analisi e spunti di riflessione e discussione, libro di Paolo Bagnoli “Il partito della democrazia. Per una riflessione critico-storica sul Partito Socialista” (Biblion Edizioni) dopo aver ascoltato il podcast della conversazione con Laura Arconti e, ancor prima, mentre sistemavo in casa le solite e inutili chiacchiere sul caso Salvini e compagnia bella e intanto mi auguravo che il mondo di sinistra/progressista/laico non cadesse nuovamente nel trappolone di affidarsi anima e corpo alla soluzione giudiziaria, visto che veniamo da trent'anni e passa di una disgregazione e impoverimento culturale della sinistra e  leggere di Turati, Rosselli, Bonomi mi ha permesso di respirare e mi ha fatto sentire la mancanza oggigiorno di un dibattito con contenuti, vigore, passione e progettualità di questa caratura. Sarebbe ora di ricominciare da dove ci siamo persi (basti pensare alla Terza Via Blairiana), riannondando fili, temi, argomenti, parole aprendo nuovi sguardi sul presente, sul futuro e anche sul passato per costruire una progettualità rinnovata di sinistra ed è necessario per l'autore e per me (e forse per pochi altri) recuperare valori, parole e idee del socialismo, tradizionalmente il partito della democrazia, in Italia e non solo. L'augurio è che anche un libro come questo possa fare da trampolino di lancio per un futuro dove il socialismo smetta di essere percepito anche a sinistra com un insulto e perché no, che sia uno dei tasselli per la nascita di un nuovo partito/soggetto politico che sia incarnazione vera, ma sempre in movimento e rinnovamento, del socialismo.

Vi lascio tre spunti:

Il PSI non punta a uno stato classista e pur, non rinunciando, naturalmente, a quelle forme di libertà e di socialità che ritiene sue connotanti in quanto forza socialista e, per questo, riguardanti in primo luogo la classe, ne definisce la funzione non in termini di filosofia della storia, di fatalistico avvenire scientifico, bensì di concrete conquiste che, nell'allargare e creare la democrazia aprano gli spazi per l'affermazione del socialismo tramite un processo riformatore che, come si evince dal programma, si basa sulla qualificazione politica della democrazia.” (pp. 24-25)

Il socialismo, perciò, implica la vitalità di un pensiero socialista che, nel dialettizzarsi in posizione alternativa con lo sviluppo del capitalismo e con le forme che via via esso assume, si rinnova nella progettazione di un cambiamento democratico che non è mera innovazione, ma progressivo allargamento delle libertà attuato nella libertà quale processo di liberazione dell'umanità. Esso si realizza nell'affermazione della giustizia sociale. Il socialismo necessita di un dibattito ideologico continuo; il rintanarsi nel politicismo ne decreta l'estinzione.” (pag. 55)


La crisi che stiamo vivendo è dovuta anche alla perdita del senso e della pratica della solidarietà. Ciò ha avuto, e continua ad avere, ripercussioni pesanti sulla società moderna; la prima di queste è il disconoscimento dell'oggettività dei diritti sempre più sottoposti all'arbitrarietà di altri; la subordinazione sociale quale fattore ineludibile dei nostri tempi, cui consegue la naturalità delle più svariate forme di sfruttamento; l'accettazione supina e acritica del mondialismo, che, essendosi persa la solidarietà internazionale che era patrimonio identitario della sinistra, viene accettato digerendo, a prezzi sociali altissimi, l'evoluzione del capitalismo con le crisi che ne conseguono e il progressivo ulteriore impoverimento dei ceti più a rischio. Il capitalismo e la sua classe imprenditoriale, a tutti i livelli, persegue solo la cancellazione delle regole, di ogni regola sociale, spacciandola come fosse una ricetta per uscire da questa o da quella crisi.
Lo ripetiamo: rialzare la testa significa porre al centro della questione socialista il problema del lavoro, di una domanda che cresce in maniera diversificata dal passato, ponendosi su uno scenario che non è più nazionale, bensì mondiale, e che classifica le forme del lavoro in maniera diversa dal passato. Affrontare questo problema, per fare un esempio, significherebbe anche, tanto per rimanere in Italia, sganciare la questione delle pensioni dal cosiddetto tempo di vita che non è, come si vuol fare apparire, un concetto oggettivo di calcolo, ma solo l'incentivo alla destrutturazione in senso liberistico della produzione e, quindi, a una ulteriore spinta verso la destrutturazione dei diritti. Si tratta di problematiche oltremodo complesse, che ne racchiudono tante altre, tutte tra loro strettamente collegate. [...] Su tutto occorre, tuttavia, consapevolezza e senso della storia. Il socialismo ha avuto tante sconfitte, ma ha riportato anche tante vittorie. Ora, per rinascere, deve attrezzarsi a lanciare una nuova scommessa sulla storia, dal presente al futuro, consapevole che solo esso può umanizzare una realtà sempre più barbara nella libertà, nella democrazia, nella giustizia con la libertà, con la libertà, la democrazia e la giustizia, appunto." (pp. 60-61)



