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domenica 30 aprile 2017

Leggere Drieu, Mandel'štam, lavorare/1 maggio, Luida Ferida/Osvaldo Valenti


Sono molto stanco e depresso e leggo meno di quello che vorrei leggere. Ma leggere Drieu è sempre consolante. Ne ha scritto oggi Stenio Solinas su Il Giornale: "Drieu La Rochelle e il fallimento di una banale arrampicata sociale. Fra errori, compromessi e falsità, Camille Le Pesnel trascina la propria famiglia verso un'affermazione irraggiungibile".

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---respirare libertà, coraggio, dolore....


"Farfalla, donna musulmana,
avvolta in un lacero sudario,
creatura di vita e di morte,
cosi' grande - tu, vera!

Enormi baffi mordieri
e capo nascosto nel burnus.
Sudario svolto come vessillo,
ripiega le ali, ho paura!"

(novembre 1933)

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...ovunque parlano di robotizzazione, diritti, leggi, orari....e io faccio orari assurdi da una vita e ho sempre lavorato in posti dove orari e stipendi sono tanti punti di domanda...colloqui impossibili...sfruttamento...contratti senza ferie e malattia pagata...ma poi io preferisco a tutte queste parole il mare, il lago, il vento freddo alle cinque del mattino che scende dalle montagne, le olive greche che mi riempiono la bocca, la letteratura, la poesia, gli alcolici....preferisco Piero Ciampi a mille cortei, mille discorsi, mille palchi, mille sindacalisti, mille padroni....

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72 anni fa a Milano venivano trucidati Luisa Ferida e Osvaldo Valenti. 
Li ricordo con amore e dolore.
Come parte della mia famiglia.
Il sorriso di Luisa è lo stesso di mia nonna.
Osvaldo ha gli occhi di mio nonno.
Luisa Ferida fa parte del mio immaginario, della mia collezione di ricordi dell'infanzia, del latte migliore che ho bevuto esattamente come Achab, Califano, Natty Bumppo, Don Chisciotte, Sandokan, Haran Banjo.
Ma è anche carne, sangue, respiro.
Tutte le mie pagine sono dedicate anche a lei.

venerdì 28 aprile 2017

Albert Spaggiari, Giorno di annunci; Gli ultimi giorni di Mandel’štam; Bruce Lee

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 Di Spaggiari ne avevo scritto qui e oggi per tutta una serie di questioni ho in mente queste sue frasi: 

"Una volta davo importanza a quello che la gente pensava di me. Poi mi sono accorto che la gente pensa di rado." (Le fogne del Paradiso)


- Venerdi' è giorno d'annunci qui in Ticino e magari anche nel resto del mondo, non lo so.
 Escono sui giornali, vengono raccolti su alcuni siti e io e la mia compagna tutti i sacrosanti venerdi' scrutiamo il mare (in)finito delle offerte lavorative alla ricerca di chissà quale colpo di fortuna per poi sconsolati o rinfrancati o liberati (cambiare lavoro, trovarne uno nuovo, sottostare ad alcune regole/colloqui/disdette/bla bla bla mette l'ansia a tutti e due) appallottolare i giornali o chiudere i link e dedicarci ad altro.
Da qualche anno a questa parte noto tutta una serie di lavori in inglese che sono al di là di ogni mia possibile comprensione. 
L'annuncio piu' assurdo a cui ho risposto negli ultimi mesi è quello in cui si cercava un uomo disposto a sbrigare una serie di lavori di casa due giorni alla settimana tipo lavaggio vetri (una villa praticamente con le pareti in vetro), eccetera eccetera.
Telefono e la donna che mi risponde mi fa: "Si', si tratterebbe di un lavoro da due, tre, quattro giorni la settimana. Senza orari, anche di notte. Portarmi fuori i cani. Come è messo in fatto di massaggi? Quanto è alto?"
Sono scoppiato a ridere ma sono rimasto al telefono.
La signora ha voluto giocare con me per qualche altro minuto, poi, di fronte al mio prendere tempo, ha chiuso con la seguente frase: "Adesso vado in piscina. Ciao"

- Una precisazione su alcune questioni a me rivolte: so cosa vuol dire avere un permesso in uno stato straniero. So cosa vuol dire doverlo rinnovare, essere sottoposto a controlli, rotture di cazzo, sguardi di merda. So cosa vuol dire correre il rischio di vederselo revocato questo permesso. So cosa vuol dire non avere idea di cosa fare nel caso questo permesso mi o ci venga revocato. E qualcuno dirà, pero' tanto....tu...voi...no. Per un cazzo, io una casa dove tornare non ce l'ho.

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-qui-


Io non ho mai capito perché i miei genitori mi abbiano vietato per tanto tempo di vedere i film con Bruce Lee. Di questo libro ne ha scritto Isabella Cesarini: "Un ponte tra Oriente e Occidente: la vita di Bruce Lee". Posso pensare che fosse perché li ritenessero violenti o forse anche demenziali, anche se fosse molto piu' probabilmente perché i miei genitori hanno sempre detestato gli orientali.

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mercoledì 26 aprile 2017

Pensieri sparsi, Gemma Gaetani, Guareschi, ciclismo, Anna von Hausswolff

- L'amaca di Serra di stamattina era davvero imbarazzante. Cercatela. Sono fiero di non essere cresciuto in una città/metropoli ma in provincia. Di essere un provinciale, seppur con tutti i lati controversi e dolorosi della provincia. Di vivere attualmente in una cittadina che, seppur in trasformazione e turistica/finanziaria/multiculturale/multietnica/snob/lussuosa/multisfruttatrice, mantiene intatto tutto il suo spirito provinciale. 
Sono fiero di non far parte di questa meglio civiltà, di questi difensori del mondo intero, di questa crema della società, di queste anime pulite.
Mi è venuta voglia di tornare a rileggere:




- Un bell'articolo di Gemma Gaetani pubblicato domenica 23/4 su LaVerità: “Baby blogger siriana socia di Harry Potter. A gestire i messaggi della piccola Bana, la “bambina vittima della guerra che urla la sua disperazione su Twitter”, è la mamma. L'ha affidato allo stesso agente che cura gli interessi di J.K. Rowling, autrice della saga del maghetto. Ne nasceranno libri e film”.

