Archivio blog

mercoledì 31 gennaio 2018

Durante le elezioni

Succede che durante le elezioni sono costretto anche controvoglia a parlare di questa rottura di coglioni, a discutere di fantomatici programmi e risoluzioni strategiche ma succede anche che poi questa rottura di coglioni si intreccia a persone che conosco o con le quali ho discusso e litigato  in passato e che nelle elezioni sono direttamente coinvolte. C'è qualcuno, come un caro amico, che sta lavorando alla campagna di un candidato, qualcun'altra che si ripropone senza paracadute nel collegio della mia zona d'origine e che viene da un paese accanto al mio e alla quale andrà il voto di mio padre, un altro (Enzo Cipriano) dal quale ho acquistato un sacco di libri, un'altra con la quale fra non molto mi piacerebbe confrontarmi. 
Ma poi alla fine tutto scorre e finisce e niente di tutto cio' mi interessa, mi entusiasma, mi procura emozione, senso di partecipazione.
Questa roba della partecipazione mi è sempre stata indigesta.
Ieri parlavano che sarebbe arrivata la neve e invece oggi è calato sulla città questo bitume di grigio e vuoto che lascia senza fiato.
Poi arriverà la rottura del Carnevale, poi la Quaresima, la Pasqua e la primavera e l'estate e tutto il resto.

Una ruota infernale che si ripresenta e si ripresenta a ogni battito di ciglia.

...

Mi rilasso e vivo coi libri e le camminate.
La musica.
La scrittura.
Le candele.

....

lunedì 29 gennaio 2018

Wagner, esili riflessioni elettorali, Bobo Craxi, atletica/Evelyne Dietschi, Sherman Alexie


-perché poi in macchina io amo ascoltare Wagner e piangere mentre lo ascolto-

------------

Alle prossime elezioni italiane come al solito non voterò ma ogni volta mi fa star male non trovare un Partito Socialista, o comunque si', c'è ma è totalmente residuale, messo ai margini e senza una vera e propria statura. 
Sto invecchiando, vivo di fantasmi, sono un uomo appassito ma sono l'erede di una famiglia che ha il socialismo nelle sue vene e mi viene il magone quando penso a questo pezzo di storia praticamente spazzato via. Per favore non parlatemi di tangenti, manette, eccetera perché significa non averci capito un cazzo.
Tutti i miei parenti, paterni e materni, provengono da quella storia. 
I miei bisnonni, i miei nonni, eccetera. Qualcuno riformista, qualcun altro rivoluzionario. Qualcuno che è finito nel fascismo, qualcun altro nel comunismo, qualcuno nell'anarchismo, qualcun altro che ha rinnegato tutto ma sono comunque tutti o quasi tutti nati dal Partito Socialista. Mia nonna paterna ha votato socialisti fino a quando ha potuto. Il mio bisnonno venerava Filippo Corridoni. 
Si potrebbero imbastire infiniti discorsi ma non è questo che mi interessa, è solo ripensare a un pezzo, molto ma molto importante, della mia famiglia che è praticamente scomparso e fa star male anche me, perché mi fa sentire un po' orfano e distante da tutta questa marmaglia partitica. Ed è anche per questo che quando leggo Partito Socialista Svizzero un po' mi emoziono ma non a livello politico ma proprio intimo, familiare.

Ci stavo pensando in questi giorni riprendendo in mano questo libro che narra praticamente dell'ultimo capitolo di una storia secolare...e ci ho ripensato anche in seguito all'esclusione di Bobo Craxi e dalla sua area da Liberi e Uguali, a tutte le diaspore e ho pensato a mio nonno e ai suoi occhi:


E a me il suono della parola "Socialista" piace davvero.

....




....

Lavoro vicino allo Stadio comunale di Cornaredo di Lugano con annessa pista di atletica. Se c'è una gara d'atletica in tv la guardo sempre se posso. Sono anche un cento/duecentista mancato. E da tempo vedo una ragazzina correre e correre e correre. Prende e parte. Poi la vedo sul lungolago che sfreccia sfidando le auto ferme in colonna. Corre da atleta e cacciatrice. Corre nella bellezza della corsa. Perché ci sono volte che è proprio bello veder correre una persona. E vi dico che nella mia tristezza costante vedere questa ragazza sbucare dallo stadio in questo modo è emozione pura. Spero che possa coronare tutti i suoi sogni. Lei si chiama Evelyne Dietschi

E onestamente, da ex calciatore, non esiste solo il calcio e che palle davvero.......

----


Finalmente.

....



domenica 28 gennaio 2018

Traduttori e contratti - Al fianco di Strade - Simone Buttazzi

Non sono un traduttore ma leggo tantissimi libri tradotti da donne e uomini in carne e d'ossa dei quali ci si dimentica troppo spesso.

Sono come i portatori d'acqua, dei mercanti di spezie, dei farmacisti che vivono in provincia, dei portatori di buone notizie.

Fra questi c'è anche quell'angelo barbuto, strafigo, elegante, con mani che slvi possono spazzolare tutti o massaggiare e guarirvi da ogni dolore e trauma, con gli occhi di gatto che quando li guardi affondi negli spazi sconfinati di un'Europa bellissima, mezzo bolognese/berlinese/polacco/vegano, Simone Buttazzi.

Ecco se v'interessa sostenete Strade e se andate qui potete capire di cosa si parla quando si parla di contratti, lavoro, soldi e soprattutto rispetto.

(Voci raccolte nei sottoscala cinematografici sussurrano che Simone abbia recitato nel nuovo Twin Peaks e io tutte le volte che riascolto questa musica ripenso alla prima volta che lo vidi e a un maglione che mi aveva acquistato a Milano un giorno mia madre che avevamo camminato senza sosta e lei aveva le lacrime e beveva un caffè dietro l'altro e poi mi aveva spinto dentro a un negozio e mi aveva acquistato questo maglione nero col collo alto, caldissimo. Non me lo fece nemmeno provare. Durante tutto il viaggio di ritorno su un affollatissimo treno pendolare non mi rivolse nemmeno uno sguardo o una parola)

sabato 27 gennaio 2018

Sono Sion, I presunti martiri, Lento, Giovanni Papini



Ci sono giorni come questi che finisco per giustificare quei pazzi che a un certo punto mandano tutto a fanculo, prendono un fucile e si mettono a sparare.
Roba tipo Michael Douglas in Un giorno di ordinaria follia, perché quando è troppo è troppo.
Al lavoro mi è salita prima l'ansia, poi la depressione, infine una rabbia totale verso i colleghi, i team manager perché non è bello sentirsi presi per il culo (io e un'altra mia storica collega), senza mai un vero Grazie, anzi no, fai quello che ti è stato chiesto di fare e ti senti rispondere "Si', vabbè, a me non frega un cazzo, l'hai fatto? Ok" e invece hai trascorso la giornata a trovare una soluzione e una parte di quel lavoro, senza spiegare cosa, me la sono pure portata a casa e la sbrighero' piu' tardi ascoltando un po' di musica e sai pure che quello ha un bellissimo contratto, uno che a me e alla mia collega non faranno mai e mica gliene frega qualcosa a lui di noi.

