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sabato 30 settembre 2017

Altro romanzo deludente, due libri che leggerò, Saul Bellow


Sul sito Einaudi a proposito di "Paradise Sky" di Joe R. Lansdale (Einaudi, traduzione di Luca Briasco) si legge "Scatenato, brillante e violento, Paradise Sky è il capolavoro western di Joe Lansdale" ma io l'ho trovato noioso, violento ma patinato, prevedibile, mai appassionante o divertente. Il western mi piace in tutte le sue forme, di Lansdale ho letto bellissimi romanzi ma questo, da cui mi attendevo grandi cose, non mi ha fatto mai sentire le atmosfere delle praterie, il dramma della schiavitu', il fascino delle sparatorie, il sottile legame fra storia e leggenda, fra dime-novel e vita reale, con un personaggio che non buca mai la pagina. A tutti gli amanti del western consiglio di leggere sempre il capolavoro assoluto "Meridiano di sangue" di Cormac McCarthy, i racconti/romanzi di Elmore Leonard e di Guthrie e quell'altro capolavoro di McMurtry, "Lonesome Dove" che fra non molto tornerà sugli scaffali sempre grazie a Einaudi.

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Due libri che leggero' di una neonata casa editrice:


-qui-


venerdì 29 settembre 2017

In breve su "Soggiorno", Mdp/Grasso, TWIABP&IANLATD



Letto in poco meno di un giorno e mezzo e salvo le pagine iniziali, quelle ambientate in Colorado, non mi ha convinto. La parte piu' consistente del romanzo ambientato nel decadente Impero Austro-Ungarico e successivamente durante la Grande Guerra (sul fronte italiano) mi ha annoiato e deluso. La scrittura si trascina per pagine e pagine senza mai angosciare, interessare, stupire veramente. Peccato perché è raro trovare romanzi che raccontino del conflitto sull'Isonzo, nel Carso dal punto di vista degli Austro-Ungarici. 

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Cos'altro aspettarsi dai presunti uomini di sinistra alla Bersani se non gli applausi per Grasso e la sua possibile candidatura? Che tristezza mi fanno loro e tutta quella diaspora ex Pd.
A questa robaccia preferisco di gran lunga quei folli di Lotta Comunista vestiti come se fossero ancora gli anni '50-'60 che ogni tanto mi capita di incrociare a Como e che cercano inutilemnte di vendermi un giornale.
Un giorno offriro' loro un gelato.
Chissà che paura a vedere tutti quei colori.
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in queste mattine quando mi alzo per andare al lavoro mi guardo allo specchio e mi ripeto nella testa "the world is a beautiful place & i'm no longer afraid to die". la depressione mi prende alla gola. mi mette a terra. e non voglio prendere farmaci. l'importante è camuffarsi. l'autunno mi ha sempre fatto male. il primo freddo. l'umidità. questi colori che tanto piacciono ai romanticoni, a me fanno venir voglia solo di piangere e spararmi. anche se poi sto male in tutte le stagioni, mesi. non c'è differenza. fra il fare o il non fare una cosa. ci si camuffa con tutto. libri, birre, dischi, giornali, passeggiate, discorsi, messaggi, film, silenzi. solo un modo per tirare avanti. mi piacerebbe entrare nella nebbia, scomparire e trovarmi da tutt'altra parte.


-qui-


-e se per caso vedete uno con la faccia sconvolta e con addosso questa maglietta potrei essere io-
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mercoledì 27 settembre 2017

Tribunali, n'drangheta, Hostiles, Krivak, Jung-myung Lee

- Quando mi capita come stamattina di entrare in un tribunale (fra un paio di mesi mi scade il permesso e mi servono delle carte per poterlo rinnovare) vivo sempre quella sensazione dentro e fuori il palazzo (soprattutto fuori) di essere osservato e giudicato per qualche reato commesso. Lo so, spesso sono paranoico ma oggi quando sono uscito ho incrociato lo sguardo di due donne che si dirigevano verso il centro e ho capito perfettamente che si stavano chiedendo cos'avessi mai combinato. Non so perché ma ho sorriso loro. 

- Conosco bene Seregno, Desio, Lissone, Cantu', eccetera. Una parte della mia famiglia vive e proviene da quelle parti. Zone dove girano un sacco di soldi, la gente sgobba e se ne vanta. Se la prende con l'omertà del sud, dei terroni. Ecco. Stessa storia a Lecco. Se provi a parlarne la gente spesso ti risponde che esageri, che non è come in Calabria. Pero' spesso te lo dicono abbassando la voce e guardandosi in giro.



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martedì 26 settembre 2017

Su "Guerriglia" di Laurent Obertone (Sign Books)