"Poche cose, oggi, sono più redditizie di una carriera nell'industria dei buoni sentimenti. La nuova figura eroica di questa società, sempre più succube degli storytelling, è la vittima: i “perseguitati”, i “discriminati”, gli “appartenenti alle minoranze”, “i profughi che scappano dalla guerra”. Se si ha a disposizione una storia capace di strappare lacrime al pubblico, il gioco è fatto, la via per la fama è spianata. A patto che si rappresenti la causa umanitaria più di moda al momento. La piccola Bana Al Abed è diventata in un battibaleno una sorta di bandiera alla lotta al tirannico regime siriano di Bashar Al Assad. Ne è la testimonial, il baby feticcio in nome del quale la propaganda sostiene le “bombe democratiche” sullo Stato mediorientale. La sua vera stoira, però, è assai istruttiva. Perchè svela i meccanismi che regolano questa industria dei buoni sentimenti o, se preferite, la fabbrica del buonismo, che è la stessa cosa.
La reale parabola della bimba, dimostra, infatti, quanto sia facile influenzare l'opinione pubblica e, soprattutto, quali interessi si celino dietro tante battaglie “umanitarie” per cui ci struggiamo (e, se non ci struggiamo, veniamo distrutti dall'accusa di essere populisti, rzzisti, fascisti e così via). Ma andiamo con ordine.
Bana Al Abed nasce nel 2009 e assurge a fama mondiale grazie a Twitter. Nel settembre del 2016 ha 7 anni e si trova ad Aleppo, nella zona controllata dai ribelli anti Assada. Un bel giorno, la piccola comincia a twittare a raffica dall'account @AlabedBana, utilizzando hashtag come #HolocaustAleppo, #MassacreInAleppo, #StopAleppomassacre, eccetera. Non twittava mica a caso, anzi snocciolava come una ossessa cinguettii incredibilmente pertinenti e competenti, rivolgendosi con nonchalanche direttamente ai potenti della terra, da Vladimir Putin a Barack Obama, oltre che allo stesso Assas. Ogni giorno, Bana chiedeva, instancabile e militantissima, che la violenza si fermasse, che i massacri in Siria cessassero. In brevissimo tempo, la storia della “bambina vittima della guerra che urla la sua disperazione su Twitter” ha ottenuto gli onori della cronaca e la luce di tutti i riflettori.
Stupiti e commossi, hanno parlato di lei giornali e televesioni hanno parlato di lei giornali e televisioni, hanno cominciato a circolare suoi video sul web e Bana è divenuta una sta con ben 370.000 follower. Il Washington Post è arrivato a definirla “l'Anna Frank della nostra era” e la scrittrice  J.K. Rowling, l'autrice di Harry Potter, le ha spedito una copia autografata di uno dei suoi libri. Citiamo la Rowling perché in questa storia, come vedremo, gioca un ruolo importante.
Nel dicembre del 2016 Bana viene evcuata da Aleppo verso la turchia, assieme altre 350 persone. Ricevuta con tutti gli onori (ha incontrato persino il sultano Erdogan), la sua carriera di attivista in fasce prosegue: in qualità di supermediatica martire fanciullina della guerra, seppure ormai dislocata, Bana continua a macinare tweet da oppositrice indefessa dell'autocrate siriano, invocando interventi militari contro Bashar Al Assd e naturalmente approvando il recente bombardamento voluto da Donald Trump. È curioso, no? Una bambina che si occupa di geopolitica come un adulto. Il fatto è che Bana, ovviamente, non gestisce direttamente il suo account Twitter. È sua madre a farlo per lei. Si chiama Fatemah e faceva l'insegnante di inglese. Bana non era e non è un piccolo genio della politica, non è la Shirley Temple degli Affati esteri all'età in cui a malapena si legge e si scrive. È solo un paravento, il volto dolce e commovente, la vittima “struggente” che non poteva non ottenere dai media quell'attenzione che l'account di un adulto che non avrebbe ricevuto. 
La mossa di Fatemah ha avuto, quindi, successo: non solo la sua famiglia è riuscita a lasciare la Siria, ma col supposto morale formito dai tweet “di Bana” l'attacco ad Assad si è addirittura intensificato. Soprattutto, però, Bana è divenuta una notevole fonte di reddito. La “disinteressata” campagna per ottenere la pace e l'amorein Siria porta guadagni. La piccolina, più che la povera Anna Frank, ricorda Roberto Saviano. Come lui, ha già un agente. E che agente: si tratta di Blair Partnership, la compagnia gestita da Neil Blair. Chi è costui? Semplice: lo stesso agente che gestisce gli interessi di J.K. Rowling. Grazie a lui, la piccola Bana (cioè sua madre) scriverà anche un libro per la gigantesca casa editrice Simon & Schuster. In ballo ci sono anche i diritti per una serie televisiva e per un film. E per tanto altro.
Qualcuno potrebbe definire l'operazione di Fatemah tramite la figlia un modo furbetto per sostenere  una buona causa. A noi sembra, più semplicemente, un modo piuttosto cinico di “svoltare grazie alla fabbrica del buonismo”... Una via piuttosto veloce per il successo: basta costruire il perfetto idolo mediatico."

- Un libro appena uscito sul ciclismo:


-qui-

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Da "La fine dei vandalismi" di Tom Drury (NNEditore)


Ho atteso venti e più anni prima di leggere “La fine dei vandalismi” di Tom Drury (NNEditore, traduzione di Gianni Pannofino). Anni trascorsi meravigliosamente in due giorni di lettura. Cento pagine l'altro ieri, trecento ieri. Chiuso in stanza, fuori il brutto tempo, la pioggia, i discorsi su discorsi, il 25 aprile, la neve sulle montagne. Dentro al cuore il sogno di potere vedere coi miei occhi quelle parti degli Stati Uniti fuori dalla maggior parte delle rotte turistiche (Illinois, Minnesota, Nebraska, Dakota, Kansas, eccetera). 

É un libro spostato, non so come altro definirlo, che mi ha fatto rilassare e sentire bene.

