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venerdì 29 dicembre 2017

Alcuni libri di quest'anno, cinema, uno dei miei dischi 2017

Alcuni libri che mi hanno lasciato molto quest'anno, per stile, contenuti, emozioni e spunti di scrittura. Sono quelli che ho qui sul tavolo e che sto spostando da una libreria all'altra:










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Forse sono ancora un bambino, forse sto invecchiando, ma quando lavoro ed entro nella sala più grande del cinema dove lavoro che contiene 408 spettatori e vedo sullo schermo un cartone animato io mi emoziono e commuovo e poi guardo in platea e vedo bambine e bambine con la bocca aperta, altri che dormono in braccio alle madri, altri con la faccia spalmata di cioccolata, altri che restano col dito nel naso come il loro padre per dieci minuti buoni. E allora poi mi rendo conto che tanti discorsi sono inutili. Che ci sono ancora luoghi dove si può respirare la magia. Abbandonare tutto il dolore, i traumi, le liti. 

Non sempre.

Il 26 c'era un padre che ha lasciato la famiglia in sala a metà film ed uscito nel foyer al 1 piano. Ha ordinato una birra, si è seduto su un divanetto e l'ha bevuta lentamente. Aveva il viso stanco, provato. Si capiva che era stanchissimo. Che c'era qualcosa che lo tormentava dentro. È rimasto su quel divanetto fino alla fine del film, in silenzio. Bevendo una seconda birra. Senza fare nulla. Nemmeno il cellulare ha guardato. Io aiutavo dei colleghi a ricaricare i frigo, a preparare il cibo e ogni tanto gli davo un'occhiata. Quando alla fine del film le porte si sono aperte le due figlie sono corse ad abbracciarlo. 
La moglie gli ha chiesto dove fosse stato e lui ha risposto “Mi hanno chiamato dal lavoro. E poi non volevo disturbare”. 


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Il disco dei Cobalt Chapel è uno dei miei dischi 2017. Ne hanno scritto qui.

mercoledì 27 dicembre 2017

Farse conviviali, Carissa's Wierd, Maigret, Valentina Nappi /Fleshlight, Maigret, Geoff Dyer, Mario Vargas Llosa

Succede nelle feste, anche se non ne ho voglia, di incontrarci vedere parenti e mangiarci qualcosa assieme. Quest'anno solo in un'occasione e tra l'altro per due ore, visti i miei impegni lavorativi e ogni che passa per me diventa sempre piu' difficile presenziare a questi pranzi. Non ho niente da dire e non mi va di sentire le solite chiacchiere, discussioni su politica, cibo, soldi, viaggi. Resto seduto su una sedia a guardare nel vuoto in attesa di andarmene. Un tempo avevo almeno voglia di litigare, adesso nemmeno quella. Quest'anno appena i miei parenti si sono messi a litigare sulle prossime elezioni politiche io e la mia compagna siamo usciti in giardino e abbiamo giocato coi cani di mio zio. 
Quando ce ne siamo andati è come se non fossimo mai stati li'. 
Durante il viaggio di ritorno ho ascoltato tutto questo splendido disco, "You Should Be at Home Here" dei Carissa's Wierd, uno di quelli che porterei su un'isola deserta:



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Succede che il figlio di mia cugina qualche tempo fa mi supplica chiedendomi se puo' farmi spedire un pacco contenente un oggetto che vuole a tutti i costi ma che non deve assolutamente finire nelle mani dei suoi genitori. Perplesso gli chiedo di cosa si tratta e lui resta in silenzio e la sera stessa mi manda il link. Scoppio a ridere. Mi dice che è acquistabile anche su Amazon ma che ha fatto un casino e non vuole fare un altro sbaglio perché non ha cosi' tanti soldi sulla carta prepagata e non si fida piu' di se stesso. Gli rispondo che non sono molto convinto che possa arrivare in Svizzera e gli dico di spedirlo a casa di mio padre. Allora lui dice che ci deve pensare. Poi la sera del 24 mi scrive che ha fatto una cazzata gigantesca. Che l'ordine che aveva pensato di annullare, è stato invece accettato e il pacco è arrivato. Filato tutto liscio? gli faccio. Lui tentenna e poi mi lascia un messaggio vocale con cui spiega che al secondo utilizzo è stato scoperto dalla sorella che l'ha detto alla madre e la madre l'ha detto al padre. Niente festa di Capodanno come punizione. E l'oggetto? gli chiedo. "Tua cugina è cosi' stupida che l'ha buttato nell'immondizia. Ci ho messo poco a ritrovarlo. E adesso posso continuare a scoparmi Valentina. E pensa Andy, piace anche alla mia ragazza". 

Questo "passo" è una dedica spassionata a quel ragazzino cresciuto da mia madre e che legge come un ossessionato romanzi e racconti statunitensi.
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Me ne hanno parlato bene e sono molto curioso di leggerlo.


Lo leggero' non appena i ritmi lavorativi rallenteranno e quest'altro invece me l'hanno spedito:


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lunedì 25 dicembre 2017

Consigli di Natale, In Excelsis, Roerich, Silvia Valerio

Per fortuna Natale me lo sto lasciando alle spalle e per fortuna che domani lavorero'. 
Poi sinceramente le rotture di scatole son quasi finite visto che per il resto dei giorni "vacanzieri" saro' continuamente al lavoro.

Se pero' volete spendere qualche soldo per regali in ritardo:


sabato 23 dicembre 2017

Rumori, Davide Bregola, E/O - Amazon, Julien Baker

Tutto questo frastuono lavorativo che si somma a quello natalizio mi sta debilitando. Ore e ore di rumori che picchiano contro i timpani, il cervello, le viscere. Corpi che si ammassano. Fetore che esce dalle loro borse dalla spesa. Richieste su richieste da esaudire. Ogni volta che cerchi un libro, un cazzo di formaggio tutti che ti vengono a chiedere se vuoi un pacchettino. Ci sono pure i ragazzini che alla fine della cassa si sbracciano per aiutarti con la spesa. Li guardo e penso che potrebbero essere i miei figli che gratuitamente o per pochi soldi all'ora vengono istruiti al lavoro. Torno a casa e c'è la mia compagna al computer che sta ascoltando musica perchè i vicini fanno troppo casino, Non riesco a leggere, mi dice. Portami via. Portami in un posto dove non ci siano tutti questi rumori, mi supplica. E mi ritrovo sotto alla doccia, con le mani rotte, le vesciche sulle mani dopo tutti i popcorn di ieri e allora mi sforzo di asciugarmi i capelli, uscire dal bagno e mettermi a leggere.

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Ci sono dei libri come quelli di Davide Bregola che infondono pace. Vuoi per la cura delle parole, per la precisione dello stile, vuoi per le storie che racconta, vuoi per quei campi e fossi, vuoi per la pesca, vuoi per quell'atmosfera quasi magica che confonde ossa di mammut con reliquie, aspiranti suicidi e meteoriti artigianali. Vuoi perché quando mi parlano di grandi cose io ormai mi annoio e comincio a pensare al lungofiume che percorro tornando dal lavoro e che ogni giorno trovo diverso. Son quasi due chilometri di cammino ma ogni volta mi ci riscopro e mi sento un cretino e felice per non essermi accorto di quella tale variazione, di quel balcone, di quella panchina. Una mia collega mi ha detto che sono un essere strano. Ormai non so più nemmeno cosa significhi essere strano o normale e ha smesso di interessarmi. E quando ho letto questi racconti di Davide Bregola ho pensato a quell'anziano del mio paese che tutti i giorni, appena il cimitero apre va a pregare sulla tomba di mio zio, nato nel 1928 e morto nel 1944. Quest'uomo che a quasi novant'anni continua a curare il suo orto, si sveglia alle 5 di mattina, beve una scodella di minestra e beve un bicchiere di vino rosso, cammina per tutto il paese, era uno dei migliori amici di mio zio e suo coetaneo. Tutte le volte che ci vediamo mi ripete, con gli occhi gonfi di lacrime, che la morte di mio zio lo ha ferito più che tutta la guerra. Lui va sulla tomba e prega. Un giorno abbiamo pregato insieme e dalla mia bocca sono uscite parole che non pronunciavo più da anni.