In molti liquideranno e forse hanno già liquidato "Guerriglia" e il suo autore Laurent Obertone (Sign Books, traduzione di Catia Lattanzi) come spazzatura di destra, identitarista, razzista, reazionaria, nazista, fascista, complottista, anti-immigrazione, paranoica, folle, sbirresca, machista. 
Come propaganda reazionaria travestita da romanzo. 
Poco importa perché io mi sono innamorato all'istante di questo romanzo. 
Mi sono bastate poche pagine per cominciare a sentir scorrere il conto alla rovescia di questi tre giorni che scandiscono la narrazione come il timer di una bomba pronta a esplodere.
Per sentirmi un po' meno solo quando esco per strada.
Tre giorni per far cadere la Francia e il mondo intero nel terrore, nella guerra civile, negli scontri strada per strada, casa per casa. Tutto che crolla. Niente piu' istituzioni, niente piu' elettricità, trasporti, ospedali, cibo, esercito, servizi sociali, lavoro. Violenze inenarrabili. Il fondamentalismo islamico che straripa. 
Il pretesto? Una sparatoria  fra poliziotti e abitanti immigrati di una delle tante banlieu di questo mondo che causa 7 morti.
Da quel momento è il caos.
Le banlieu si ribellano e gli immigrati, di prima, seconda, terza generazione, con o senza documenti decidono di rivoltarsi.
Laurent Obertone, (che ha trascorso due anni coi servizi di sicurezza per studiare i possibili scenari che ci aspettano) con una scelta che deve molto al cinema per ritmo e cambi di scenario, decide di raccontare la fine della Francia adottando molteplici punti di vista: un vecchio colonnello in pensione, il nipote attivista di destra, il Presidente della Repubblica, un medico reazionario, una giovane blogger di sinistra, i fondamentalisti islamici, una psicologa, un giornalista, contadini, un elefante, una donna incinta e tanti altri e insieme a loro tutti quei volti senza nome che diventeranno carnefici e vittime. 
È un libro dai mille rimandi "Guerriglia", dove senza dubbio si respira la presenza de "Il Campo dei Santi" di Raspail, di MichelHouellebecq , Domenique Venner, Céline e poi senza dubbio tutto quel filone di disintegrazione del mondo raccontato da The Walking Dead, Mad Max, Distretto 13 - Le brigate della morte ma dove Obertone esprime le sua qualità migliori è quando descrive a caratteri lividi un mondo alla deriva, marcio, destinato al tracollo. Lo fa con ferocia e puntualità, lo inserisce nella narrazione dei fatti, trasforma i personaggi in archetipi senza mai ingessarli.
Un mondo europeo schiavo del politically correct, del pensiero liberal-progressista che Obertone mette alla berlina con straordinarie fiammate satiriche che non sono nemmeno piu' satira per come descrivano pedissequamente la realtà, che si dedica anima e corpo all'ultima buona causa sponsorizzata su qualche social network e che se ne frega della propria storia. 
Immigrati che si trasformano lessicalmente in itineranti per far si' che non vengano discriminati (altra cosa per la feccia bianca di provincia trattata troppo spesso come una genia di trogloditi), i sessi che si uniformano in una purea senza identità, il senso di colpa che diventa il cibo costante da mangiare e da professare, una presunta destra identitaria senza spina dorsale, la sottomissione che viene chiamata melting pot, i talk show che sostituiscono la politica, i terroristi islamici trattati come dei poveri diavoli che non sapevano cosa stavano combinando, la tradizione relegata a merce avariata buona da distribuire nei ricoveri, la sicurezza sempre e soltanto vissuta come prigione, il divertimento come unica religione globalizzata, la sinistra che si è dimenticata il popolo e si è rifugiata nell'ideologia dei diritti e dell'accoglienza e si potrebbe andare avanti per ore a descrivere questo incubo chiamato Libertà.
Obertone descrive un ipotetico futuro cupo dove tutto finisce nel baratro, dove gli stessi coglioni che hanno combattuto per il sovvertimento della Francia e che vorrebbero allearsi con le masse islamiche in rivolta vengono travolte ma dove anche gli stessi terroristi finiscono per diventare essi stessi carne da macello della follia.
"Guerriglia" appassiona come romanzo e lo si legge velocemente tanto è incalzante ma si manifesta soprattutto come una profezia, come un pungolo dentro al nostro cuore, come una scossa, come una parabola ante litteram.
Queste pagine sembra davvero una mano, cento, milioni di mani che ti prendono per i capelli e ti trascinano davanti a uno specchio per farti specchiare nel tuo orrore, nel tuo vuoto, nelle tue complicità e silenzi, nel mondo che ti aspetta.

"Sa, un giorno che mi aveva preso la frenesia di impiccarmi, mi interrogai sulla morte di Amleto. Per troppo tempo non si era stati in grado di definirla esattamente. Non esisteva alcun segno clinico inconfutabile. Né il facies cadaverico, né l'arresto cardiaco, né il rigor mortis, né la temperatura, né il rilascio degli sfinteri, né la dilatazione delle pupille... nulla poteva essere assunto come segno certo di morte. Ci si accontentava di parlare di "morte apparente". Si lasciava passare qualche ora e se le apparenza si fossero ostinate contro il presunto defunto, si sceglieva l'abito per la sepoltura. All'epoca, si seppellivano i vivi a centinaia. Quando in epoche successive alcuni lavori sventravano i cimiteri, nei feretri di quei sepolti vivi si rinvenivano cadaveri rivoltati, pugni rosicchiati. Costretti a nutrirsi del proprio sangue per vivere e uccidersi allo stesso tempo. Ce ne siamo resi conto e con l'aiuto della scienza abbiamo imparato a riconoscere meglio coloro che son passati a miglior vita. Lei sa qual è il segno certo della morte?"
"Immagino che me lo insegnerà lei".
"L'OMS sostiene sia la morte cerebrale, il coma superato. ECG piatto per trenta minuti. Distruzione neurologica irreversibile. Piu' chiaramente, il segno è la decomposizione. Quando la cellula non dispone piu' di aria, muore e incomincia il processo di decomposizione. A quel punto possiamo dire che il dado è tratto. Prima non era cosi'. Con le apparecchiature tutto questo si puo' impedire. Continuare a ossigenare le cellule. Siamo noi a decidere che la morte abbia la meglio, quando la vita non riprende da sola".
"Cosa sta cercando di dirmi?"
"Niente di che, a dire il vero".
Il medico aveva fissato la strizzacervelli dritto negli occhi.
"Forse... Forse che siamo già morti da un pezzo ma che non siamo mai stati in grado di coglierne il segno inequivocabile". (pp. 251-253)

domenica 24 settembre 2017

Democrazia digitale e cinquestellata, Guerriglia, la mia domenica

I cinquestellati hanno rotto il cazzo per anni con la loro democrazia diretta, la partecipazione, la democrazia internettiana dove tutto viene messo in comune e si dialoga/discute/ci si confronta/sicagamerdalcervello e poi la piattaforma scricchiola, i votanti sono una miseria rispetto all'universo digitale di esseri umani rivoluzionari di cui si sono sempre riempiti la bocca, i risultati arrivano in tempi biblici, l'investitura del capo supremo piove dall'alto a incoronare a un mentecatto impresentabile, un sindaco sorridente si dimentica dell'app che per uno del suo partito dovrebbe essere come l'ossigeno (ovviamente arrivano le pseudo scuse...ho ricevuto cicchetti e lettere di licenziamento per molto meno)...: insomma il perfetto pacco regalo per gli italiani e per tutti coloro che si riempiono la bocca di cambiamento.