Alcuni estratti:

“Louise mise dieci dollari sul tavolo e si alzò per andare in bagno. Si lavò le mani e si guardò allo specchio. Ebbe la sensazione di essere lontanissima dalal gente che riusciva a capire. D'altra parte, abitava a una ventina di chilometri dal posto in cui era nata.” (pag. 83)

“Tiny Darling abitava ancora giù a Pringmar con suo fratello Jerry Tate. Le cose andavano meglio di quanto ci si sarebbe potuti aspettare. Jerry, che lavorava all'ufficio postale di Morrisville, apprezzava la compagnia del fratello. Gli piaceva il senso dell'umorismo di Tiny e la sua convinzione che tutto e tutti cospirassero contro di lui e contro quelli come lui, anche se a guardarsi in giro era difficile trovare qualcuno che fosse assimilabile a Tiny. Quest'ultimo era un sostenitore della classe lavoratrice e diceva, ad esempio “È sempre il lavoratore quello che ogni mattina si prende le martellate in mezzo agli occhi” anche se probabilmente non aveva mai fatto un solo giorno di lavoro regolare in vita sua. Se la cavava con i lavori di idraulica più semplici, e se si trattava di stanare un procione da una soffitta era considerato un maestro. Era un bevitore abituale e a volte sembrava stanamente impegnato a stonarsi fino a perdere conoscenze. Una sera, non tanto tempo dopo il divorzio da Louise, si era intrufolato in casa di Francine Minor e si era addormentato sul tavolo della cucina, con una pagnotta per cuscino.” (pag. 95)

“I camion sorpassarono la Parisienne come grandi navi sull'acqua. Molti camionisti che percorrono la Interstate 80 si fanno vanto delle loro luminarie decorative. Strisce di luce gialle e azzurre profilano i rimorchi come se all'interno si ballasse la quadriglia. E gli abitacoli sembrano biglietterie decorate da perle arancioni. Persino certi parafanghi sono bordati di lucine. A un certo punto, su una leggera pendenza, la strada si allargava per aggiungere una corsia riservata al traffico lento, e Tiny si ritrovò con i tir da entrambi i lati, e l'impressione di viaggiare in un canyon di luce. Non durò a lungo: l'illuminazione sbiadì e poi scomparve, come un messaggio in codice intermittente, e Tiny proseguì il viaggio in solitudine. Poi un ascoltatore, che telefonava alla radio per la prima volta, disse che padre Zene Herbert era un imbroglione: non aveva preso i voti e non avrebbe saputo riconoscere una pergamena biblica neanche se gliel'avessero tirata in testa. Il suo vero nome era Herbert Bland o Herbert Grand. Era stato rinviato a giudizio in Florida. Una luce presso un ponte si illuminò per poi spegnersi al passaggio di Tiny. Questi fenomeni si verificavano da anni, e Tiny si domandò se ci fosse qualcosa nella chimica del suo organismo che aveva il potere di spegnere le luci.” (pp. 105-106)

“Louise pagò e uscì. Seguì una madre e una figlia fuori dal negozio. La bambina, che aveva forse due anni e teneva in mano una scatola di scarpe, sembrava attratta come una calamita da tutto quel che poteva rompersi o cadere. La madre continuava a trascinarla lontano dalla vetrine. C'era una fontana di pietra in mezzo al centro commerciale, e lì madre e figlia si fermarono a riposare. La madre si mise a leggere un giornale, mentre la bambina aprì la scatola, ne tolse un paio di scarpe rosse nuove e le gettò nell'acqua.” (pag. 120)

“Il diario le era stato dai medici, insieme a uno specchio e a un bambolotto. Volevano che guardasse il bambolotto e si ricordasse del bambino. Credevano che la memoria e i tranquillanti fossero la via da percorrere da guarire. Lei, però, non aveva alcuna voglia di ricordare, e non nutriva alcun interesse per i bambolotti. Quello che le avevano dato l'aveva messo sotto il letto, proprio al centro.
“Ho sempre fame in questi giorni” scrisse. “Ci promettono cibo, ma non ce ne danno mai abbastanza. La gente che lavora in cortile è lì da stamattina. Lasciano indietro così tante foglie che le cose, invece di migliorare, sembrano peggiorare. Si siedono sul marciapiede e mangiano il loro pranzo. Io vorrei le loro patatine fritte. Mi piacerebbe andare a rastrellare le foglie con loro. Probabilmente non si sono mai presi cura di un posto da soli. Non hanno mai avuto una casa tutta per sé. Rastrellare sarebbe un buon modo per tirare su qualche soldo e comprarmi una radiosveglia. So di averlo già scritto, ma vorrei proprio averne una. È più forte di me: quando mi sveglio vorrei vedere un orologio e ascoltare la radio. Senza queste due cose è difficile riemergere dai sogni”. (pp. 308-309)

“Mentre era fermo sul ciglio della strada a riflettere sulla questione, lasciò vagare lo sguardo su un campo e vide un mulino a vento, noto come il mulino a vento di Melvin Heileman, anche se Melvin Heileman era ormai morto. Il mulino non pompava più acqua, ma le sue pale ancora nuotavano al vento.
Dan scese dalla volante. Attraversò il profondo fossato e scavalcò la recinzione di filo spinata con un martello e un cartello su cui c'era scritto: DAN NORMAN DEMOCRATICO. Procedendo in direzione del mulino, una folata di vento gli strappò il cartello dalle mani. Lasciò cadere il martello e si mise a correre, ma il cartello planava come un uccello sulla prateria. Volò per un lungo tratto e finì per atterrare in una marcita, sulla cui riva Dan dovette smettere di inseguirlo. Rimase lì, senza fiato, con le mani sulle ginocchia. In cielo brillavano stelle azzurrine, e Dan pensò a sua figlia sotto la terra fredda. Pronunciò il suo nome – Iris, Iris – ma sentì soltanto il rumore del vento.” (pp. 326-327)

lunedì 24 aprile 2017

Osip Mandel’štam, elezioni francesi, Berto "Modesta proposta per prevenire", Barbara,  Mary Lattimore


Sono forse ancora uno di quei pochi che s'informa principalmente sul cartaceo su cio' che accade nel mondo e ieri ho letto questo articolo su uno dei miei poeti preferiti "Osip Mandel'stam Gli ultimi versi dalla Siberia che gelarono lo stalinismo'" dove si parla, fra le altre cose, della prossima uscita di questo libretto.

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Non c'era alcun dubbio su come sarebbe andato il primo turno delle elezioni francesi. 
E nemmeno sul successivo passaggio.
Ovvero, tutti uniti per battere Marine Le Pen.
Lo spauracchio, il terrore, il lupo nero.
Tenetevi Macron allora.
Fate i bravi cittadini responsabili, euroburocrati, liberisti.
Meglio astenersi se vi fa schifo Marine.
Poi pero' basterebbe spulciarsi i programmi per capire quali sono i punti veri in questione. 
(Con tutti gli enormi limiti che ha il Front National)

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Ascoltare i miei parenti parlare per ore e ore a tavola mi fa venire voglia di spararmi in testa.

sabato 22 aprile 2017

Michele Scarponi, stati lavorativi, film per grandi e piccini, letture, Patrizia Cavalli, Mario Vattani, La notte di Valpurga, elezioni francesi


Per un ossessionato di ciclismo come me è un giorno tristissimo. Ciao Michele. Un abbraccio a tutti i suoi cari.