Poi mangio di fretta e vado in centro che devo controllare se si è finalmente sbloccato un bonifico e poi entro nella solita libreria che in quel momento è vuota, se non per due commessi maschi e una loro collega.
Gironzolo per gli scaffali, prendo in mano il nuovo di Bukowski, sfoglio alcuni saggi e intanto comincio ad andare in ebollizione ascoltando il mix di chiacchiere tardofintobiochicradicalsinistrodemocraticobellepoque che esce dalla bocca dei commessi, una litania fatta di battute sull'arrivo di Trump, la Giornata della Memoria e quanto è buono il kosher e la cultura ebraica ma vuoi mettere quella giapponese e la Anna Felder e potevano mettere qualche libro in piu' dei sopravvissuti e il film di Guadagnino deve essere molto bello e tu la fondue chinoise vicino al Cimitero l'hai mai mangiata? Si', buonissima e pensi di andare in vacanza in Amazzonia? e la mostra di Caravaggio a Milano? e hai letto l'articolo su Internazionale? e quanto mi fa schifo Salvini e io non so come si fanno a leggere ste boiate e se vince la Destra ci saranno un sacco di italiani che emigreranno e chissà quanti...

Ecco su quel "quanti" scambiato con un paio di clienti sono uscito. 
Quel "quanti" anticipava italiani per bene/scrittori/intellettuali & co. che la Destra o chissà chi manderà a spasso.

E allora io ho pensato a tutti quegli scrittori, intellettuali, pensatori & co che non fanno che lamentarsi della censura o di come faticano a trovare spazio e di tutti i nemici che devono combattere, che ce l'hanno col mercato e i regimi di questo o quell'altro colore politico, parlano di resistenza/guerra/ribellione/restaurazione, sono animati dal sacro fuoco dell'Arte pura e poi sai che gli stessi pubblicano con le migliori e piu' grandi case editrici, scrivono sui maggiori giornali/riviste/inserti, vanno in tv come ospiti e presentatori, vengono intervistati in radio, insegnano di qui e di là, fanno o hanno fatto parte di questo o quell'altro partito politico o movimento, lavorano nelle case editrici e scrivono su internet e potrei andare avanti all'infinito ma sono solo dei poveretti e non li invidio per un cazzo.
Mi fanno solo pena e schifo.
Che miseria.

Ecco, oggi è un giorno cosi' e domani è domenica e lavoro e lunedi' e lavoro e martedi' sono libero ma restero' in casa a leggere e usciro' solo per andare nei boschi e sul lago, la mattina prestissimo, se non piove.

E allora i soldi ho preferito darli alla peruviana che suonava il flauto in maniera orribile piuttosto che a quei tre commessi.
Le ho dato tutti gli spiccioli che avevo in tasca e abbiamo sorriso dei nostri volti stanchi.
Perché ci vuole davvero coraggio a chiedere la carità sfidando il freddo e la pioggia e la polizia.

....


.....




...


-qui-

venerdì 26 gennaio 2018

Il tempo che scorre nei palazzi

Ho sempre vissuto in palazzi che davano su altri palazzi, su fabbriche, su villette anonime, su boschi prossimi alla distruzione. Dall'altra parte della strada dove sono cresciuto c'erano ville e villette abitate da gente del paese che aveva fatto fortuna negli anni '60. Li vedevi urlare alle loro mogli o ai loro figli. Li vedevi fingere di non avere soldi. Li vedevi sedersi morenti sui balconi. Sono stato abituato a farmi guardare in casa e a guardare nelle case altrui. Anche senza volerlo. Aprivo la finestra del cesso e vedevo uno che si stava facendo una sega. E adesso sono anni che sto qui in un palazzo con quasi 50 abitazioni che dà su altri palazzi identici, anche se più moderni. Ho pure i rifugi sottoterra. Ho visto donne invecchiare e finire su sedie a rotelle, bambini nascere e strillare tutta notte, altri incominciare a parlare, ho visto pance gonfie e poi bambini e bambine che mi chiamano per nome, ho visto gatti e poi cani dai nomi come Walter o Adolf, ho visto una donna dai capelli rossi, quelli non li ha mai tinti di un altro colore, cambiare un uomo al mese e quando fumavo e mi affacciavo alla finestra per fumare, vedevo alternativamente lei o i vari lui nudi e non potrò mai scordare l'uomo che uscì sul balcone col cazzo in erezione più grande che io abbia mai visto, poi ho smesso di fumare pero' non di bere, e in questo momento lei, che poi vedo al cinema/supermercato/per strada, sembra averlo poi trovato, forse, l'uomo giusto, ho visto uomini in forma che spostavano armadi e divani poi colpiti da paralisi e finire chissà dove, ho salutato una donna senza capelli e poi con la parrucca e poi l'appartamento vuoto, ho ascoltato in diretta la cronaca di un divorzio, tutte le sere, mentre stavo cucinando e lei era davvero una gran merda di persona, ho visto crescere una vicina di casa che adesso potrebbe diventare un'attrice tanto é bella ma intanto di mezzo è arrivato Weinstein e bisogna stare attenti a tutto, poi c'è l'anziana che vive sopra di me che prima che si faceva tutte le scale a piedi e invece ora usa solo l'ascensore ma continua ad andare in Kenya da una sua parente e prega per me, ho visto una donna passare dalla solitudine direttamente all'alcolismo e una volta le ho pure offerto una confezione da sei di birre, c'era anche il ragazzo gay che mi salutava sempre e che poi ha cominciato a farsi ed è diventato uno scheletro e li hanno cacciati tutti e due, lui e il suo compagno, perchè distruggevano l'appartamento e quando l'ho rivisto alla Pensilina mi ha parlato di scrittura e costellazioni, perchè lui scrive e spero che un giorno possa sorridere come quando l'avevo visto la prima volta e mi aveva chiesto se poteva darmi una mano, ho conosciuto bambini che adesso sono ragazzini che mi danno il cinque se non fanno i fighi con la musica hip-hop e c'è un ragazzino che da anni quando mi vede corre per aprirmi la porta e ci picchia sempre contro la testa, ho visto una ragazza passare tutti i look possibili e oggi é stabile sul look Morticia e ha smesso di salutarmi perchè giustamente ai suoi occhi sono solo una merda, ho visto una famiglia canina allargarsi e restringersi e poi allargarsi ancora e gli ultimi arrivati sembrano dei Gremlins, c'è una donna che ha perso l'utero ma è la stessa stronza di prima e mi piacerebbe prendere a calci nel culo lei e tutta la sua famiglia del cazzo e rispedirli in Puglia con tutta la loro arroganza al seguito, ho visto un'anziana festeggiare 95 anni e poi 102, ho visto come il tumore porta disgrazie, c'era un tizio che faceva l'addetto alla sicurezza e che poi un giorno l'hanno arrestato, ho visto un giovane padre piangere sulle scale perché non riesce ad essere un buon padre, c'é un uomo che ha cominciato a tingersi i capelli ma non i baffi, ho visto me stesso nel vetro dell'ascensore guardare gli occhi di mia madre e poi cercarli alle mie spalle, ho visto letteralmente crescere un palazzo davanti ai miei occhi e prima potevo vedere bene le montagne e adesso non tanto bene e poi ho visto l'albero di Natale tutti i giorni uguali e il figlio minore della portinaia diventare un adolescente e quello più grande mettere su una spaventosa massa muscolare ma restando sempre un timido che quasi non mi guarda negli occhi e ho visto questo palazzo popolare e questa casa fatta male, con le finestre nei posti sbagliati, i locali disegnati da un demente, le pareti di cartone, diventare casa nostra. Fino a quando non lo so. Ma intanto per la prima volta nella mia vita sento che questa è davvero per la prima volta casa nostra. Poi domani ce ne andremo e qualcun altro prenderà il nostro posto.

giovedì 25 gennaio 2018

Joy Williams, Charles Bukowski, mia madre, Ezra Pound/Canto 81, Slowdive


È perfetto il titolo che è stato dato alla raccolta di Joy Williams :"L'ospite d'onore" (Black Coffee, traduzione di Sara Reggiani e Leonardo Taiuti) perché ogni racconto ospita una sorpresa che sfida il lettore e la lettrice. Sorprese che stanno nelle sfumature di una pagina, di una singola frase, di un tempo utilizzato, di una punteggiatura, di un ritmo, di un dialogo, di un personaggi. Estranianti e pericolosi, pungenti e vaporosi, pieni di ferite e dolore, di rinascite e mareggiate questi racconti sono tutti da leggere, rileggere. Impossibile, almeno per me, dimenticarli.