Tra l'altro la loro kermesse mi ricorda (non ci sono stato, faccio venia, lo so) un incrocio fra quelle di CL/Azione Cattolica, le feste dell'Unità, le sagre di paese coi comici/salamelle/insulti belluini, quelle dei rivenditori di macchine che cercano di venderti l'ultimo modello della supermacchinadelcazzo.

Mi consolo con Céline:

"Per mettere in moto l'intelletto nella testa di un coglione, è necessario che gli capitino tante cose e tutte molto crudeli."

Tra l'altro questa citazione è inserita in un libro molto bello di cui scrivero' fra non molto e che si intitola "Guerriglia" di Laurent Obertone e che descrive un mondo di oggi, prossimo a venire, dentro di noi e che deve molto al romanzo di Raspail "Il Campo dei Santi"


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Quando ti fai un culo immane dalle sei di mattina per una visione privata di una ventina di stronzi che si affittano il cinema per i loro comodi come puoi non aver voglia di uccidere qualcuno?
Per fortuna c'era il ciclismo in tv.

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sabato 23 settembre 2017

Storia del West, Brasillach, Moby Dick/L'Isola del Tesoro, Chabon/Whitehead, Giuseppe Cruciani



Ho amato alla follia e la amo ancora oggi  la "Storia del West" che conobbi da bambino in una stanza d'ospedale. Ne conservo ancora tutti i numeri e mai me ne separerò. Se vi interessa fra pochi giorni esce per Bonelli un libro che ne ripercorre la storia.

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Ho riletto per l'ennesima volta in questi giorni durante le pause, al bagno, sull'autobus "L'Isola del Tesoro" e come al solito ne sono stato rapito. Moby Dick e il romanzo di Stevenson sono i pilastri della mia infanzia/adolescenza e tutti e due mi hanno fatto innamorare per la prima volta di personaggi "negativi": Achab e Long John Silver. O meglio, mi hanno insegnato a guardarmi allo specchio e a riconoscermi/ci. A scoprire quanto di doloroso e oscuro ci fosse dentro di me. Funzionarono e Moby Dick lo rileggo spesso ancora oggi come dei catalizzatori del mio cuore. Come delle medicine curative e insieme come un abbraccio che mi ha fatto e mi fa sentire meno solo.

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Due romanzi che aspettavo da tanto tempo e che stanno per arrivare:


-qui-


-qui e di Chabon non smettero' mai di suggerire lo straordinario "Il sindacato dei poliziotti yiddish":

  
e di cui avevo scritto qui.

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Di Cruciani penso tutto il bene e tutto il male possibile. In realtà gli voglio bene perché ci ritrovo molto di me. Leggero' questo libro che mi viene regalato da una cugina supervegana ma che si scoperebbe Cruciani anche in mezzo alla strada.

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Alla politica preferisco i campionati del mondo di ciclismo di Bergen.

giovedì 21 settembre 2017

Lawrence Osborne


Sotto il temporale i neon erano traslucidi, infantili. Oltrepassarono il Sorya Mall, uno spazio aperto pieno di bar e divani, e alla fine arrivarono nella Strada 136 e davanti all'internet café, dove il guidatore lo depositò. Bagnato fradicio, si precipitò dentro e al prezzo di mezzo dollaro si sedette a un terminale dietro la vetrina.
Aveva pensato di controllare l'email, ma adesso non ne era più tanto sicuro. Entrando nel suo account avrebbe rivelato agli eventuali interessati dove si trovava. Non sapeva chi poteva averlo cercato fino a quel momento, ma alla lunga la sua ragazza a intermittenza, Yula, si sarebbe preoccupata, e magari anche i suoi genitori; incredibile, ma non aveva pensato a loro. Poteva essere decisivo aprire Gmail. Decisivo, cioè, in prospettiva. Ecco perché temporeggiò prima di farlo.
La mano esitava sulla tastiera; via via si rilassò e la ritrasse. Doveva pensarci bene, non era più sicuro di voler tornare. Si preoccupava solo di sua madre, anche se c'erano altre cose di cui tener conto, mille faccende lasciate in sospeso dentro un'accozzaglia di responsabilità. 
Per questo rifletteva spesso su quanto lui fosse poco inglese, dato che andar via non si stava dimostrando difficile come aveva creduto. Anzi. Si rivelava facile e innocuo, almeno per lui. E se il perché andava chiarendosi ai suoi occhi, forse pian piano sarebbe parso chiaro anche a tutti quelli che aveva intorno. Non era vera e lo sapeva, ma sperava che di lì a poco andasse proprio così. Se fosse uscito dalla porta senza tornare, alla fine gli altri avrebbero capito. Non aveva senso dare spiegazioni a un coro di gente risentita. Se non erano in grado di capire, non avrebbero capito comunque. Di solito la gente apprezzava il posto dov'era nata e cresciuta. Mugugnava, sì, ma lo amava; non poteva vivere senza. Lui non era affatto così e adesso gli era chiaro. Non c'era niente del suo paese o della sua vita laggiù che amasse o che avrebbe difeso fino alla morte. Non gli piaceva niente di quel modo di vivere. Era ristretto, triviale, e la polizia osservava tutto quello che facevi e che pensavi. Era un modo di vivere che si autogiustificava come il vertice della libertà, ma una volta succhiata via la libertà non aveva ideato un'altra ragione per esistere. Non c'era nemmeno il sesso, nemmeno il sole. Però c'era l'assistenza sanitaria, tanto che se vivere costava un botto, almeno si moriva gratis. Una società fondata sulla morte gratuita.” (pp. 70-72).

