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sabato 23 giugno 2018

"Country Dark" di Chris Offutt (Minimum Fax)


I primi dieci minuti di Rambo (Ted Kotcheff, 1982) sono per me una delle sequenze più coinvolgenti e commoventi della storia del cinema. Scoppiai a piangere la prima volta che vidi sullo schermo di casa questo reduce del Vietnam coi capelli lunghi, il volto perso e cupo, che riceve da una madre la notizia che uno dei suoi amici/commilitoni è morto di tumore e le consegna la foto con suo figlio. Devastato, solo, senza uno scopo, una casa risale la collina e si mette a camminare lungo una strada buia, in mezzo alle montagne, in sottofondo, ma dentro allo stomaco e nelle lacrime, la musica di Jerry Goldsmith e poi arriva un cazzo di sceriffo che dopo avergli dato un passaggio gli fa capire che da quelle parti la gente come lui non la vogliono e che è meglio che se ne vada fuori dai coglioni. C'è una tavola calda a trenta miglia, gli consiglia. E tu vedi negli occhi di Rambo che qualcosa si è rotto definitivamente, capisci che lui è pienamente consapevole non ci sarà mai più posto per lui nel mondo ma oggi, lui in quella cazzo di città vuole mangiare qualcosa e riposarsi. 

Ecco, quando mi sono messo a leggere il romanzo di Chris Offutt “Country Dark” (Minimum Fax, traduzione di Roberto Serrai) ho pensato istintivamente a Rambo, perché il protagonista è un giovanissimo reduce della guerra di Corea che si chiama Tucker e che aveva mentito sull'età pur di andare a combattere, di dare una svolta alla propria vita, lasciare una famiglia del cazzo o anche perché arruolarsi, in quel momento, era la cosa più naturale al mondo. Tucker sta tornando a casa a piedi direzione Kentucky riassaporando la bellezza dei boschi, della propria terra, dei fiumi, degli alberi, dei serpenti e anche Tucker riceve un passaggio da parte di un uomo che pensa che sia facile approfittarsi di lui senza sapere che quel ragazzino silenzioso è un uomo che sa come mantenere la calma nei momenti peggiori e non si fa problemi a uccidere. Uccidere un uomo o un serpente sono la stessa cosa per Tucker. Sempre sulla strada incontrerà la donna della sua vita, una ragazzina come lui, Rhonda, che salverà da un tentativo di stupro e con la quale tornerà sulle proprie colline, costruendo una famiglia e combattendo contro le avversità e adattandosi, modificandosi come i paesaggi, ai ritmi e alle tragedie che la vita propone. 

Probabilmente in molti commentando “Country Dark” scriveranno, giustamente, di come Tucker sia un esponente di quel popolo bianco che ha votato Trump, della povertà di queste colline dimenticate (che ho conosciuto grazie alla letteratura, alla serie Justified, al documentario Harlan County) che sembrano un'America lontana anni luce da noi e da New York, ancora di più in questi giorni confusi di derive reazionarie, ma personalmente io sono rimasto più sbalordito dalla capacità tutta letteraria e stilistica espressa da questo scrittore, che avevo già ammirato nei racconti d'esordio di "Nelle terre di nessuno"  di tenere insieme, senza cedimenti, una storia bellissima dal sapore biblico, quasi alla McCarthy se si ascolta Tucker che dialoga coi figli  memorabili sono i racconti-confessione-educazione-lezione che il padre contrabbandiere instaura col figlio nato idrocefalo, Big Billy, o con la figlia Jo, l'unica, fra tutti i figli, nata senza disabilità prima dell'arrivo quasi miracoloso di un bambino sano e depositaria di alcuni segreti del padre (le pagine dedicate ai figli e figlie disabili sono fra le migliori e piu' commoventi del romanzo), quasi melvilliano nell'ossessione che Tucker e la moglie Rhonda hanno di proteggere la propria famiglia, di sacrificarsi per loro, e Tucker uccide ed è disposto a farlo ogni qualvolta qualcuno decide o si propone di smembrare la sua famiglia (che sia un emissario del Governo che vuole confiscare, proprio come beni materiali, i figli disabili o il boss contrabbandiere per cui Tucker lavora da anni che non gli versa i diecimila dollari promessi e necessari per la sopravvivenza della famiglia) come d'altronde ben espresso dalle parole di Daniel BooneTornai a casa dalla mia famiglia, deciso a portarla al più presto a vivere nel Kentucky, che per me era un secondo paradiso; a qualsiasi prezzo, anche a costo della vita”, con passaggi che sono affreschi noir ferocissimi (splendida l'uccisione dell'emissario del Governo e tutto il siparietto e la conclusione del rapporto fra Tucker e il nipote del boss del contrabbando) o altri invece naturalistici coi boschi e i fiumi che sembrano riempire di profumi e suoni le pagine o il realismo, mai da cartolina, con cui ritrae questi uomini e donne, le loro famiglie, le loro case, queste lande abbandonate e immobili come all'epoca della Frontiera. E poi si viene turbati da quella speranza, tutta fatta di ferocia, sangue e abbracci e sguardi e fiducia, che è difficile trovare in questo genere di libro e che qualche lettore troverà forse disturbante ma Tucker e la sua gente hanno sempre vissuto in questo modo. 
Non è questione di bene o di male ma di  cosa è giusto fare o non fare in determinate circostanze, combattendo, giorno dopo giorno. Tucker è disposto persino a finire in prigione (gli avevano parlato di sei mesi e invece sconterà un sacco di anni, rischiando la vita piu' volte) proprio perché la famiglia viene prima di tutto ma sempre infondendo ai suoi figli e a sua moglie la bellezza di una vita semplice ma dignitosa (i figli disabili erano amati e curati, coccolati e sfamati). Tucker, e anche sua moglie, non si limitano solo a una semplice vita ritirata nei boschi e all'insegna della tradizione, perché regalano continuamente ai p propri figli i semi di una vita diversa, di un possibile futuro di rinnovamento, custodendoli con la bontà, gli insegnamenti, i valori, i baci, le parole e anche coi coltelli e la pistola.

"Country Dark" è un romanzo che affascina e convince, che commuove e dilania.
Scritto con una prosa minimale ed efficace, con dialoghi brillanti e mai fuori luogo ed esplosioni di violenza che non sono mai gratuite ma perfettamente giustificate e con la voce di Offutt, mai enfatica e patetica, che risuona placida come un fiume che scorre e continuerà a scorrere fra le colline, si ingrosserà e andrà in secca, lascerà sugli argini arbusti e cadaveri e che risuonerà come una casa in mezzo ai boschi dalle mille voci, lutti, problemi ma soprattutto tanto tanto amore.

mercoledì 20 giugno 2018

Intervista a Simone Buttazzi

Ieri avevo scritto che da oggi il blog sarebbe cambiato.