Un estratto dal racconto "L'escursione":

"Ogni tanto Jenny dice una bugia. È una bambina piccola, con le sue paure. Ha paura che dal gabinetto escano in volo degli uccelli, storni dagli occhi lucidi e neri. Ha paura degli alberi, dei pesci, delle ossa nella carne. Ogni tanto dice una bugia, ma niente di serio. A volte sembra dimenticarsi dove si trova. Si perde in un luogo che non è la sua infanzia. A volte dice a qualcuno, per esempio alla maestra Coogan della Capt'n Davy Nursery School, che sua madre è morta, e pure suo padre, anche il cane, Tonto. Dice che non ha niente con cui giocare, che in casa ci sono dei macchinari che non sa usare, che vive in una casa dove non ci sono finestre che affacciano sulla strada, che abita con degli estranei. Nessuno la aiuta a capire, deve fare tutto da sola.
Povera maestra Coogan! Le accarezza la spalla. Jenny indossa bei vestiti dall'aria costosa e delle scarpe da ginnastica azzurre. È un amore. Ha i capelli biondi che le ricadono su una fronte piuttosto bassa e un viso interessante, espressivo. Fa tutto troppo velocemente. Che sia l'ora del bagno, di pranzo o della nanna, lei va di corsa. Corre anche quando dorme, con il respiro breve e affannato. Tanta fretta non è necessario. Corre incontro perfino ai ricordi.
Jenny non sa giocare. Quando gli altri bambini giocano lei sta ferma, con la pancia in fuori, a guardarli con espressione distaccata, indifferente. Se una voce improvvisa, diciamo un grido, la sorprende, compie un buffo saltello sul posto. Gli occhi castani si riempiono di confusione. Sbianca o arrossisce violentemente. Eh si', certi giorni Jenny vede tutto nero. Le matite colorate sono morte, le altalene sono morte, persino il piccolo Johnny Lewis, che attende pazientemente la merenda seduto sul suo tappetino, è morto. Ha sete, e quando la maestra gli porta un bicchiere di succo, Jenny è sollevata per lui." (pp. 129-130)

......



...


Il mio Canto 81 di Pound e questo è un piccolo regalo a una persona che passa silenziosa da questo blog e che non sta per niente bene in questo periodo. Un abbraccio a te. E cerchiamo di continuare a vivere anche se forse non è quello che abbiamo voluto. E ci è capitato addosso e forse moriremo un altro giorno. Forse domani. E ci sono giorni che davvero non riesco a capire perché devo continuare a vivere e non trovo mai risposte sensate alle mie domande.
E sto qui su blogger solo per trovare un sacco di scuse.
E perdite di tempo che mi fanno solo stare male e innaffiare il narcisismo di altra merda.

Forse per continuare ad ascoltare un pezzo degli Slowdive come Everyone Knows, sto in vita.
Per ascoltare tutti i dischi degli Slowdive.
Vorrei quasi dire.

Non certo per lavorare, pagare le tasse, contribuire alla società.





Mi basta una risposta del genere.

E mia madre oggi avrebbe cucinato il risotto con la luganiga per me e mia sorella.
Mia sorella vive lontano e non ci sentiamo.
Mio padre lo preparerà stasera e lo mangerà in solitudine e ci sono giorni che spero che si risposi con una delle donne che lo aiuta nelle faccende di casa. La quarantenne coi ricci, la divorziata con due figlie, una delle quali ha un viso d'angelo, la tunisina con gli occhi che sanno di Mediterraneo.
Io non ho voglia di mangiare un cazzo, salvo del formentino.
Preferisco berci sopra a tutto questo malessere e prepararmi per un'altra giornata di lavoro.

mercoledì 24 gennaio 2018

"Il Campo dei Santi", Raspail, Silvia Valerio, Thiene


Mi sono ripromesso da tempo di scrivere le mie riflessioni su questo splendido libro e appena avro' archiviato alcune letture/impegni mi ci dedichero' totalmente. Intanto Silvia Valerio l'ha presentato a Thiene e ne hanno parlato "A Thiene il libro ‘fascista’ di Raspail. Intervista a Silvia Valerio".

E quanto mi fanno bene queste parole: "Si è diffuso un soave terrorismo sociale, per cui ognuno di noi apprende, già dalle prime classi di scuola, quali sono i temi pericolosi da cui astenersi. Così la maggior parte delle persone ha paura: di pensare, di dire, di osservare, di scegliere. Paralizzata, subisce quello che viene imposto dall’esterno e, nel tempo libero, si ammala di tristezza. Quanti, se fossero sinceri, dovrebbero dirsi che la società in cui vivono non è affatto così rispettosa, democratica e felice come si legge sul web? Il Campo dei Santi parla del mondo così com’è davvero. Dell’uomo così com’è davvero. È un grido di ribellione che squarcia i veli del mainstream. È verità, e quindi vita, salute e liberazione."

Libri, Lady Bird, dischi, Reena Sky

Il primo giorno di riposo mi facevano male le spalle e le ginocchia.
Il secondo mi fanno spalle le spalle, le ginocchia, le mani, i polsi e lo stomaco.
E ho pure la luna stortissima e anche se mi fa male tutto fra non molto saliro' in macchina e guidero' fino in Italia per sbrigare alcune commissioni, spedire alcune lettere/pacchi che risparmio soldi, bere un buon caffè, passare in libreria e poi tornare qui a Lugano, rimettere l'auto in garage e camminare senza meta, col cappello, i guanti e la musica nelle orecchie, costeggiando il lago.
In completa solitudine.
Domani si ricomincia e saranno giorni di lavoro votati all'autodistruzione psicologica e fisica.



-qui-



-molto bello e arrivato dritto nel mio cuore-


-riesploso totalmente dentro al mio cuore, un disco bellissimo e quante volte l'ho ascoltato-


-scoperte da pochissimo e qui il video di "A reason"-


-qui-


Una bomba davvero, anche per me che non stravedo per questo genere, e devo ringraziare il mio cuginetto depravato e poi questa recensione di Sentire Ascoltare che mi ha aiutato a inquadrarla meglio e visto che qui si parla di "succhiare 2017 cazzi" ho ripensato a quanto sta accadendo nel mondo del porno . C'è da pensare.