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Applaudo la scelta delle Edizioni E/O.
A loro va tutto il mio appoggio.

Aggiungo che l'idea che Amazon possa trasforma in una piattaforma utile per gli scrittori mi risulta incomprensibile.

E vaffanculo al Codacons.

E aggiungo anche un'altra cosa: sarebbe auspicabile che tutti i soggetti coinvolti nel mondo dell'editoria siano pagati il giusto, dallo scrittore al traduttore, dal correttore bozze all'impaginatore.
E rispettati.
E auspico che gli scrittori non debbano trasformarsi sempre e comunque in venditori Avon o dei profeti della chiacchiera, maestri delle presentazioni, trasformarsi in performer, per poter guadagnare il giusto, anche piccolo, ma il giusto che gli spetta.
A tutto c'é un limite.

Per me l'esempio é mio zio Ezio, fratello di mia madre. Trombettista, suonatore in un complesso e in una banda. Una vita per la musica ma che non poteva smettere di girare per la regione vendendo dolci. Per lui era importante avere una professione. Non è una regola o un comandamento ma è la strada che preferisco. Anche se dura e lo so bene.




giovedì 21 dicembre 2017

Belpietro, Hubert Selby Jr, The Deuce, banche, un vecchio e un cane

Avevo scritto del libro di Belpietro e Borgonovo qui. Nei giorni scorsi Belpietro é stato assolto per questa copertina di Libero:


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Non sono solito prendere medicine (in questo caso sto prendendo del paracetamolo e un “Gola Action”) per i miei disturbi fisici ma non posso assolutamente permettermi che questa gola in fiamme e il naso che gocciola ogni due minuti mi costringano a rimanere a casa dal lavoro. E poi proprio in questo periodo. Non avendo nemmeno la malattia pagata. Di sicuro ogni volta che prendo una medicina succede qualcosa al mio intestino. E si modifica anche la puzza che sale dalla mia urina. La farmacista che me le ha date mi ha chiesto come mai avessi le occhiaie che mi ritrovo e almeno l'ho fatta ridere quando le ho risposto che le avevo sin da bambino.

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C'è una parte in “Ultima fermata a Brooklyn” che è intitolata “Sciopero” e rileggendola mi son chiesto, ma questo vale anche per il resto del libro, cos'avrebbero scritto oggi i vari moralizzatori/moralizzatrici se questo romanzo fosse uscito oggi, soprattutto in Italia. 
Facile che qualche associazione lo avrebbe messo all'indice...e non so perché questa rilettura mi ha messo molta voglia di vedere la serie tv "The Deuce - La via del porno":



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Io quando sento parlare di banche, penso solo all'orrore della riqualificazione della zona davanti a Piazza Garibaldi a Milano con quella cagata di Gae Aulenti, i giardini verticali e il palazzo con la scritta gigantesca di quella merda dell'assicurazione Axa che qui in Svizzera non ha voluto accettare l'infortunio sul lavoro della mia compagna.
Un palazzo, quello della mitica architetta, che é il tempio di Unicredit.
Ecco, tutte le volte che finite in quella piazza non provate orrore per quella merda e per voi stessi?
Io l'ho provata e me ne tengo volentieri alla larga.
Poi si può parlare tutto il tempo che si vuole della Boschi, di Etruria e delle loro galattiche e ovvie responsabilità. (dico ovvie perché non sono nato ieri).
Poi leggi dell'Eni e delle tangenti, che non è cosa nuova, anzi, ma che sono di una portata di altro tipo. Senza mai dimenticare tutta la merda che l'Eni sparge ovunque....pensiamo all'Alaska, fra le ultime notizie.
Ti diranno che c'è di mezzo l'interesse nazionale ma l'interesse nazionale non coincide mai col mio .
Come non capire che si sta guardando il dito senza voler guardare in faccia la bocca spalancata che ti sta per divorare?
E tutti alla ricerca dei voti.
Di concessioni.
Ci hanno pure messo di mezzo le ciotole degli animali.
Tutti a preparare il corredo di lingue nascoste dentro all'armadio da sfoderare.
E le lacrime? Come non dimenticarle? Tutti a piangere e piangere e piangere.

Le campagne elettorali sono una delle robe più vergognose inventate dagli esseri umani.

Perché é di questo che si sta parlando.
Non di altro.
E di copie di giornali da vendere.
Non di altro.

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Non si possono più portare i cani senza guinzaglio e spesso senza museruola ma che bello oggi incontrare sul lungofiume un vecchio che camminava coi sui due collie senza guinzaglio liberi di muoversi senza sentire il tiro del padrone. Io so che i cani possono far paura e mordere ma vedere questo vecchio che richiamava i suoi cani con un fischio e un grido e quei due cani che lo perdevano e lo cercavano e lo seguivano mi ha fatto rilassare. A un semaforo ho scambiato due chiacchiere con questo vecchio. I collie erano due femmine e lui aveva dato loro il nome della moglie e della figlia , una morta da due anni, l'altra appena ventenne. Gli ho chiesto perché non si faceva problemi a lasciarli senza guinzaglio. La sua risposta è stata “Tu a tua moglie e tua figlia gli metteresti il guinzaglio?”

Io adoro questo gruppo, questo cane e questo video. E manca poco a che lo prendiamo un cane.

martedì 19 dicembre 2017

Freddo, Ticonderoga, A Design for Life

Tornato tardissimo ieri da una inutile cena aziendale mi sono svegliato comunque prestissimo e sono uscito a camminare nel gelo. Il lungolago praticamente deserto. Mi sono seduto su una panchina e mi sono gelato il culo mentre rileggevo per l'ennesima volta uno dei romanzi piu' importanti della mia vita che meritava indiscutibilmente questa nuova traduzione di Martina Testa. 
Di Hubert Selby Jr, uno degli scrittori che amo alla follia, ho sempre ammirato e invidiato, fra le molte altre cose, lo sguardo pieno di amore, commozione, empatia che dedica e rivolge ai protagonisti e comprimari delle sue opere. Basti pensare a una prostituta come Tralala.