Sento il bisogno di una trasformazione e ancora di più in questa mia fase della vita con moltissime nubi all'orizzonte. 
Lo devo a me stesso, alle pochissime persone che amo veramente, a mia madre, al mio libro, alle mie mie giornate. Ci sono alcuni pesi di cui voglio liberarmi e il blog, nel vecchio formato, era uno di questi. Si era trasformato in una dipendenza e aveva perso la sua funzione di terapia che è in realtà il motivo per cui questo blog è andato avanti per tutti questi anni.
La morte di mia madre è stato un evento che mi ha segnato profondamente, ha fatto riesplodere, in un momento già molto difficile, la depressione e gli incubi che mi porto dietro sin da bambino e ha stimolato la mia parte più aggressiva, violenta, autolesionista, catastrofista, complottista. Ho fatto robe schifose, scritto robe orribili, ne ho pensate anche di peggio. Ho cercato nemici ovunque, creandomeli dentro di me anche quando non ce n'erano, il tutto per difendermi, proteggermi, sentirmi al sicuro, migliore degli altri, farmi del male in misura ancora maggiore di quello che già provo quotidianamente. Ho frequentato persone che era meglio non frequentare. Non rinnego nulla ma devo tornare a frequentare i boschi e quella solitudine creativa che mi fanno stare bene fin da bambino.
Ho dimenticato per tanto troppo tempo che mi dovrei accettare un po' di più coi miei difetti e la mia instabilità mentale e ricordarmi che quando stavo per morire è stata una ragazza di colore a tenermi stretta la mano, che chi mi ha recuperato da un tentato suicidio a 20 anni è stato un educatore omosessuale, che ho una compagna che si è fidata di me senza chiedermi nulla in cambio, che avevo un nonno che mi ha consigliato che quando sarei stato male forse era meglio chiedere aiuto e andare al lago con Moby Dick nello zaino a nuotare e farsi cullare dalle onde.

Mia madre nei giorni prima di morire mi disse "Andre, lo so che sarà dura per te senza di me, ma ti ricordi quando passeggiavamo in riva al mare e mi raccontavi tutte le tue storie strane e mi regalavi conchiglie e mi chiedevi cosa c'è dall'altra parte del mare? Ecco, promettimi che non annegherai. Per piacere. Non ti chiedo altro."



Allora oggi decido di aprire la nuova stagione di questo blog da una persona che è molto importante per me: Simone Buttazzi. A Simone, che è un letterato, traduttore, scrittore, critico, editor, scout editoriale, attivista LGBT, cuoco vegano, bellissimo orso prussobolognese e europeo, ho rivolto parecchie domande e spero che questa nostra conversazione sia di vostro gradimento.



Ciao Simone inizio questa intervista dal tuo lavoro di traduttore e mi piacerebbe sapere com’è nato il tuo amore per la traduzione, qual è stata la tua prima opera tradotta, quella che ti ha fatto sudare maggiormente e quella che ti ha dato maggiori soddisfazioni.


Più che amore ossessione. In primo luogo per la mia lingua madre, poi per l’idea di azzardare giochi combinatori con altri codici. La mia prima traduzione degna di questo nome è stata la raccolta di racconti La più pallida idea di Karen Duve (Comma 22, Bologna 2009), quella più ostica Jünger (La battaglia come esperienza interiore, Piano B, Prato 2014) e quella che amo di più Doglands di Tim Willocks (Sonda, Casale Monferrato 2012).

Come ti avvicini a un testo? Se te lo propongono, se sei tu a proporlo, se poni dei veti. E che differenza c'è nel tradurre un’opera in tedesco da una in inglese?

Di proposte ne faccio abbastanza spesso ma è raro che si tramutino in un contratto (è capitato ad esempio con Duve e Clemens Setz anni fa). Quando mi arrivano scatta la negoziazione, fondata su clausole e cifre più che sui contenuti del testo. Potrei fare una lista fichissima di temi che non accetterei mai di trattare, ma la realtà è che i traduttori puri hanno un disperato bisogno di soldi. La differenza tra lingue diverse da tradurre coincide con le formule che vanno adattate conoscendo l’effetto che fanno nella lingua di origine. Due classiconi: verdammte Scheiße non è «maledetta merda» ma porca puttana, loser non è «perdente» ma sfigato.

Che rapporto hai con gli autori dei testi e con le case editrici?

Un rapporto di lavoro.


Fai anche parte di Strade, Sezione Traduttori Editoriali in Slc-Cgil che lotta per tutelare i diritti troppo spesso dimenticati dei traduttori. Ti va di raccontarci cos’è Strade, per cosa si batte e come si vive oggi da traduttore?

Con l’algoritmo di Google Translate che fa passi da gigante, oggi una traduttrice o un traduttore non se la passano benissimo, e questo vale per tutti i mestieri che non prevedono la visita al cliente con una chiave inglese in mano. Strade mette in campo strumenti sindacali e associativi per mettere in rete i traduttori editoriali, fornire loro una dose da cavallo di empowerment (ecco un bel termine intraducibile) e invertire la tendenza che sta trascinando un mestiere, quello di tradurre libri, nella fossa degli hobby. Questo perché è un settore in cui s’investe poco, e dove non c’è il vile denaro non c’è professionalità.

Rimanendo nel campo editoriale: ci sono autori o opere tedesche o comunque dell'Europa settentrionale interessanti e di qualità che ti piacerebbe tradurre o proporre al lettore italiano?

Da anni propongo sia Oskar Roehler, scrittore causticissimo e regista niente male (in quota Houellebecq-Lynch-Easton Ellis-Harlan), sia Thomas Melle, del quale Fandango ha già pubblicato il romanzo di debutto Sickster (trad. Fabio Lucaferri). Die Welt im Rücken (2016), memoir anfibio sulla bipolarità, è un libro che m’ha fatto piangere come una vite tagliata.

Sei anche un critico cinematografico (anche letterario, non dimentichiamolo), Orso Scintillante fra gli Orsi della Berlinale, e volevo chiederti a questo proposito: riesci ancora a vedere un film senza per questo pensare a una possibile recensione? Non è che persone come noi a furia di leggere, guardare e scrivere corrono il rischio di scivolare in una specie di comfort zone della percezione?

Critico è un termine un po’ forte, visto che non percepisco un onorario ma al massimo un accredito, uno screener, un pdf e quando va bene un libro cartaceo. È sicuramente una passione che mi porto dentro dal 2004, quando iniziai a contribuire a lankelot punto com, e che ora è circoscritta alla Berlinale per i film e a qualche testo iperboreo come quelli di Sjöberg. L’antidoto alla zona di conforto è il confronto costante con altre opinioni e un approccio accademico – nel senso buono del termine – che tenga in considerazione quanto scritto in precedenza e altrove sul medesimo tema.

E quali sono i film più belli che hai visto nell’ultimo anno e che ti piacerebbe consigliare?



Tre titoli secchi: In den Gängen (2018) di Thomas Stuber, I Am Not Your Negro (2017) di Raoul Peck e Ostatnia Rodzina (2016) di Jan P. Matuszyński. Il cinema polacco contemporaneo è stratosferico.

Twin Peaks per Simone Buttazzi cosa significa? E come invoglieresti chi non conosce David Lynch a guardare un suo film?



Questa domanda è come l’ultima inquadratura di The Straight Story (1999), che parte da un volto su sfondo catapecchia e si proietta nel cosmo. Twin Peaks è molto semplicemente la mia favola preferita, che riascolterei mille volte per addormentarmi e continuare a sognarla. A un anno di distanza sono ancora incredulo che la terza stagione sia accaduta sul serio. Quanto all’invogliare, credo che ciascuno debba arrivare alle cose in base a percorsi privati e motivazioni spontanee, ma se su youtube si trova l’incipit di Blue Velvet, be’, buona visione.