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Sono giorni che entro ed esco da stati lavorativi. Se non lavoro, recupero dal lavoro. Se lavoro, sto recuperando dal lavoro. Quando sto mangiando mi sfogo. Quando sto dormendo vivo d'incubi di ogni genere. Sono anni che se dormo almeno due o tre volte a notte mi sveglio sudando freddo e nel panico totale. A colazione sono sopraffatto da ondate di rabbia e dal desiderio di fare a pezzi i miei responsabili. Sono tentato dal prendere qualche tranquillante e sonniferi appena torno dal lavoro. Stendermi sul letto e dormire. I giorni liberi servono solo a recuperare dal lavoro. Faccio voto di silenzio. Evito di parlare di lavoro. Evito di ipotizzare futuri alternativi perché piomberei nella depressione piu' nera e mi potrei solo chiudere in bagno e starci per ore, sdraiato nella vasca. E non mi sento di invidiare chi vive altre vite. L'invidia non fa per me. Una volta a uno psichiatra dissi che la temperatura del mio desiderio di vita si misura da come leggo. Di questi tempi leggo spesso svogliato. Riconosco pagine incredibili, romanzi, saggi, raccolte di poesie interessanti ma spesso mi sento preso dalla depressione anche mentre sto leggendo e devo chiudere tutto, impossibilitato a proseguire. Jude di "Una vita come tante" è forse il personaggio letterario che mi sono sentito piu' vicino negli ultimi anni. 

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C'è un film che sta girando bene al cinema, Baby Boss. Ecco, dopo averne visto vari spezzoni capisco anche di essere invecchiato, di far parte di un'altra generazione, perché io continuo a pensare, per esempio, che un bel film a cartoni animati per grandi e piccini possano essere questi tre. Superdisneyani e bla bla bla bla ma per me sono bellissimi.






A proposito di libri:


-qui-



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Domani è giorno di elezioni in Francia. Circolo Proudhon/L'Intellettuale Dissidente fanno uscire questo libricino scaricabile gratuitamente.



"Mes chers amis,

Cette fin de campagne de premier tour est sombre, elle souligne à quel point les enjeux sont immenses.

Je veux rendre hommage à nos forces de l’ordre, à nos courageux policiers et en particulier à Xavier Jugelé, lâchement assassiné dans la force de l'âge hier soir par un terroriste. Qu'il repose en paix, après avoir servi la Nation jusqu'au sacrifice ultime, et que sa famille, ses proches, soient assurés de notre immense solidarité.

Ce drame épouvantable nous rappelle combien la situation est grave, à quel point le cauchemar continue.

J’ai souvent rappelé les mesures que je propose pour lutter contre le terrorisme et l’islamisme. J’en ai beaucoup parlé, seule et dans le désintérêt général de mes concurrents, dans chacune de mes réunions publiques, parce que je considère que c’est un sujet crucial pour l’avenir de notre pays, de nos enfants. La menace est réelle, constante, les politiques, de droite comme de gauche, sous les deux derniers quinquennats, n'ont rien fait. Cela doit changer. Il est temps d'agir. Nous devons prendre conscience de l’importance des enjeux et décider les mesures qui s'imposent. Je le ferai, sans faiblir, en accord avec vous.

Dimanche, je vous appelle solennellement à aller voter et à faire voter tous ceux que vous connaissez. C'est important. Le vote est bien plus qu’un droit pour les citoyens, c’est un devoir. Et, dans la situation où se trouve notre pays, c’est un devoir vital. Chaque bulletin de vote a un poids immense. Chacun doit sentir la mission dont il est investi et l’importance du choix que notre peuple est amené à faire. Aucune voix patriote ne doit manquer à la seule candidature utile pour la France. Plus que jamais, les Français doivent s’unir pour défendre et protéger leur pays, leur modèle social, leur identité.

Courage, restez unis, fiers, courageux, je compte sur vous comme vous pourrez compter sur moi, et bon vote !

Marine Le Pen"

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giovedì 20 aprile 2017

Fabbriche, Ellekappa, Koji Wakamatsu, Léon Daudet




Della mia infanzia, adolescenza e giovinezza mi mancano le fabbriche che circondavano casa mia, che sfioravo per andare a scuola, dove entravo per andare a salutare mio padre. Le officine, le tessiture, gli impianti produttivi, quelli di smaltimento, le acciaierie, le siderurgie, i cementifici. Mi mancano i capannoni dove ho lavorato e dove ho caricato e scaricato merce e i magazzinieri che mi pigliavano per il culo perché ero una frana col muletto. Mi mancano i tetti d'Eternit, le inferriate rugginose, i container con gli scarti, l'odore di sostanze chimiche che si portava a casa mio padre, le roccatrici. Mi mancano gli operai che entravano e uscivano dai cancelli, la sirena, le tute blu, le portinerie. Mi mancano i camini col loro fumo nero, grigio, bianco. Mi mancano i camion, i furgoncini, i treni merci. Mi mancano i colleghi di mia madre e di mio padre che mi offrivano sempre qualcosa quando li incontravo. Mi mancano i volantini che scrissi con una delle menti piu' brillanti che io abbia incontrato nella mia vita.
Mi mancano senza retorica o nostalgia operaista, di classe, sindacale, sviluppista, capitalista. 
Non so nemmeno perché mi mancano queste fabbriche, questi scantinati dove si tesse anche di notte.
Forse perché sto invecchiando e si tende a ricoprire il passato di melassa. O forse perché mi manca quella sensazione fisica di sudore, fatica, sporcizia, malattia che mi sentivo addosso, dentro ai polmoni, fra le mani. Quando ancora pensavo che la mia vita sarebbe cambiata, che qualcosa di buono sarebbe accaduto prima o poi.
Ci ho pensato ieri rivedendo Il cacciatore che si apre e si chiude a Clairton, sulle sue acciaierie, sui cumuli neri di scorie e mi sono commosso piu' a rivedere quelle scene che tutto il resto del film.

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Non amo molto Ellekappa ma questa vignetta é molto bella:



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Come il mio legame col Front che va al di là di ogni vostra possibile considerazione, ipotesi, supposizioni. 



«Nous ne nous résignerons jamais à la dépossession de notre souveraineté nationale, nous ne nous résignerons jamais à ce que l'insécurité chronique et le terrorisme deviennent le quotidien des Français. Nous allons tourner le dos à cette gauche qui sous couvert de progrès et de prospérité a étendu partout la misère et le désespoir.