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Dalla cena di lavoro sono poi tornato a casa a piedi.
Nel freddo.
Fuori dall'ultimo locale dove siamo stati c'era un ubriaco che parlava di Dio, di Isaia, tabulè e matrimoni falliti.
Era seduto su una panchina.
Vestito elegante.
Quando gli sono passato affianco mi ha guardato e mi ha detto che ero una di testa di cazzo e un coglione.
Gli ho stretto la mano confermando ogni sua parola.

lunedì 18 dicembre 2017

"L'amante imperfetto" di Emidio Clementi (Fandango/Playground)


Non so mai cosa e come scrivere di Emidio Clementi e dei Massimo Volume. Dell'Emidio Clementi dei Massimo Volume e l'Emidio Clementi scrittore. Perché sono così tanto importanti per la mia vita che mi sono sempre sentito imbarazzo nel farlo.
Onestamente non so trovare le parole giuste per descrivere l'impatto che i Massimo Volume hanno avuto sulla mia vita. E vale anche i primi romanzi di Emidio Clementi. Come se tutte quelle parole e quei suoni riuscissero a definire il mio corpo in senso fisico. La mia mente, i miei drammi, le mie ansie, le mie avventure meglio di qualunque chiacchiera, racconto agli amici o confessione con uno psichiatra.
Che poi pensavo che fosse limitato a una certa fase della mia esistenza. O ai primi dischi. Ma poi mi sono accorto che ritorno sempre a lui e a loro. E mi piace questa sensazione di essere accompagnato in un viaggio oppure di un approdo sicuro, di una stazione di rifornimento, di una casa diroccata dove poter riposare, di una mano tesa da afferrare per uscire dal fango. 
Quando ci siamo incontrati a Urbino secoli fa dopo avergli stretto la mano non ho potuto fare a meno di abbracciarlo e lui non si è scomposto, anzi, dopo siamo andati avanti a parlare per tanto tanto tempo. Impossibile che se lo ricordi uno come lui che incontra centinaia e centinaia di persone.
E allora poi acquisto l'ultimo romanzo di Emidio, "L'amante imperfetto" (Fandango/Playground) lo porto a casa e mi siedo al tavolo in soggiorno e mi metto a leggerlo e mi alzo da quel tavolo solo quando ho finito di leggerlo. 
Avrei dovuto chiamare mio padre, rispondere ad alcune sue domande e invece sono andato in cucina e ho aperto una birra da 0,5 e l'ho versata in un bicchiere che arriva dall'albergo dei miei nonni e da cui hanno bevuto migliaia e migliaia di clienti e ho cominciato a piangere. 
È un periodo che piango continuamente e quando piango mi viene il mal di testa e io già soffro di mal di testa anche se non piango e se io dovessi scrivervi di questo libro potrei dirvi che mi è mancato il fiato perché mio padre in vari modi mi ha sempre fatto capire che ero una femminuccia. 
Sin da bambino. 
Ero una femminuccia perché diceva che non giocavo bene a calcio con lui anche se poi s'incazzò parecchio quando scoprì che avevo piu' talento di lui, perché non mi curavo esteticamente, perché da adolescente non avevo una ragazza, perché avevo degli amici del cazzo, perché non gli avevo mai chiesto di regalarmi un motorino.
Lui non ha mai avuto bisogno di parlare.
A lui i giudizi piace darli parlando d'altro, d'altri. Suggerendo e distruggendo. A lui piace ferire. Gli piace un sacco. E ancora oggi mi dà, indirettamente, della femminuccia perché sto qui a pensare a lui, a quello che mi dice, a quello che pensa di me, perché non guadagno soldi, perché non sono diventato uno scrittore di successo, perché ho un lavoro di merda, perché non so no morto, perché non l'ho ucciso. 
Mio padre è uno che entrato in un negozio di Lush a Milano ha fatto così tanto il gentile con una commessa molto bella e da poco maggiorenne che la suddetta commessa mi ha poi sussurrato mentre ce ne andavamo “Ma perché ho detto a tuo padre che ho fatto il Liceo Scientifico? Mi ha confuso tutta” e sapevo che si era pure bagnata, li', fra le gambe e se mio padre le avesse chiesto di spogliarsi lei lo avrebbe fatto.
A mio padre viene naturale impersonare la figura del predatore, dell'uomo dal fascino indiscutibile.
Un sacco di donne ci sono cascate.
Ma davvero tante.
La sua ultima segretaria quando mi parlava di lui era come se parlasse del Maschio Alfa migliore al mondo.
Il problema però per mio padre è aver scoperto sulla sua pelle ciò di cui scrive Emidio Clementi in questo romanzo, ovvero aver scoperto l'impossibile, il ribaltamento di posizione: stare con una persona, mia madre, che non solo piaceva agli uomini ma che giocava con gli uomini e con uomini diversi da lui, per carattere, posizione sociale e conto in banca. 
E certe volte sogno di scoprire che mia madre possa aver tradito mio padre e andare a dirglielo per vedere che effetto gli possa fare.
Non preoccupatevi.
So di cosa sto scrivendo.
So cosa significhi essere ridotto in briciole da un tradimento. 
Un tradimento fatto solo di parole e proposte. 
Un tradimento che si sarebbe realizzato con un uomo che era il mio opposto. 
Esattamente ciò di cui scrive Clementi.
Quanto qualcuno ti tradisce con uno migliore di te ma che ti somiglia, uno più intelligente, uno più famoso, uno con più soldi, uno che ha più sicurezze, uno che ha una vita migliore della tua, tu puoi stare malissimo ma poi finisci per accettarlo ma quando una donna o un uomo ti tradisce col tuo opposto, con una persona che consideri insignificante, detestabile, schifosa allora perdi ogni sicurezza. Non conta più nulla. Non sai nemmeno piu' perchè stai al mondo.
Ti crollano tutte le poche certezze che hai.
Non conta più niente.
Ti senti nudo e inutile.
Stupido e vuoto.
Un coglione fatto e finito.
E guardi la donna o l'uomo con la quale stai vivendo con occhi diversi.
E sei costretto a ripartire.
Se lo vuoi.

Tutte le volte che ripenso a quel periodo terribile mi sento soffocare anche solo adesso mentre sto scrivendo.

Le ultime tre pagine di questo romanzo sono bellissime.

sabato 16 dicembre 2017

Maria Elena Boschi, gli inquisitori, mio nipote, I libri di Oz, Joy Williams



Il Pd mi fa orrore (così come le sue costole, i fuoriusciti e il resto dei partiti, movimenti, i cinquestellatistronzi) e mi fanno orrore i sorrisi di Renzi, le trame familiari per riempirsi lo stomaco ma quando ho visto Travaglio scontrarsi su La7 con la Boschi (che mai come quella sera somigliava alla mia cugina evanescente e a una stronzetta di avvocata uscita da qualche circolocattolico/boyscout/preraffaellita) oltre all'orrore mi è salita l'angoscia davanti all'incarnazione perfetta dell'Inquisitore.

Travaglio, insieme a Andrea Scanzi, è uno di quelli che quando lo vedo in tv mi fa venire voglia di applaudire e invitare a cena pure una merda schifosa come Dell'Utri.

Sicuramente meglio un rapinatore che sta gente.

Una volta una collega di mia sorella mi disse che vedere Travaglio le faceva venire voglia di scopare.
Le risposi che per me sarebbe stato come scopare con un torturatore.
Lei pensava che stessi scherzando e probabilmente si bagno' ancora di piu'.

(Oggi su Il Foglio ho letto tre articoli dedicati a questo incontro...pungente è il trafiletto di Andrea Marcenaro)
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-qui-

Quando leggo e ascolto che si pensa di addolcire le favole, renderle politically correct, adeguarle ai tempi da lysoform in cui ci vogliono costringere, io penso a mio nipote che un po' a sorpresa è venuto a trovarmi in questa casa coi suoi genitori. Lui coi suoi capelli biondi e la sua voglia di scoprire parole, lettere, significati, piante, animali.  I suoi genitori gli raccontano favole di tutti i tipi e lui si è innamorato del Lupo di Cappuccetto Rosso. Credo anche per come suo padre gli racconta questa favola.

