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mercoledì 30 novembre 2016

Il mio amore per il rock, Jerry Lee Lewis, Giulia Innocenzi - Tritacarne

Non so dove sia nato veramente il mio amore per la musica rock. Sicuramente avere un padre che in macchina ascoltava continuamente "Foxy Lady" o "House of The Rising Sun" mi ha aiutato parecchio. Così come quei concerti che mandavano ogni tanto su Rai 3. Forse Monterey. Forse Woodstock. Ero troppo piccolo per ricordare. O perché mia madre mi ha sempre ricordato Grace Slick. O invece se sia merito di "Suspicious Mind" di Elvis che quando la sentivo io mi rotolavo sorridente sulla moquette. Oppure "I Corvi" che mio zio cantava sempre quando cucinava. O "Blitzkrieg Bop" dei Ramones

Di sicuro devo ringraziare Jerry Lee Lewis. Ricordo ancora che mi innamorai totalmente di lui guardando un suo concerto in tv. Poi in prima media mi trovai dei soldi in tasca e chiesi a mio padre se poteva andare da "Amadeus", un mitico negozio di musica nel paese accanto, e ordinare una cassetta coi suoi successi. Mi arrivò sei mesi dopo quando praticamente avevo ormai cominciato ad ascoltare una valanga di roba nuova, compresi i Nirvana.

Però quella cassetta quando mi capita fra le mani l'ascolto ancora. Ha un ritmo bestiale Jerry. Musica di Satana. Sexy. Dannata. Ci pensavo ieri ascoltando la puntata de "Il falco e il gabbiano" di Ruggeri a lui dedicata.  Uomo devastante. Uno che mi ha dato la forza di vivere. 

Guardatevi questo video e pensate oggi a chi possa fare una roba del genere. Nessuno probabilmente.


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Comprato oggi, dopo averla vista da Augias. Sì, nell'articolo di ieri ho parlato male di lui. Oggi,(praticamente una giornata di lettura, malessere e alcolici e mangiavo facendo zapping), ho seguito metà della trasmissione e mi ha incuriosito parecchio. Tratta alcuni argomenti su cui mi batto da parecchi anni. Inascoltato e deriso quasi sempre. Ho intenzione di scriverne.

martedì 29 novembre 2016

"L'ubbidiente democratico" di Luigi Iannone (Idrovolante Edizioni)


E allora bisogna essere concreti e spietati: con Lorenz è diverso non in quanto nazista ma per le sue teorie sull'imprinting e forse, soprattutto per qualche suo saggio non-conformista come “Gli otto peccati capitali della nostra civiltà” (peraltro, pubblicato in Germania nell'anno del Nobel) in cui mette alla berlina il modello democratico che esalta una innaturale disumanizzazione della nostra specie. Per questo, e non per le sue passate “simpatie”, Lorenz è diventato un appestato. Ma non si ha il coraggio di dirlo.” (pag. 34)

Avevo trascorso una settimana di lavoro distruttiva, al limite dell'alienazione totale, e tenevo questo sferzante, incisivo e anche struggente libro “L'ubbidiente democratico. Come la civiltà occidentale è diventata preda del politicamente corretto” di Luigi Iannone (Idrovolante Edizioni, prefazione di Michel De Feudis) fra le mani ma prima di leggerlo volevo tornare a guardare, dopo un sacco di tempo, un po' di tv. Stando seduto sul divano. Senza alcuna voglia di uscire di casa. Sedersi e oziare. Bere un caffè dietro l'altro. Alla mia destra, sul tavolo, colonne di libri da leggere. Appunti da sistemare. Ma niente, volevo solo tv. Talk show e programmi “culturali”, documentari, approfondimenti. 

È bastato poco per sprofondare nel solito spettacolino indecente. A sorbirsi le solite chiacchiere. I soliti ospiti. Le solite battute. I soliti pseudo approfondimenti. Una cascata di lacrime e giornalisti con l'ipad fra le mani. Storie “vere” e politici sbraitanti. Poi, mentre mangiavo un panino, sempre seduto sul divano, arrivava il programma di Augias (e ci si chiede Ma non si era ritirato quest'uomo saccente? ) e davanti agli ospiti (sempre di primo piano, sempre eccellenze) avevo pensato: “Ma quante volte li ha invitati?”. Poi magari quell'ospite non l'avevo mai visto prima d'allora però l'avevo incrociato su Repubblica, sul Corriere, sul Manifesto, poi forse intervistato su un settimanale eper non farsi mancare nulla ecco i siti che gli dedicano uno speciale, in un girotondo continuo delle solite facce, dei soliti libri, del solito pensiero omologante, giusto, ineccepibile. 
E intanto venivo preso da noia e disgusto per quanto avevo visto e ascoltato.
Il giorno prima avevo letto il romanzo di Spaggiari “Le fogne del paradiso” e avevo pensato al suo sorriso, alle sue gesta, alla sua brama di vita e così mi ero deciso a spegnere tutto, luce compresa, rimanendo al buio a riflettere sulla miseria della mia vita bevendo una birra dietro l'altra. 
Affranto e triste. 