Io intanto mi cambio, esco e vi saluto con Reena Sky, perché oggi sono un po' sfrontato e chissà cosa diranno tutti i cattolici che stanno arrivando sul sito per la recensione di Costanza Miriano.
Lo so, sono un grande peccatore.

martedì 23 gennaio 2018

su "Si salvi chi vuole. Manuale di imperfezione spirituale" di Costanza Miriano (Sonzogno)


Non è più tempo di una fede acquisita culturalmente e data per scontata. Meglio così aggiungerei. Il cristiano del futuro o sarà un mistico o non sarà. Il cristiano del futuro non è uno che è cresciuto così perché gliel'hanno detto in famiglia. È solo colui che ha fatto un incontro vero con Cristo. Questo incontro, che deve essere personale, ha però bisogno di essere fatto dentro la Chiesa, l'unica che può garantire che non stai ailmentando la tua follia proiettando sulla fede il tuo mondo interiore, che non ti stai facendo un Dio a tua immagine. E in questo momento molto particolare della Chiesa, momento in cui – altro che corpo di Cristo ... - ognuno vuole essere se stesso, anche quelli che dovrebbero guidare i fedeli con la responsabilità di non tradire ma di tramandare quello che hanno ricevuto – questo l'etimo di traditio – , ecco, in questo tempo di individualismo anche ecclesiale, bisogna andare alla sorgente, cercare i criteri, ritrovare un cammino, una morale e una liturgia unitari.” (pag. 19)

Ho cominciato a leggere il nuovo libro di Costanza Miriano “Si salvi chi vuole. Manuale di imperfezione spirituale” (Sonzogno) la sera di un giorno lavorativo particolarmente duro. 
Ero tornato dal Cinema molto stanco, nervoso, svuotato e senza voglia di aprire i romanzi che mi aspettavano in camera, di preparare la cena o guardare la tv, nemmeno di lavarmi avevo voglia. Sulla cassettiera era appoggiato “Si salvi chi vuole” e funzionava come una specie di richiamo tutte le volte che ci passavo davanti col bicchiere di birra in mano e allora l'ho preso in mano e mi sono messo nella mia solita posizione preferita di lettura serale. Alla finestra della cucina, da dove posso vedere le montagne e i boschi. E ho respirato e ho cominciato a piegare gli angoli delle pagine e mi sono munito della mia matita preferita per sottolineare i passaggi migliori o controversi. 

Mi è scivolata addosso a valanga tutta una parte della mia vita. Gli anni di formazione e scontro spirituale, il Collegio Arcivescovile, i miei padri spirituali, i ritiri negli Istituti di Don Orione, le chiacchierate con il rettore a proposito di fede e nichilismo e una lunga discussione che risale a quasi venticinque anni fa quando un prete mi disse che sarei stato un ottimo prete o professore e io che gli risposi che la voce di Dio non mi parlava più e non mi ci vedevo in niente e che avrei solo voluto scomparire, andarmene, mettermi a camminare verso l'oceano. Che la mia strada non era quella e non sapevo nemmeno perché. E poi quando lo rincontrai gli raccontai che la fede l'avevo abbandonata definitivamente e che però continuavo a entrare nelle Chiese quando ci passavo davanti per accendere una candela o anche solo per sedermi su una panca a meditare sulla giornata e che tutte le volte che mi vedevo un cimitero recitavo le preghiere per i morti della mia famiglia e per tutti gli sconosciuti. 
C'è stato un tempo in cui mi confessavo quasi tutte le settimane. Obbligato ma anche consapevole che quello che stavo facendo rimetteva a posto le mie giornate. Mi metteva a nudo davanti alle mie colpe, senza cercare scuse, ma elencando quello che avevo fatto di male. E ricordo, quasi con rabbia, un prete che nemmeno ti voleva ascoltare e ti assolveva dai peccati ancor prima di esserti inginocchiato.

Nel libro di Costanza Miriano, che col suo stile colloquiale mescola vita/disastri/gioie familiari e discorsi spirituali, d'incontro, di preghiera, ho ritrovato quel tipo di fede e Chiesa che mi aveva sempre affascinato allora e che non è quella odierna che, in molti casi, sembra essersi trasformata nella brutta e fin troppo accessibile copia di se stessa o nel miglior alleato del laicismo, come se, per paura di scomparire, di finire processata dai custodi della Verità, la Chiesa debba trasformarsi a tutti i costi, semplificarsi in caratteri da Twitter, evolversi non si sa verso cosa e chi, accettare tutto e il contrario di tutto, modernizzarsi con siringhe di botulino contemporaneo ma intanto le chiese restano vuote, i matrimoni religiosi crollano e su tutti i temi etici, morali, anche quelli spicci si ha l'impressione (o meglio la certezza) di una Chiesa in ritirata, finita nel dimenticatoio, riposta addormentata nella scatola dei ricordi da dove estrarre, all'occorrenza, quelle quattro o cinque parabole o verità alternative sempre utili per dar fiato alla bocca, riempire la pagina dei giornali, sfamare i piccioni. 

Una Cristianità che volesse risorgere, con umiltà e semplicità ma anche sfrontatezza, dovrebbe ripartire secondo me anche proprio dalle cinque colonne del monastero che Costanza Miriano delinea nel suo libro:

-la Parola di Dio: “Dio puoi accoglierlo o rifiuatarlo, ma non puoi dire che non c'é, se sei serio. Solo che, quando vuoi fare le cose sul serio, ti accorgi che Dio è una presenza santa, inaccessibile. Il Vangelo racconta questo fatto miracoloso: c'è stato uno che si è messo in mezzo tra l'infinito di Dio e te creatura: se vuoi veramente parlare di Dio guarda a Cristo. Chi è Dio non lo sa il mio cervello, ma è lui che viene e me lo dice. C'è un racconto, e possiamo credere che sia vero o che non lo sia. Però dobbiamo prima ascoltare, che è la cosa più altra che possiamo fare, e la più gradita a Dio.” (pp. 65-66)
-la preghiera: “Una vita senza la preghiera è inutile. Arranchiamo sui vetri. Tutti noi abbiamo memoria del vuoto che è una vita in cui il cuore non è unitario, non è consegnato a Dio (la memoria del nostro vissuto è indelebile). Senza preghiera viviamo disgiunti, separati, spaccati. La preghiera si fa strada da sola, è una luce che cammina, illumina, fa crescere, purifica, rasserena, pulisce il cervello, la memoria, lo sguardo. La preghiera deve portarci a essere sempre più pienamente quelli che siamo. La preghiera diventa gesto, movimento, fa delle scelte.” (pag. 84)
-la confessione: “La confessione riguarda i peccati, e bisogna essere il più possibile precisi, non perchè Dio non sappia, ma perché serve a noi. Quindi non bisogna confessare le strutture del peccato, per esempio “sono orgogliosa”, ma quello che realmente abbiamo fatto. Sono una mamma e non ho pensato ai miei figli.” (pag. 93)
-l'eucarestia: “Ogni tanto ancora mi vergogno di me stessa, ma poi ripenso a quello che una volta ho sentito dire da un sacerdote: Gesù si è fatto battezzare a Bethabara, il punto più basso della terra; per quanto in basso tu possa scendere, Cristo ti raggiunge. Il suo essersi incarnato ha redento tutto, tutto è salvato. Questa terra è buona, il creato è buono, anche una che mangia un cioccolatino durante la messa ha speranza. Non mangiamo la carne e il sangue di Dio non perché ce li meritiamo, ma perché possiamo anche noi imparare a dare noi stessi da mangiare agli altri.” (pag. 110)
-il digiuno: “Il digiuno, come certe devozioni – per esempio alcune Coroncine che assomigliano molto a delle superstizioni -, non è certo inutile, ma non è il fine. Serve a farci arrivare oltre, capire che la cosa più importante è fidarci, ascoltare. Dunque la vera ascesi è obbedire alla vita ordinaria, e cercare ristoro in Gesù, quando intuisci che non ti fa felice nessuno intorno a te. L'ascesi ci fa diventare maggiormente figli e fratelli. Serve a elevare tutte le nostre facoltà verso Dio. Ascesi è, prima di tutto, accettare la realtà, vivere la croce, donarla. L'ascesi è educazione del desiderio, cooperare con Dio che lavorava per la nostra santificazione. La finalità dell'ascesi è vivere di più la vita battesimale, quindi qualsiasi sforzo ascetico, per quanto piccolo e umile, è un passaggio dalla morte alla vita.” (pag. 124)
con gli ultimi due punti che meritano anche quelli di essere vissuti e interiorizzati “Abitare tutti i giorni nella casa dello sposo” (quale sposo mi direte voi?) e “Noi delle strade”.