Quando il papà fa un grande “Ahm” appena il Lupo mangia la Nonna (e questa nonna che è una madre è proprio un buco nero nella vita della mia compagna e mio cognato) mio nipote comincia a muoversi come una fiera che vive nei boschi e ti guarda come se tu stessi per diventare la sua preda. 

E se le favole (semplificando molto) non fanno percepire, ridefinire, rimescolare, celare, suggerire questo precipizio, questa frattura improvvisa, questo senso di stupore e violenza e paura, questo specchiarsi, questo autoraccontarsi/modificarsi/riscattarsi/annullarsi nel mondo, questo confrontarsi con la morale, con le nostre pulsioni a cosa dovrebbero servire?

Forse a nessuno gliene frega piu' niente...

Cos'altro dire?
Sono diventato adulto nell'epoca dei coglioni e delle brave persone sedute dietro una scrivania o davanti a un desktop che hanno paura di tutto.

Per fortuna mio nipote mi ha detto “Szio, tanco?” 
“Tanto tanco Liam”
E mi ha dato un bacio sulla guancia facendomi piangere e poi ha pianto anche lui.

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E chissà cosa ci troveranno di brutto, osceno, violento allora ne Il Mago di Oz (questo al di là di un giudizio critico letterario che ci sta eccome)....e di questi tempi si parla tanto di regali e se siete a corto di idee, riflettete sulla possibilità di regalare questo splendido volume de "I libri di Oz" che raccoglie tutte queste le altre tredici meraviglie.

Io amo da sempre Il Mago di Oz e guardando il film del 1939 di Victor Fleming mi sono sempre commosso che quasi i miei genitori volevano vietarmelo. 
Ma non piangevo per paura ma per invidia.

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Aspetto con tremore l'idea di leggere 664 pagine solo di racconti.http://www.edizioniblackcoffee.it/prodotto/lospite-donore/

mercoledì 13 dicembre 2017

Briciole, Costanza Miriano, Camillo Langone, Domenico Di Tullio, HÅN

Aspetti i giorni di riposo.
E poi i giorni di riposo passano nel tempo di una moka.
Li guardi ridotti in briciole dentro al sacco dell'immondizia i giorni.
Fuori la neve si sta sciogliendo.
Dicono che tornerà a nevicare.
Ci sono le lavatrici da scaricare.
Domani si ricomincia.
I fornitori da chiamare, il disastro del cinema per l'arrivo di Star Wars, la riunione del personale domenica alle 10 di mattina, la cena di lunedi' sera.
Certe volte mi chiedo perché ho smesso di fumare.

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Ammiro tutti quelli che continuano a trovare un senso e una forza per pregare, meditare, confessarsi, aspirare a una dimensione che non sia solo terrena. 
Come se avessero un motivo valido per andare avanti.
E con loro tendo sempre a confrontarmi.
Lo faccio da sempre, coi miei modi e le mie idiosincrasie.
Anche se poi finisco per litigarci, scontrarmi, sbattere contro un muro ma non posso farci a meno e continuero' a farlo.

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Altro libro che leggero' a breve. 
Avevo intervistato Domenico qui.

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Grande scoperta.

"La guerra dei bisonti" di James L. Haley (Piemme)


La guerra dei bisonti. L'ultima grande rivolta degli Indiani d'America” di James L. Haley (Piemme, traduzione di Franca Genta Bonelli) racconta, con grande cura storica e stile avvincente, la grande rivolta di 500 indiani Comanche, Kiowa, Arapaho e Cheyenne nel 1874-75, da cui emergono tutta la statura e dignità dei nativi a confronto con la miseria umana dei Civilizzatori. Una rivolta scatenata dalle solite tragiche cause: trattati disattesi, scarsa distribuzione di viveri agli indiani confinati nelle riserve, razzismo, furia civilizzatrice per convertire gli indiani al verbo del Progresso/Cristianesimo/agricoltura e sterminio dei bisonti che era non solo la fonte di principale approvvigionamento ma sopratutto centro della vita spirituale e identitaria degli indiani nomadi.
Inutile dire che la rivolta contro un nemico numericamente superiore e avanzato tecnologicamente condusse alla sconfitta e allo sterminio, al confinamento nelle riserve e all'esilio nelle prigioni della Florida. Da quel momento in poi il le pianure centro-meridionali degli Stati Uniti sarebbero state pacificate e definitamente aperte alla colonizzazione. Nel volgere di una decina d'anni il problema indiano sarebbe stato definitivamente risolto. Salvo il tragico epilogo di Wounded Knee nel 1890 che mise la parola fine ad ogni residua speranza di resurrezione.

Lascio un primo estratto dedicato allo sterminio dei bisonti. 
Se uno lo legge oggi è impossibile non pensare a tutte le ferite che infliggiamo al pianeta dove siamo ospitati e a tutte quelle che infliggiamo ancora oggi alle popolazioni che vivono a più stretto contatto con la natura o a cui vengono sottratti territori per farne piantagioni, per estrarre materie prime.
Succede anche oggi.
Continuamente.

A New York le pelli erano una sorta di novità – fino a quel momento in città non se n'erano viste molte – e dovettero essere messe in mostra fino a quando non furono vendute. Due conciatori della Pennsylvania videro le pelli mentre venivano trasportate per le strade di Broadway su di un carro aperto e quello stesso giorno, qualche ora dopo, si misero in contatto con John Mooar. Gli offrirono tre dollari e cinquanta centesimi per pelle, somma che Mooar accettò prontamente e poche settimane dopo andarono nuovamente a cercarlo. Dissero di aver fatto delle prove sulle pelli e di essere soddisfatti dei risultati ottenuti, e vollero sapere se Mooar sarebbe stato interessato a un contratto per la fornitura di duemila pelli al prezzo di tre dollari e cinquanta centesimi l'una, per un totale di settemila dollari. John Mooar lasciò immediatamente New York per recarsi nelle Great Plains, le Grandi Pianure, e i fratelli Mooar cominciarono immediatamente a cacciare bisonti con una determinazione che nessuno aveva mai visto prima.
A dire il vero i due Mooar si tennero sempre piuttosto in disparte rispetto agli altri, evitando di mescolarsi con la massa, tuttavia la possibilità di fare soldi, facilmente e in fretta, cacciando le immense mandrie di bisonti attrasse schiere di opportunisti proprio come le carcasse in putrefazione attiravano le mosche; e il business vide una vera e propria esplosione. Dodge City, nel Kansas sud-occidentale, divenne il centro principale del commercio della pelli, e probabilmente le cifre più esatte della carneficina sono quelle riportate dal comandante della locale guarnigione militare, Fort Dodge, il maggiore Richard Irving Dodge: nel solo 1873 le tre linee ferroviarie che passavano per Dodge City portarono via 750.000 pelli; mentre per i tre anni che vanno dal 1872 al 1874 si arriva a un totale incredibile di 4.373.730 bisonti uccisi. Questa cifra, affermava Dodge, si riferiva soltanto alle pelli spedite per ferrovia; fonti diverse aggiungono al totale almeno un altro milione.” (pp. 48-49)

Il secondo estratto è ancora più spaventoso e racconta di cosa aspettava i Nativi e cosa stanno vivendo anche oggi, perché le gigantesche contraddizioni in cui si dibattono oggi le varie tribù sono indissolubilmente legate al genocidio da loro vissuto. E se qualcuno pensa che questo genocidio culturale/fisico sia finito si sta decisamente sbagliando.