Un altro tuo grande amore è David Bowie. Cosa resta oggi di lui? Che rapporto hai con la moderna fruizione musicale? 



Resta tutto, su spotify, in loop. Resta l’idea, ormai rarissima (vedi Lynch), di una creatività che non si lascia influenzare da ricerche di mercato. E il diritto a scomparire. Sfido chiunque a sfornare We Are the Dead o, dopo cinquant’anni di carriera, i dieci minuti di Blackstar.


Hai scritto insieme a Gabriella Di Cagno Tutti a Berlino. Guida pratica per italiani in fuga (Quodilbet), un manualetto/guida/centroinformazioni cartaceo/manuale di sopravvivenza per gli italiani che pensano di trasferirsi a Berlino, la metropoli dove vivi ormai da anni. Come sta cambiando Berlino e come stai cambiando tu rispetto a Berlino? È ancora una metropoli molto attraente per gli italiani? E se no/sì perché? Che tipo di scambi hai con la comunità italiana berlinese? 



-Simone Buttazzi e Gabriella Di Cagno, al servizio del complotto tedesco per il dominio del mondo-

Premesso che sto bene a Berlino come sto bene a Bologna – e come starei bene altrove, in Europa – la città si è normalizzata tantissimo rispetto al gennaio 2006, quando mi sono trasferito, e i vuoti che la caratterizzavano stanno svanendo. Attrae perché in Germania non ci sarà mai una Brexit o un caos di tipo catalano, e perché (come quasi tutte le capitali) è diversa dal Paese che rappresenta. Gli scambi che ho qua non differiscono granché da quelli che ho in Italia.

Sei anche cittadino tedesco. La Germania da una certa, mediocre, stampa italiana è additata come la peggior nemica dell’Italia. Quali sono gli stereotipi tedeschi che vorresti un po’ sfatare? Te lo chiedo perché da quando vivo qui in Svizzera mi sono accorto che al di là delle ovvie differenze rispetto all'Italia e dei problemi che esistono qui in Svizzera c’è tutto un mondo di sfumature che non viene mai raccontato della Svizzera, sia da un punto di vista culturale che umano.

I cliché sono inevitabili perché indispensabili e fondati su elementi di realtà, anche se è politicamente corretto dire il contrario. Molto dipende dalla consapevolezza del loro essere stereotipi e dalla volontà sottesa al loro uso. Mi limito ad anticipare il contenuto della prossima domanda sottolineando come l’Europa non possa permettersi divisioni al proprio interno, altrimenti la geopolitica ci fotte.

Un’altra domanda che però sembra una specie di confessione che mi piacerebbe condividere con te. Negli ultimi tempi complice le ultime elezioni italiane, esperienze mie personali, ripensamenti totali, passi falsi mi sono accorto di quanto mi sento sempre più predisposto a riconoscermi in un’idea di cittadinanza europea. Di solidarietà e frontiere aperte. Te lo dico perché tutte le volte che torno in Italia e varco la frontiera (che comunque mi trasmette il brivido di una soglia magica) vivo la sensazione di essere sempre e comunque guardato come un possibile delinquente eppure sto oltrepassando una semplice linea e, nel mio caso specifico, condivido la stessa lingua del Cantone da cui sto uscendo. Non la vivi anche tu questa sensazione adesso che vivi a Berlino che si dovrebbe spingere su un’integrazione europea senza per questo annullare le differenze? Non riesco a non considerare un francese o un tedesco o un polacco o un belga come dei miei fratelli. 

Sì.

Sei anche un attivista LGBT. A questo proposito vorrei porti alcune domande. Per esempio, quali sono le differenze per quanto riguarda i diritti civili fra Germania e Italia, non solo da un punto di vista LGBT, ma anche in generale? Nel 2018, due ragazze che sono alla ricerca della propria identità sessuale vivono davvero meno problemi di vent’anni fa?

Dal 2017 in Germania vige il matrimonio egualitario (e Merkel votò contro). I crinali dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere, insieme a tutte le specificità dell’acronimo infinito LGBTQIA, costituiscono ancora un fronte di battaglie importanti e difficili – prima di tutto da comunicare. Ma al netto delle questioni terminologiche resta un riconoscimento emotivo che credo sia fuori di dubbio in ogni dove. È lo stesso approccio aperto vs. chiuso, umano vs. ameba, del tema confini. La paura mangia l’anima.

Come pensi si possano, non dico risolvere, ma anche solo affrontare alcuni temi? Nelle scorse settimane discutendo con una mia collega, di sinistra/istruita, di un possibile posto di responsabilità affidato a una donna lei mi ha risposto negativamente adducendo sostanzialmente come motivazione l’inaffidabilità causata dal ciclo e dall’emotività femminile. Ecco, se nel 2018 ancora oggi si ascoltano queste risposte, cosa si può fare?

Se su pari diritti e dignità siamo tutti d’accordo, bisogna essere coerenti e piallare tanto gli ostacoli più visibili – come le differenze in busta paga – quanto quelli nella testa, frutto di un condizionamento alla nascita. È strano, ma a volte è difficile ammettere di avere dei diritti.

Su aborto, prevenzione, Hiv, malattie sessualmente trasmissibili, riduzione del danno sembra che la situazione non sia delle migliori. Personalmente mi capita spesso di essere accusato di estremismo quando in realtà ribadisco l’importanza di alcune battaglie portate avanti negli anni ‘70. Stiamo vivendo una fase di regressione secondo te? Sei impegnato anche in Plus onlus che si occupa di persone LGBT sieropositive. Tutto questo in un periodo di ritorno delle droghe pesanti fra i giovanissimi.



Elenchi molti argomenti diversi. Come Plus lottiamo quotidianamente contro lo stigma (anche quello interiorizzato: vedi sopra) e abbiamo aperto il Blq Checkpoint a Bologna, il primo centro in Italia a offrire test e counselling in un ambiente extra-ospedaliero. In generale mi sento di ribadire solo una stringa concetti: il moralismo fa danni, contano solo le evidenze scientifiche, ognuno di noi possiede il libero arbitrio ma è fondamentale fare scelte informate.

Dopo tutte queste tematiche pesanti chiudo ponendoti alcune domande più leggere:

- un luogo poco conosciuto ma molto interessante di Berlino e Bologna:

A Berlino il memoriale per le vittime sinti e rom del nazionalsocialismo; a Bologna, il cul de sac accanto all’ex ristorante Benso, sotto le due torri.

- il piatto migliore che ti potrebbe cucinare un tedesco e quello che un vegano potrebbe cucinare a un carnivoro

Se mi sfornano una Laugenbreze son contento e credo lo sia anche un carnivoro se gli fanno del seitan spacciandolo per carne.

- le icone gay esistono ancora?

Orpo! I. Casto, D. Santanchè, A. Consonni…

- quanto durano i letarghi dell’Orso Buttazzi?

Otto ore scarse a notte.

A quel tuo fan che pubblica sul suo blog continui apprezzamenti omofroceschi che fanno il giro del mondo dalla Russia di Putin ai siti nucleari nord-coreani che cosa vuoi dire?

Sobrietà.