È  un romanzo che mi ha fatto sognare e gelare il sangue insieme e che mi ha messo voglia di bruciare tutti i miei documenti e andarmene. 
Lo amerete se vi piacciono le atmosfere di “Un americano tranquillo”, le tenebre conradiane, se siete affascinati da un Oriente (Cambogia/Vietnam/Thailandia) che vi resta attaccato alla pelle e che non ha nulla a che fare col sushi preconfezionato, se vi piace girare in barca sui fiumi e per laghi, se vi trovate a vostro agio negli alberghi/residence improbabili e fuori mano, se quando incontrate una donna orientale ne subite il fascino appena vi guarda, se pensate che catastrofe e essere umano vanno splendidamente a braccetto, se pensate che i crimini di Pol-Pot siano stati qualcosa di davvero disgustoso, se pensate che ci sia un destino ad attendervi e che i soldi spesso siano stregati, se credete ai fantasmi come qualcosa di fisico e non di immaginario, se credete nella vendetta e che bisognerebbe portarla a compimento, se vi piacciono gli alcolici e le droghe e vi piace abusarne, se vi piacciono quelle storie che non conducono a nulla ma che non potete fare a meno di seguire, se vi piacciono i confini ma vi piace anche oltrepassarli, se vi piace girovagare fra i templi abbandonati, se pensate che prima o poi bisognerebbe abbandonare tutto e rifarsi una vita altrove con un nuovo nome e solo il presente.

mercoledì 20 settembre 2017

Boxe, Be Forest, Swans, Milano, il mio paese, Adriano Tilgher, Space Oddity

Amo la boxe e saluto con riconoscenza Jack LaMotta, uno dei grandi di una boxe che non tornerà mai più:


Per non rimanere ancorati a Scorsese a me piace consigliare sempre in tema di boxe:




-perché è lancinante-


-anche se non c'entra con la boxe ma trasmette tutto quanto rende la boxe una traversata melvilliana-


-perché la boxe è tutto-
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Due dischi rimessi in ascolto:


.un capolavoro.

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Milano e il mio paese mi fanno sempre più schifo.
Caro Kim spara il tuo missile nel centro del paese da dove provengo.
Radilo al suolo.
Fregatene di Guam.
Fammi questo regalo.
Poi ti regalo tutti i giochi della playstation che vuoi.
Anche quelli ambientati in Svizzera.
Quelli che sai tu.

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martedì 19 settembre 2017

Un bambino



C'è un bambino del mio palazzo che tutti i giorni viene rimproverato da sua madre quando rientra in casa da scuola o dalle sue scorribande.
È un bambino dal volto cupo ma dal sorriso sconvolgente.
Facile capire che ai compiti preferisce giocare coi suoi amici, sfrecciare per le strade del quartiere in monopattino e bicicletta, darsi da fare con la playstation.
Oggi, verso le 18, sua madre gli ripeteva che se non studia e viene bocciato poi da grande se ne accorgerà.
E lui, mentre sfogliavo la posta e cercavo le chiavi di casa, mi ha guardato e ha chiesto conferma.
Io gli ho soltanto sorriso e lui mi ha strizzato l'occhio compiaciuto e strafottente.
La madre mi avrebbe quasi ucciso.
Come si fa a dire a un bambino di 10 anni che dovrebbe pensare al lavoro quando ha una bicicletta con cui esplorare il suo piccolo grande mondo?
È anche per questo che non sarò mai un padre.
Ed è anche per questo che non ho mai sopportato la scuola e le sue aule del cazzo.
Il futuro che mi veniva prospettato da maestre, insegnanti, genitori, parenti mi era del tutto indifferente e insopportabile.
Mia sorella dice che oggi sto raccogliendo i frutti marci del mio modo di vivere.
Sarebbe interessante sapere quali sono quelli che ha raccolto lei visto la gente di merda che frequenta da anni.


lunedì 18 settembre 2017

Buio, It, Lawrence Osborne, Estremo Oriente, Samurai, Berto Ricci, Nocturama, il freddo




Sono stati giorni di lavoro durissimo mentre leggevo questo affascinante e torbido romanzo di Lawrence Osborne (ho gradito parecchio che l'autore abbia citato Malcolm Lowry) su cui conto di scrivere meglio nei prossimi giorni. E mentre lavoravo, cercavo di risolvere problemi, mi spaccavo le mani, la schiena, la testa, lo stomaco ripensavo a questo romanzo e a Hang e a Ooy. In giorni come questi,  dai ritmi impossibili e che si protrarranno senza tregua (salvo i riposi) fino all'estate prossima, ho sentito la mancanza dei loro sorrisi, della loro furbizia, dei loro fantasmi, dei loro corpi, dei loro abbracci, delle loro ricette, del loro essere altro. 
Peccato che se ne siano andate.
Di questo autore ho puntato anche quest'altro libro:


Per l'Estremo Oriente nutro un'attrazione fortissima.
Mio zio che ha lavorato per decenni fra Giappone e Italia mi dice che mi ci troverei bene.
Chiacchiere.
Me l'ha detto pero' anche un mio collega che ci è rimasto sei mesi per migliorare il giapponese e le arti marziali.
Poi capire che cosa sia l'Estremo Oriente è un'operazione interessante ma altrettanto vana e stucchevole.
Mi guardo intorno con nelle cuffie questa canzone e penso che nell'ultimo mese ho parlato a voce solo con la mia compagna, i miei colleghi, qualche commessa, sconosciuti per pochi minuti, mio padre e mia sorella.
Ma sto su internet e parlo principalmente solo a me stesso.