The Great Atlantic Coast line
Washington, D.C., 29 giugno 1875

W. J. Walker
Genl. Eastern Passr. Agt.
P.O. Box 852

Onorevole Signore,
sotto gli auspici della Atlantic Coast Line è attualmente in preparazione una Guida della Florida rivolta a coloro che il prossimo inverno hanno in programma di compiere un viaggio nel Sud. Si stanno anche preparando brevi schizzi di molte località interessanti della Florida: desidereremmo pertanto, compatibilmente con il vostro incarico ufficiale, avere le fotografie di alcuni degli indiani incarcerati nel vecchio Fort Marion a St. Augustine, in Florida; tutte le spese saranno naturalmente sostenute da questa compagnia. Chiedo pertanto rispettosamente il vostro consenso e confido che la mia richiesta sarà accolta prontamente e molto favorevolmente. 
Molto rispettosamente
W.J Walker
Genl. E.P. Agt.

All'attenzione dell'Onorevole
Commissario per gli Affari Indiani.”

I potenti capi e i fieri guerrieri, coloro che per mesi avevano terrorizzato le Pianure meridionali dal Kansas al Texas, erano così diventati semplici attrazioni turistiche per i raffinati frequentatori della Costa orientale.” (pag. 330)

(Maggiori informazioni qui. Anche se il libro ha una trattazione ovviamente piu' esaustiva e complessa)

martedì 12 dicembre 2017

"Aquarium" di David Vann (La Nave di Teseo)



Acquarium” di David Vann (La nave di Teseo, traduzione di Andrea Silvestri) è un romanzo straziante e commovente, dall'atmosfera quasi fiabesca, che mi ha lasciato gli occhi gonfi di lacrime al termine della lettura. 
L'ho comprato nell'unica vera libreria della città dopo essere uscito stravolto dal lavoro, sono tornato a casa e ho cominciato a leggerlo finendolo nella notte. 
Ho dovuto bere un paio di birre alla finestra per quietarmi l'animo.
L'immedesimazione in un protagonista non è sempre sinonimo di buoni libri ma in questo caso mi sono totalmente immedesimato nelle due figure femminili: la dodicenne Caitlin trascorre tutti i pomeriggi dopo la scuola all'Acquario di Seattle, ammirando di pesci di tutti i tipi e parlando quasi come una fata con loro (tutte le pagine ambientate davanti alle vasche sono memorabili e che bello scoprire pesci che nemmeno immaginavo e bello vederli anche disegnati nel romanzo), sognando un futuro da ittiologa e la madre, single, Sheri, operaia specializzata al terminal dei container, con un'adolescenza terribile alle spalle trascorsa ad accudire la propria madre morente, e che cerca in tutti i modi di regalare alla figlia un futuro migliore. Due personaggi tratteggiati con grazia dall'autore in tutte le loro contraddizioni e i conflitti che esploderanno (tornerà per farsi perdonare dell'abbandono il padre di Sheri, nel quale l'immedesimazione non è avvenuta e che onestamente è forse l'anello un po' più debole del romanzo, e farà esplodere la situazione), nei loro sogni, nelle loro pulsioni sessuali (Sheri è innamoratissima di Shalini, una bellissima ragazza indiana), nel dolore che stanno vivendo e in quello che hanno causato, causano e continueranno a elargire senza forse nemmeno volerlo. 
Leggere le splendide e atroci pagine in cui la madre costringe la figlia a vivere per due giorni le stesse esperienze da lei vissute quando accudiva la propria madre allettata è stata un'esperienza umana e letteraria imperdibile (al limite dell'autolesionismo) e in queste pagine l'autore offre il meglio di sè per come ha saputo coniugare precisione chirurgica dello stile (l'autore scrive come un'onda marina), tensione emotiva e sguardo lucido sui protagonisti, senza mai ricorrere a gratuiti escamotage per far piangere a comando il lettore e ho sentito nella pelle il corpo prosciugato di mia nonna scossa dal Parkinson che per due anni nei fine settimana veniva lavata, cambiata, nutrita, pulita da mio padre e mio zio e quanto li distrusse fisicamente e psicologicamente quell'esperienza e il corpo di mia madre ridotto a uno scheletro quando le cambiai pannolone, vestiti tutti sporchi e la vidi nuda e morente e la misi sul letto e le feci male perchè toccarla le faceva male e lei che mi diceva “Mi fai male, mi fai male, svegliati Andrea, svegliati, fai qualcosa che abbia un senso nella tua vita!!!!!!!” e io che non sapevo più come muovermi e lei che mi dava istruzioni e io che masticavo vomito, rabbia, dolore, parolacce e quando poi mezz'ora dopo riuscii a metterla a letto, a farla addormentare e mio padre tornò a casa dalla farmacia, corsi fuori di casa e cominciai a correre e arrivai fino alla Cappella della Peste e ci trovai un bambino che pregava in ginocchio su una panca e pensai di avere le allucinazioni perchè somigliava tutto a me quando andavo in quella chiesetta e pregavo per cancellare tutti i miei problemi.
È come se David Vann riuscisse sin dalle prime pagine di questo romanzo a immergerci dentro a una delle vasche dell'acquario e a farci nuotare insieme ai pesci, scoprirli nell'oscurità, chiederci che cosa ci stiamo a fare al mondo, qual è il nostro legame con l'esistenza altrui e soprattutto ci porta laggiù dove si muovono pesci dalle forme inusuali, dai colori splendidi e vite sconosciute per farci riflettere su cosa significhi perdonare ed essere perdonati, se si può o si deve dimenticare il passato e ripartire e se ripartire in quale forma bisogna farlo? 
E ci sono volte, almeno per quanto mi riguarda, che solo stando a mollo nell'acqua calda di un mare o davanti alle vasche di un acquario ho trovato la forza di perdonare, ben consapevole di aver perso per sempre l'occasione più grande per essere perdonato di tutto quello che avevo fatto.

Lascio un estratto e qualche foto di pesce citato in questo libro: 

Mio nonno adesso stava guardando gli altri pesci mandarino, il volto così vicino al vetro che quasi lo toccava. Hai ragione, disse. È quasi lo stesso motivo. Sembra così casuale, ma hanno tutti e due cerchi sulla schiena, uno davanti e un altro più piccolo dietro. Ognuno leggermente diverso pur seguendo un qualche modello. Come se ciascuno di noi si rifacesse a un modello. Come se da qualche parte ci fosse la forma della mia vita, e avessi avuto la scelta tra alcune variazioni, ma non troppo distanti dal modello.
Ricordo che lo disse perché ci ho pensato spesso da allora, all'idea che non ci allontaniamo mai molto, che quella che pare una scoperta è solo la rivelazione di quanto era nascosto ma presente, in attesa. Lo ricordo perché credo possa essere una via per arrivare al perdono, comprendere che per quanto violenta, per quanto spaventosa fosse mia madre, ciò non era dovuto al caso, ma era almeno in parte inevitabile, perché il processo che l'aveva portata a essere quello che era si era messo in moto molto tempo prima e lei aveva sofferto di quel lato della sua personalità tanto quanto me. E nell'attimo in cui mi aveva guardato con disgusto, come se fossi un mostro, non aveva potuto nasconderlo perché era sconvolta. Quando ripenso a tutto quello che accadde quel giorno, mi sforzo di rammentare che era arrivata al limite di sopportazione, mi sforzo di ricordarla prima che mio nonno ricomparisse, prima che fosse messa sotto una tale pressione, quando arrivava a casa e crollava a letto e lasciava che le crollassi addosso e mi aggrappassi a lei come un pesce rana, le mani e i piedi infilati sotto di lei, la morbida possente montagna del suo corpo sotto di me, e sembrava che fossimo il mondo intero.” (pp. 276-277)