Je serai la Présidente qui protège, la Présidente des Français qui veulent continuer à vivre en France comme des Français ! Et je serai la seule à le faire, car je serai la seule à assumer le bras de fer avec l'Union européenne et à m'engager à redonner à la France le plus sacré de ses biens : sa liberté ! »
Marine Le Pen

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martedì 18 aprile 2017

Negozi chiusi durante le feste, propositi, Sophia, Mariana Enriquez, Il cavallo rosso, Adriano Scianca

Lo so che i tempi stanno per cambiare anche qui, che sono in tantissimi qui quelli che vorrebbero negozi aperti 7 su 7 e con orari prolungati come in Italia ma io sono strafelice di vivere in un Paese come la Svizzera dove i negozi (anche bar e ristoranti) nelle feste religiose e civili sono per la stragrande maggioranza chiusi. Vivo tra l'altro in una città a vocazione turistica e questa è un'altra delle anomalie che mi riempie il cuore. Ha i suoi svantaggi, certo, bisogna sapersi organizzare e se ti manca qualcosa spendi un occhio nella testa nei market annessi ai benzinai o nelle stazioni ferroviarie.
Questa pace.
Questo silenzio.
Almeno per un giorno, due, non dico tanto.
Ma come si fa a non sentirne il bisogno?
Ieri per ben tre volte dei turisti italiani mi hanno chiesto "Ma come fate?"
Avevano tutti cinquant'anni e non sapevano come rispondersi da soli.
Che tristezza.
Che pena mi fanno gli esseri umani ridotti a questi scheletri.
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Uno dei propositi delle prossime settimane è tornare di piu' nei boschi, camminare, salire in montagna, superare le mie paure come fa la mia compagna, aspettando che il lago si faccia abbastanza fresco per tuffarmici. Visto che anche quest'anno niente vacanze.

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-dentro a questo live c'è una parte fondamentale della mia vita-
-e dentro a questo live c'è una canzone fondamentale per il romanzo che sto scrivendo da tanto tempo-


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"Il cavallo rosso" di Eugenio Corti era uno dei romanzi preferiti da mio nonno, o meglio uno di quelli che nel leggerlo lo avevano piu' scosso e coinvolto. Lo ripropone da oggi Il Giornale.

sabato 15 aprile 2017

Brutale, camminare, Drieu/Theoria

"Quando sei fatto come me, devi accontentarti di quello che arriva".
(Hanya Yanagihara)

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Ormai riesco a salire sugli autobus solo quando sono vuoti o ci stanno solo poche persone.
A Lugano è piu' facile perché è una piccola città ma già tre persone sono spesso una folla per me.
Le metro milanesi sono una tortura che sconto solo per sottomissione a mio padre e mia sorella. Quando sto su un vagone sperimento le lezioni di meditazioni, recupero gli stati di coma etilico per assentarmi, per evaporare dall'ansia e dal dolore.
Un tempo riuscivo a uscirne indenne, adesso appena scendo da una metro o da un bus affollato mi viene da vomitare.
Stessa cosa vale per i treni, gli aerei.
Mettermi a fare un check-in o in fila per un biglietto mi fa venire voglia di scappare via.
I taxi non li prendo mai ma se potessi permettermeli e avessi fretta girerei solo in taxi.
Come le due brasiliane che ho incontrato stamattina.
Girerei a piedi per l'Europa.
Oggi era uno di quei giorni che avrei voluto salire su un taxi per raggiungere prima la mia destinazione ma potevo aspettare solo un bus. Sei fermate per raggiungere il parcheggio dove riposa la mia splendida Picanto. 
Ne ho fatti passare almeno tre di bus prima di decidere di mettermi a camminare. 
Quasi tre chilometri, e sono pochi, ma ero stanchissimo e mi faceva male la testa e avevo voglia di tornare a casa. 
Ho camminato lento.
Una birra in un bar di pensionati.
Ci ho messo quasi quaranta minuti.
Ho preso l'auto e sono andato a prendere pane e latte visto che qui è tutto chiuso fino a martedi'.
Ho incontrato i turisti.
Alcuni iperdepressi perché per due giorni non potranno fare acquisti mi hanno chiesto consiglio.
Devo imparare a rispondere che non sono italiano per non sorbirmi questo abbraccio italico di fratellanza, amicizia, solidarietà, comunanza di pregi/sfiga/talenti/eccellenze/bellezze del tutto indesiderato da parte mia. (ma che schifo fa la parola eccellenza?)
Poi ho recuperato il sorriso quando, a venti metri da casa, una bambina croata mi ha sorriso e mi ha allungato la zampa dell'orso che stringeva forte.
Quando gliel'ho stretta, mi sono messo a scherzare con lei e con suo padre.
Lui mi fa "Tu ci sai fare coi bambini, perché non ne fate uno tu e la tua compagna?"
Avrei voluto abbracciarlo e sussurrargli mille storie, tutta la mia vita e dirgli perché non abbiamo figli, perché è meglio che non ne abbiamo, ma gli ho solo sorriso e sono salito in casa, dove mi aspettava una donna che sembra uscita da una favola e che stava cantando.


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Drieu fa parte della mia vita

giovedì 13 aprile 2017

Turisti, Tom Drury, Alexandre Postel, Our Little Sister - Diario di Kamakura




In città sono attese frotte di zecche turistiche pasquali.
Risolleveranno l'ego dei politici locali, degli albergatori e dei camerieri con la lingua lunga centomila chilometri. 
Esco dal lavoro e in autobus raggiungo veloce il centro.
Sbrigo due commissioni e mi siedo su una panchina, con le cuffie, riposandomi in attesa del 7.
Sono vestito di nero.
Ho la barba di quattro giorni.
Le occhiaie viola.
I capelli lavati e profumati.
Mi sfila davanti una torma di turisti italiani.
Un bambino allunga una mano per rubarmi il sacchetto con la spesa.
Gli sorrido e lui mi fa la lingua.
La madre lo viene a riprendere strattonandoselo via.
Tutti con la sporta piena di cioccolato.
Stanco di attendere l'autobus decido di dirigermi a piedi verso casa.
Entro in una chiesa e accendo una candela a San Rocco.
Mi fanno male le spalle, le braccia, le mani, il mio ginocchio malandato, lo stomaco.
Ritrovo la comitiva di prima.
Il bambino adesso mi guarda torvo e non s'azzarda a sorridermi.
Capisco perché.
Li abbandono e costeggio il fiume contando i corvi e i piccioni.
Ci sono giorni come questo che il dolore alle mani, alle spalle e allo stomaco si fa insopportabile.
Da piccolo sognavo di prendere una mazza e spaccare tutte le uova di cioccolato esposte sugli scaffali, oggi invece vorrei acquistarle e regalarle tutte ai miei morti, ai miei fantasmi, alle ferite, ai miei incubi, ai miei sogni affondati da qualche parte.
A mio nipote, che non so nemmeno chi sia.
Lasciarle sulle loro mani e sorridere.