-qui-
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Simone Buttazzi, quiqui, qui

martedì 19 giugno 2018

Rifugiarsi e da domani il mio blog cambierà definitivamente

Lavoro in un posto cosi' di merda che dall'oggi al domani mi comunicano una riduzione di orario tremenda almeno fino a settembre. Riduzione di orario significa per me non guadagnare neanche un soldo che si somma alle prossime tre settimane di vacanze che le chiamano vacanze anche se non me le pagano. E guardandomi in giro questa servitu' chiamata "contratto a ore" si sta diffondendo a macchia d'olio. Tra l'altro con sempre la spada di merda tossica della disponibilità, che mica me la devo dimenticare nelle prossime settimane. Il cinema è in crisi. Forse. In generale è in crisi, e non da oggi, tutto un certo mondo. E lo sto vivendo direttamente sulla mia pelle.

Ma ormai in molti hanno introiettato questo stile di vita. Lentamente ci si sta abituando.
Fra non molto oltre al maledetto censimento dei Sinti mi aspetto un censimento e relativo braccialetto per tutti i devianti, affaticati, diversi, solitari, non produttivi, non allineati. 

Lo dico perché Salvini e Di Maio sono il riassunto di tutta la merda che ho masticato nella mia vita. 

Mi rifugio in Nathan Never:







E Anne Sexton perché il mio desiderio di morire, di farla finita, di buttarmi da una diga, di tagliarmi le vene, di addormentarmi col gas mi accompagna tutti i giorni e leggendo lei io mi spoglio di me stesso e mi sento libero e mi sento bello e con un viso che mi posso toccare e le mie ossa sono ossa e la mia carne è carne e i miei occhi riescono a guardarti veramente:


....

E da domani il blog cambierà definitivamente veste. 
Lo avevo annunciato tempo fa. 
Non tanto nella grafica o nel titolo ma nella cadenza e nei contenuti.
Non troverete piu' post come quello di oggi, non ci saranno piu' sfoghi o questioni personali e nemmeno suggerimenti librari, cinematografici, musicali, eccetera con immagini e link ma solo post saltuari dedicati interamente a qualcosa che avro' realizzato. A un'intervista, uno scritto studiato e documentato su un album, un film, un libro. Quando mi andrà e se mi andrà. E se non mi andrà il blog resterà fermo e vuoto per giorni, settimane e mesi. Lo faccio per me stesso. 
Questa scelta è figlia di incontri, suggerimenti, discussioni, scazzi e tanta noia. 

E soprattutto è un regalo a me stesso, Eva e mia madre.

E perché è giunta l'ora di spogliarmi di tante cazzate che penso, ho detto, ho scritto. 

Domani il nuovo corso sarà inaugurato da un'intervista a Simone Buttazzi, una persona alla quale devo tantissimo.

venerdì 15 giugno 2018

Scuola e studenti e l'orrore dei salotti


Stravedo da secoli per Munaf Rayani.
Il pezzo sull'album.

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Qui in Svizzera oggi è stato l'ultimo giorno di scuola e sul bus ho incontrato volti sorridenti, altri molto preoccupati, qualcuno in lacrime, qualcun altro in estasi.
Negli ultimi tempi si discute quotidianamente di aggressioni agli insegnanti, di sistema scolastico in crisi, di riforme necessarie, di precariato, di studenti indisciplinati. Qualche stronzo di storico/giornalista come Galli Della Loggia invoca pure soluzioni reazionarie. Insomma, niente di nuovo cio' che sto scrivendo. Ma oggi voglio un po' fare il bastian contrario, non a tutti i costi, ma per illuminare anche l'altro lato della medaglia. Cosi', insomma, anche perché sono stato uno studente e non un insegnante e difendo, narcisisticamente, la categoria.
Nei giorni scorsi ho parlato con la figlia di un'amica che frequenta un Classico. Lei è un'ottima studente, media dell'8 in tutte le materie, la classica secchiona, sensibile, che trascorre tutto il suo tempo in casa a studiare se non sta nuotando o passeggiando col suo levriero con i Nirvana nelle cuffie. Le chiedo, Come è andata a scuola quest'anno? E lei mi risponde: Bene, il greco mi piace sempre di piu' ma sai che merde d'insegnanti che abbiamo? Sono dei cafoni. Insolenti. Brutti e brutte da vedere. Saccenti. Ti fanno passare la voglia di andare a scuola.

E allora io ho pensato alle mie esperienze scolastiche e, salvando la mia splendida maestra elementare che è un caso a parte, vi cito alcuni dei professori che ho incontrato nella mia vita e mi prendo tutte le responsabilità di quanto sto scrivendo:
-una professoressa di educazione tecnica delle Medie, ignorante, assenteista, falsa ammalata, che non sapeva parlare in italiano ma solo in un italiano che era dialetto del sud
-la sua giovane sostituta che pensava di essere una grande architetta e le facevamo schifo perché fra di noi non c'era un solo Le Corbusier
-quella testa di cazzo dell'insegnante di educazione fisica alle Medie che ci trattava come delle merde, un'ignorante totale che non sapeva leggere e scrivere. Per come si comporto' con me e con un mio compagno di classe meriterebbe la fucilazione. Ci tolse il sonno e mi rovino' una parte della mia adolescenza. Una che non avrebbe mai dovuto fare l'insegnante
-la mia insegnante d'italiano alle Medie che è vero che mi confermo' che la letteratura era il mio grande amore ma che ci tratto' sempre come dei mentecatti di provincia e ci fece sentire delle vere merde...forse avrebbe dovuto insegnare ai figli dello Zar
-il mio professore di matematica in Collegio nel triennio del liceo, un uomo che mai e poi mai si ricordo' di essere anche un educatore e che pontificava su tutto e che ci dava quotidianamente degli ignoranti
-la mia professoressa di Educazione Artistica alle Medie che avendo fallito una carriera d'artista rovesciava su di noi tutta la sua frustrazione...e per assurdo è molto amata ancora oggi perché è considerata strana...lasciamo perdere...
-un insegnante di sostegno alle Medie. Indecente, inguardabile, inascoltabile. Per una persona che aveva difficoltà stare con lui significava stare ancora peggio di prima
-quelle merde di suore all'asilo che se nella mia vita ho avuto problemi col cibo e con l'autostima devo ringraziare anche loro per come mi obbligavano a mangiare quella merda di cibo che il loro Gesu' Cristo non avrebbe mai moltiplicato

Salvo soprattutto alcuni miei insegnanti in Collegio: quella d'italiano alla quale devo la vita, quella d'inglese che ha lasciato un segno profondo nella mia vita, quella di musica alle Medie e che è una delle donne piu' belle per me sulla faccia della Terra, il professore di disegno e Storia dell'Arte in Collegio.

E poi soprattutto crescendo sono sbocciati il professore di Fisica e la professoressa di Biologia in Collegio. Facevo schifo nelle loro materie ma non mi fecero mai sentire una merda. Da loro ho ricevuto insegnamenti profondi. Li ho compresi tardi ma mi sono serviti tantissimo nei momenti bui.
A loro due va tutto il mio ringraziamento e ci sono giorni che mi piacerebbe rincontrarli e dirgli semplicemente grazie.

- E non voglio dimenticare le bidelle e i bidelli. Fancazzisti e pezzi di merda dal primo all'ultimo.
Mi piacerebbe chiedere loro: Ve la ricordate la sezione B col disabile in carrozzina, ve la ricordate Teste di cazzo?