Ma non voglio aggiungere altro perchè “Si salvi chi vuole”  è sì un manuale di self helping che mescola spiegazioni semplici ma non scontate sulla “lectio” insieme a consigli su “come” e “dove” pregare  e a tragicomiche avventure familiari fra figli e figlie, borsette di struzzo, cellulite, marito silenzioso e amiche e amici e monaci e preti coi quali condividere drammi, emozioni, percorsi, preghiere, consigli ma le parole di Costanza sono soprattutto l'abbraccio di una “madre spirituale” che invita alla costruzione di un monastero wi-fi vivo, fraterno, unito dalla Fede, dalla preghiera, dall'amore, dal sacrificio, dalla vita. 

E per chi come me che la fede non ce l'ha o l'ha persa o ce l'ha lì zoppicante da qualche parte, l'abbraccio di una madre spirituale, imperfetta quanto si vuole, ma sempre madre, è sempre una sensazione gradita, che riporta sempre al mistero dell'amore.

lunedì 22 gennaio 2018

Maisie - Maledette Rockstar (Snowdonia)


Finalmente sono tornati i Maisie. 

Se non li conoscete cercateli e magari ripartite dagli ultimi dischi come "Balera metropolitana":



o come l'indimenticabile "Morte a 33 giri":


e in questo disco c'è una canzone a cui sono molto ma molto ma molto ma molto legato: "L'inverno precoce".

Qui un'intervista.

venerdì 19 gennaio 2018

Billag, Amalia Mirante, Babel', La montagna incantata, Bedouine

Il 4 marzo qui in Svizzera andranno a votare per l'abolizione della Billag, che sostanzialmente è il canone radiotelevisivo. L'ammontare del canone è 451 franchi, fate voi il cambio con l'euro, anche se, complice questo referendum, sarà abbassato di un centinaio di franchi. Un referendum, semplificando, proposto dall'area di destra e liberista/liberale e anime farlocche che sta accendendo parecchio le discussioni e le anime della Confederazione. E potete immaginarvi gli argomenti a sostegno dell'iniziativa: libertà, partitocrazia, vecchiume, essere di parte, tecnologia, mercato, costi elevati di mantenimento, concorrenza, bisogna incassare dalla pubblicità. Ovviamente la controparte, che difende il sistema attuale, non brilla spesso per simpatia e chiarezza.

Per quanto mi riguarda posso solo dire che la televisione di stato svizzera è una televisione di qualità, un vero servizio pubblico, che, nei limiti del possibile, garantisce il rispetto e l'identità delle varie lingue/culture svizzere (tedesca, francese, italiana), la pluralità di idee.  E pensate che sto parlando di una Nazione di 8 milioni di abitanti e di un Cantone Ticino, di lingua italiana, che ne fa 350 mila. Come se la provincia di Lecco avesse una televisione tutta sua, con la qualità di una televisione nazionale. 
Certo, ci sono cadute, pecche, programmi insulsi, programmi che non m'interessano ma per quei soldi posso godermi telegiornali nazionali e cantonali che in Italia ci si sogna, programmi d'approfondimento e dibattiti che nulla hanno da invidiare a quelli, per esempio, della Rai, anzi. E poi film e serie tv di qualità. Per non parlare dello sport. In chiaro uno può vedere tranquillamente tutta la Formula Uno, il motociclismo, lo sci, tutte le grandi corse ciclistiche, i Mondiali di Calcio, gli Europei di Calcio, le Olimpiadi, i Meeting di Atletica, l'hockey (che qui in Svizzera ha più seguito del calcio), due partite della Champions, l'Europa League, una partita della Serie A di calcio svizzera, l'equitazione, la ginnastica,  il Bob e tanti altri sport. E non mancano i programmi di cucina, i documentari, i cartoni animati, la messa.

Ma quello che conta sono la grazia, la qualità, la compostezza della maggior parte dei programmi. Basterebbe, non sorridete, il commento a una partita di calcio della nazionale di calcio svizzera.
Basterebbe fare il confronto con quella italiana per capire la differenza di galassia.
Tutta la vita i commentatori svizzeri.

Di televisione ne guardo pochissima e non sento il bisogno dei canali a pagamento, dello streaming, di Netflix. Non ho il Mulo e nemmeno Torrent. Non mi interessa guardare televisioni monotematiche che rispecchino interamente i miei gusti e interessi. Sono uno che quando accende la tv s'accontenta anche di quello che trova. Anche se è un film che ho già visto, un documentario. Forse sono un uomo di un tempo appassito, non lo so, ma mi sembra che viviamo circondati da troppe cose, troppe proposte, troppa voglia che tutti i nostri desideri debbano essere esauditi a tutti i costi...

Ma non è solo di questo, e nemmeno di difendere la tv di Stato,  che volevo parlare ma anche di lavoro che volevo parlare. Perchè se la votazione passasse sarebbe ovviamente una catastrofe lavorativa. E viviamo in tempi in cui il lavoro è sbeffeggiato, preso per il culo, ridicolizzato. 
Dei quattro morti a Milano cosa volete che gliene freghi alla gente quando stanno per rivotare la gentaglia come Berlusconi o Renzi o Salvini o Grillo o Grasso. 
E in questi giorni ho seguito, sull'emittente privata ticinese (anch'essa, seppur più commerciale, niente male) la coda di una discussione fra uno di quelli che appoggia il referendum, Paolo Pamini, e una delle donne che più apprezzo qui in Ticino, Amalia Mirante (è una docente precisa, sfida l'interlocutore, non si fa mai mettere i piedi addosso e perché è una delle poche sicurezze in un Cantone/Svizzera dove dumping/liberismo/sfruttamento/privatizzazione sono la regola), contraria all'iniziativa, e questo Pamini, uno degli uomini più ridicoli del Ticino, parlava quasi fregandosene dei lavoratori, anzi, sparando fantasmagorie su televisioni e servizi realizzati col telefonino, ovvero la tv modello TG4/Iene/Striscia la Notizia che passa per essere giornalismo. 
Ecco, al di là delle ovvie incrostazioni/favoritismi/stipendi, io penso al compagno di una mia collega, che di stipendi da favola non ne vede, che vive nell'oscurità della tv, che il posto l'ha conquistato e che vive malissimo questa situazione, perché oggi quando perdi un posto “sicuro” davanti a te ti si apre il baratro.
Ecco: mi piacerebbe prendere questo ragazzo e dirgli che da domani può farsi una bella tv da casa. Può andare in giro a filmare i cigni che passeggiano o lo spacciatore di turno. 
Ecco, siamo ridotti a questo.

Boh. 
Non so perché ho scritto di questa roba, forse solo perché sono stanco di questo qualunquismo continuo che imperversa ai giorni nostri, figlio di una certa logica pauperisticoliberistadaglialladrostronzocomunistafascistaservonoioso e diventata una sorta di Bibbia da condividere ovunque.

....


Ancora una volta a una persona ho risposto in privato che:

“No, i libri di cui scrivo o parlo li acquisto o li prendo in prestito dalle biblioteche. Qualcuno mi viene regalato da parenti o amici. Delle stesse persone che ho intervistato ultimamente come Silvia, Cristina e altri, i libri li ho acquistati. Anche tutti i pezzi usciti su Ereticamente sono di libri che ho acquistato.”