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mercoledì 12 aprile 2017

Rachel's - The Sea And The Bells


Questo disco è un viso immaginario eppure reale.
Una donna.
Un ciuffo inglese.
Denti.
Un corpo.
Una cagnetta.
Una presenza costante nella mia vita.
Un'amica vera.
Letters Home.
Sangue.
Vasi.
Fiori.
Verdure.
Carne.
Una riva.
Cypress Branches.
Piperita.
Un viaggio.
Una cena.
Bicchieri di vino.
E un divano da dove mi sto alzando per cercare altro alcool e intanto nelle cuffie questo disco.
Il dolore come presenza costante.
Mi tengo la testa fra le mani e piango.
Ogni sera un incubo e non so perché dovrei svegliarmi il giorno seguente.
Dicono che è arrivata la primavera.
Che arriverà l'estate.
Che c'è un libro da scrivere, una vita da continuare.
E intanto passano gli anni e sono ancora vivo e non c'è niente di cui vantarmi o di cui essere lieto.
Niente da condividere.
Tanta stanchezza.
Di tutto.
E dispiacermi di cosa possano pensare gli altri.
La mia eventuale assenza.
Non si puo' continuare a vivere solo per non creare dispiacere agli altri.


Sam Peckinpah - Sfida nell'Alta Sierra


Ieri sera davano su Iris un film bellissimo, "Sfida nell'Alta Sierra" di Sam Peckinpah. Uno di quei film (western) che ho visto almeno una ventina di volte. Sono un estimatore totale du Peckinpah. In generale. Al di là de "Il Mucchio Selvaggio", il suo film piu' celebre. Tutta la scena ambientata nel campo minerario fa di "Sfida nell'Alta Sierra" una pellicola da brividi e tra l'altro, questa scena ricorda "Terra lontana" di Anthony Mann, altro film straordinario. 
Fra tutti i suoi film io sono particolarmente legato a "La morte cavalca a Rio Bravo", "Cane di paglia", "La croce di ferro" e "Sierra Charriba", un film che se non fosse stato distrutto dai tagli sarebbe stato un film da devastare il mondo. 

Il respiro di "Sierra Charriba" è lo stesso delle pagine di Omero. 

martedì 11 aprile 2017

"Caso Consip, giornali e tv faranno mea culpa?" di Piero Sansonetti


Ricopio integralmente un articolo di Piero Sansonetti uscito oggi su Il Dubbio che sottoscrivo totalmente.

Lo sottoscrivo da uomo distante galassie intere dal Pd, da Renzi e dalle loro idee (???????????????????) politiche. 

E comunque ripeto per l'ennesima volta: con il Fatto Quotidiano l'unica cosa che io possa fare è pulirmici il culo o raccogliere la merda dei cani che i bravi e le brave cittadine di paese si dimenticano volontariamente di raccogliere dai marciapiedi, dalle aiuole, dai parchi, dai pianerottoli.


"Caso Consip, giornali e tv faranno mea culpa?
I processi-spettacolo deformano la giustizia e creano un cortocircuito nella democrazia. La fragilità e la superficialità del nostro sistema di informazione sta diventando un problema molto serio, anche se nessuno ha il fegato per affrontarlo di petto

Ecco cosa può succedere quando pezzi di apparati dello Stato si mescolano al sistema dei media per condurre delle campagne politiche. Un vero e proprio cortocircuito: nell’informazione e nel funzionamento della democrazia.

Per tre mesi il caso Consip ha tenuto banco sui giornali e in Tv, danneggiando in modo robusto l’ex premier Renzi e il partito democratico. Ieri si è scoperto che le intercettazioni che accusavano ( seppure in modo molto indiretto) il padre di Renzi sono state manipolate da un ufficiale dei carabinieri. L’imprenditore Romeo – principale indagato in questa vicenda – in realtà non ha mai detto di avere incontrato Tiziano Renzi. E il teorema “Renzi- è- coinvolto” va a gambe all’aria. Caso Consip: chissà se giornali e tv reciteranno il “mea culpa”

Questa notizia, da una parte ci porta a rallegrarci, perché ci fa capire che poi, spesso, la giustizia italiana non funziona neanche tanto male. Se è vero che alla fine gli investigatori si sono accorti che il principale indizio a carico di un indagato era falso e contraffatto. Dall’altra parte invece ci spinge al pessimismo, perché dimostra in modo plateale come basta un ufficiale poco corretto per creare un vero e proprio terremoto politico, dal momento che esiste un sistema dell’informazione pronto ad amplificare clamorosamente qualunque errore, o qualunque falsità ( o comunque qualunque sospetto flebile flebile, come erano i sospetti su Tiziano Renzi, prima ancora che la Procura scoprisse l’imbroglio). La fragilità e la superficialità del nostro sistema di informazione sta diventando un problema molto serio, anche se nessuno ha il fegato per affrontarlo di petto e per dire come stanno le cose.

Ora siamo abbastanza curiosi di vedere come si comporteranno i giornali italiani di fronte a questa svolta clamorosa. Giustamente spero – osserveranno che fu giustissima, circa un mese fa, la mossa del dottor Pignatone, che tolse al Noe ( il nucleo ecologico dei carabinieri) la responsabilità delle indagini sul caso Consip.

Ma prenderanno anche atto della figuraccia che hanno rimediato, nel riferire allegramente il falso senza esprimere neppure un dubbio, senza un’esitazione, un’incertezza, e del ruolo decisivo che hanno avuto ( prestandosi alla fuga di notizie e alla pubblicazione di intercettazioni vaghe e non verificate) nel confezionare questa bufala di notevoli dimensioni e di lunga durata che ha avvelenato la politica italiana?

Ecco, su questo ci permettiamo di avere alcuni dubbi. Già quando Pignatone tolse l’inchiesta al Noe, qualche giornale – per esempio “Il Fatto” – protestò, perché disse che la Procura di Roma invece di prendersela coi colpevoli se la prendeva con gli investigatori. Non siamo affatto sicuri che ora, di fronte all’evidenza delle cose, i giornali e le televisioni reciteranno il mea culpa. Non lo fanno spesso.

La questione, evidentemente, non è quella di difendere Renzi e criticare i suoi nemici o viceversa. La malattia sta nel “metodo”, e provoca i suoi danni ferendo alternativamente e costantemente ora a destra e ora a sinistra. E la malattia è l’uso giornalistico delle inchieste giudiziarie, anche quando queste si trovano ancora allo stato nascente.