- La mia scuola media fu saccheggiata e vandalizzata alcune volte durante i miei tre anni.
Sto parlando dei primissimissimi anni '90.
Devo dirvi che fui felice quando accadde.
Quella scuola non si meritava altro che quello.


Preferisco ricordi delle scuole come questi:



...


Mi è capitato di vedere questi due filmati di Fulvio Abbate. Uno nella redazione di Dagospia e l'altro a casa Bellonci per lo Strega e ho provato letteralmente orrore. Da mettersi anche le dita in bocca e svuotarsi lo stomaco. Prego Dio di non essere mai costretto con le catene a entrare in posti del genere. Meglio le discariche. 
Tantissimi anni fa uscii dalla Cooperativa molto stanco, sporco e stravolto per andare a una presentazione di un libro a Milano, in un circolo di sinistra, diciamo cosi'.
Quando entrai mancavano ancora venti minuti all'inizio e le persone cominciarono a guardarmi insospettite come se fossi un barbone che si era imbucato per mangiare tartine e bere Spritz. 
Tempo dieci minuti e una birra e presi le mie cose e me ne andai. Mi mossi per ore per la metropoli mangiando in solitario in un orribile ristorante cinese dove almeno pero' mi sentii a casa e poi fuori fumai un sacco di sigarette finendo per parlare con una cameriera cinese che mi lascio' un biglietto per un Centro Massaggi dove mi disse che avrei potuto scopare per pochi soldi e scoppiammo a ridere tutti e due.

Il libro parlava di temi sociali, di critica al mondo contemporaneo......pensate un po' voi che gente....

giovedì 14 giugno 2018

"Le più fortunate" di Julianne Pachico (Sur)



Quanto mi è piaciuto e mi ha convinto questo romanzo d'esordio britannico/colombiano, "Le piu' fortunate" di Julianne Pachico (Big Sur, traduzione di Teresa Ciuffoletti), su cui riponevo grandi aspettative. 
Letto in una giornata, ricevendo parecchi spunti, segnando a penna e matite molte pagine, appuntando alcuni passaggi e suggestioni stilistiche. 
Facendomi conquistare e liberare la testa in questo periodo davvero difficile della mia vita.
Ci sono volte che vorrei stringere la mano a una scrittrice e dirle "Grazie".

In breve alcuni degli aspetti che ho apprezzato di questo romanzo:

-mi piacciono i romanzi polifonici e con una trama non lineare e questo romanzo scansa a mio parere tutte le scorciatoie per confondere inutilmente o fornire tutti gli incastri della storia. Agisce per sottrazione e sfumature. Mostra personaggi e vicende nei vari anni, illuminandoli e frammentandoli, sovrapponendoli e illuminando angoli oscuri, celando altri per sempre.

-il titolo. Sia quello originale che quello italiano. Ha un suono bellissimo.

-la copertina che restituisce tutta la bellezza e i segreti di una foresta.

-come l'autrice ritrae questo gruppo di ragazzine figlie di narcotrafficanti, signori della guerra, potenti colombiani. Ragazzine che frequentano una scuola esclusiva, feste in ranch magnifici con tanto di leoni. Le segue dalle elementari fino all'età adulta e lo fa con tanta delicatezza, partecipazione, ricordando a tutti i lettori che anche queste bambine/ragazze/donne sono esseri umani a tutti gli effetti.

-Cali.

-come queste ragazzine ricchissime mi hanno ricordato le mie compagne in collegio, super privilegiate pure loro e che mi raccontavano sempre di vacanze fantastiche in giro per il mondo o arrivavano a scuola col disco nuovo, le scarpe di tendenza, lo snowboard. In particolare mi hanno ricordato Chiara, una principessa che sedeva nel banco davanti al mio, coi suoi capelli bellissimi, fatati, tinti di biondo, dentro cui infilavo le matite facendola sorridere e sospirare. 

-come la Pachico racconta la tragica storia della Colombia: guerra civile, sequestri, attentati, narcotraffico, cocaina, squadre della morte, rivoluzionari. Lo fa con durezza e pudore, cercando di non cadere negli stereotipi ma restituendo il lato umano e piu' intimo di chi quella storia la visse sulla propria pelle.

-il primo capitolo, Fortunata, è quasi un film dell'orrore metafisico, fra riti ancestrali e sequestri, privilegi che vivono dentro le pareti di una casa protetta e una ragazzina rimasta sola. Angosciante.

-il professore prigioniero dei guerriglieri che continua a insegnare alle piante, ai bastoncini, alle foglie, ai sassi.

-le variazioni stilistiche all'interno della narrazione, con le voci e i piani che si mescolano, come se si fosse circondati da fantasmi, presenze, morti viventi, ricordi, pensieri, sospiri. Un'esperienza dissonante e carnale con le frasi che ti si attorcigliano allo stomaco, al cuore, alla lingua, ti penetrano le pupille.

-una bambina che diventerà una guerrigliera e che si ribella all'autorità scolastica.

-i conigli, in quello che è uno dei racconti migliori che io abbia mai letto sulla droga. Immaginatevi dei conigli di una villa distrutta che si trasformano in tossici mangiando foglie di coca abbandonate. Un racconto che parte dalla coca e arriva al fumare i cristalli, alle crack house, al deperimento fisico/mentale/nazionale. La degenerazione di un mondo che è già nel baratro.

-l'autrice è incredibile quando scrive delle donne di servizio.

-la maestria nel raccontare chi se ne è andato (negli Stati Uniti) e vive in una terra di mezzo e cerca in qualche modo di recuperare il legame perduto giocando su un letto coi ricordi dell'infanzia, in un viaggio, sniffando coca, cercando su Google indizi del proprio passato.

-la speranza, dolorosa, che effonde questo libro. Questa sorta di utopia che la Colombia un giorno starà meglio.

-il senso di vuoto e presenza che lasciano i morti. Perché i morti ti girano intorno tutto il giorno.


martedì 12 giugno 2018

Spargendosi


Non molto amato questo disco dei Sonic Youth ma oggi son tornato ad ascoltarlo dopo tanto tempo e mi ha fatto stare bene. Sto invecchiando, si capisce, ascolto praticamente solo robe che arrivano da un'epoca lontana.

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Resto sempre qui:

"Per un po' mi ero nutrito del ricordo del mio successo, ma adesso non mi rimaneva piu' nulla. Dopo che Jensen mi ebbe scacciato, andai con trenta dollari a comprarmi una tenda e me ne tornai sulle dune. Io, che ero stato il dio nero sul candore delle dune, ora ero soltanto un uomo ammalato. La sabbia mi sembrava banale, la vita una grigia impossibilità, neppure l'esercizio fisico valeva un centesimo. Non riuscivo piu' a capire lo humour di quello scherzo cosmico che era la mia esistenza. Non riuscivo piu' a vederne il lato buffo. Non riuscivo piu' a vedere lo scopo di trascinarmi dietro questa vita infame, come un idiota si tira indietro un codazzo di bambini che lo sbeffeggiano. Guardavo il sole e la luna specchiarsi nel Lago Michigan (come mai l'amore si era specchiato nel viso di Annie), il lago di cui mi inebriavo ogni mattina, quando ero solo sulle dune, il lago di Carl Sandburg... Ho disteso il mio corpo frantumato sulle rive del Lago Superiore, esausto senza aver lavorato, esaurito senza aver dato." (pag. 149)

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Sono sempre stato a un passo dal finire in un reparto psichiatrico o subire un Tso. Le cose sono andate in maniera diversa spesso per puro caso e una volta per, come si puo' dire, le circostanze fortunose, anche se dovrei ammettere che forse quella notte feci lo scrittore per la prima e unica volta nella mia vita.
Mi capito' anni fa d'incontrare in CPS una donna che conoscevo benissimo e che mi disse, Qua non si sta male Andre. Ti ricordi quando ne parlavamo?
Tutte le volte che torno da mio padre e per caso cambio strada finisco dalle parti di questo istituto e mi vengono i brividi. Per questo motivo non potro' che ringraziare per tutta la vita persone straordinarie come Basaglia e anche Piero Cipriano che mi hanno concesso una via d'uscita o quantomeno una speranza...che in realtà non esiste...perché quando stai di merda, ma davvero di merda, che i manicomi esistano oppure no, non fa differenza, perché in quel momento tu sei davvero da un'altra parte.