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Due uscite molto interessanti per Idrovolante Edizioni:


-qui-



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E purtroppo è arrivato il freddo.
7 gradi stamattina.
Pochi anche adesso.
Aumenta la mia stanchezza.
Mi toglie ogni forza per uscire di casa anche solo per spedire tre lettere.
Ancora peggio per andare al lavoro.
Arriva It fra poco.
Non m'interessa se sarà una boiata ma in questo momento ho bisogno di It.
Mi serve per sopravvivere.

sabato 16 settembre 2017

Meglio Belen, patentino per politici, Han Kang, Tv, Chelsea Wolfe

Forse a Bianconi bisognerebbe spiegare che cos'è veramente Gucci, come sfrutta i suoi lavoratori, come si lavora nei centri di logistica.
Ma tanto non servirebbe a nulla.
Niente di nuovo sul fronte money, ascoltiamo le loro canzoni come semplici canzoni pop e lasciamo stare.
Continuerebbe a concionare di liberismo, di deriva nichilista di questo mondo, parlerebbe di spiritualità camuffato da artista maledetto.
Che noia questa gente, ne ho pieni i coglioni.
Il tanto citato Piero Ciampi gli avrebbe sputato addosso, per non parlare di uno come Buk o di uno come Céline che ai soldi era attaccato col cemento ma che era veramente controcorrente e che ha vissuto le sue scelte, condivisibili o no, sulla propria carne.
Ai presunti cantori dei nostri tempi preferisco di gran lunga Belen, Nicole Minetti e tutto il resto della combriccola che non si fanno troppi problemi a fare quel che fanno.
Hanno più dignità e sincerità queste donne (sostanzialmente accusate di essere delle troie) nel ricercare visibilità, fama e tanti soldi che tutti i presunti artisti controsistema, di nicchia, alternativi a sto cazzo che si atteggiano da santi.



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Il candidato a premier impronunciabile dei 5 stelle è la perfetta incarnazione del patentino per politici.
A furia di ripulire e ripulire, di gogne e vaffanculo sulla Terra è sbarcato il capo dei Visitors.
Ci sarebbe quasi da ridere se solo non sapessi che molti italiani, in nome di una presunta rivoluzione, daranno fiducia a gentaglia del genere.
Davvero, c'è quasi da rimpiangere uno come Craxi. 
O soprattutto andare in montagna, al lago, al mare, partire e andarsene.

(...e che orrore vedere le idee/suggestioni di Alan Moore traviate da queste...)

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giovedì 14 settembre 2017

Gustav Meyrink e Giovanni Damiano


Gustav Meyrink è un autore tutto da leggere e rileggere. Per le Edizioni di Ar è appena uscito "Il Cardinale Napellus e altri racconti" e la copertina è davvero bella:

"Nel suo personale cammino lungo la “via del risveglio", Gustav Meyrink meditò a lungo su occultismo, esoterismo e magia, riversando le sue visioni, oltre che nei romanzi sapienziali "La notte di Valpurga", "Il viso verde", "Il Domenicano bianco", "L'Angelo alla finestra d'Occidente", anche in numerosi racconti brevi. 
Fra questi, "Il Cardinale Napellus", che dà il nome alla presente antologia, è di sicuro uno dei più significativi e suggestivi. 

Fulcro della narrazione è l'Aconitum napellus, una pianta velenosa dal caratteristico fiore di colore blu: qui è il simbolo dei Fratelli Azzurri, un ordine monastico in cui ciascun membro irrora con il proprio sangue una piantina di napello - che cresce succhiando essenza di vita e crescendo avvelena.
La raccolta comprende alcuni articoli, scelti fra i molti in cui l'Autore descrisse i propri esercizi nei vari campi dell'occulto - esercizi, egli precisa, che vanno intesi come compiti di una vita, non come esperimenti superficiali. 

In "Fachiri" e "I sentieri dei fachiri", la disciplina dello Yoga è presentata come via per raggiungere la sapienza suprema.
In "Hashish e chiaroveggenza" viene negata la possibilità di pervenire alla conoscenza con l'ausilio di allucinogeni.
Ne "La mia visione più strana", è narrata la misteriosa vicenda del racconto "Das Grillenspiel", composto da Meyrink nel 1915.
Ne "Il diagramma magico" vengono esposti i poteri magici dello Yantra tibetano. 
In "Yoga tantrico", infine, si afferma come alcuni Yoghi, avendo conosciuto una sorta di "rinascita nello spirito", abbiano la potenza di suscitare le forze magiche che concorreranno al cambiamento del mondo esteriore. 

Pagine 90 - 12 euro
info@libreriaar.com"

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Anche questo libro di Giovanni Damiano pare molto interessante.

mercoledì 13 settembre 2017

"Iron Towns. Città di ferro" di Anthony Cartwright (66thand2nd)