venerdì 24 agosto 2018

su "Morire per sopravvivere" di Chuck Klosterman (Minimum Fax) + Tirzah




“Morire per sopravvivere. Una storia vera all''85%” di Chuck Klosterman (Minimum Fax, traduzione di Maurizio Bartocci) è uno di quei libri che acquisto a scatola chiusa fidandomi di un ricordo/consiglio. La storia è strana, risale a qualche anno fa, e stavo in un parco a rileggere il libro di Wallace scritto con Mark Costello perché qualcuno mi aveva detto che voleva parlare con me di rap e hip-hop (il figlio che ascoltava quella musica orribile...) e mi si avvicinò una superchecca (sul concetto di superchecca mi istruì uno dei miei responsabili gay secoli fa) barbuta, pelo al vento sotto la canottiera e unghie smaltate, che, con la scusa di una sigaretta e a quei tempi ancora fumavo, cercò di abbordarmi pensando che fossi un ragazzino gay indifeso (scoprendo poi suo malgrado che avevo cinque anni più di lui) e usando come guinzaglio il comune innamoramento per Wallace e Dio quanto parlò e parlò e parlò e intanto che mi scroccava quattro sigarette sentivo che voleva assolutamente portarmi a letto e per convincermi che avrei dovuto finire fra le sue braccia tolse dalla borsa a tracolla tutta una serie di riviste in inglese e italiano (facendo la figura di un orrido venditore porta a porta) e mi disse che se mi piaceva Wallace sarei impazzito anche per Matteo Bordone, John Jeremiah Sullivan, tanti altri nomi che ho dimenticato e in mezzo a tutta questa lista c'era pure questo Klosterman e quando ho spulciato fra le novità agostane della Minimum Fax mi sono ricordato la voce di quella superchecca, i suoi tatuaggi, la sua pancia e il suo stupore quando, a metà della conversazione, mi alzai e gli dissi che dovevo andare a lavorare ma devo ringraziarla spassionatamente questa superchecca (un amico gay definirebbe tutto ciò frociame elitario anche se pure lui è unghie smaltate e intellettualità greca e junghiana e mi consiglia sempre di ascoltare Ariana Grande e Nicki Minaj) per avermi dato la possibilità di leggere un libro appassionante che quando l'ho comprato accanto a me c'era una bellissima sudamericana che aveva appena comprato un manuale per educare cani o qualcosa del genere che quando ha visto il libro che avevo posato sul bancone ha detto "Gran bel titolo"..... 

Dentro a questo libro, sia chiaro, c'è tutta una buona dose di narcisismo, un tono colloquiale/discorsivo che certe volte ti sembra che non voglia dire assolutamente nulla, quel tipo di scrittura accattivante che interagisce col lettore in maniera ricattatoria per stimolare empatia ma il viaggio che l'autore intraprende per Spin lungo gli Stati Uniti visitando i luoghi dove le rockstar sono morte (Elvis, Lynyrd Skynyrd, Kurt, Robert Johnson, The Allman Brothers Band.....) diventa un affresco toccante, una riflessione intima e in molte pagine straziante sulla morte, sul desiderio della morte, sull'approccio alla musica, sulla relazione fra arte/musica/morte/fruizione/dipendenze che più lo leggi più senti il peso della solitudine e degli anni trascorsi. 

Klosterman in questo viaggio estivo mescola come un giro quadruplo sulle montagne russe ricordi familiari, riunioni di redazione, avventure scolastiche, droghe, alcool, football, discussioni filosofiche in locali isolati, sniffate con parenti di vittime di tragedie e tanto tanto amore ma su questo non ve ne voglio parlare perché Diane, Lenore e Quincy sono donne che dovete assolutamente scoprire senza che io vi dica nulla. Ci sono due passaggi in questo libro che mi hanno toccato profondamente, uno è contenuto nelle pagine da 154 a 157 con una riflessione su ciò che significa vivere un certo tipo di vita adolescenziale/giovanile (tipo il mio, feste, scantinati, concerti a volume assurdo, paesini isolati, zero soldi......) e sul tempo che passa e travolge ricordi, noi stessi, il nostro corpo e mentre leggevo queste tre pagine ho ricordato anche io quelle ore trascorse seduti sui letti altrui a discutere di quel tale disco e di quell'altro gruppo e pensare alle sigarette e alla figa e dopo un po' chiedersi perché non eri riuscito a combinare niente con quella ragazza o che cazzo di fine ha fatto quel ragazzo che ti diceva che i Sonic Youth gli avevano cambiato la vita e l'altro passaggio che mi ha commosso è il capitolo “Il quindicesimo giorno. Mastodonti” con l'autore e anche me stesso che ci  ritroviamo in un albergo con degli adolescenti che si vogliono sbronzare e noi siamo diventati vecchi, e in quel momento siamo strafatti, e manteniamo il livello di finzione che manteniamo sin da bambini e poi ricordiamo una telefonata con quella che ci ascolta sempre, sempre disponibile, fino a quando non si sa.

Io lo so che questa non è una recensione seria che nemmeno più riesco a leggere ma leggendo questo libro ho sentito dentro di me la certezza di come la musica rock, o forse potrei dire la musica in tutte le sue sfumature, sia da sempre per me una compagna di vita, un'amica, un'amante, una madre, una sorella, una strega, una fata e mentre leggevo la voglia era quella di accendere lo stereo e ascoltare tutta questa musica di cui l'autore scrive meravigliosamente (le considerazioni su Kid A sono da brividi).