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Judith Hermann è una scrittrice molto brava. Ve la consiglio.

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Una cassiera che a fine turno mi prende per un braccio e mi chiede se mio padre sta vedendo qualcuno. No. Sai che mi fa bagnare quando mi parla? Non si fidi di lui. Me l'hanno già detto che lui non le fa quelle cose. A te darebbe fastidio se ci provassi? No ma se lo sapesse mia sorella verrebbe a cercarla con un bastone. L'archeologa? Si', mai conosciuta una.
Me ne sono andato. Completamente persa la cassiera. 
Io tifavo per M., la splendida donna tunisina.
Ma la famiglia, aperta di testa e solidale solo a parole, mi ha impedito di sostenere quell'ipotesi. Quella volta mi torno' la voglia di fumare.
Aznavour e Aznavour ancora. Perché mi ricorda tantissimo mio padre.

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domenica 10 giugno 2018

Simona Halep/Wallace, Tim Buckley, pulire, Eshkol Nevo, una postilla, This Mortail Coil - Cocteau Twins


Ricordo ancora quando mia sorella e la sua migliore amica giocavano, o almeno ci provavano, a tennis nel campo comunale. Mia sorella innamorata di Boris Becker e l'amica di Stefan Edberg. Tempi lontanissimi. Stiamo parlando quasi di trent'anni fa e a quei tempi io lo detestavo il tennis poi col tempo ho imparato a conoscerlo e a seguirlo, anche grazie al talento di David Foster Wallace, e alla lentezza degli incontri o alla velocità di Wimbledon, che poi è il torneo preferito anche se ormai è tutta una gara di muscoli, salvo Federer. Un autore, Wallace, che mi ha sconvolto la vita e del quale, insieme a Kurt Cobain, faccio a meno, per pudore, di parlare e scrivere. Seguo più il tennis femminile che quello maschile. Non per motivi estetici o per differenziarmi ma quasi per caso. Chissà se qualcuno si ricorda ancora Monica Seles o Jennifer Capriati. Chissà per quanto tempo ancora ci si ricorderà del talento e della bellezza di Flavia Pennet. Tennis femminile che a livello di spettacolo e qualità viene considerato inferiore a quello maschile. La speranza è che la muscolarità scuola Williams possa tramontare.
Ieri, ammirando la vittoria di Simona Halep al Roland Garros, ho pensato subito a David e a cosa avrebbe potuto scrivere di una tennista che dopo tante sconfitte riesce finalmente a vincere la finale di un Grande Slam, del suo blocco psicologico, della sua riduzione di seno, del suo essere numero 1 del Ranking senza aver vinto un trofeo importante, del suo allenatore che la molla per farla sbloccare mentalmente, della sua gioia travolgente. Poi ripenso a Infinite Jest e sorrido sapendo che fra le sue pagine potrei trovare qualche risposta e altre domande e dubbi. Senza mai dimenticare il suo grande amore per Federer. Ma mi fermo, ho già scritto troppo di lui.

E comunque da ex giocatore di calcio che farà a meno delle partite dei Mondiali, mi perdo nel seguire il ciclismo, l'atletica, gli incontri di boxe, l'ippica. Fossi negli Stati Uniti sarei probabilmente  un fanatico del baseball.


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Sei stanco e stravolto, hai i coglioni girati, tante robe che ti girano per la testa e poi alzi lo sguardo e vedi che hai ancora tutte quelle file da pulire. La sporcizia che sta tutta sui sedili, corridoi, sotto i sedili. Torni a casa e bevi una birra che ti ricorda l'inferno, anche se è tedesco.



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L'avevo perso.
E qualcuno me l'ha regalato.
Di questo romanzo troverete una recensione fra pochi giorni.
La devo a questa persona.
Romanzo israeliano di una bellezza cristallina. 

Piccola postilla: caro Messi/argentini dimostrate a tutto un certo di mondo di sinistra il vostro eroismo rivoluzionario rifiutandovi anche di giocare nella Russia di Putin o contro la Nigeria che sta nel vostro girone. Ovviamente non lo farete. Soldi, prestigio, paraculaggine e ipocrisia. Però vi segno anche tutte le altre partite che potreste, per esempio, saltare o Paesi da cui rifiutare ingaggi perché sono tutti paesi di merda, dittature, paesi occupanti in vari modi, paesi razzisti: Cuba, Nicaragua, Cina, India, Arabia Saudita, Iraq, Egitto, Iran, Stati Uniti, Venezuela, Messico, Italia, Turchia, Siria, Iraq, Australia, Canada, Inghilterra e la lista è lunghissima....ovviamente non lo farete e nessuno ve lo sta chiedendo. Magari qualcuno ve lo sta chiedendo. Ma quelli non contano un cazzo. 


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Adoro da una vita i Cocteau Twins e This Mortail Coil ed Elizabeth Frazer è una delle mie colonne portanti e oggi pensavo a lei:


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sabato 9 giugno 2018

rivedere il passato




succedono cose strane tipo rivedere dopo il lavoro e un'ora e mezza di guida persone che non vedevo da 4, 5 anni. c'è un compleanno di una bambina coi riccioli nerissimi. in un palazzo in centro a Lecco. ci sono torte, pastiere vegane, succhi di frutta. vino di qualità e dottoresse. ci sono amici e amiche di un'epoca fa che mi abbracciano e mi baciano. mi chiedono e io rispondo come posso. faccio scena muta. quasi piango. stravolto dall'ansia e dal dolore. tanti, troppi bambini che mi girano intorno e mi chiedono chi sono e cosa ci faccio li'. e gli rispondo che ho fatto una prova. quale prova? mi chiede una stronzetta. quella per capire chi sono diventato. una donna che mi dà uno schiaffo. una nonna che mi maledice con lo sguardo. e la casa signorile di sinistra, quella giusta e perfetta, che risplende di romanzi e saggi che non leggerei mai.
e non vedo l'ora di andarmene.
di tornare a casa.
qui a lugano.
e quando sono arrivato a sera inoltrata ho preparato da mangiare per lei con le mani sporche di peli di cane e sudore ma volevo solo mangiare qualcosa e non avevo tempo e voglia di una doccia.
e abbiamo bevuto tante, troppe birre e discusso di Richard Yates, socialismo, Dubus, romanzi che lei ha letto e io no, Jung e buddhismo, scopate, di quelle troie delle vicine, del frigo che non funziona e del cane che prenderemo, senso di colpa, malinconia, depressione, dei film di Lars e dei miei capelli lunghi che stanno scivolando ormai verso le spalle.
e non ho piu' voglia di tagliarmeli.
e delle nostre famiglie di merda abbiamo sempre qualcosa di nuovo da dire.
e abbiamo sorriso.
e poi ho dormito tre ore e sono andato a lavorare.