domenica 10 dicembre 2017

quando muoiono i cugini

quando muoiono i cugini di tumori al pancreas
e lasciano figli adottati e debiti su debiti dal Brasile alla periferia milanese
tu puoi solo restare a pensare a quanto costa un bicchiere di vino bianco in un bar di periferia
o accendere una candela al primo santo che incontri per strada
e cercare un parcheggio per fare spesa
e intanto guardare scendere la neve
e stare male da cani
perché non c'è detersivo che possa cancellare tutto quel bianco che ti fa puzzare l'anima di cancrena
e quando muoiono i cugini che ci hai parlato tre volte negli ultimi dieci anni
e ci hai parlato di morte e morte e morte
sai che almeno ci saranno altri cimiteri da visitare
altre candele da accendere e altri fiori da acquistare
e allora sorridi
perché almeno avrai qualcosa da fare per continuare a vivere






venerdì 8 dicembre 2017

La solitudine di mio padre e il Natale; Myrkur; Aquarium -David Vann

Io e mio padre non andiamo d'accordo. 
Da anni viviamo in un regime di pace apparente o guerra fredda. O meglio lui si diverte in scaramucce continue e provocazioni, io cerco di non reagire. Salvo poi esplodere e farlo quasi piangere. Ma quando si avvicinano le feste di Natale gli viene quasi impossibile nascondere la sua solitudine e quanto gli manchi mia madre. Perché mia madre durante le feste diventava la donna e madre migliore al mondo. Dai primi giorni di dicembre fino all'Epifania mia madre viveva in uno stato di euforia continua, poi il 7 di gennaio arrivava l'effetto down che mi faceva ridere un sacco. Natale era per lei un'esplosione di desideri da esaudire perché aveva vissuto un'infanzia e un'adolescenza da sottoproletaria al limite della povertà e invece da adulta poteva permettersi molte cose che prima erano solo un miraggio o almeno, si permetteva mandando in crisi nera le finanze di mio padre che le ha sempre lasciato fare quello che voleva. 
Parlo dei regali, del panettone, degli addobbi natalizi. 
Tutto all'insegna di una delicatezza e bellezza fuori dal comune.
Per esempio parlo di palle di vetro, le ultime quattro che ha comprato, per l'albero a 40 euro l'una.  
Senza di lei la casa di mio padre è glacialmente vuota.
Si sente la mancanza di mia madre.
Non serve avergli fatto l'albero o il presepe dopo una discussione con mio padre e mia sorella durata tre giorni perché, non ci crederete, ma scegliere quali addobbi usare è una faccenda complicatissima: ci sono otto scatoloni interi di addobbi.
Nella casa manca mia madre che aveva un quaderno rilegato in pelle che era il diario di ogni Natale con dentro ricette, incontri, regali, propositi, appunti, errori.
Per riportarla in vita mio padre cammina come uno zombie per le strade di Milano, Bergamo, Como, Lecco entrando ed uscendo dagli stessi negozi e bar dove entrava mia madre.
Andando alla disperata ricerca del Panettone Vergani che acquistava mia madre.
Lo fa con meticolosa dedizione ma il vuoto resta e non c'è niente che possa riempirlo.
So che avrebbe voglia di un nipote o di una nipote ma io e mia sorella non esaudiremo mai questo suo sogno.
Mia madre non aveva mai sopportato che io avessi smesso di festeggiare il Natale ma mi chiedeva disperatamente di darle ancora una mano nei suoi acquisti e follie. Di soldi ne spendeva a valanga. Essere nipoti o conoscenti di mia madre era un privilegio e una fortuna. Ricordo ancora che per un paio di guanti che doveva regalare a una sua amica la dovetti portare fino a Bergamo (ho stampato in testa le tre ore di colonna a tornare per colpa di un incidente) visto che mio padre era a Nottingham per lavoro. 
Per me il Natale è invece sempre stato all'insegna della falsità. 
Sorridevo per far contenta mia madre ma non vedevo l'ora che le feste finissero, che i parenti se ne andassero da casa nostra, che ce ne andassimo il prima possibile dalle case dei parenti.
Mi hanno sempre messo angoscia e sono sempre stato male durante le feste.
Adesso solo l'idea di festeggiare il Natale mi mette la nausea.
Tutte le volte che ci penso vedo mia madre morente distesa sul divano accanto all'albero di Natale.
E poi chiudo gli occhi e la vedo che mentre mangiamo piange pubblicamente per la prima e unica volta durante la  sua malattia. Un pianto straziante che ho ancora nelle orecchie. 
E quando smette di piangere mia madre mi guarda e mi dice "Adesso puoi tranquillamente smettere di festeggiare il Natale".
L'idea di sedermi a un tavolo e mettermi in bocca qualcosa, senza che io ci trovi la minima ragione, mi mette la nausea.

Quindi non parlatemi più di Natale che mancano ancora tanti giorni e solo quando si spegneranno tutte le luci, a Gesu' Bambino i pastori avranno messo il pannolone, Babbo Natale sarà tornato a fare le orge con le renne e gli elfi e la Befana si sarà tolta il trucco potro' finalmente tornare a respirare aria leggermente meno inquinata.

(Dimenticavo una cosa: mia madre da quando avevo 7 anni ha sempre fatto preparare il presepe a me.
E la faccenda è complicatissima perché non avete idea di quante statuine sto' cazzo di presepe è fatto e, ovviamente, mia madre non gradiva riutilizzare il muschio finto e allora ogni anno vai a ricomprarlo. Da piccolo c'era quello vero e allora vai a cercarlo e tutta quella cazzo di puzza di muffa in casa.....)
Adesso la versione è alleggerita anche perché sono aumentati i libri e i dvd di mio padre ma fino a quando era in vita dovevo preparare un piano presepe come quello per lo sbarco in Normandia)

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Lo leggero' nei prossimi giorni. Da piccolo non mi piacevano gli acquari ma l'ultima volta che sono stato all'Aquario di Genova sarei rimasto per ore a vedere i pesci girare e girare.

mercoledì 6 dicembre 2017

Biotestamento/dolore; "Unger Khan - Il Dio della guerra"; Città amara

In Senato stanno discutendo di Biotestamento. Argomento sensibile, difficile da affrontare. Si potrebbe parlare di diritto alla vita, di accanimento terapeutico, di diritti individuali, di culto della salute e molto altro. Nella mia vita ho dovuto spesso affrontare questi argomenti perché quasi tutti i miei lutti sono giunti al termine di lunghe e strazianti malattie che hanno lasciato dietro di sè strascichi che non si sono mai risolti. Non credo che una Legge possa risolvere il dolore della vita e certe volte mi sembra che vogliamo invece a tutti i costi alleggerire il peso della malattia, altre volte che vogliamo dai malati un sacrificio immane. Non credo che ci sia un equilibrio. Vorrei scrivere qualcosa di compiuto, serio ma non ci riesco. Ho troppi dubbi dentro di me. Mio padre mi disse che la sua vita è stato un orrore durante la malattia di mia madre ma che sarebbe andato avanti per altri trent'anni in quel modo pur di poterle parlare e vedere i suoi occhi. Forse uno dovrebbe rispondere solo alla propria coscienza ma la morte, se non vi vive fuori dal mondo, non è mai una questione solamente privata. Cosi' come non lo è la vita. Non credo che la vita sia soltanto nostra. Stabilire poi il grado di responsabilità che abbiamo sugli altri e che gli altri hanno su di noi è quasi impossibile. E anche la retorica dei diritti, individuali o meno, mi convince poco.
Penso che questa casa dove vivo, la mia vita intera senza la mia compagna sarebbe vuota e non so come mi comporterei in caso di malattia o malanni. E di questo poi si sta parlando. Quando ci si deve fermare. 
Perché poi a mente fredda si puo' dire quello che si vuole ma nella pratica cambia tutto.
Mia madre era una sostenitrice dell'eutanasia ma quando si rese conto di non avere scampo non voleva sentirne parlare di eutanasia.
Fino all'ultimo volle che le dessi qualcosa per sopportare il dolore ma senza mai addormentarla perché voleva parlarmi, guardarmi, ascoltarmi e dirmi "Sei matto Andrea, quanto sei matto"
E lo so che non c'entra nulla col Biotestamento ma oggi mi sento un po' egoista.