Ricordo ancora come se fosse oggi la volta che ebbi fra le mani la cassetta duplicata di In Utero e il giorno che Cobain morì e ricordo la volta che scoprii gli Smashing Pumpkins per la prima volta o i Mercury Rev o gli Slowdive che mi arrivarono come una stretta alle labbra o i Massimo Volume che mi tagliarono le vene del braccio o la voce di Kim Deal che ancora oggi quando la ascolto mi ricorda quella di una ragazza inarrivabile che girava dalle mie parti quando io avevo vent'anni.

E poi, chiudo, era da tanto tempo che non leggevo una storia d'amore come questa.



....




Proprio per cercare di spiegare il mio amore continuo per la musica proprio ieri (ieri tra l'altro ho acquistato il libro di Klosterman e l'ho letto in un boccone) ho scoperto, grazie a Ondarock, un'artista incredibile (a Klosterman non piacerebbe per niente....gli tirerei le sue orecchie per le critiche ai Boards of Canada ma a me i Led Zeppelin hanno sempre fatto cagare), straordinaria che mi ha completamente travolto.  Si chiama Tirzah e il suo disco è "Devotion" (Domino)





martedì 21 agosto 2018

Ciao Vincino....cazzo di Buddha...


ciao Vincino, oggi è stata una giornata difficile fra depressione e tanti pensieri e poi mi arriva la notizia della tua morte e mi viene da dire, cazzo, mi bevo un'altra birra e quella candela era per le zanzare ma adesso anche per te perché le candele mi piacciono anche perché finiscono e lasciano un residuo, quella cera, quel fuoco spento che ti resta incollato alle dita, al cuore, alla vita.

tra l'altro Vincino, Il Foglio di ieri mi ha fatto piangere perché l'articolo di Ermes Antonucci  mi ha permesso di respirare e pensa Vincino dopo una dura giornata di lavoro sono uscito dal cinema dove lavoro e dove pulisco i cessi e le sale e la macchina dei popcorn e sono andato in Italia a comprarti perché ieri alle 4 e 45 avevo visto la prima pagina e non potevo perdermela assolutamente anche se sapevo che avrei avuto una giornata del cazzo.

e allora grazie a te e a tutta la redazione de Il Foglio e ai suoi lettori.
grazie per tutto.
cazzo e poi la birra la bevo e mi viene da piangere e ce n'è un'altra che mi aspetta.


andrea consonni, Lugano, 21 luglio 2018

su "Timelapse" dei Kovlo (Fluttery Records)



Sono molto affezionato alla band ticinese post-rock Kovlo. Li seguo sin dai loro esordi, ho avuto modo in questi anni di recensire i loro dischi, di intervistarli e anche di scambiare qualche chiacchiera con loro a un concerto. Timelapse è il loro ultimo disco, uscito nel 2016 per Fluttery Records. Un disco emozionante che riascolto da tanto tempo. Dentro ci sono tanti rimandi alla musica post-rock e quindi Mogwai, Caspian, Tunturia, Godspeed You! Black Emperor, Mono, Explosions In The Sky, This Will Destroy You ma i Kovlo sono riusciti a trovare una loro originalità in un panorama, a dire il vero, che sembra aver ormai dato il meglio di sé. Sanno costruire canzoni emozionanti e trascinanti, creando atmosfere che ti prendono e ti rapiscono, con sfumature che si percepiscono ascolto dopo ascolto. 

Era da tanto tempo che volevo scriverne ma  non riuscivo mai a trovare una soluzione per un disco che nella descrizione del gruppo “evokes time, time that passes and can’t be stopped, time that can be recreated with music" e coi titoli delle canzoni che “recalls an event that occurred during the birthday of each band member” e allora mentre ascoltavo e riascoltavo e riflettevo su cosa e come scrivere di questo disco mi è venuto in mente di lasciarmi andare alle emozioni, stati d'animo, persone, ricordi, sogni, situazioni che queste canzoni hanno prodotto dentro di me.

Walesa” è indelebilmente legata al bellissimo video di Niccolò Castelli e vista la mia esperienza in Cooperativa per Disabili sono subito tornare con la memoria a tutto quello che ho imparato stando con persone come Matteo, Fabio, Paolo, Caterina, Massimo e tanti altri ma poi ho pensato a C., ragazzo che lavora in una fondazione qui a Lugano e che ho conosciuto qualche anno fa, una sera che lavoravo al cinema durante l'anteprima di un film di Carlo Sortino. Lui era lì non so in che veste insieme al regista, Jennifer Fumasoni e qualcun altro dell'entourage ed era incuriosito dai popcorn. Da quella sera quando ci incontriamo mi ferma sempre, alto quasi due metri e con una voce da bambina, e mi chiede del cinema, dei cartoni animati, del tempo. L'ultima volta che ci siamo incontrati ero stanco dal lavoro e innervosito da una cazzo di rognosa volontaria di una ONG piazzata fuori dalla posta e lui stava portando i sacchi dei rifiuti verso i bidoni interrati. Quel pezzo di strada lungo trecento metri  insieme a lui mi ha rasserenato e ripulito da tutta la tensione che avevo in corpo.