giovedì 7 giugno 2018

"L'educazione incidentale", Colin Ward, bambini, Birds of Passage, Lo Spione, Lindsay Lohan


"L'educazione incidentale" dell'anarchico Colin Ward (elèuthera, a cura di Francesco Codello, traduzione di Lorenzo Molfese) lo consiglio a tutti coloro che, come me, sognano una scuola totalmente diversa da quella attuale e anche da quella nella quale abbiamo studiato e nello stesso tempo sognano città, territori, paesi che si plasmino sempre con/e a immagine dei bambini e del gioco. Bellissimi i capitoli "La città come risorsa", "Adattare l'ambiente imposto", "Nei sandbox della città", "Il gioco come protesta ed esplorazione". 
E tutto il mio rispetto e incoraggiamento va a quegli insegnanti, pedagoghi, maestri, pensatori che non smettono mai di ragionare su altre ipotesi che non siano quelle imposte dalle consuetudini, dallo stato,  dall'economia, dalla paura e che vanno avanti, sognano nell'utopia, costruiscono una scuola che sia libertà.

Mentre lo leggevo pensavo a come nei paesi come il mio siano i scomparsi i bambini e le bambine per le strade e i cortili. Confinati fino a pomeriggio inoltrato dentro alle aule scolastiche e poi (rin)chiusi/confinati in casa o nei luoghi depositati all'incontro conviviali (oratori/campi da calcio/centri ricreazione/piscine...). Per andare a scuola ci sono i servizi piedibus, gli accompagnatori sui pulmini (un tempo io avevo la suora), le macchine dei genitori. Quando mi capita di parlare con i miei coetanei e con la gente del paese mi dicono che non ci si puo' piu' fidare a lasciare da soli i bambini. Che ci sono pericoli da tutte le parti. E io non riesco a credere alle mie orecchie. Gli ricordo cos'era il nostro paese a metà anni '80 e continuo a ripetere che era molto piu' pericoloso muoversi allora ma lo facevamo lo stesso, da soli, e le nostre mamme erano spesso casalinghe che ci lasciavano liberi di andare e tornare da scuola in bici o a piedi. Gli ricordo i camion, le buche, i tossici nel parchetto. Nella mia strada non c'era il marciapiede e bisognava stare attenti ai tir diretti alla fabbrica che c'era dietro i palazzi.
Forse perché non ho figli ma mi sembra che uno dei comandamenti di questa società sia quello di voler estirpare, negare, nascondere la possibilità del pericolo, il guasto, la morte. Anestetizzare, proteggere, filtrare tutte le esperienze.
E poi un giorno camminavo dietro questi bambini che tornavano da casa col piedibus. 
Lo so che è una misura interessante e da un certo punto di vista anche utile, aiuta anche i pensionati, ma vedere quei bambini che venivano richiamati all'ordine, al rispetto della colonna da due genitori o nonni mi ha intristito e anche incazzare.
Ricordo ancora quando io, Dario, Luca, Stefano, Barbara, Mauro, Bruno, Elisa, Cristina, Vittorio e tutti gli altri e altre tornavamo dalle elementari e dalle medie e sembravamo un'orda di barbari. Casinisti, timidi (io), gioiosi, tristi, disordinati (io). Mossi dalla volontà di far casino, nasconderci, far tardi, rompere le scatole a qualche vecchio o casalinga che stavano in casa a mangiare, guardare la tv, fare il sonnellino.
Che bello suonare sempre il campanello a quella vecchia megera che abitava prima della vecchia sede della biblioteca.
Che bello impiegare quasi mezz'ora per fare quattrocento metri.
Che bello inventarsi di sana pianta storie fantasiose per convincere mia madre che no, quello sul giubbetto non era fango.

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Visto una mattina di queste che non riuscivo a dormire, proprio prima di andare al lavoro.
Mi son venute le lacrime.
Melville è uno dei miei registi preferiti.
Strano davvero, o forse no, che ci siano due Melville nel mio cuore.

E sempre restando sul cinema ultimamente ho rivisto un film bistrattato da tutti ma che io amo alla follia, The Canyons, di Paul Schrader, un altro di quelli che mi hanno segnato la vita. In questo film recita una donna bellissima, un talento che si è buttato via totalmente. In questo film dimostra chiaramente tutta la sua incredibile bravura e la sua straordinaria bellezza. Peccato per come siano andate le cose.


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I dischi di Birds of Passage mi rilassano e mi fanno sentire bene. Anche se sono cupi, eterei, quasi inafferrabili. Questo sotto è l'ultimo:


martedì 5 giugno 2018

Giornalismo servo, Tara e Jenn, incontri sul lago, Ian McEwan, trap

Poco fa ho acceso la tv su un sipariettopoliticotalkshow incrociando le facce e le voci di Conte, Salvini e Di Maio e ho sparso disgustato il caffé sul tavolo. 
Ieri sera stavo mangiando un piatto di pasta quando la mia compagna ha acceso la tv e quando mi sono arrivati i discorsi mellifluoservili di Antonio Padellaro quasi mi sono soffocato con un bucatino.
Lezione da trarre: evitare a tutti i costi l'orrore trasmesso da una certa televisione falsamente al servizio dei cittadini e dai giornalisti de Il Fatto Quotidiano & Co. 

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Per fortuna ci sono ancora donne come Tara e Jenn che mi trasmettono emozioni.

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Sono seduto in riva al lago quando vedo emergere molto al largo una testa. Leggo per una ventina minuti e quella persona distante almeno centocinquanta metri continua a nuotare. Altri venti minuti e vedo emergere dall'acqua una donna anziana, sui settanta, in costume nero, abbronzatissima, che prende posto sull'asciugamano rosso che stava a pochi metri da me. Abbandono la lettura e allungo le gambe sulla sabbia. Si toglie la cuffia rossa con un delfino blu liberando una matassa di lunghi capelli bianchi, dalla borsa prende un pacchetto di Camel e se ne accende una, controlla il cellulare, risponde a qualche messaggio, mangia una barretta, s'accende una sigaretta per poi voltarsi chiedendomi con un accento tedesco cosa sto leggendo. Bello? Molto, lo sto rileggendo. Dicono che fa il buono con quel porco di Weinstein e mi racconta di McEwan e di come i pensionati e le pensionate ci provano con lei. Sa, ero una professoressa di lettere e mentre mi racconta di un liceo a Basilea si leva il costume, i seni ancora sodi, la figa depilata, le unghie rosse dei piedi, la cicatrice sbiadita di un cesareo, le rughe che ricordano le increspature della vita subacquea, i muscoli tesi, le ossa esposte del bacino e le rotule divergenti delle ginocchia. Dopo essersi asciugata comincia a rivestirsi,  una tunica bianca e un paio di ballerine argentate, una borsa in tela di Manor. Secondo lei, li posso tenere sciolti oppure no, lei cosa dice? Una treccia o una coda forse...rispondo arrossendo. E così sia la coda...e che schifo questi cigni che ti stanno sempre vicino. Qual è il suo nome se non le appaio indiscreta? Andrea. Piacere, Magdalene. Stringendomi la mano. Orecchini e bracciali d'oro raffinatissimi. Ha il volto tristissimo. Son giorni strani. La capisco, adesso devo tornare a casa. È stato un piacere, mi sarebbe piaciuto proseguire nella conversazione. Anche per me è stato un piacere. Vuole una sigaretta? No, grazie, ho smesso sei anni fa. Buona giornata allora e magari ci rivedremo uno di questi giorni. Speriamo. 