Più tardi mi ero messo a leggere il saggio di Iannone, in piedi in cucina, i fornelli spenti alle mie spalle e l'ho letto d'un fiato. Sentendomi letteralmente travolto e finalmente a casa. Non condividendone alcuni passaggi ma totalmente l'impeto, il desiderio di liberarsi dal conformismo che ci circonda, che permea ogni singolo istante dell'esistenza, della contemporaneità. Dalla tv ai giornali, dalle case editrici ai siti internet, dalla politica a chi grida al cambiamento. 
Conformismo. Conformismo anche nell'anticonformismo. 
Iannone non fa sconti a nessuno, nemmeno a coloro che ospitano i suoi interventi. 
Sono pagine dense, urticanti ma anche piene di sentimenti, di genuina passione.
A Augias e compagnia bella l'autore dedica un bellissimo e ironico passaggio ma sono emozionanti anche le ricostruzioni della formazione politica, del Fronte della Gioventù e delle letture non conformi (Evola, Drieu, Freda, Degrelle e molti altri). E ti viene voglia quasi di chiedere cosa significa letture non conformi? Ferretti cantava “Conforme a chi Conforme a cosa Conforme ad ogni strana posa” Eppure ricordo ancora la lite con mio padre quando trovò sulla mia scrivania “Rigodon” di Céline preso in prestito dalla biblioteca. Voleva quasi gettarlo e lo salvai solo perché era stato in preso dalla biblioteca. Caso volle poi che quando la biblioteca si liberò di alcuni libri in condizioni disastrose riuscii a recuperare proprio quella copia che ha segnato la mia esistenza. Qualcosa di simile è accaduto anche qualche tempo fa quando raccontando a una donna del mio amore per Ezra Pound e di come su un treno fossi stato insultato mentre leggevo “I Cantos” piuttosto che ricevere parole di conforto, mi sentii dire che avevano fatto bene a insultarmi.

Iannone non fa concessioni a nessuno: scoperchia l'ipocrisia della cultura di massa alla Benigni; le follie dell'amore al limite della pornografia per cani e gatti; il buonismo sterile di chi guarda sempre a Caino e mai ad Abele; restituisce luce e dignità ad alcuni valori dimenticati come l'onore, l'amore patrio e la lealtà ricordandoci la statura di uomini come Hiroo Nooda, Mishima, Dominique Venner; trovandomi anche in disaccordo quando tuona contro la solidarietà in stile “Je suis Charlie”; irride gli intellettuali che di professione firmano appelli; fa a pezzi il conformismo e l'opportunismo di chi mette alla gogna uomini straordinari come Konrad Lorenz; mi ha commosso profondamente e me lo ha fatto sentire istintivamente amico quando scrive di scuola, università, baroni (quante sofferenze ha vissuto mia sorella, figlia di nessuno e senza soldi, nel mondo universitario) e ricorda Papini e distingue fra studio e scuola, perché frequentare la scuola è spesso e volentieri una perdita di tempo mentre studiare, conoscere, ricercare arricchisce e forma l'uomo; si scaglia contro le derive di modernità, tecnologica, progressismo della Chiesa “prima o poi riceveremo la Cresima via WhatsApp e l'Eucarestia in contrassegno tramite corriere espresso, poiché uno schermo deresponsabilizzante filtra ormai ogni differenza tra il sacro e l'esecrabile” (pag. 87); mette in ridicolo l'arte contemporanea e i suoi intelligentissimi consumatori; illumina con dolore la realtà di un'infanzia contemporanea addestrata sin dalla prima ora a diventare consumatori; fa saltare in aria tutti i punti che tengono assieme il vestito lacero della democrazia e dei suoi docili ubbidienti che si scambiano a seconda di come tira il vento e delle opportunità il costume da rivoluzionario, dittatore, custode della libertà. 