Opec Raid” quando la ascolto penso alle mie camminate notturne fra i vicoli di Lecco, a notte fonda, dopo essere uscito dalla casa sotto la Torre di Scibo o alla fine di un concerto al Circolo o semplicemente dopo una serata senza senso, vissuta in completa solitudine, ed ecco che mi vedo camminare con la sigaretta in bocca, cercando un ultimo bar aperto per un caffé alle due di notte e tra i vicoli vedere i gatti che rovistano fra i sacchi dell'immondizia, la tossica accasciata con ancora la siringa nel braccio e i poliziotti che mi fermano e mi chiedono i documenti e mi lasciano andare prendendomi per il culo e l'angoscia che mi sale fra le ombre e continuo a camminare e sento dentro di me tutta la solitudine e il vuoto che mi prendevano allora come oggi e non mi lasciano mai e poi quegli ultimi quattro minuti con i nostri corpi giovani che si levano i vestiti e si tuffano in acqua all'una di notte sfidando il freddo e i mulinelli e ci tocchiamo e ci abbracciamo e ci guardiamo chi in mutande e chi completamente nudo e chi in reggiseno e quella che se ne sbatte di tutto e si tuffa nuda e mi viene vicino e mi abbraccia e mi si stringe addosso dicendomi Tienimi stretta Andre, ho tanto freddo.

The Dakota killing (special track)” ha il suono della mia emicrania e di tutte le visite specialistiche per cercare una motivazione e le medicine che non volli prendere e stavo male perchè non  riuscivo nemmeno a leggere e dicevo al dottore, Vede dottore leggere per me è come entrare in uno stato meditativo, mi ci vogliono venti minuti buoni e poi se va tutto bene io comincio a svuotarmi di tutto mentre leggo e se non leggo io poi io sto male e allora adesso io sto malissimo perchè mi fa male la testa e non riesco nemmeno a leggere. Adesso la situazione si è stabilizzata, quando arrivano le crisi le accetto per quello che sono e vado avanti. Poi prendo in mano i Nove racconti e ricomincio a leggere e cerco di lasciare andare via il dolore.

Suez” (e questo è il video di Luca Serventi) è quando abbasso le tapparelle e non faccio entrare luce e non voglio parlare con nessuno e non ascolto nessuno e non mi interessa niente di niente e la mattina mi sveglio con un dolore tale che non mi viene nemmeno voglia di respirare e la chiamano depressione e la chiamano vita ma mi è pesante anche solo prepararmi il caffè e lavarmi i denti e indossare dei vestiti e lo faccio per non crollare e mentre lo faccio il peso di queste azioni raddoppia e tutto non ha senso e neanche respirare e se vedo la mia faccia in uno specchio mi viene voglia di spaccare tutto e mo manca il respiro e vorrei solo chiudere gli occhi e far scomparire tutto.

Lake Nyos” ha un doppio effetto su di me, penso a tutto quello che mi ha dato e mi da il lago nella mia vita. Mentre sto scrivendo questo pezzo so già che fra un paio d'ore uscirò per andarci e riflettere. Con un block notes e una penna. E poi questo dal minuto 6 e 50 mi fa tornare in mente i corridoi degli ospedali dove fu ricoverata mia madre e vedo me stesso che li percorre tutti, bussando alle porte delle stanze in cerca di lei e non la trovo perché non la posso più trovare e invece trovo la figlia di quella donna che morì poco prima di mia madre, una ragazza magrissima con dei riccioli bellissimi che stava sulla porta cercando di consolare il padre e il fratello e trovo seduta su un letto la paziente valsassinese con un tumore al pancreas che mi dice che ho le occhiaie gialle e quella donna delle pulizie che puzzava di sudore e olio fritto e vedo un dottore che si leva gli occhi e piange affacciato a una finestra e vedo fotografie che mia madre non ha mai voluto farsi scattare e vedo degli schermi televisivi sul soffitto dove vengono proiettati i suoi sorrisi e le sue mani e le sue labbra e vedo mio zio che piange seduto su una panchina e vedo un addome pieno di sangue dentro a un'autoambulanza lanciata a cento all'ora in superstrada e vedo il cadavere di un bambino portato via da una slitta trainata da pastori bernesi e vedo tutte le piante appassite e vedo me stesso steso su un lettino e un'infermiera che mi dice Non morirai oggi ma domani sì se vai avanti in questo modo e vedo l'ibiscus che mia madre aveva comprato nel 1987 morto dieci giorni dopo di lei e io che prendo quella pianta e la faccio a pezzi e getto tutto nel bosco e poi resto lì in attesa di qualche segnale, di qualche suono, di una voce, di una carezza.



domenica 19 agosto 2018

Intervista a Mauro Del Bue, direttore dell'Avanti!



Sono nato in una  famiglia di tradizione socialista e l'Avanti! era il giornale che leggeva il mio bisnonno durante il Fascismo e in questi miei ultimi mesi di mia rinascita personale, respiro, leggerezza sono tornato anche io a leggere l'Avanti!, anche se purtroppo solo online , mi si perdoni questa confessione, perché mi piacerebbe tanto averne tra le mani il cartaceo.

