“Sul senso della storia” di Giorgio Locchi (Edizioni di Ar) è uno dei libri più interessanti che ho letto quest'anno. Letto in un giorno ma da rileggere altre volte e su cui riflettere con impegno. Leggendolo ho provato il rimpianto di non aver studiato filosofia all'università. Lascio la conclusione del primo dei due scritti inediti contenuti in questo libro. Da segnalare, in coda, anche l'intervento di Adriano Scianca. Ecco il lungo estratto:
“Il destino dell'Europa
Nel 1935 Heidegger disse in una lezione che fu poi pubblicata con il titolo di “Introduzione alla metafisica”:
“Questa Europa [...] si trova oggi nella morsa della Russia da un lato e dell'America dall'altro. Russia e America rappresentano entrambe, da un punto di vista metafisico, la stessa cosa: la medesima desolante frenesia della tecnica scatenata e dell'organizzazione senza radici dell'uomo massificato. [...] Siamo presi nella morsa. Il nostro popolo, il popolo tedesco, in quanto collocato nel mezzo, subisce la pressione più forte della morsa; esso, che è il popolo più ricco di vicini e per conseguenza il più esposto, è insieme il popolo metafisico per eccellenza. Da questa sua caratteristica, di cui siamo certi, discende d'altronde che questo popolo potrà forgiarsi un destino solo se sarà prima capace di provocare in se stesso una risonanza, una possibilità di risonanza nei confronti di questa caratteristica, e se saprà comprendere la sua tradizione in maniera creatrice. Tutto ciò implica che questo popolo, in quanto popolo “storico”, si avventuri ad esporre se stesso e insieme la storia stessa dell'Occidente, colta a partire dal centro del suo avvenire, nell'originario dominio della potenza dell'essere.”
Queste parole valgono anche oggi, anzi oggi più che mai, poiché non solo il popolo tedesco si trova nel centro, ma anche poiché il centro passa attraverso questo popolo in maniera devastante. E per questo le parole di Heidegger devono condurci a una definitiva presa di coscienza del “senso della storia”.
L'”immagine lineare della storia” e quella “tridimensionale” sono state esposte e illustrate. L'una si fonda su un tempo unidimensionale, mentre l'altra su un tempo affermato come tridimensionale. Qual è quella “vera”? Quale corrisponde alla “realtà”? Che tempo esiste veramente? E poi, come domanda preliminare, non sono forse entrambe queste immagini antagoniste il riflesso di sentimenti del mondo da tempo immemorabili appartenenti all'uomo? A quest'ultima domanda è certamente da rispondere in maniera affermativa, proprio perché l'Esserci storico è sempre posto di fronte a una scelta, deve sempre decidere tra possibilità contraddittorie, ed egli è sempre libero di prendere questa decisione secondo il suo proprio “sentimento”. Si pensi ad esempio a un fenomeno come quello delle piramidi. Per un “sentimento del mondo” le piramidi rappresentano un simbolo della decadenza e dell'alienazione” umana, giacché solo schiavitù, sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo, “cattiva coscienza” dei governanti e superstizione dei “più umili” hanno potuto condurre alla progettazione e all'edificazione di questi monumenti “sporchi di sangue”. L'altro sentimento del mondo, invece, tenta di penetrare l'originalità straordinaria di queste opere d'arte, meravigliato dall'essenza grandiosa e terribile” dell'uomo costruttore di storia. Oppure poniamo mente a quella sentinella romana di Pompei che Oswald Spengler ha una volta rievocato. Questa sentinella morì, sepolta dalle ceneri causate dall'eruzione, proprio lì dove egli doveva essere, in attesa dello scioglimento della consegna che mai arrivò. Il comportamento di questa sentinella romana è del tutto privo di senso per chi ritiene che la storia non abbia senso. A costui la sentinella appare cioè come la vittima di un' “illusione”, di un “errore” assurdo e inutile. Oswald Spengler vive invece in questo soldato romano, che si è sacrificato “invano”, il modello esemplare dell' “attitudine storica”, del “voler-divenire-sé stessi” fino alla morte e nella morte. E allo stesso modo egli ha anche voluto vedere l'Occidente – ormai al collasso, secondo la sua teoria – che incontra la sua fine in una “vana” battaglia eroica finale.
Questi sentimenti del mondo antagonisti, tuttavia, si trovano essi stessi nella storia e mutano a seconda delle possibilità epocali che impongono una scelta. Noi conosciamo l'uno o l'altro solo a partire dal nostro presente, da questo presente facciamo nostro l'uno o l'altro, e solo così, in noi stessi, possiamo comprenderli. Ma, così procedendo, non facciamo altro che “scrivere” la “nostra” storia (Historie).
Ora dobbiamo tornare a chiederci: qual è la “vera” immagine della storia? Quella “lineare” o quella “tridimensionale”? Quale corrispondere alla “realtà”? Quale tempo è il tempo della storia, quello unidimensionale o quello tridimensionale? Queste domande sono le nostre domande, ossia le domande di coloro che in qualche modo appartengono alla nuova tendenza epocale. Chi appartiene alla tendenza egualitarista, infatti, non si pone tali domande, poiché “crede” o “sa” di essere nel giusto e nel vero. Egli sa dove la storia irresistibilmente e ineluttabilmente è diretta: alla fine che inaugura la post-storia. (Egli si chiede al limite come questa fine possa essere raggiunta “al più presto”, il che ben rappresenta ai “nostri” occhi una domanda grottesca e fin “troppo umana”).
Questo domandare, che è il “nostro domandare”, avviene ora, affinché esso risulti infine non un puro domandare, bensì un'aspirazione, un progetto arrivo e agente. Né l'una né l'altra immagine della storia sono “vere”. Il tempo unidimensionale, scaturito dalla temporalità inautentica, è il primo ad essere penetrato nella coscienza dell'uomo e, anche da una “prospettiva storica mondiale”, è stato il primo a entrare nella coscienza storica dell'umanità. Esso non rappresenta tuttavia il tempo della storia, bensì solo il tempo in cui “si” vive. Qualora il compimento del progetto egualitarista trasformasse ogni uomo e ogni popolo in un “Si”, allora la storia e l'Esserci stesso come possibilità sarebbero per sempre cancellati; solo allora l'Esserci non ci sarà mai stato.
Tutto ciò è possibile. La fine della storia è possibile. La temporalità autentica è l'unico senso dell'Esserci e, in quanto senso del possibile, è anch'esso una possibilità. Questo senso ormai – divenendo cosciente in una nuova tendenza epocale (in un uomo nuovo) – entra esso stesso nella storia come possibilità – coinvolgente tutta la “storia mondiale” - di una nuova origine storica. “Si” continua tuttvavia sempre a essere, poiché sempre “si” è un Esserci raggiunto dalla vita, e la vita in quanto vita vive anche senza Esserci, anche senza il “puramente-umano” (Rein-Menschliches). Per questo motivo Wagner ha parlato della necessità di “rigenerare il puramente-umano”. Per questo motivo Nietysche ha dovuto parlare del “superuomo”, ossia della necessità – al di la del “si” storicamente divenuto – di realizzare una nuova origine umana, un nuovo “inizio” storico. E anche questo è possibile. Un nuovo cominciamento della storia è possibile. Anche questo fa parte del conflitto epocale. Non esiste alcuna verità storica. Se esistesse, allora non ci potrebbe essere storia. La verità storica è sempre da conquistare e da realizzare. Questo è appunto – per noi – il senso della storia. (pp. 41-44)