
Certe volte mi viene da pensare che se a novant'anni sarò ancora in vita, probabilmente parkinsoniano, relegato in qualche ospizio decadente con catetere e pannolone (ma la speranza è che la morte sopraggiunga prima magari anche con una bella punturina o una pastiglia di cianuro) e avessi un attimo di lucidità mi potrebbe capitare di trovare sul comodino l'ennesimo taccuino, romanzo, bozza, raccolta di poesie di Charles Bukowski perché non c'è anno che non arrivi qualcosa di nuovo scritto dallo straordinario scrittore statunitense, un manoscritto dimenticato in fondo a qualche cassetto, un racconto "assolutamente" imperdibile. Non c'è mai fine o chissà forse, certe volte lo spero, si è quasi giunti alla fine di questo raschiare, rimescolare, riaggiustare, ritradurre, spezzettare, riassemblare. Eppure in quell'unico brillio di coscienza ancora a disposizione vorrei comunque poter assaggiare nuovamente le parole di questo vecchio sporcaccione che non smette mai di divertirmi, commuovermi, eccitarmi, strapazzarmi, abbracciarmi. Bukowski è un po' come un amico che mi ha aiutato a superare momenti bui, che mi ha fatto sognare donne che mai incontrerò e mi ha permesso di sorridere in momenti neri. Ne ricordo in particolare uno. Estate di vacanze lavorative. Io da solo a casa nel mio paesino deserto. Agosto. Nessuna voglia di uscire, se non per comprare le sigarette, il giornale e il vino. Non avevo nemmeno voglia di leggere, scrivere. Aprivo una bottiglia di vino e ascoltavo i Beatles senza un attimo di pausa. Poi una mattina mia sorella mi chiamò al telefono e mi ricordò di sistemare la stanza prima del loro ritorno. Mentre pulivo le librerie mi cadde fra le mani
Storie di ordinaria follia.

L'avevo già letto due volte ma sentii che era giunto il momento di rileggerlo e pagina dopo pagina riacquistai anche solo la voglia di prepararmi una pasta, di uscire in bicicletta, di farmi la barba. Soltanto che quattro giorni dopo sarei tornato al lavoro.
Tornando al libro in questione:
“La campana suona per te” (Guanda, traduzione di Simona Viciani) raccoglie i racconti usciti fra il 1948 e il 1985 su varie riviste come Kauri, Congress, Open City, Fling, NOLA Express, L.A Free Press, Hustler, Oui e dentro, fra altri e bassi, ci sono tutti i temi classici di Buk: scopate, bevute, droga, vomito, puttane, papponi, corse di cavalli, tradimenti, pazzi assoluti, sesso, galere, marciapiedi, ubriaconi, divani, Brahms, botte, litigi, urla, Sostakovic, pornografia, doposbronza, scoregge, guerra, tirate pacifiste, satira antiamericana, anticomunismo e soprattutto donne, una più bella dell'altra.
Ci sono due racconti che ho apprezzato particolarmente: uno è ambientato in un lercissimo negozio a luci rosse frequentato da ogni genere di guardone, pervertito possibile e l'altro descrive il colloquio di lavoro fra un gestore di locale/pappone e un'aspirante prostituta/ballerina.
Memorabili davvero.
Questo è un libro che consiglio a tutti gli amanti di Bukowski, anche solo leggendo un raccontino al giorno, e lo consiglio anche a coloro che non hanno mai letto Charles perché potrebbe essere un aperitivo per poi scoprire e affrontare le sue opere migliori oppure anche un modo per evitarlo definitivamente perché questo libro è una sorta di grande riassunto del Charles scrittore e anche uomo (distinguere scrittore e uomo in questo caso è opera ardua), con tutti i motivi che possono portare ad amarlo alla follia oppure a odiarlo, quasi nemmeno considerandolo un vero scrittore.
Da qui in poi ci sono tutta una serie di passaggi che ho estrapolato da questi racconti.