Ho preso anche la tessera del Partito Socialista e ne vado fiero come una sorta di abbraccio verso tutti i miei parenti che hanno dato la vita e il cuore per la libertà.

In questi tempi duri e volgari di un governo gialloverdenero e di un'opposizione ridicola, mi è venuta voglia di intervistare il direttore dell'Avanti!, Mauro Del Bue, già deputato del parlamento e membro della Segreteria Nazionale del Partito Socialista, ponendogli alcune domande sul Partito Socialista e su come sta oggi l'Italia.

Buongiorno, vorrei cominciare questa intervista chiedendole come stanno il Partito Socialista Italiano e l'Avanti!? Quali  sono le prospettive per il futuro? C'è vita nel Partito Socialista Italiano?

L’Avanti ha triplicato i suoi lettori e gode di ottima salute, anche perché in versione online i suoi costi sono vicini allo zero. Il Psi é una piccola comunità di resistenti. I socialisti sono gli unici che non hanno avuto eredi nella cosiddetta seconda Repubblica. Per questo manteniamo in vita, contrariamente a Dc e Pci, un’organizzazione autonoma.

La mia famiglia viene da una tradizione socialista ma negli ultimi anni  ho scoperto con grande tristezza che pochissimi conoscono la storia e il contributo  dato dal Partito Socialista all'Italia e anche quando si parla di Resistenza si tende a dimenticare il prezzo pagato dai Socialisti. Turati sembra un fantasma. Come uscire da questa  impasse? Le andrebbe spiegare a una persona che nulla sa del Partito Socialista qual è stato il ruolo di questo partito, dei suoi esponenti e delle sue idee all'interno della storia italiana?

Ho scritto diversi libri sulla storia socialista italiana. Turati definì il Psi il grande fiume da cui quasi tutto prese origine. Anche le sue derivazioni non proprio positive. Salvo il socialismo riformista e liberale, quello appunto di Turati al quale tutti diedero ragione in ritardo (sull’avvento del fascismo e sulla natura del comunismo). Salvo Rosselli e la sua idea che il socialismo o è liberale o é dispotico. Salvo Saragat e le sue ragioni storiche sul totalitarismo dell’Urss staliniano. Salvo Nenni, il Nenni autonomista che ruppe col Pci dopo i fatti d’Ungheria del 1956 e avviò la politica di centro sinistra che ha dato le migliori riforme all’Italia. E salvo anche Craxi che ha saputo rilanciare un Psi che pareva defunto nel 1976 e lo ha portato nel 1987, dopo la sua brillante presidenza del Consiglio, durante la quale vennero sconfitti terrorismo e inflazione, al suo massimo storico nel dopoguerra con le elezioni del 1987.

Passo a una domanda provocatoria. Dire “Sei di sinistra!” ” è diventato quasi un insulto, un qualcosa di squalificante. Come se chi è di sinistra sia ormai percepito come qualcosa  di repellente, di lontano dalle persone comuni, appartenente alla Casta. Ancora più quando si parla di riformismo che viene visto come qualcosa di contiguo alla finanza, ai capitalisti, ai salotti buoni. Non è che pero' negli ultimi venti, trent'anni il riformismo, la sinistra, le idee socialiste si siano piegate eccessivamente al liberismo, al capitalismo e che abbiano accettato come un dato di fatto la situazione attuale accettando le briciole distribuite dal sistema, in un gioco sempre più al ribasso che nulla ha a che vedere col socialismo e il riformismo?

Il riformismo non é la sinistra. Storicamente anzi ne ha rappresentato la parte minoritaria. Lo stesso Psi ha avuto il coraggio di definirsi riformista solo col congresso di Palermo del 1981. Il riformismo é capacità di intervenire sul capitalismo con cambiamenti che spostino poteri a vantaggio delle classi lavoratrici e delle persone più disagiate. Oggi, ad esempio, un riformismo moderno dovrebbe avere l’obiettivo di affrontare la questione giovanile. I giovani sono diventati la classe più sfruttata.

Lo stato comatoso in cui versa la sinistra in questi anni è sotto gli occhi di tutti. Frammentata: Socialisti, Partito Democratico, Potere al Popolo, Sinistra Italiana, Possibile e tanto altro. È davvero impossibile pensare di creare un grande partito che riunisca in una maniera definitiva tutte queste esperienze? E quali dovrebbero essere secondo lei i temi che dovrebbero unire un grande progretto di sinistra? Davvero in Italia l'unico orizzonte è il classico schema del Centro Sinistra? Quando si smetterà di scimmiottare la Destra?

Se il Pd volesse recare un utile contributo a rianimare l’opposizione al governo giallo verde dovrebbe andare oltre se stesso. Direi che la fase propulsiva del Pd si é definitivamente esaurita. Occorre un soggetto nuovo, che ponga al suo centro il lavoro e lo sviluppo, ma anche la competenza, di fronte a un governo di pressapochisti che rischia di fare molto male all’Italia. Adesso godono di un largo consenso che può sfarinarsi in un mese. Certo la mancanza di un’opposizione, divisa tra chi vuole recuperare i Cinque stelle e chi vuole recuperare la Lega, non aiuta.