E ribadisco che no, non voglio ricevere più libri/dischi/film da case editrici/persone/uffici stampa per recensirli. Su Ereticamente scrivo, molto saltuariamente e quando mi gira e solo dei libri delle Edizioni di Ar, ma è un sito fatto a suo modo.

Tutto qui.

Preferisco dedicarmi a rileggere questi libri:



E "La montagna incantata" è uno di quei romanzi che quando li leggi poi ti viene voglia di non fare piu' nulla o prendere la macchina e andare a Davos. Cosa che faro' appena arriverà la primavera. 
St Moritz, Davos e ritorno.

....


giovedì 18 gennaio 2018

Gli americani che muoiono prima, droga, Slowdive, Quando uccidere non basta

Son partito da qui e poi ho ricordato quando anni fa stavo seduto su una panchina in riva al lago. 
Era un periodo storto. Orribile. Non riuscivo a dormire, ero stressato, mangiavo pochissimo. Avevo la testa vuota ma anche super elettrica. Piena di pensieri negativi, rabbia, rancore e silenzio. Sentivo la voglia di staccare, di rilassarmi e anche di viaggiare, spaccare la faccia ai miei genitori, affogarmi, scrivere, leggere. Avevo trovato in un cassetto una scatola con dei tranquillanti che mi erano stati prescritti e ne avevo preso uno. 
Sarà stato perché lavoravo troppo, perché mangiavo poco e faceva un caldo atroce ma quando mi sedetti su quella panchina praticamente affogai in me stesso. E tutto quello che avevo dentro allo stomaco, nella testa, nel corpo evaporò e rimasi lì come disteso su una nebbia gelatinosa a guardare il lago. E intanto fumavo una sigaretta dietro l'altra. A scuotermi dal torpore fu una donna che si era seduta accanto a me con una bottiglia di birra in mano. Mi stava offrendo una sigaretta del mio pacchetto di Pall Mall rosse chiedendomi com'era la roba, perché la sua non valeva un cazzo e invece io sembravo stare da Dio. Le chiesi un sorso della sua birra e la finii completamente facendola incazzare ma mostrandole i soldi riuscii a convincerla che le avrei offerto una birra al Circolo vicino. Tornammo con quattro birre alla panchina e solo allora riconobbi il suo volto e lei finalmente il mio. Non ci conoscevamo per nome ma ci incrociavamo spesso da quelle parti e fuori da alcuni locali. Si mise a parlarmi dei pischelli che erano finiti dentro alla roba e che se la stavano fumando sulle scalinate che davano sul lago. Bravi ragazzi e brave ragazze semipunk che si stavano facendo fottere dall'eroina, dall'alcool, dagli acidi. Alcune delle quali, una in particolare, avrei conosciuto tempo dopo. Discutemmo del suo durissimo lavoro di cercare soldi e farsi e bere e camminare e parlare e parlare e parlare e cercare soldi e farsi e camminare e bere e finire perquisiti e poi ospedale e poi comunità e via da capo. Da anni. Mi parlò dei suoi studi liceali e di come veniva al circolo per leggere tutti i giornali e che se poteva si portava sempre dietro con sè un libro da leggere. Poesie e Delitto e Castigo. Lo leggo tutti i giorni, mi disse. Parlammo fino a sera di come andavano le cose. Poi andò a prendere la sua dose da un marocchino che di quei tempi avrei tanto voluto uccidere e poi ritorno' in un tempo indefinito e poi se ne ando' definitivamente. Ai miei genitori avevo raccontato che avrei dormito fuori. Semplicemente restai lì su quella riva, di un sabato sera di primavere, mentre mi tornava la lucidità. Non mi accorsi nemmeno di aver comprato un pacchetto di sigarette. La rividi altre volte. Una sera mi propose di smezzare la roba se l'avessi portata in un posto ma io le mentii e le risposi che la macchina non ce l'avevo. 
Son venuto poi a sapere è morta di complicazioni legate a tutti quegli anni di dipendenza. 
Mi capita di incontrare gente che non ha mai smesso di farsi da quando io ho diciotto anni e son vent'anni almeno che si fa.
Una di quelle sere mi disse "Sai, sono una sopravvissuta".
Ma alla fine moriamo tutti.
Non ci sono sopravvissuti a questo mondo.

E poi alla fine mi consolo con loro:

mercoledì 17 gennaio 2018

Scerbanenco, disabilità, Dubus, Girless, Il Campo dei Santi


Per ragioni private e professionali ho sempre avuto contatti con le persone definite “disabili”. Si vive ormai in un tempo dove non si sa più quale termine usare per parlare di queste persone e poi ogni persona è diversa dall'altra. 
Quando lavoravo in Cooperativa mi ricordo che un ragazzo down dava platealmente dell'handicappato stronzo a una ragazza con lievi deficit cognitivi e a me dello spastico mentale. 
Ho conosciuto famiglie (e sono entrato nelle loro case) che cercavano di offrire tutte le migliori possibilità ai propri figli con problemi: dalla scuola allo sport, dall'oratorio al lavoro, dalle vacanze alla dignità dell'aspetto esteriore (capelli e vestiti).
Ne ho conosciute altre che invece negavano al mondo e a se stesse le difficoltà che i propri figli stavano affrontando e allora li confinavano nella bambagia, lontani dagli occhi altrui. Pensando di amarli, di aiutarli e di proteggerli in realtà li stavano privando della possibilità di vivere migliori e piu' dignitose. 
Ho visto coi miei occhi un ragazzo disabile migliorare giorno dopo giorno e solo perché veniva due ore in Cooperativa. Aveva imparato a sorridere e a stare con gli altri. 
Un passaggio tratto da "I milanesi ammazzano il sabato" di Scerbanenco mi ha fatto pensare a una ragazza che rimase in Cooperativa per quasi tre anni. Era bellissima. Capelli biondi, occhi azzurri e fisico da fotomodella. Senza raccontarvi troppo, mi limito a dire che era una ragazza molto molto lenta nei ragionamenti e talvolta finiva in periodi di trance da cui si risveglia come se non fosse accaduto nulla. La sua famiglia aveva negato tutto ciò per anni e sognava per lei una vita “normale”, con un fidanzato, un lavoro e tutto ciò aveva comportato una lunga serie di piccole e grandi tragedie che avevano ulteriormente minato la stabilità della ragazza. Ricordo ancora la madre che si rifiutava di entrare in Cooperativa. Il padre impiego' almeno un anno per comprendere che sua figlia in Cooperativa avrebbe quantomeno imparato a fare qualcosa, avrebbe potuto ottenere il massimo delle sue possibilità. 
In questi ultimi anni mi è capitato di incontrarla in un supermercato e ci ha tenuto a raccontarmi che stava lavorando mezza giornata e che riusciva a spostarsi da sola in treno e che aveva imparato a fare la spesa e aveva capito il valore dei soldi. Aveva il volto finalmente sereno di chi si muove nella vita con qualche paura in meno. Niente. Tutto qui. E per piacere non dite che anche voi non sapete fare la spesa o non capite il valore dei soldi perché se lo dite non avete proprio compreso di cosa sto parlando.