Questa malattia si chiama “processo spettacolo”, e negli ultimi venti o trent’anni ha assunto un carattere epidemico. Si allarga sempre di più, dilaga. Sicuramente una parte della colpa ricade sugli investigatori, che divulgano notizie che devono restare segrete, e lo fanno o per acquisire meriti e fama, o perché immaginano di rendere più semplici le indagini usando un metodo illegale, o addirittura perché pensano che la gogna sia il modo migliore per punire certi reati, e che si possa facilmente applicare senza aspettare il processo.

In parte, però – in parte maggiore – la colpa non è della magistratura né dei carabinieri e della polizia, ma è del sistema dell’informazione. I giornalisti sono i responsabili principali di questa deformazione della giustizia. Se si rifiutassero di prestarsi alla fuga di notizie, ovviamente, la fuga di notizie, e il processo mediatico, e la gogna, non funzionerebbero più.

Chiedere una riflessione su questi temi, e cioè sul fatto che in campo giudiziario l’informazione italiana non risponde più al criterio di “verità” ma solo ai criteri delle selvagge campagne politiche – per ragioni di appartenenza a uno schieramento, o per ragioni di mercato – è una bestemmia, e cioè equivale a mettere in discussione la sacrosanta libertà dell’informazione? La grande maggioranza dei giornalisti pensa di sì. E siccome quella dei giornalisti è la casta più potente che ci sia in Italia, la speranza di aprire questa discussione è piccola come una formica. Però le formiche son testarde."


Leggendo "Una vita come tante" di Hanya Yanagihara (Sellerio)


"Una vita come tante" di Hanya Yanagihara (Sellerio, traduzione di Luca Briasco) è un romanzo di quasi 1100 pagine.
Ed è un romanzo straordinario.

Un piccolo estratto:

"Sembra che vada bene" disse lui, senza rispondere alla domanda ma cercando conferme. "Non credi?".
Andy aveva sospirato. "Sembra...". Poi si era interrotto, era rimasto in silenzio e Jude aveva sollevato lo sguardo, osservandolo mentre chiudeva gli occhi, come per fare mente locale, e poi li riapriva. "Sembra che vada bene" aveva finalmente risposto. "Dico sul serio".
Jude, allora, aveva provato un forte senso di gratitudine, perché sapeva che Andy non lo pensava davvero, né mai lo avrebbe pensato. Per il medico, il suo corpo era un teatro degli orrori, che costringeva entrambi a stare in costante allerta. Era consapevole che Andy lo vedeva come una persona autolesionista, con una spiccata tendenza al delirio o alla negazione.
Una cosa, pero', Andy non aveva mai capito: Jude era un ottimista. Ogni mese, ogni settimana, decideva di aprire gli occhi per vivere un altro giorno nel mondo. Lo faceva anche quando si sentiva cosi' male che, a volte, era come se il dolore lo trasportasse in un altro stato, nel quale tutto, perfino il passato che cercava disperatamente di dimenticare, sembrava assumere i toni grigi e sbiaditi di un acquerello. lo faceva quando i ricordi spazzavano via tutti gli altri pensieri, quando serviva uno sforzo enorme, una grande concentrazione, per rimanere aggrappato alla sua vita attuale senza lasciarsi travolgersi dalla disperazione e dalla vergogna. Lo faceva quando era troppo stanco di tentare, quando essere sveglio e vivo richiedeva cosi' tanta energia da costringerlo a rimanere a letto in cerca di un motivo per alzarsi e provarci di nuovo, quando sarebbe stato molto piu' facile andare in bagno e prendere le buste di plastica con la chiusura a zip dove teneva il cotone, i rasoi, i tamponi imbevuti di alcool e le garze e che aveva attaccato con lo scotch sotto il lavandino, e arrendersi. Quelli erano i giorni peggiori.
Era stato veramente un errore, quella notte prima di Capodanno, quando, seduto in bagno, si era tagliato il braccio con un rasoio. Era mezzo addormentato: di solito, non era cosi' imprudente. Ma quando si era reso conto di cio' che aveva fatto c'era stati due minuti - li aveva contati - durante i quali non aveva saputo come comportarsi, e restare seduto li', lasciare che l'incidente seguisse il suo corso, gli era sembrato piu' facile rispetto al prendere una decisione che non avrebbe coinvolto soltanto lui, ma anche Willem e Andy, e provocato giorni, mesi di conseguenze.
Non avrebbe mai capito che cosa, alla fine, lo avesse spinto ad afferrare il suo asciugamano dalla sbarra e ad avvolgerlo intorno al braccio, per poi alzarsi in piedi e svegliare Willem. Man mano che i minuti passavano, pero', aveva preso sempre piu' le distanze dall'altra opzione e, mentre gli eventi si susseguivano a una velocità che non era in grado di controllare, aveva ricordato con rimpianto l'anno successivo all'incidente, quando ancora non conosceva Andy e sembrava che le cose potessero migliorare, che il futuro potesse essere gestibile e luminoso, quando sapeva pochissimo della vita ma era pieno di speranza e credeva fermamente che, un giorno, quella speranza sarebbe stata premiata." (pp. 222-223)

domenica 9 aprile 2017

Rileggere, Mishima, Poliuretano, Meneghello, Degrelle, Sebastiano Caputo

Amo  rileggere, quasi piu' del leggere.

Spostando libri e appunti nelle mie librerie ho rimesso sulla scrivania un libro di racconti straordinario scritto da Paolo Mascheri. A "Poliuretano" sono legato come a un fratello. Ci sono atti d'amore di una purezza estrema a questo mondo. Leggere e rileggere questi racconti è come innamorarsi per la prima volta. C'è questa intervista-recensione di Gianfranco Franchi che risale al 2006.


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Rileggere Mishima mi irrora di pace il cuore e la mente. Sdraiarmi sul letto e rileggere senza fermarmi “La voce delle onde” (Feltrinelli, traduzione di Liliana Frassati Sommavilla)