Leggere "Iron Towns . Città di ferro" di Anthony Cartwright (66thand2nd, traduzione di Riccardo Duranti) mi ha fatto respirare a pieni polmoni il profumo del calcio per come lo intendo io. Un profumo che non ha niente a che fare con le tessere del tifoso, i campi sintetici, le dirette Premium/Sky, i diritti televisivi, la sportività da laboratorio antisettico senza sporcizia/risse/violenza/durezza/storia/ferocia, gli sceicchi, i cinesi, i fondi sovrani, stadi simili a teatri/supermercati, le solite tre/quattro squadre per cui tifare e il resto che non conta nulla, la trasformazione della Coppa Campioni in Champions, l'effetto cascata degli stipendi e il levitare dei costi che creano grossissimi problemi soprattutto nelle serie minori, i ragazzini che sembrano ormai dei fotomodelli, gli sponsor onnipresenti, il mercato continuo e potrei andare avanti per tanto tanto tempo.
Ecco, questo splendido romanzo ambientato nel pieno dell'Inghilterra più fumosa, lercia, abbandonata, rugginosa, piovosa fredda come mai potreste immaginarvi (niente a che vedere con la cool Londra culla di chissà quale mondoculturalmonetariomondialista) vi racconta (perché se la prende proprio con voi) una storia collettiva che riguarda una squadra, l'Iron Towns, che sta scivolando sempre più giù nelle leghe calcistiche e un gruppo di ex amici, mariti, mogli, padri come Liam, quarantenne, un tempo grande promessa del calcio, alla sua probabile ultima stagione e col corpo interamente ricoperto da tatuaggi di calciatori che hanno fatto la storia del calcio e con una moglie e un figlio scappati in Finlandia; Mark, il miglior amico di Liam, che dopo aver sbagliato un rigore fondamentale ha abbandonato il calcio e si aggira solitario fra le fabbriche in rovina; Dee Dee, l'ex moglie di Liam che lavora nel pub di Iron Town, quello dove si guardano le partite, ci si ubriaca e che ha adottato Alina, la figlia della sua migliore amica che lavora a un'opera d'arte che immortali il mondo splendidamente invivibile in cui é cresciuta, Sonia, morta tragicamente dopo una rapina compiuta insieme a Goldie, appena uscito di galera che è tornato in città per cercare di rimettere, inutilmente, in piedi una vita disastrata. 
A fare da scenario/coprotagonista del romanzo è un territorio-mondo infetto fatto di fabbriche abbandonate, progetti di riqualificazioni mai decollati, fiumi inquinati, stadi decrepiti, volpi, spacciatori, alcolizzati, tossici, miniere, storie e favole che risalgono a epoche mitiche, agli antichi abitatori della Britannia, ai Romani, a Re Artù, ai Normanni, alle guerre mondiali, all'emigrazione, alla Tatcher e poi partite di calcio inguardabili, telecronache. 
Un universo cupo ma di una carnalità livida che spezza il cuore e simile a quello che vive nei film di Ken Loach, in "This is England", Trainspotting, nei romanzi di David Peace, in "Jimmy Grimble", nelle storie di calcio come la purtroppo dimenticata vittoria della Cecoslovacchia agli Europei del 1976.
L'autore è magistrale come al solito ("Heartland" era pure quello un gioiello) nello scrivere di sport/calcio (e non è affatto semplice) e nel modellare un romanzo a tela di ragno che si stringe intorno alla preda che è il lettore, che sei tu ai bordi di un campo impraticabile, mentre ti stai riscaldando aspettando di entrare a giocare. 
Commuove e appassiona, suggerisce e offende. Trasmette quasi eroticamente il suono dei cori delle tifoserie, dei passi sugli spalti traballanti, gli insulti che ti arrivano al primo errore, l'orrore di una sconfitta, il tracollo che non ha mai fine, la magia della vittoria, il tramonto di un mondo ormai lontano.
Del tramonto di un calcio che era calcio, almeno per come continuo a intenderlo io, e di certo non questa noiosa parata di presunte stelle senza alcun fascino che sembrano un incrocio bionico uscito dai laboratori di Hollywood, X Factor, MasterChef e Il Grande Fratello e non si capisce mai se stiano giocando una vera partita di calcio o una alla Play Station.
Forse è anche per questo che se m'interesso di calcio preferisco dedicarmi, disilluso, al calcio minore. 
Come la serie D. 
Stretto fra le fabbriche scomparse, i palazzi, le montagne, conficcato dentro alla città come un rudere, nel suo cuore, come un gioiello dimenticato.
Un passato glorioso che purtroppo stenta a risorgere.
Credetemi: se cercate qualcosa che vi parli di come il calcio sia veramente uno sport popolare leggete questo libro.
Spegnete la tv.

"I giocatori nascono ascoltando il fragore dei martelli. Si tratti del boato dei magli dall'altra parte del fiume e dei moli oppure del picchiettare nelle officine sul retro, il rumore di pietre e metallo è sempre a portata di orecchio. Lo sferragliare di treni e tram, il ticchettio delle fabbriche di chiodi, di catene, di ceramiche, le mine delle cave di pietra, lo spicconare del carbone dalle viscere della terra, il ruggito delle fornaci. Hanno dentro di sé l'energia del fuoco e dei fiumi costretti da dighe. Di Stéfano e Billy Wright vigilano da ponti di ferro, il padre di Beckenbauer consegna la posta tra la neve e le ceneri di una Monaco distrutta, mentre quello di Jack e di Bobby Charlton striscia in fondo a una miniera grattando il carbone. Certo, ci sono anche le eccezioni. Pelé é nato in una città piena di mucche, dove le strade erano affollate da muli che trasportavano sacchi di caffè, ma ben presto si trasferì vicino a un porto. Però, alla fin fine, vengono tutti da città di ferro." (pp. 53-54)

Sparsi

-Quando sbaglio al lavoro vengo quasi sempre trattato con moltissima durezza e asprezza dai miei responsabili. E non ci trovo nulla di male. Ci sono abituato. E questo vale per tutto il resto.

-Una madre che sale in ascensore con la figlia. La bambina mi guarda e mi dice "Toh, ti do' una caramella avvelenata". La metto in bocca e la mamma mi fa "Attento che adesso muori". La bambina ha cominciato a ridere e non ha smesso mai. Sta ridendo ancora adesso mentre sto scrivendo due cazzate. E grida "Adesso muori".

-Non capisco per quale motivo a uno dovrebbe interessare qualcosa della carriera in Rai della presunta paladina della libertà Milena Gabanelli. Tantomeno firmare appelli.

-Mi dicono: "Guarda questa conferenza". Ci ho provato. Finito l'effetto sorpresa, Fusaro si rivela come una specie di disco rotto che si ripete e si ripete e si ripete all'infinito, mescolando di tutto e di piu' senza pero' darti mai l'impressione che stia dicendo qualcosa di veramente interessante, concreto, ispirato e ispiratore. In chiusura c'è pure il sorrisino sprezzante quando cita i gulag, relegandolo a semplice revisionismo. Altro che pensatore ribelle, sembra invece l'incarnazione perfetta del pensatore cortigiano, di quello che mai e poi mai sarebbe finito in un carcere, nei gulag o nei campi di sterminio. È quello stesso tipo di gente che parla di colpi di stato dell'Europa, di dittatura del pensiero unico, di servitù. Che tristezza.

-

A me la legge targata Fiano mi sembra una vera e propria stronzata. Tra l'altro anche potenzialmente controproducente e foriera di possibili ribaltamenti ideologici al prossimo turno. Se parlo bene di questo libro, se parlo bene di Brasillach, faccio propaganda?....Che tristezza.

...