Duca tornò dietro la tavola, cominciava amaramente a capire.
Vi sono nel mondo centinaia di famiglie, decine di migliaia, che si tengono in casa figli malati di mente o deformi, focomelici, epilettici, o con perversioni sessuali, dementi. Se li tengono in casa, specialmente se sono povere famiglie, poveri genitori, o di media agiatezza, i ricchi di solito li chiudono nelle cliniche, loro invece nascondono in casa quella che in fondo considerano, oltre che una disgrazia, una vergogna, imboccano giovanotti di venti anni che fanno ancora la pipì a letto, portano in carrozzella mongoloidi ottusi di dodici anni che pesano cento chili e non sanno ancora camminare; si dissanguano per tenere nascosta la disgrazia, per ammorbidirla, per farla apparire agli amici, e ai vicini e conoscenti, come una malattia un po' lunga, o una cosa normale anche se triste. E quel vecchio e “sua povera moglie”, dovevano aver fatto così, fino ai ventotto anni della ragazza, finché la ragazza non se ne era andata.” (pp. 12-13)


....



Alla vigilia di Capodanno la madre era a una festa, e Molly e Bruce erano nel letto di Molly e a mezzanotte lei lo baciò e gli augurò felice anno nuovo. E a quel punto capì. Si alzò dal letto e si fermò nuda davanti alla finestra, guardando la neve che si era depositata, e gli alberi spogli sul prato. In autunno Bruce sarebbe andato all'università e Molly avrebbe fatto la terza superiore, e lo avrebbe perso per una ragazza del college. E capì di averlo sempre saputo; chiuse gli occhi e cercò di immaginarsi lei e Bruce in piedi nell'erba. Dal letto lui la chiamava per nome. Ma Molly non riusciva a rievocare l'immagine di loro due che si stringevano, con le mutandine sanguinanti e il preservativo vicino ai piedi, i loro corpi tremanti. La voce di Bruce evocava in lei un'altra immagine, quella di un ragazzo che non conosceva ancora, privo di un volto, ma che l'aspettava, nei corridoi della scuola, e un pomeriggio o una sera si sarebbe sdraiato sul letto di Molly e l'avrebbe chiamata per nome. E poi vide tutti gli altri che sarebbero seguiti, alle superiori e all'università e anche dopo, e rabbrividì e spalancò gli occhi e fisso' la neve e il cielo scuro.
Cercò di pensare a quanto di nuovo l'attendeva, a qualcosa che a sedici anni non avesse ancora fatto, ma le sole cose che le venivano in mente erano la gravidanza, il parto la maternità. Tremò di nuovo e lui le disse di tornare sotto le coperte. Ma adesso Molly stava piangendo in silenzio. Sarebbe andata in bagno e avrebbe finito di piangere lì, perché lui era tenero, era sempre buono con lei e avrebbe voluto sapere perché piangeva, e le avrebbe baciato le lacrime sulle guance e gli occhi, come aveva fatto quella sera sul divano di Belinda. E le avrebbe chiesto perché fosse triste, e benché volesse essere abbracciata, e desiderasse i suoi baci, gli avrebbe nascosto quelle lacrime, perché non era capace di parlargli. Avrebbe voluto saperlo fare. Ma sbattendo le palpebre e guardando ancora una volta la neve, tutto ciò che vedeva erano lei e Bruce nell'auto sotto gli alberi, in quella che adesso sapeva essere stata l'ultima notte di adolescenza e non aveva parole per spiegarlo a Bruce, o a se stessa, così si voltò e si affrettò verso il bagno, accese le luci, chiuse la porta e si fermò in mezzo alla stanza, in mezzo a quella luce così intensa che le accecava gli occhi e il cuore.” (pp. 227-228)

....



...


lunedì 15 gennaio 2018

Sleater-Kinney, Occuparsi di, Libri, uno dei miei film 2017


In questi giorni sto (ri)ascoltando parecchio le Sleater-Kinney. C'è qualcosa in questo trio che da sempre mi mette i brividi e mi fa venir voglia di gridare e andarmene fuori dai coglioni ed è quello che spero ogni mattina. 
Prendere la mia compagna, riempire due valigie, due zaini, due sacchetti della spesa con poche cose e andarcene fuori dai coglioni, lontano da qui, dalla mia e nostra famiglia e scomparire.
Dio Cristo quanto ci spero da quel vigliacco che sono.
Ma davvero, quando mi sveglio la mattina è la sola cosa che sogno.
Di tutto il resto non me ne frega un cazzo.

E intanto riguardo il foglietto con scritte tutte quelle cose che oggi al lavoro non dovevo dimenticarmi o fare dopo questo periodo di intenso lavoro natalizio:

-controllare il funzionamento delle luci in sala 4dx
-pulire i sedili fila B, 4dx
-controllare eventuali danni nei bagni e far sapere i guasti in direzione
-controllare la cappa d'aspirazione e i filtri nel locale pop-corn
-girare in direzione l'offerta per l'acquisto dei motori di riserva degli aspirapolvere
-verificare se i vasconi dei pop-corn conservano odori dei prodotti di pulizia
-pulire cabine di proiezione
-cercare alcuni oggetti smarriti
-testare i nuovi prodotti
-ammazzare qualcuno a caso

e mi guardo allo specchio e sono il solito uomo di merda che si era svegliato questa mattina ma anche dieci, venti, trenta, quaranta anni fa.

Che poi arrivo a fine giornata e leggo e basta e cerco altri libri e sistemo il romanzo.



-qui-


-qui-

-----


Uno dei miei film del 2017. Anche perché parla di rapine.

domenica 14 gennaio 2018

Un estratto da "Ipotesi di una sconfitta" di Giorgio Falco (Einaudi)


Mentre parlavo con mio padre mi sono ricordato di un passaggio di questo libro di Giorgio Falco. Camminavamo sul lungolago di Como, sfiorando gli ultras della squadra lariana pronti per la sfida contro il Varese, discutendo di politiche e malattie e io pensavo al padre di cui scrive Giorgio Falco e poi ascoltavo ancora mio padre e riflettevo che per far star bene mio padre devi farlo parlare di lavoro, chimica, calcio, mia madre. Tutto il resto lo fa innervosire. Mio padre è uno di quegli uomini che nel lavoro ha trovato la propria identità. Quando, per ragioni di salute, ha dovuto smettere di lavorare sono emerse la parte aggressiva e insolente del suo carattere, la sua anima spietata e superba. Come se il lavoro funzionasse come una specie di lavatrice dei lati peggiori del suo carattere. O forse lui è sempre stato quest'uomo ambiguo, ambivalente, difficile da capire e solo invecchiando ho potuto capirlo. Ed è anche per questa sua religione del lavoro che non ci capiamo. Per lui la realizzazione lavorativa, il migliorare la propria posizione, avere un curriculum di qualità sono sempre stati il Vangelo. Quando parla con me e gli rispondo che non me ne frega niente del lavoro, di questo e di quelli passati, che questo lavoro di merda che sto facendo mi sta bene perché mi permette di farmi i cazzi miei, lui perde la pazienza. E allora io non gli parlo mai di lavoro. Lascio che sia lui a farlo. Poi certe volte non sto nemmeno ad ascoltarlo. Come ho fatto oggi. Guardavo gli idrovolanti, gli uccelli, i pescatori, le ville e il cemento che hanno invaso le rive. Poi sono risalito in macchina e sono tornato a casa. Prima di salutarci gli ho detto "Sai, non è che mi manchi poi cosi tanto per finire il libro che sto scrivendo. Poi lo sai che ho una concezione del tempo strana ma volevo dirti che ho scritto anche di te. E non so se ti farà piacere". Lui mi ha guardato e mi ha risposto "Cazzi tuoi".