Son tanti ma intanto che li trascrivevo stavo ascoltando
Wagner:
“Ognuno ha modi differenti, ognuno ha idee differenti, e sono tutti così sicuri. E anche lei è sicura, quella donna legnosa con occhi folli e capelli grigi, quella donna che sbatte contro le sue stesse pareti, folle di vita e di paura, che non crederà mai fino in fondo che non odiavo lei e tutti i suoi amici che si riunivano due o tre volte a settimana e si complimentavano l'un l'altro per le proprie poesie, esseri solitari che si imbrogliavano a vicenda, e ne portavano i segni ed erano molto entusiasti e sicuri, e loro non crederanno mai che la solitudine e la riservatezza che ho sempre preteso, fossero solo per salvare me stesso, così potevo intuire chi fossero loro e chi fossero in teoria i miei nemici. Eppure era bello essere soli. Entrai in casa e lentamente cominciai a lavare i piatti.” (pag. 12)
“Ho incontrato troppi scrittori, artisti, editori, professori, pittori, nessuno spontaneo e sincero o interessante. Erano meglio sulla pagina o sulla tela, e anche se non si può engare che sia una cosa importante, è sempre una scocciatura sedersi di fronte a queste creature e ascoltarle parlare o guardarle in faccia.” (pag. 15)
“Mi sentivo bene. Sapevo che a quel punto avevano finito e che io ero libero. Ho pensato alla Quinta Sinfonia di Sostakovic. E mentre camminavo, sentivo che per la prima volta dopo anni il mio cuore era libero. La ghiaia che mi scricchiolava sotto i piedi forniva la miglior danza di tutte. Ancor meglio di tutti i baci e di tutti i balli che Nina avrebbe mai potuto offrirmi." (pag. 55)
“Mi sono svegliato in una strana stanza in uno strano letto con una donna strana in una strana città. Ero contro la sua schiena e il mio pene era dentro la sua figa posizione tipo cane. Faceva caldo e il mio pene era duro. L'ho mosso un po' e lei gemeva. Sembrava addormentata. Aveva lunghi capelli scuri, piuttosto lunghi, infatti alcuni li avevo in bocca – li ho scostati per respirare meglio, poi le ho dato un altro colpo. Avevo il doposbronza. Ho tirato fuori l'uccello e mi sono girato sulla schiena e ho cercato di ricostruire la situazione." (pag. 62)
“Il bordello, ha detto, è stato il grande salvatore della mascolinità.” “Amen, ho detto, ma una donna dove può andare? Anche se per loro è più facile, non è sempre così facile. Dovrebbero esserci dei bordelli anche per le donne. Maschi leccaclitoridei con uccelli enormi e corpi muscolosi. Ma credo sia tutta una questione di domanda e offerta. Se le donne hanno un bisogno matto dei bordelli, i bordelli nasceranno.” (pag. 97)
“Mi sono alzato e ho dato le spalle al letto, cominciando ad allontanarmi. La bottiglia di whiskey mi è volata sopra la spalla destra. È in quel momento che ho capito perché le devi lasciare di punto in bianco invece che con sensibilità: è un comportamento più delicato. Ho aperto le vetrate scorrevoli e ho attraversato il giardino. Lì fuori c'erano i suoi due gatti. Mi conoscevano. Mi si sono strusciati contro le gambe seguendomi mentre ne andavo.” (pag. 109)
“Pronto? disse la madre di Blanche.
“Senti” disse la voce, “ti lecco tutta la figa con la lingua. Faccio a pezzetti quella tua figa maledetta. Ti farò impazzire, ti succhio la figa fino a staccartela, ti...”