Arriviamo all'oggi: quale giudizio dà del nuovo governo Conte/DiMaio/Salvini? Lei pensa che la sinistra avrebbe dovuto fare da sponda al Movimento 5 Stelle oppure la pensa come me, che in realtà Lega e 5Stelle fossero spiritualmente e concretamente alleati da tanto tempo? 

Io sono stanco di questa idea delle costole della sinistra. D’Alema definì la Lega “costola della sinistra”. Oggi in tanti nel Pd rimpiangono di non aver stretto l’alleanza di governo coi Cinque stelle. Personalmente ritengo costoro un pericolo per la democrazia e per il progresso dell’Italia. La sinistra con le costole e senza corpo non può avere futuro.

Sempre rimanendo all'oggi, la tragedia di Genova pone un dubbio colossale su questo Paese sul tema delle infrastrutture, delle competenze, dell'organizzazione generale dello Stato. Come uscirne? È ancora possibile trovare un equilibrio virtuoso fra pubblico e privato? E quanto e dove si dovrebbe costruire? Girando per il Nord Italia da cui provengo si tocca con mano un territorio martoriato, violato anche negli ultimi anni da strade, bretelle e tangenziali onestamente inutili. Come se non ci sia uno straccio di idea che preservi il bene pubblico, il territorio e che invece tutto sia votato alla retorica di una crescita che oltre che non portare ricchezza distrugge il territorio e peggiora le condizioni di vita dei cittadini.

La politica delle privatizzazioni fu la conseguenza di Mani pulite. Entrambi furono il colpo di mortaio alla classe politica e all’industria di Stato. Non so se adesso siamo in condizione di tornare alla nazionalizzazione delle autostrade. Credo che occorra quanto meno un sistema diverso di controlli. Ma i Cinque stelle non la sfangano offrendo la testa di Autostrade. Occorre un vasto piano di opere pubbliche e questi continuano a dire no alla Torino-Lione, dopo aver detto no alla Gronda di Genova. Solo dopo il crollo del ponte Morandi e i 43 morti pare abbiano cambiato idea. E a non considerare la paventata tragedia “una favoletta”.

La sensazione è quella di un Paese alla deriva sotto tutti i punti di vista, che cova rabbia, razzismo e incompetenze, che non ha la minima idea di un orizzonte verso cui tendere, che rincorre il giustizialismo e l'oscurantismo antiscientifico. Lei che idea si è fatto? Fino a quando gli anticorpi resisteranno?

Questo non lo so. Ci sarebbe bisogno di una seconda rivoluzione illuministica. Vedo anch’io prevalere, penso alla penosa storia dei vaccini, ma anche all’opposizione alle grandi opere, una cultura antiscientifica, superstiziosa, di stampo medievale e bucolico, che porterà l’Italia sempre più lontana dai paesi più progrediti. La gravità della situazione non é chiara a tutti. Anzi i più la ignorano. Se ne accorgeranno come tanti San Tommaso.

Lei è un giornalista. Discutendo con la mia compagna ci siamo detti che negli ultimi mesi la televisione,i giornali i social hanno avuto un grande ruolo nel preparare, coltivare, fomentare  un clima che ha favorito l'arrivo di gentaglia come questa al governo. Fake News, campagne d'odio, trasmissioni piene di rabbia, talkshow imbarazzanti. Che giudizio dà del mondo del giornalismo attuale?

A mio avviso, l’ho scritto più volte, il ruolo dell’informazione é stato determinante. Un’informazione di tipo scandalistico che punta tutto sulla denuncia, che accarezza i peggiori istinti, l’uso dei social che valorizza chi la spara grossa, chi urla e chi offende e penalizza chi ragiona, é stato distruttivo. I talk show, Travaglio ogni sera in Tv e i vari Balpietro e Giordano, hanno preparato la vittoria della cosiddetta antipolitica.


Chiudo questa intervista con due domande. 

La prima: come ridare slancio all'Internazionalismo in un momento in cui ci si torna a rinchiudersi e a erigere confini? Ha ancora senso l'Internazionalismo? Io sono felice di essere cresciuto nell'epoca di Schengen, quella delle frontiere aperte, con tutte le contraddizioni che ci possono essere.

La globalizzazione, il commercio libero, l’abolizione delle barriere in Europa ha determinato, per reazione, la più sconclusionata delle utopie. E cioé il sovranismo. Il sovranismo non può avere una sua internazionale perché si basa su interessi che confliggono con quelli degli altri. Il sovranismo di Salvini é simile a quello di Orban ma i due entrano in conflitto sul tema delle quote dei migranti. Perché ognuno pensa solo a sè.

La seconda domanda riguarda i libri. Su questo blog si parla molto di libri. Le andrebbe di consigliare tre libri per questa stagione difficile che si spera, anche se lo dubito, finisca il prima possibile?

Quello di Jurgen Todenhoeffer “Dentro l’Isis”, l’unico giornalista che sia entrato nello stato islamico, e ne ha catturato obiettivi e tendenze. Poi riprenderei in mano, come ho fatto io, il libro di Ignazio Silone “Il fascismo. Origini e sviluppo”, recentemente ripubblicato dalla Fondazione Silone. Questo anche per reagire alle falsità di alcuni storici contemporanei sul grande scrittore socialists. E infine, visto che a settembre uscirà il mio nuovo libro che ho voluto intitolare L’Unità (visto che Renzi aveva scritto Avanti) e che narra la storia delle divisioni della sinistra italiana dal 1892 ad oggi, consiglierei anche questo, anche se il mio consiglio può essere giudicato interessato.