L'estratto:

"Nulla di nuovo. Scrivere del lavoro, del padre, della morte del padre. Come diceva una vicina di casa: si muore una continuazione. Nonostante la toracentesi, il versamento pleurico era inarrestabile, eppure la dottoressa aveva voluto infilare l'ago della siringa nelle spalle di mio padre con gentilezza e cura, come per guarnire una torta di compleanno. Ormai il liquido è dappertutto, aveva detto, nel corridoio. Una delle ultime sere, mio padre aveva bevuto un po' di brodo. Voleva sollevarsi dal cuscino ma non aveva abbastanza forza per stare in equilibrio con le gambe a penzoloni sul bordo, temeva di cadere. Allora mi ero seduto al centro del letto, volgendogli le spalle, cosi' lui aveva trovato un punto di equilibrio appoggiando la sua schiena alla mia: aspirava, deglutiva un po' di brodo e pensavo, è dappertutto, sentivo il suo respiro affaticato, guardavo mangiare il vicino di stanza, un uomo di sessant'anni, che aveva già finito il secondo, raccoglieva l'intingolo con la mollica di pane, era ricoverato per un piccolo intervento, una breve parentesi prima di ritornare a casa.
Un sabato mattina di fine gennaio mio padre era riverso sul fianco, somigliava a mia madre morente, la guancia sinistra appoggiata al cuscino, la bocca aperta in direzione del muro; dalla finestra entrava un raggio di luce che cadeva con intenzionalità sul fiore infilato dentro la bottiglietta, sopra il comodino. Il vicino di stanza aveva detto, condoglianze, poi aveva ripreso a sfogliare il giornale, alimentando l'alternanza tra il sibilo di mio padre e il fruscio della carta. Mi ero accostato alla finestra per guardare il paesaggio delle ultime ore di mio padre. Un albero del giardino ospedaliero spingeva i suoi rami fino a lambire le finestre del quinto piano; su di essi erano appollaiate due tortore ammutolite in attesa della primavera. I rumori dei lavori in corso per la costruzione dell'edificio di fianco giungevano attutiti. Un camion con la betoniera in rotazione manovrava nel cantiere. Dabbasso, schiacciate dalla mia prospettiva a picco sui quindici metri di strapiombo, i visitatori camminavano verso l'ingresso dell'ospedale come burattini unidimensionali; un'ambulanza entrava a passo d'uomo, certificava un mondo ancora vivo. Guardando attraverso i rami dell'albero spoglio, e poi scendendo verso il tronco e le radici lontane che premevano in direzione del muro di cinta, avevo oltrepassato il confine e appoggiato lo sguardo nella terra povera di un giardinetto comunale, e li' avevo visto la statua dedicata a un agricoltore ucciso dai neofascisti nella strage di piazza Fontana; non riuscendo a sostenere l'orrore a lungo, soprattutto quando l'orrore diventa abitudine e indifferenza, avevo guardato l'orizzonte, il liceo in cui avevo studiato e la stradina che, dopo sei chilometri, conduceva al fiume; li' andavamo a fumare durante i giorni in cui bigiavamo la scuola: la stessa stradina che mio padre, alla guida di un Iveco giallo del comune - la scritta scuolabus sulle fiancate e il posteriore - percorreva negli anni Settanta, quando accompagnava a casa i bambini che abitavano in periferia o piu' in fuori, fino alle cascine che confinavano con il fiume; sembrava di ascoltare, insieme al rantolo secco del respiro, il rumore dell'acqua in tutte le sue modulazioni, sia al centro, nella maggiore portata, sia margini, dove l'acqua scompare lasciando spazio alle pietre, non prima di averle bagnate.
Un'infermiera aveva appoggiato un paravento tra i due letti. Di li' a poco era passata con il carrellino del cibo, ripetendo i piatti del giorno. L'agonia era durata una ventina d'ore, fino alle cinque di domenica mattina.
Dopo pranzo ero ritornato in ospedale per vedere la salma nella camera mortuaria. Lungo la strada il cielo era grigio, faceva freddo, avevo lasciato la bici pieghevole a casa e guidato la macchina per una dozzina di chilometri, lambito la breve serie degli ultimi campi rimasti. Poi era arrivata la neve; ormai qui non nevica spesso, ma ancora piu' anomalo era stato l'incontro con un gregge in quei campi tra capannoni e nuove abitazioni. Andavo a vedere la salma di mio padre sotto i fiocchi di neve, il gregge e i pastori al lato del finestrino, non riuscivo a capire dove uomini e animali potessero andare, quale fosse la loro destinazione seguente, sembravano atterrati da un altro pianeta su quello spicchio di campo. Mio padre era ricomposto nella bara, le scarpe quasi nuove, un abito nero, la cravatta, il decoro come fondamento dell'esistenza, fino al termine, anche oltre, nell'infinito disfacimento dei suoi giorni seguenti." (pp. 45-47)


sabato 13 gennaio 2018

Pamphlet, Céline, l'ipocrisia di editori e intellettuali


(la mia mano e la mia copia)

Sorrido sconsolato di fronte all'ipocrisia tumorale di editori e intellettuali e politici e associazioni che si sono opposti alla pubblicazione dei pamphlet di Céline. Una vera e propria pagliacciata. 
Io i miei li conservo gelosamente.
E li riapro quando capita.
Ritrovando le sottolineature dei miei diciotto, vent'anni e anche quelle dell'estate che si ammalo' mia madre.
E poi un foglietto a righe, ingiallito e coi segni della cenere, con scritti in penna nera i titoli dei libri di Céline che allora non avevo ancora letto.
Ogni giorno ringrazio gli dei per avermi permesso di incontrare questo straordinario scrittore e uomo.

giovedì 11 gennaio 2018

Ancora su Matteo Righetto, Filippo Corridoni, il TG4, libri


Se "Bacchiglione blues" mi aveva felicemente sorpreso, "L'anima della frontiera" (Mondadori), ultimo romanzo di Matteo Righetto, mi ha totalmente deluso. Altro romanzo da leggere in quattro o cinque ore ma questa volta la narrazione non decolla mai. Scrittura troppo lineare, ambientazioni (siamo sul vecchio confine fra Regno d'Italia e Austria, nella zona del Brenta/Asiago/Monte Grappa) e periodo storico (gli ultimi anni del XIX secolo) molto interessanti ma che rimangono ingessati sulla pagina senza mai decollare e vivere dentro al lettore. Gli stessi personaggi non affascinano mai se non nelle primissime fasi del romanzo che sono anche le migliori. Un tempo, parlando di musica, un mio amico usava per un certo tipo di dischi il termine "leccato". Come se tutto fosse a posto, preciso, pulito. Ma troppo. Non ho sentito sulla pelle il sapore della frontiera o quella sensazione d'avventura che mi trasmettevano i racconti dei contrabbandieri che facevano avanti e indietro dalla Svizzera. Peccato. E comunque non mi abbatto e vado alla ricerca delle altre opere di questo autore.

----

Una sera di queste la mia compagna m'ha detto accendi su un telegiornale e allora mi son fermato sul Tg4 che era una vita che non lo vedevamo e siamo scesi in una specie di stato ipnotico e nello stesso tempo adrenalinico come quando ti fai di anfetamine. Abbiamo dimenticato di mangiare e ci siamo fatti avvolgere da una scaletta talmente surreale (ovviamente studiata per ottenere quel tale effetto) che a un certo punto ci siamo messi a giocare a cosa sarebbe stato dedicato il servizio successivo. La mia compagna, che è molto piu' sveglia di me e si occupa molto di queste cose, ci azzeccava quasi sempre.

....



In un periodo come questo fatto di stronzate propagandistiche sarebbe meglio tornare a riflettere e ragionare su pensieri e persone di spessore come Filippo Corridoni. In giro se ne sta parlando.

...



-qui-


-qui-