Le ragazze dell'isola affrontavano l'arrivo della stagione della pesca delle perle con l'identica stretta al cuore che provano i giovani di città quando vengono sottoposti agli esami finali a scuola. Le giovani isolane cominciavano per gioco, sin dai primi anni della scuola elementare, a disputarsi i sassi che giacevano sul fondo marino a poca distanza dalla spiaggia, e così s'iniziavano all'arte di tuffarsi, acquistando naturalmente una sempre maggiore destrezza col progredire del loro spirito di emulazione. Ma quando infine cominciavano a tuffarsi per guadagnare da vivere, e i loro giochi spensierati si tramutavano in autentico lavoro, le ragazze si lasciavano cogliera dalla paura e la venuta della primavera, per loro, significava soltanto che la paventata estate era imminenta.
Le attendeva la sensazione fredda e soffocante di una corsa senza respiro, l'inesprimibile agonia del momento in cui l'acqua penetrava a forza sotto gli occhiali, l'orgasmo e il subitaneo timore di un collasso ch es'impadroniva di tutto il corpo proprio quando un'ostrica era quasi a portata di mano. Le attendevano ogni sorta d'incidenti: e le piaghe che si producevano alle punte delle dita dei piedi quando, per risalire in superficie, colpivano scalciando il fondo marino col suo tappeto di conchiglie dagli orli taglienti; e il plumbeo languore che s'impossessava dei loro corpi costretti a tuffarsi quasi al limite di ogni resistenza fisica... Il ricordo inaspriva sempre più tutte queste sofferenze, e il terrore cresceva sempre più al momento di affrontarle di nuovo. E spesso incubi repentini destavano le ragazze anche quando il loro sonno sembrava tanto profondo da non consentire ai sogni d'insinuarvisi. Invece nel cuor della notte, nell'oscurità che circondava i loro letti tranquilli e sicuri da ogni pericolo, quei sogni sarebbero apparsi e il sudore sarebbe corso lungo i pugni stretti delle ragazze.” (pp. 130-131)

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E spero anche di ritrovare e rileggere questo libro.

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Librettino che leggero' a breve.

sabato 8 aprile 2017

La tastiera perfetta per i grillini & co.



La tastiera giusta per i custodi della democrazia riuniti a Ivrea.
(Regalo valido anche per tutto il resto dei partiti)
Cosi', tanto per sorridere in un giorno di merda come questo.

(Scoperta grazie a Matteo Bordone)

A proposito della conventicola dei cinquestellati un'intervista a Filippo Facci su Il Dubbio.

-Rebel Girl-

venerdì 7 aprile 2017

Anto, snob, gente che torturerei, Luca Ricolfi, Heda Margolius Kovály, Ulver, Sarah Manguso



-qui-

Anto è il mio collega di lavoro migliore. Posso anche dire di volergli bene. 62 anni. Portoghese, una vita passata a lavorare nel cinema. A vivere di notte. Responsabile delle maschere. Uomo dei pop-corn insieme a me. Mezzo sordo.
Lontano anni luce da me per ideali e interessi.
Ma l'unico col quale riesco a parlare.
Anche se mi telefona a notte fonda o all'alba per problemi sul lavoro.
Con Anto, uomo comunque silenzioso, sfuggente e solitario, se vuoi parlare devi parlare di lavoro, lavoro, lavoro, lavoro, lavoro, lavoro, calcio, donne e fica.
Per lui donne e fica sono due argomenti diversi. Quando lo ascolto divagare a proposito di donne e fica mi è impossibile restare serio. Mai volgare. Quasi filosofico quando si mette a parlarmi di prostitute vere o immaginarie...di una notte trascorsa al Casino'...di un Capodanno trascorso da solo con una bottiglia di vino e un chilo di baccalà.
Non ci siamo mai frequentati fuori dal lavoro.
Eppure con lui riesco sempre a sentirmi a mio agio.
Merito suo che non mi ha mai rotto i coglioni su come vivo, su chi sono, su come vedo la vita.

Tutto il contrario di quanto mi è accaduto sabato scorso, quando, in occasione della conferenza del gruppo archeologico di mia sorella, mi è toccato scambiare due chiacchiere con uomini e donne di ogni età. Uomini e donne con le quali, molto in teoria, avrei anche argomenti di conversazione. Uno mi ha parlato del libro di Haruf (mia sorella sparge voci su di me), viaggi, politica. Gente insomma capace di romperti il cazzo per ore con Trump, Renzi, l'ultimo film di Kiarostami o Von Trier, Roth e Wallace, i Baustelle e il razzismo, quanto mi manca Berlusconi, w le pistole, Amos Oz, la visita a Auschwitz, quanto mi piace papa Francesco, gli svizzeri sono razzisti, Assad e Mubarak facevano il bene del loro popolo ma anche w le primavere arabe, il viaggio in Giappone, Platone, Socrate, Mozart, le divinità egizie, Musil, prodotti chimici, musei, il salone del mobile, Eataly, io leggo solo classici.
Gente che non capisco mai come cazzo faccia a vivere, a permettersi quel tenore di vita, a girare il mondo, a mangiare per ristoranti, andar per mostre.
Alcuni di questi proprio non fanno un cazzo eppure...
Gente che ce l'ha con gli evasori e i burini e che poi i soldi, guadagnati in nero coi loro studi d'architettura, li conserva in Svizzera anche se stanno sempre a parlar male degli svizzeri e di quanto Como è piu' bella di Lugano. 

Ho sprecato troppo tempo nella mia vita con questa gente.
Da tempo cerco di purificarmi.
Non sento minimamente il bisogno di trascorrere del tempo con questa fauna.

Poi a un certo punto una coppia, un incrocio fra Siouxsie e Francesco Bianconi, quarantenni come me, dopo aver detto che sono amici di mia sorella e che sono appena tornati dalla Grecia, mi fanno:

"E domani cosa fai?" (lei, con una schifosa matita rosicchiata durante la confezione come una carota durante la conferenza).
"Sono stanco. Domani dopo il lavoro passo a prendere una confezione da 6 di birre, torno a casa, mi lavo, mangio e poi mi siedo sul divano e guardo in tv il Giro delle Fiandre."
"Il programma di viaggi su Rai4 o Rai5?" (fa lui, interrompendomi, un paio di stivaletti di una boutique milanese, secondo mio padre)
"No, la gara di ciclismo. Adoro il ciclismo."
"Ah. E come la mettiamo col doping? Il ciclismo ha perso la sua magia...." (ancora lui)
È andato avanti per altri cinque minuti. Deve avermi chiesto anche qualcosa sui miei libri ma ho finto di dover andare al bagno e li ho salutati.

Fuori, nel parcheggio, sotto la pioggia, ho pensato a Anto e ai suoi discorsi surreali, ai suoi ordini perentori, ai suoi vaneggiamenti sessuali e ho preso fiato. 

Poi pero' è arrivato un professore che scava con mia sorella e mi fa "Vai spesso in Grecia mi ha detto Anna, ti piace Kavafis? " e io, nella mia mente l'ho preso, l'ho sgozzato e l'ho bruciato nella piazza.


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Ieri sera sulla televisione svizzera è andato in onda uno splendido programma dedicato alle folli teorie di Ryke Geerd Hamer. In questi anni di parenti morti di tumore anch'io ho incrociato queste storie, questi buffoni.
Gente che andrebbe torturata lentamente. 
Giorno dopo giorno.
Senza possibilità di antidolorifici, di cure.
Di salvezza.

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