Andrea Consonni, Lugano, 19 luglio 2018

mercoledì 15 agosto 2018

Riletture vacanziere


-uno dei miei dischi estivi per eccellenza-

Le mie ferie, ormai terminate, sono state caratterizzate dalla stanzialità luganese, passeggiate all'alba e tuffi mattutini nell'acqua gelida. Per il resto ho cercato in tutti i modi di scrivere, leggere ed evitare, non sempre riuscendoci, i turisti, di qualunque nazionalità fossero. 

Se volevo bere un caffè mi sono rifugiato nei bar di periferia dove, per fortuna, di turisti se ne vedono pochi, tranne forse quelli che si spostano verso la fermata di Flixbus o qualche consumatore seriale di Airbnb di corsa per non lasciarsi sfuggire la prossima meta da immortalare.

Ho letto tanto (anche qualcosa in anteprima che uscirà a settembre) ma ho soprattutto riletto tantissimo. Ho ripreso in mano, anche solo per poche pagine: Faulkner, Ellis, Cechov, Gogol, Roth, Houellebecq, Pynchon, Proust, Ellroy, Simone Cattaneo, Salamov, Carver, Dubus, Vollmann, Hamsun, Drieu.

Ieri, prima di tornare al lavoro, sono arrivato a metà di questo romanzo a cui sono molto affezionato, perché questa copia è di mio nonno, XXI edizione, che costava 1800 lire, con la traduzione di Carlo Coardi:


e mentre stavo sudando e spaccandomi le braccia preparando pop-corn (venti sacchi di salato e otto di dolci) ci pensavo parecchio e intanto che lavoravo e pensavo e ripensavo dietro di me passava uno dei miei migliori colleghi che stava sistemando il magazzino e rifornendo le varie postazioni di vendita (frigoriferi dei gelati e delle bibite, armadi, caramelle) e intanto scambiavamo due chiacchiere sulle rispettive sventure e sfighe, discutevamo dello stato di crisi del cinema, sorridevamo di colleghe, ragazze, uscite serali, droghe, occhiali da sole, dolore alle braccia, aumenti delle casse malati, prospettive di lavoro a Zurigo o Ginevra.

Quando sono passato a pulire la macchina ho riflettuto su ciò che amo di più di Furore e se sono bellissimi e coinvolgenti tutti quei capitoli in cui Steinbeck riflette sul capitalismo e le sue contraddizioni, lo sfruttamento, l'impoverimento dei contadini, io amo Furore per i capitoli più intimisti, i dialoghi fra questi uomini e donne che hanno perso tutto e emigrano in cerca di fortuna in California, personaggi bellissimi come il predicatore o il nonno di Tom Joad, il fratellino Al che adora il fratello uscito di prigione e potrei andare avanti per tante righe a scriverne. Di sicuro è un romanzo che non è minimamente invecchiato (da leggere nella nuova traduzione) e mantiene tutta la sua bellezza, sia di contenuti (impossibile non riflettere sulla situazione economica attuale e sul fenomeno delle migrazioni) che stilisticamente e rileggendolo ho scoperto nuove sfumature che mi ero perso in passato, alcuni personaggi hanno assunto un vigore che prima non avevo colto e la madre che accoglie il figlio a casa dopo quattro anni di prigione, senza fargli sentire il peso del suo gesto, è da brividi. 






sabato 11 agosto 2018

Una piccola rassegna stampa

Qui, nel caldo, intanto che mi prendo una pausa ansiogena in attesa del ritorno al lavoro (manca pochissimo), un appuntamento che rilancero' ogni tanto. 

Una piccola rassegna stampa di una parte delle cose che ho letto:



















"Rieccola. I nuovi casi di ebola scuotono il Congo. Trentasei morti in una settimana, tre centri d'intervento sanitario e una riserva di 20 mila vaccini. Il ritorno del virus preoccupa un paese in ginocchio  di Adriano Sofri" (Da Il Foglio)

"Perché il presidente della Rai dovrebbe essere Fabio Rovazzi" di Camillo Langone (Il Foglio)

"Desmond affogato nel lago dei ciliegi" di Corrado Mordasini (Gas)

"Il Senato argentino ha bocciato la legge che avrebbe legalizzato l’aborto
Dopo una giornata di intenso dibattito: la nuova norma avrebbe reso l'interruzione volontaria di gravidanza sicura, legale e gratuita"  (Il Post)




giovedì 9 agosto 2018

Un'incursione: 8 PROPOSTE DI LEGGE CONTRO IL REGIME




Qualche tempo fa mi è capitato per caso di scambiare qualche chiacchiera con un'attivista del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale Transpartito. È stato un confronto schietto nato da alcuni miei dubbi, visioni differenti e sfociato nelle sue relative stoccate e domande e mentre parlavo con lei e alcune volte dissentivo, trovandomi anche impreparato e ignorante su molte questioni, ho respirato aria pura, serena, libera, di crescita.