Mentre camminavo a vuoto mi sono sentito un po' come lui. 
Molto spesso quando esco per camminare o fare commissioni devo farmi del male vero, fisico, per non tornare subito a casa e chiudermici dentro. 

lunedì 11 settembre 2017

11 settembre

11 settembre.
Allende.
Torri Gemelle.
Tanta noia.
Un mio cugino morto.
Quante lacrime.
Spesso di circostanza.
Da usare.
Uscito dal cinema ho pensato solo a staccare dal lavoro.
Non ci sono riuscito.
C'erano la spesa, le bollette, le mani distrutte.
Domani e dopodomani niente lavoro e cercero' di respirare.
Poi intorno ci sono gli uragani, i terremoti, gli stupri, i nubifragi.
Ma io voglio pensare solo ai cazzi miei.






domenica 10 settembre 2017

Il freddo, Phil Murray, Safari

Sono arrivati la pioggia, il freddo, le maglie lunghe, i giacconi, gli ombrelli, i guanti, le felpe. 
Uscito dal lavoro ho visto la neve sulle montagne vicine, il fiume ingrossato e mi è venuto da piangere. 
Sorrido solo ripensando alla ragazzina che stamattina camminava davanti a me alle 5 e 30 in tacchi e abito da sera, senza ombrello, strafatta, il trucco slavato, fradicia.
Io andavo al lavoro, lei si dirigeva verso il baracchino davanti al cinema in cerca di un panino e di un taxi.
Le ho chiesto "Non hai freddo?"
"Cazzo se ne ho ma ieri stavo al mare e fanculo la neve"
Quel "fanculo la neve" le vale centomila abbracci.
....



....


Quando l'ho visto ho pensato che gli esseri di questo documentario non c'entrano proprio nulla con l'amico di mio nonno che cacciava e pescava di tutto, intendo di tutto quello che si poteva trovare in Lombardia, e poi lo mangiava, lo vendeva ai ristoranti, lo regalava a mia nonna e alla mia famiglia.
Una sensazione sotterranea, sottile, carnale.

"L'Islam in redazione" di Maurizio Belpietro e Francesco Borgonovo (La Verità)




Molto contento di aver ricevuto in regalo "L'Islam in redazione. Perché è vietato dire che il terrore è islamico e che l'islam non è una religione di pace" di Maurizio Belpietro e Francesco Borgonovo (La Verità) che ho letto tutto d'un fiato (anche se non sbaglio nel dire di aver già letto altrove alcune di queste pagine), concordando con molte delle riflessioni in esso contenute.

Prima di lasciare un lungo estratto, alcune quisquilie e punzecchiature:

-il massacro di Charlie Hebdo mi ha segnato profondamente
-concordo con l'atmosfera generale di molte delle copertine incriminate tipo “Bastardi islamici"


-ho sempre la sensazione che puoi fare una battuta, scriver male, far satira, attaccare i cattolici mentre se ti scagli contro l'islam o l'ebraismo fai la figura dell'islamofobo, dell'antisemita o chissà cos'altro. Una volta così per scherzo raccontai una barzelletta sull'Islam a dei noti atei anticlericali e mi beccai una di quelle ramanzine da far paura e mi diedero del razzista.
-gli autori di questo libretto e un po' tutto il loro ambiente sono comunque a favore della libertà di parole, eccetera, ma spesso lo fanno a corrente alternata e spesso dei gran bacchettoni mascherati
-sono al loro fianco e contro tutti coloro che li denunciano e li portano in tribunale
-l'ipocrisia generale (compresi quotidiani, redazioni, eccetera) quando si parla di terrorismo islamico e islam in generale
-questo libro offre molti spunti per eventuali altre letture
-a furia di prendersela col pensiero unico non ci si accorge di essere figli di un altro pensiero unico

Ecco l'estratto, che tra l'altro riguarda proprio la Francia e un pensatore che rispetto molto come Zemmour:

“Ciascuno di questi attacchi, oltre che all'orrore e dal puzzo della morte, è stato accompagnato da una bella dose di ipocrisia. È l'ipocrisia, oggi, uno dei mali peggiori dell'Occidente. È per colpa dell'ipocrisia se non siamo ancora riusciti ad avere ragione dei jihadisti. Un'ipocrisia che si manifesta ogni volta in modo apparentemente diverso, ma in fondo sempre uguale. Il fatto è che, da qualche tempo, parlare di islam è diventato impossibile. A meno che non ci si adegui al pensiero unico, che non si ripetano le quattro consuete banalità sul dialogo, la comprensione, la fratellanza, la pace. Chi osa criticare, contestare ma anche solo deviare leggermente dal sentiero tracciato, viene ostracizzato, si tenta di imbavagliarlo. Ne sa qualcosa l'intellettuale Eric Zemmour. Ebreo, penna pungente, è una celebrità dell'universo culturale identitario europeo. Già editorialista per Le Figaro, conduce programmi in radio (e, fino a qualche tempo fa, in televisione). È un critico dell'islam, ovviamente, ma anche del sistema di vita degli europei, in particolare della femminilizzazione del Vecchio Contente, che ci conduce inevitabilmente allo sfascio e alla sottomissione davanti a civiltà mascoline fino al machismo, come quella islamica. Nel dicembre del 2015, Zemmour è stato condannato da un tribunale francese a tremila euro di multa per “istigazione all'odio nei confronti dei musulmani”. Lo hanno trascinato in tribunale le due principali associazioni dell'antirazzismo militante d'Oltralpe, Sos Racisme e Licra, piuttosto note per trovate di questo genere.


Zemmour dovrà risarcire anche loro, per via di alcune frasi pronunciate nel 2014. in un'intervista con il Corriere della Sera ebbe l'ardire di sostenere che “i musulmani hanno un loro codice civile, è il Corano. Vivono tra loro, nelle periferie. I francesi sono stati costretti ad andarsene”. Poi aggiunse una riflessione di buon senso: “Io penso che stiamo andando verso il caos. Questa situazione di popolo nel popolo, di musulmani dentro i francesi, ci porterà al caos e alla guerra civile. Milioni di persone vivono qui, in Francia, ma non vogliono vivere alla francese”. Per queste parole è stato accusato di fomentare l'odio, gli hanno marchiato a fuoco sul petto la lettera scarlatta dell'islamofobia. Tutto per impedirgli di denunciare una situazione che in Francia, ma anche nel resto d'Europa, è per lo meno preoccupante. È stato il britannico Daily Mail a documentare l'esistenza di un'ottantina di tribunali religiosi islamici nel Regno Unito, corti clandestine che applicano una giustizia parallela basata sulla Sharia. È toccato invece al Daily Express segnare sulla mappa di Parigi ben sette quartieri in cui è consigliabile che i turisti angloamericani non si avventurino, perché il rischio di essere aggrediti è piuttosto altro. Lo studioso di islam Gilles Kepel da anni racconta come le banlieue francesi siano, in realtà, zone franche in cui vige la legge islamica: in pratica, un piccolo Stato dentro lo Stato, in cui finisce la Francia e inizia una sorta di Califfato di periferia. Sono le stesse cose che ha denunciato Zemmour, con la differenza che Kepel è considerato un progressista, e dunque – per ore – non finisce sotto  la mannaia dell'inquisizione politicamente corretta.
(...)