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Uno che invece non si faceva troppe questioni sul togliere la vita agli altri era il mio adorato Barone von Ungern protagonista di questo interessante fumetto.

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Oggi è stato un giorno di riposo in cui dopo essermi alzato alle 6 e aver fatto colazione mi sono seduto sul divano e ci sono rimasto fino ad ora per leggere, correggere qualche pagina e ascoltare musica. 
Alzandomi solo per andare al bagno e prepararmi un piatto di fagioli. 
L'idea di fare altro, uscire di casa, prendere freddo, fare spesa, vedere persone mi mette solo il voltastomaco.

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Libro e film bellissimi.

martedì 5 dicembre 2017

"Una separazione", Katie Kitamura, tradimenti


Ero già rimasto felicemente sorpreso e ammaliato dal precedente “Knock out” (Isbn Edizioni) e sono stato colto dalla medesima sorpresa ammirazione leggendo l'ultimo romanzo di Katie Kitamura “Una separazione” (Bollati Boringhieri, traduzione di Costanza Prinetti) che racconta con occhi femminili una separazione in divenire, un divorzio da sancire definitivamente. Kitamura racconta, con stile asciutto, algido e spettralmente carnale, una storia d'amore giunta al termine che si riannoda nella sua fine, nelle parole da pronunciare o mai pronunciate, nella fedeltà e nella morte, nei segreti e nei tradimenti. Racconta cosa sia una separazione che non avviene mai e che ti resta avvinghiata addosso impedendoti di rivivere e di amare nuovamente.

Mentre lo leggevo mi sono venuti in mente alcuni episodi del mio passato legati al tradimento.

Una volta conobbi una ragazza molto affascinante e dopo una breve frequentazione finimmo a letto. Sembrava l'inizio di una possibile storia, seppur all'insegna del non facciamo troppi progetti, poi una sera che stavo in un bar a bere una birra ascoltai un amico di amici parlare di una ragazza e di come ci era stato a letto la sera prima. Più ne parlava più capivo che stava parlando della stessa ragazza che stavo frequentando. Ne pronunciò persino il nome e confessò di essersene totalmente innamorato. Quella sera bevvi tre birre in venti minuti. Il giorno dopo quella ragazza mi disse che mi amava. La lasciai parlare e da quella sera non risposi più ai suoi messaggi. 
Un'altra volta invece a Milano dopo un concerto mi fermai a parlare con degli amici e conoscenti. Uno di questi stava con una ragazza che mi piacque fin dal primo sguardo. Non mi usciva più dalla testa. Volevo vederla nuda. Volevo assaggiare il sapore della sua fica. Volevo accarezzarle il seno. Un amico al quale confessai le mie intenzioni mi pregò di smetterla perché quel ragazzo era una persona seria ed era veramente innamorato e che io non ero quel genere di persona, che ero ragazzo perbene e che non mi ero mai comportato in quel modo. Gli risposi che non potevo farne a meno e che me ne fregavo delle possibili conseguenze. Forse quella ragazza non era così tanto innamorata del suo ragazzo, forse non lo so, ma riuscii a baciarla, a finirci a letto e la sua fica era aspra come un limone. Ma dopo averla scopata una seconda volta non avevo più voglia di averci a che fare. Lei si mise a piangere mentre io volevo solo tornare a casa. Finì tutto quella sera anche se poi tutte le volte che ci incontravamo parlavamo, bevevamo qualcosa insieme come buoni amici. 
Un giorno trovai quel conoscente in un bar. Stava bevendo un bicchiere di vino, si voltò e me lo versò tutto addosso. Non aggiunse una parola, dimostrando di essere veramente un bravo ragazzo.
Poi tutto è cambiato, non ho più visto nessuno di quelle persone e tramite un parente sono venuto a sapere che loro due si erano sposati e che dopo due anni avevano divorziato perché lei lo tradiva un giorno sì e l'altro anche. 
Una sera l'ho incontrata in giro per la città e sembrava ancora quella venticinquenne di allora, biondissima, appesantita da mille borse dello shopping, la sigaretta sempre accesa e ci siamo abbracciati per la sorpresa. Siamo entrati in un locale, abbiamo bevuto uno, due, tre Martini. Il tempo che è volato serenamente. Ci siamo raccontati di tutti quegli anni trascorsi e poi siamo tornati alle nostre rispettive vite. Prima di salutarci mi ha chiesto “Sei ancora matto come allora?” 
“La mia compagna dice di sì...e tu?” 
“Ci sono giorni che ce l'ho così calda...non ci posso fare niente”

Un estratto dal romanzo della Kitamura:



Ne “Il colonnello Chabert”, il romanzo breve di Balzac dove un marito torna dal mondo dei morti – un'opera che una volta avevo tradotto, anche se con poco successo, non ero stata in grado di trovare il registro giusto per catturare la particolare densità della prova di Balzac, di solito traduco narrativa contemporanea, cosa del tutto diversa – il colonnello del titolo è dato per morto nelle guerre napoleoniche. Sua moglie si risposa subito, a parer suo legittimamente, e diventa la contessa Ferraud. Poi il colonnello ritorna dai morti, mandandole all'aria la vita, ed è lì che comincia il racconto.
Anche se la storia pende dalla parte del colonnello – la contessa è l'antagonista, per quanto la si possa definire tale, ed è ritratta come inesperta, manipolativa e superficiale – lavorando al libro mi ritrovai a simpatizzare con lei, fino a chiedermi se quel sentimento trasparisse dalla traduzione, se avessi scelto le parole senza accorgermene. Certo, la simpatia poteva non essere così casuale: forse lo scopo di Balzac, l'effetto che voleva scatenare nel lettore, era proprio quello. Dopotutto essere senza fede e commettere bigamia senza rendersene conto è un destino orribile.
Forse proprio per via di questa preoccupazione – che si riduce a una questione di fedeltà, i traduttori si preoccupano sempre di essere fedeli all'originale, un compito impossibile perché ci sono più modi, spesso contraddittori, di essere fedeli, c'è la fedeltà letterale e c'è quella nello spirito dell'originale, frase priva di un vero significato – in quel momento pensai a Chabert. Nel mio caso, a scatenare una crisi di fede non era l'inaspettato ritorno di mio marito, ma la sua inaspettata scomparsa: era la morte, più che la vita, a far rivivere una relazione indesiderata, a riaprire una ferita ritenuta ormai chiusa.
Non era questo che temeva Yvan? Che affondassimo sotto il peso delle macerie? La linea tra morte e vita non è impermeabile, le persone e i problemi perdurano nel tempo. Il ritorno di Chabert è in sostanza il ritorno di un fantasma – solo Chabert sa di non esserlo diventato, di non appartenere più al mondo dei vivi, ed è questo il suo dramma – un fantasma o piuttosto un homo sacer: un uomo privo di status agli occhi della legge Chabert è legalmente morto; dopo Chabert e la sua fedifraga moglie o vedova, il personaggio principale del libro é Derville, l'avvocato (il conte Ferraud – in questo caso Yvan – non compare quasi mai).
Ma anche se agiamo nell'illusione che ci sia una sola legge a regolare il comportamento umano – uno standard etico universale, un sistema legale unificato – in realltà ci sono più leggi, ecco cosa cercavo di dire a Yvan. Non era anche il caso di Billy Budd? Il capitano Vere è intrappolato tra due leggi, quella marziale e quella di Dio. Non ha modo di fare la scelta corretta, è tormentato dalla morte di Billy Budd, “Billy Budd” sono le sue ultime parole prima di morire (nel romanzo; l'opera – il libretto è di E.M. Foster – garantisce a Vere la vita, avendo Foster e Britten scelto di evitare il cliché operistico di  un ennesimo cantante che stramazza a terra nell'atto finale).
Solo quando Chabert riconosce che la sua condizione legala è separata dalla realtà - cioè che sarà sempre e solo un fantasma per la contessa, e che perseguiterà i vivi quando non dovrebbe – solo quando riconosce la molteplicità delle leggi che governano il nostro comportamento, solo allora si lascia relegare in un ospizio o in un manicomio, e accetta finalmente il suo status di homo sacer. Chabert rinuncia proprio a quei diritti che ha incaricato Derville di ottenere, vale a dire il riconoscimento del suo status di colonnello e marito agli occhi della leggere. Scivola nelle crepe, oltre il raggio della legge; cessa di esistere.” (pp.154-156)

domenica 3 dicembre 2017

I miei due dischi dell'anno 2017

La fine dell'anno sta arrivando e magari ne arriveranno altri di dischi bellissimi ma da domani io praticamente saro' assorbito solo ed esclusivamente dal lavoro fino alla fine di gennaio 2018 (niente feste, niente regali, niente giorni liberi, niente cene e pranzi, per fortuna) e principalmente mi dedichero' nei miei momenti liberi al mio romanzo e alle letture e allora questi due dischi sono  i miei dischi dell'anno e sono i due dischi fondamentali per l'atmosfera del mio romanzo e li ascolto e li riascolto e contaminano alcuni passaggi delle mie pagine.

Sono questi due sotto i dischi, che non sono solo due dischi ma anche esperienze, persone, percorsi, sfide, tensioni:


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(E il romanzo è in realtà molto intimo e delicato e lo finiro'....lo finiro'...)


E senza di loro in tutte le loro versioni non posso fare a meno.

Oaks Editrice, romanzi, assemblee politiche, Disciplinatha



Oaks Editrice è una delle vere perle del mio 2017. Libri coraggiosi, controcorrente nei fatti, di qualità, intriganti, scomodi, da riscoprire. Qui su Barbadillo un'intervista a Luca Gallesi, responsabile della casa editrice. Nell'intervista si parla anche del proposito di riproporre il mio amato Roger Nimier (non solo il suo bellissimo "Le spade" che usci' secoli or sono per l'allora straordinaria Meridiano Zero) e io spero che accada:


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Vado sulla pagina online di Repubblica e vedo le facce di Speranza, Grasso, Civati e Fratoianni. Accanto a loro vedo la parola "Futuro" e probabilmente devo aver dimenticato che Futuro significhi affidarsi a questa gente.
Meglio il Mago G.
Ve lo ricordate? 
Quello della Galbusera che coi punti vi regalava una tutta rossa come gli atleti dell'URSS?
Mia madre mi aveva fidelizzato agli Zalet della Galbusera. 
Ancora oggi voglio bene agli Zalet.

(e comunque Bersani ispira fiducia solo ai coglioni...il suo è un talento da vero piazzista in stile Arcore di sinistra)
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Sistemavo i libri in una delle librerie e ho tenuto per rileggerli questi bei tre romanzi usciti per la defunta Isbn:


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I Disciplinatha sono uno di quei gruppi che mi hanno trasformato e dato forza alla mia scrittura. Soprattutto "Abbiamo pazientato 40 anni: Ora basta!". Leggo oggi su Il Giornale che stanno per tornare e che bello! : "Oggi si scrive Dish-Is-Nein ma si legge Disciplinatha. Torna l'ala "destra" del Punk".
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venerdì 1 dicembre 2017

Leggere, Gogol', classici, aspettando

È un periodo, anche abbastanza lungo, che quando leggo non sto trovando qualcosa di nuovo veramente sconvolgente che mi segni in profondità. Sto leggendo bei romanzi, ci mancherebbe. Le schifezze o i libri che non mi interessano li sto lasciando dopo poche pagine. Ci pensavo oggi mentre lavoravo. Potrei fare tanti esempi ma stasera mi piace ricordare la volta che scoprii Philip Roth e fui talmente scosso nell'anima che per un certo lunghissimo periodo l'ho quasi evitato, nemmeno annoverandolo fra i miei autori preferiti (lo so è un comportamento assurdo ma è accaduto), o come quella volta che acquistai "Estensione del dominio della lotta" di Houellebecq e mi si fermo' il cuore ed è anche grazie a questo autore che io e la mia compagna abbiamo poi cominciato a frequentarci. La sera stessa che acquistai "Estensione" ero stato invitato fuori a bere qualcosa da un paio di amiche ma quando cominciai a leggere il romanzo mi passo' la voglia di uscire. Uscii lo stesso per senso del dovere ma trascorsi tutta la serata con la voglia di tornare a casa e a un certo punto inventai una scusa e me la svignai. Trascorsi tutta la notte a leggere Michel in cucina e la mattina avevo le occhiaie nerissime perché venivo da sei giorni di lavoro a dodici ore al giorno. Vivevo ancora coi miei e per il resto della giornata non feci praticamente nulla, se non espletare le due o tre formalità casalinghe, il pensiero fisso su quelle pagine. E ricordo ancora che provavo tanta invidia. E rispetto. E amore.
Perché per un libro sono capace di sacrificare di tutto.
L'ho fatto.
E ho anche sbagliato a farlo e me ne vergogno ma lo rifarei anche adesso.
E lo faccio anche adesso.
Nemmeno con gli esordi va meglio, anzi va ancora peggio.
E allora di questi tempi ho riletto questo capolavoro di Nikolaj Gogol' che mantiene una freschezza a dir poco distruttiva...stile, struttura del romanzo, descrizioni, la storia, il personaggio principale e tutti i comprimari....cazzo...:


e allora sto andando di riletture su riletture, magari anche solo per una cinquantina di pagine, di classici ritradotti, di racconti singoli, di libri che ho letto e riletto come le raccolte di racconti della Homes perché poi è arrivato l'inverno e bisogna coprirsi bene, sentirsi coccolati da qualcosa che ci faccia star bene.

O forse perché semplicemente, come diceva mio nonno, sto invecchiando e delle novità praticamente ne sento il bisogno solo quando sanno illuminare la mia strada che è sempre buia o illuminarne di nuove che mi facciano respirare, provare piacere, dissetarmi, spogliarmi e mettermi a nudo.

Di tutto il resto ne faccio volentieri a meno.