La madre di Blanche teneva il telefono con due mani, ma il ricevitore era caduto e penzolava girando per aria dal filo del telefono. Quando la madre di Blanche terminò il primo urlo, attaccò subito con il secondo. E attraverso il ricevitore del telefono, che penzolava vicino al pavimento, si sentiva la voce di quell'uomo:
“Ah, ti ho eccitata tutta eh, vero piccola? Ti ho eccitata, eh? Ah, ah, ah...” (pag. 125)
“Una sera era in casa sveglio. Non aveva una donna da tre o quattro anni. Si dedicava alla masturbazione, al bere e viveva in un tetro seppur piacevole isolamento. Aveva spesso pensato di fare lo scrittore e aveva comperato una macchina da scrivere di seconda mano, ma non era uscito niente da quei tasti. Beveva vino e fissava la macchina da scrivere. Si alzò, si avvicinò alla macchina e cominciò a scrivere: Quanto vorrei avere una donna. Quanto vorrei che una donna bussasse alla mia porta.” (pag. 156)
“Barry disse che dovevano andare, ma io insistetti per bere un altro giro di birra. Ireen tirò ancora più su il vestito. Stavamo tutti fissando le gambe di Irene. “Venite da noi a trovarci” disse Irene. Poi si alzarano e se ne andarono. Dissi a Lila che avrei fatto il bagno. Entrai e chiusi a chiave la porta. Non usavo il sapone da anni. Voglio dire, in quel modo. Lady Godiva alla rosa. Questa volta raggiunsi l'orgasmo." (pp. 172-173)
“Lucille non era di indole cattiva, voglio dire paragonata alla maggior parte di quelle che avevano vissuto con me. Come le altre beveva, mentiva, cornificava, rubava ed esagerava, ma più passano gli anni più un uomo smette di cercare materiale d'alta sartoria e si accontenta di uno straccetto. Per poi affibbiarlo, mentre si gratta un orecchio con noncuranza, al disgraziato che viene dopo di lui. Ma di solito quando le cose cominciano a ingranare un uomo saggio è portato ad accettarlo, perchè se non lo fa tanto vale rinchiudersi in uno sgabuzzino e buttar via la chiave. Cazzo, ne devi mangiare di merda prima di scoprire dove il sole va a morire.” (pag. 179)
“Il telegiornale terminò e andarono in camera da letto. Lei andò in bagno per prima e Harry si infilò a letto e controllò il programma delle corse del giorno. Aveva proprio fatto un colpaccio quel pomeriggio. Forse al prossimo giro l'avrebbero messo in croce. Perché non si riusciva a trovare un sistema? Ma ciò che succedeva era che tutto continuava a cambiare. Ti mostravano un certo schema di una corsa e poi nella corsa successiva capitava il contrario. Se uno era abbastanza sveglio riusciva a capire il flusso delle maree... Tutti avevano bisogno di una specie di veleno per purificarsi. Le corse erano il veleno che lo purificano. Alcuni avevano l'arte o i cruciverba o il furto di posacenere nei bar e nei ristoranti." (pag. 187)
“Okay, cos'è l'amore vero?”
“Due gatti che scopano in cortile alle due del mattino.” (pag. 191)
“Come ti dicevo prima, adesso sto cercando lavoro, ma del resto lo sta cercando anche un sacco di altra gente.” (pag. 199)
“Mi svegliai alle 8.30 del mattino. Meg aveva la radio accesa e ascoltava Brahms. Il volume era molto alto. Meg non solo aveva la dentiera ma aveva anche la figa secca. Non si riusciva proprio a fargliela bagnare. Era come infilare l'uccello in un rotolo di carta vetrata: te lo intrappolava e te lo scorticava e ti bruciava fino a staccarti la pelle.” (pag. 207)
“L'ho spinto indietro sul letto e le sono montato sopra. L'ho baciata quasi con disprezzo e le ho infilato dentro l'uccello. L'ho ingroppata con violenza, stantuffavo e stantuffavo; sono venuto quasi subito; gemevo e sborravo; gliel'ho spruzzato dentro, sentivo la sborra eruttare, sentivo che si svuotava calda dentro di lei. Sono rotolato via. Quando mi sono svegliato la mattina, Mercedes se ne era andata. Non c'erano messaggi; se ne era andata e basta. Mi sono alzato e ho fatto la doccia ho preso un alka seltzer, due alka seltzer. Ho pisciato. Mi sono lavato i denti. Poi sono tornato a letto e ho dormito fino a mezzogiorno.
Sono passati quattro mesi adesso e lei non ha più chiamato. Non chiamerà più. Non rivedrò più Mercedes e a nessuno dei due mancherà l'altro. Che significato ha questa storiella, proprio non lo so. Adesso ce n'è una nuova di Berkeley. Ha denti da coniglio e voce da bambina. Scopa standomi seduta in braccio con la faccia rivolta verso di me. Ha ventidue anni e non ha seno. Non so cosa voglia da me. Si chiama Diane. Si alza presto alla mattina e attacca subito con il whiskey. A volte passo davanti all'edificio dove lavora Mercedes. Più vicino di così non potrò mai più esserle. Succede lo stesso a tanta gente qui in America. Facciamo cose senza sapere il perché e dopo non ci interessa più il motivo per cui le abbiamo fatte. Ma vorrei che Diane avesse più tette; più seno, volevo dire.” (pp. 239-240)