Zemmour nel libro “Un quinquennio per nulla”, non usa mezzi termini e denuncia apertamente “l'inizio di una guerra civile francese, o addirittura europea, e la grande sfida lanciata dall'islam alla civiltà europea sulla propria terra d'elezione”. Poi, velenoso, chiosa: “Questo ritorno del tragico stride con una dabbenaggine presidenziale che confina con la vacuità. Come se la storia avesse atteso, ironica, che si installasse all'Eliseo il presidente più mediocre della Quinta Repubblica per fare il suo ritorno in pompa magna”.
(...)
Zemmour spiega con chiarezza “Se domani ci fossero 20, 30 milioni di musulmani francesi ben decisi a velare le proprie donne e ad applicare le leggi della sharia, si potrebbero preservare le regole minimali della laicità solo con la dittatura”. Limpido e inquietante.
È il paradosso dell'integrazione: chi integra chi, chi deve integrarsi con che cosa, quando i rapporti fra maggioranza e minoranza si ribaltano? L'islam pone delle questioni, alle quali non si può rispondere con un semplicismo ebete e grossolano. “Sinistra e destra”, spiega Zemmour, credevano e credono tuttora al mito del musulmano staccato dal suo determinismo etnico e religioso, individuo disincarnato, destoricizzato, sradicato in una società libera: “Vorranno tutti comprare delle Nike”: questo era il credo consumista, materialista e progressista dei nostri governanti. Questo dipsrezzo delle culture, delle radici, delle religioni, del passato che ha costituito la base comune delle nostre élite politiche, tecnocratiche, padronali, mediatiche e culturali, fa da 40 anni il male della Francia”. Anche perché aggiungiamo noi, le Nike e la guerra santa non si escludono affatto a vicenda. Jihad vs McWorld, si intitolava un saggio degli anni Novanta di Benjamin Barber. La cronaca di questi ultimi anni si è incaricata di decostruire questa falsa antinomia: i vari jihadisti spuntati nel Vecchio Continente sono tutti figli dei due nichilismi, contemporaneamente. Vogliono le Nike e vogliono le nostre terra. È evidente che abbiamo perso su tutti i fronti.
Ma se qualcuno prova a farlo notare, beh, cercano subito di tagliarti la lingua. Il fatto è che, se l'islam non si tocca, diventa molto difficile comprendere, per esempio, i motivi per cui tanti giovani nati e cresciuti in Europa si “radicalizzano” e si mettono ad ammazzare come cani i loro coetanei. Sono tanti, troppi, gli intellettuali, gli scrittori e i politici condotti davanti a un giudice con l'accusa di istigazione all'odio. 

Ha cominciato Michel Houellebecq nel 2022, per una frase contenuta nel romanzo Piattaforma.
A citarlo in giudizio fu, tra le varie associazioni, la Grande Moschea di Lione. Lo scrittore rischiava fino a anno di carcere e 45000 euro di multa.


Di episodi come questi la storia recente è piena. Ne ha raccontati tanti Giulio Meotti nel libro "Hanno ucciso Charlie Hebdo". Sempre nel 2002, ci fu il primo processo a Oriana Fallaci per istigazione all'odio. Ne subì tre, uno dei quali a Bergamo, mai concluso solo perché Oriana morì prima. Nel 2007 è stato proprio Charlie Hebdo a finire alla sbarra. I satirici francesi furono assolti: ci avrebbe pensato un commando jihadista a farli tacere per sempre. Nel 2014 è stato il turno di Renaud Camus, condannato a pagare cinquemila euro per istigazione all'odio, reo di aver esposto la teoria della Grande Sostituzione. Alla fine del 2015 (con singolare tempismo post-elettorale) Marine Le Pen è stata assolta in un processo, sempre per odio, che durava dal 2010. La leader del Front National aveva osato criticare le preghiere dei musulmani per strada. Se chiunque si azzardi a scrivere o a dire che l'islam è qualcosa di diverso da una “religione di pace” viene trascinato in un'aula di giustizia, allora il numero dei critici dell'islam diminuirà sensibilmente. Fino a scomparire del tutto. A quel punto, sarà impossibile parlare dei musulmani – qualunque cosa facciano – in termini negativi o, semplicemente, poco positivi. La sottomissione linguistica sarà compiuta. Ogni riferimento all'islam e ai musulmani sui giornali, nei libri e in televisione sarà espresso in termini elogiativi, l'islam diverrà sinonimo di pace e “musulmano” comincerà a indicare soltanto una “brava persona”.
Un altro intellettuale che alle condanne è abituato è Yves de Kerdrel, direttore della rivista francese Valeurs Actuelles, schierata con decisione sul fronte identitario. Denuncia l'invasione migratoria, l'espansione islamica, la mancanza di sicurezza, e per questo viene portato in tribunale. Sono in pochi a difenderlo: in Francia, come in Italia, la libertà di stampa non vale per tutti allo stesso modo. Il giornalista è stato condannato a una sanzione di duemila euro per “provocazione alla discriminazione contro i musulmani”. Come lui stesso ha spiegato, la sua colpa è aver denunciato “attraverso una copertina dove campeggiava una Marianne velata (numero di aprile 2013), i pericoli legati all'islamizzazione della Francia”.



Come prevedibile, nessuno ha solidarizzato con Valeurs Actuelles per la condanna subita.” (pp. 31-38)