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La figlia adolescente della vicina di casa mi sta facendo capire quando faccia cagare il trap.
Quando i genitori sono fuori il programma della ragazzina è scopare col fidanzatino e prima e dopo la scopata ascoltare questa cazzo di musica di merda.
Vivo in un quartiere dove praticamente tutti i giorni incontro ragazzini e ragazzine che ascoltano quasi solo questa merda. Nelle cuffie e negli stereo portatili a tutto volume.
Un mese fa quando son tornato in paese ho incontrato un mio coetaneo cresciuto a colpi di Vasco, metal, punk che mi ha raccontato della musica di merda che ascoltano i suoi figli. 
Mi fa, André, non è perché sono vecchio e lavoro tutto il giorno ma è perché questa musica fa veramente cagare. E tua moglie cosa dice? Ci sono volte che la vorrei lasciare perché ha cominciato ad ascoltarla in macchina. Chi, Laura? Ma se ascoltava solo robe goth e darkmetal tutto il giorno...
Mezz'ora dopo sto uscendo dal parcheggio cimitero ed ecco Laura alla guida della sua fiammante BMW con quella musica di merda a tutto volume. 
Sì, forse sto invecchiando.
Ho quasi quarant'anni.
Ma lei sembrava ringiovanita di trent'anni, tornando quella bambina che si aggirava per le strade del paese con le trecce rosse e la faccia da schiaffi.


lunedì 4 giugno 2018

Il caso Tulaev; Vitaliano Brancati; Daniel Galera; Mazzy Star; la bambina che schiaffeggia un bambino


"Il caso Tulaev" di Victor Serge (Fazi, traduzione di Robin Benatti e una splendida introduzione di Sausan Sontag) è un romanzo che consiglio a tutti di leggere. Un'opera d'arte favolosa che fa rivivere tutto l'orrore del totalitarismo sovietico e non solo. Le pagine che vanno dalla 117 alla 132 sono un inno alla vita, commoventi, dilanianti, terrorizzanti. 
Leggerlo mi ha ricordato un incontro casuale di molti anni fa col figlio di un esule scappato dalla DDR. 
Quest'uomo mi raccontava di come suo padre, prima di riuscire fortunosamente a scappare con la famiglia, avesse atteso per anni che la polizia bussasse alla porta per prelevarlo e farlo sparire in qualche prigione o fossa comune. 
In casa, svolgendo il lavoro, camminando per strada sempre in attesa di scomparire.
Ecco, leggendo questo romanzo mi è tornato alla mente la terribile discussione avuta con quell'uomo e sono tornato a commuovermi.

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Due splendide citazioni di Vitaliano Brancati:

"Votero' per la terra ai contadini e per le fabbriche agli operai, ma questo non vieterà che i miei ricordi siano quelli che sono, e che fra le cose che mi hanno fatto tremare il cuore possa trovarsi un braccialetto tintinnante sul polso della figlia di un terriero. Votero' per gli altri, ma conservero' tutti i miei diritti sulle mie sensazioni, i miei sentimenti, i miei ricordi e le mie immaginazioni. Ecco cosi' che la parola mio non puo' avere un suono puro."

"Riconosco l'ingiustizia dello sfruttamento dell'uomo, il mio voto è per chi la cancella, ma le eterne sensazioni dell'amore, della cattiva o buona salute, dell'ozio, del dubbio, della vita non piu' vissuta ma contemplata, queste divinità che hanno trascorso luminose le oscure lotte dei secoli, non mi rassegno a perderle nemmeno per un minuto."

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Splendida la bambina di ieri che va incontro a un ragazzino con un pallone in mano alto venti centimetri piu' di lei e in punta di piedi comincia a schiaffeggiarlo con tutta la forza a disposizione fino a farlo stramazzare a terra proteggendosi la faccia con le gambe raccolte e lei che trionfante gli tira pure un calcio nel culo gridandogli che sua mamma non è una zoccola.


sabato 2 giugno 2018

Ain't Got No, I Got Life - Nina Simone


Perché mi sto ripulendo.
Da dentro.
Rimarrà quello che rimarrà.
Tanto dolore.
Forse solo quello.
E Nina Simone è la vita.

i compleanni in anticipo





Talvolta si festeggiano i compleanni in anticipo per favorire riunioni familiari e pranzi da gourmet.
E con la testa si è altrove.
Un altrove che è casa.
La foto di mia madre che ti fa piangere e non riesci mai a guardarla.
Incapace di esprimerti, le mani irrequiete e sudate che stringono il bicchiere pieno di vino venduto come eccellenza in Puglia.
E vorresti alzarti e mollare tutto e spegnere i suoni come si fa con la televisione.
Perché l'ansia ti spezza dentro.
Ti fa male lo stomaco per il terrore.
Il fluire delle chiacchiere che s'inabissa dentro a tovaglioli, sorrisi, la torta per celiaci.
E quando è ora di tornare a casa sei in colonna in autostrada.
Un incidente, feriti lievi, una bambina tedesca che vi manda baci su baci e sorridete e la madre che vi sorride stanchissima.
Quando sei veramente a casa bevi una birra belga Blanche Namur ricevuta in regalo e ascolti musica del secolo scorso.
Domani tornerai al lavoro.
L'ansia ti prenderà alla gola e come ieri non dormirai un cazzo.
Ti farai del male e basta.
La terza persona irrisolta vale come una Quiche Lorraine.
Poi ti sveglierai e camminerai fino al cinema e incontrerai ragazzine ubriache che tornano a casa stravolte col tanga e le labbra sporche di vodka e rossetto e ti fanno gesti di pompino e vai a casa testa di cazzo con quella maglia dove vai a lavorare?, skaters stesi in mezzo alla strada e flippati in paradiso, quell'altro che ti chiederà di pisciare e tu gli dirai di no perché ne hai pieni i coglioni di gente che ti chiede di pisciare e alla fine della notte che si fa alba e mattina parlerai con Togo e offrirai un caffé a lui e alla sua aiutante.
E parlerai ascolterai.
Con semplicità. 
Di come va il mondo, di come girano le storie notturne, di sua moglie e dei suoi figli e della tua compagna, di assurde deroghe e autorizzazioni comunali, di mutuo per pagarsi l'esistenza e marketing per sopravvivere, della bellezza delle cosce di una russa e della durezza di un cazzo, di quanto il tuo direttore sia un poveretto, di come si sta a Basilea o a Ginevra, delle Centovalli e dei fiori di campo e delle medicine che ti curano il cuore e lo stomaco e il cervello e gli stringerai la mano a Togo e alla sua assistente e gli augurerai Buona Domenica e buona settimana e tornerai a lavorare.