Una vera e propria boccata d'aria fresca come quando ascolto Radio Radicale dopo essere magari uscito da dieci minuti di visioni di tvtalkshow.

Un'atmosfera politica quella che mi trasmettono i Radicali che non ha nulla a che fare con tutta la merda/ignoranza/pressapochismo che arriva dal governo e dalla fantomatica opposizione parlamentare, di cui salvo pochissime ma pochissime davvero persone. 

Una chiacchierata che mi ha ricordato la mia professoressa in Collegio, oggi direttrice scolastica, Giovanna Oddono, che si presentò anni fa per Forza Italia.
So già che molti staranno storcendo il naso a leggere di Forza Italia ma Giovanna Oddono è per me la perfetta incarnazione della professoressa liberale che stimola la crescita dei propri studenti, con sobrietà e decisione, che stimola il dialogo e il dibattito esterno e interno, che ha sempre rispettato le mie posizioni e i miei interessi e anzi, mi ha invitato a migliorare il mio percorso di crescita, mi ha indicato altre strade e autori che nemmeno conoscevo ma che magari mi avrebbero aperto altre strade.

Questione di metodo, di applicazione, di rispetto per le idee altrui. Provate ad ascoltare molti dei parlamentari attuali, dei ministri, lo stesso Presidente del Consiglio. Provate a pensare alle estrazioni a sorte o alla democrazia digitale. Ne esce un quadro spaventoso. 

Credo che sia un peccato che persone come lei, pur rispettando la sua scelta e che in realtà è la sua missione di vita, non abbiano deciso di dedicarsi alla politica in modo serio e duraturo.

Perché è di persone di questo genere che la politica avrebbe bisogno: competenti, educate, formate, istruite, interessate all'altro, rispettose delle idee altrui, sobrie, autorevoli, decise e integerrime quando è il momento di assumersi il peso delle proprie idee e delle proprie scelte.

Ed è anche per questo motivo che rilancio volentieri queste 8 proposte di legge del Partito Radicale, che sono sempre un pungolo al dibattito democratico (assente) italiano.

Poi ognuno pensi giustamente quello che vuole, ovvio, ma è incredibilmente vergognoso come il Partito Radicale e i suoi temi siano totalmente estromessi, segregati, ignorati, nascosti nel dibattito pubblico italiano ed ecco qui le 8 proposte di legge:

1. Modifica dell’articolo 79 della Costituzione in materia di concessione di amnistia e indulto.

L’amnistia e l’indulto sono necessari per riportare l’Italia nella legalità della sua Costituzione e davanti all’Europa. Il quorum di 2/3 del Parlamento dal 1992 rende impossibili questi provvedimenti.
Proposta di legge

2. Revisione del sistema delle misure di prevenzione e delle informazioni interdittive antimafia di cui al D.lgs. n. 159 del 6 settembre 2011.

Per impedire le infiltrazioni della criminalità organizzata nel sistema economico senza distruggerlo, per salvaguardare la continuità aziendale e i posti di lavoro, per prevenire il crimine senza distruggere le vite delle persone, per combattere la mafia senza minare i principi dello Stato di Diritto e i diritti umani fondamentali.

3. Abolizione della possibilità di assunzione di incarichi extragiudiziari da parte dei magistrati.

Per impedire ai magistrati di assumere incarichi incompatibili con l’esercizio efficiente e imparziale delle loro funzioni principali e ordinarie, ovvero quello di amministrare la giustizia «in nome del popolo italiano».

4. Introduzione del sistema elettorale uninominale per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.

Elezione del parlamento italiano con il sistema elettorale uninominale secco come quello anglosassone: piccoli collegi per assicurare la relazione tra l’eletto e il territorio; chi prende più voti è eletto.

5. Disposizioni in materia di libertà e diritto di informazione e di servizio pubblico radiotelevisivo.

Il servizio radiotelevisivo pubblico assicura il diritto alla conoscenza dei cittadini. Cancellazione del monopolio della Rai e sua messa all’asta con gare distinte nazionali e locali, anche per rilancio emittenza locale. Effettiva privatizzazione della RAI e abolizione della Commissione parlamentare di Vigilanza.

6. Revisione delle procedure di scioglimento dei Comuni per mafia previste dal T.U. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali di cui al D.lgs. n.267/2000

Per favorire una sana partecipazione popolare alla vita amministrativa delle comunità quale unico antidoto al controllo mafioso sui comuni, per sbarrare davvero le porte dei nostri comuni alle mafie, per una efficace politica antimafia.

7. Riforma del sistema di ergastolo ostativo, del regime del 4 bis e abolizione dell’isolamento diurno.

Come diceva Leonardo Sciascia, la mafia non si combatte con la terribilità delle pene, ma con il diritto. E l’art. 27 della nostra Costituzione afferma che la pena non può essere contraria al senso di umanità e deve tendere alla rieducazione del condannato.

8. Riforma del sistema elettorale per l’elezione dei membri italiani al Parlamento europeo.

Elezione del Parlamento europeo con un collegio unico nazionale con sistema proporzionale puro per garantire la rappresentanza di tutte le forze politiche e un dibattito nazionale sulle istituzioni e europee.