Il saggio si chiude su un tono dolente, dimesso quasi, quando Iannone ricorda come il nostro tempo non viva di confronto vero e schietto e anche sanguigno fra idee contrapposte ma di uno scontro fra pance urlanti e dibattiti condensati in 120 caratteri sempre interni al sistema, fra politici e intellettuali disposti a tutto pur di garantirsi un'eterna posizione di rendita. 

Tono struggente che però non toglie mai al lettore la spinta a continuare a solcare strade impervie e poco battute, a non abbandonare la voglia di combattere, a non adeguarsi al pensiero unico, a sentirsi non-conformi e non per moda o per tenere qualche posa da maledetto ma per un sentire che si costruisce giorno dopo dopo, con animo libero e fiero, a costo di rimanere soli, di essere derisi e considerati non al passo dei tempi, disubbidienti, reazionari, non democratici, non progressisti.

Non mi piace il dialetto

A me non piace il dialetto. In generale. Quello delle mia zona di provenienza ma anche tutti i vari dialetti della penisola e del mondo intero. Ne riconosco il valore, l'apporto, l'importanza. So benissimo che il dialetto riesce a esprimere concetti con un'immediatezza che le lingue nazionali non possiedono. Che il dialetto insieme al regionalismo é una delle peculiarità della penisola. 
Non so parlare in dialetto ma lo capisco perfettamente. Sto parlando del brianzolo e di quello della zona del Varesotto/legnanese. Essendo la mia compagna una veneta non mi é ormai così tanto difficile comprendere il veneto parlato nel vicentino. Sono cresciuto in una famiglia dove il dialetto è la seconda lingua, anche se i miei genitori hanno sempre parlato esclusivamente in italiano con me e mia sorella e anche mia sorella non sa parlare in dialetto. E so benissimo che il mio italiano si sporca talvolta di errori figli del dialetto. Il mio stesso parlato, duro, con un certo modo di pronunciare ad esempio la Z rivela la mia provenienza. E pensare che l'italiano sia una forma ben determinata, rigida, statuaria, è una follia. Basti riflettere su come alcune traduzioni di letteratura straniera siano figlie anche dalla provenienza regionale del traduttore. La stessa lingua italiana si modifica ed è modificata col trascorrere degli anni. Si plasma sotto le mani di chi la utilizza, la parla. Si abbandonano termini. Insomma pensare che la lingua, le lingue in generale, siano una prigione, un dogma eterno è una follia.

Ma detto questo a me il dialetto continua a non piacere. E sapete perché? Per il suono. Sin da piccolo il dialetto mi entrava nelle orecchie in maniera sgradevole. Preferivo i miei nonni quando parlavano in italiano. Il suono dell'italiano mi confortava. Mi faceva star bene. Semplicemente mi piaceva. Mi piace sentirmelo in bocca l'italiano. È un sapore che adoro. Più del cibo. Ultimamente mi sta accadendo anche col francese, che al lavoro sono obbligato a riprendere a parlare/studiare (e nei prossimi mesi sono intenzionato a dedicarmici con impegno). Già pronunciare la parola “casa” in dialetto mi fa sentire la bocca tristissima. Brutta. Così come “figlio”. Intendo proprio il suono che mi esce dalla bocca quando pronuncio questa parola. La stessa bellezza la sentivo quando studiavo latino o ascolto ancora oggi mia sorella e una mia amica parlare o leggere ad alta voce in greco antico.

Ascoltare l'italiano mi quieta, mi fa sentire felice. Mi fa sentire, e questo vale solo per me, la realtà nelle sue varie sfaccettature. 

Sia ben chiaro non c'è nessuna pretesa di superiorità, nessun integralismo ma solo differenza.
Anche se per tanti anni utilizzare esclusivamente il dialetto mi ha spesso procurato un sacco di problemi.

Come qualche giorno fa, quando ho girato in lungo e in largo per il mio paese sbrigando commesse per mio padre e in successione sono passato dal macellaio, dal panettiere, dal fruttivendolo, da un paio di parenti. Tutti, dico tutti, quelli che ho incontrato parlavano dialetto. Stava filando tutto liscio quand'ecco che appena entrato nel bar in piazza sento alzarsi al cielo: “È arrivato il professorino svizzero”, ovviamente in dialetto. E tutti che ridono. L'idraulico, il pensionato, il bancario, l'avvocato, l'impiegata, il dottore, l'operaio. 

So che non c'era vera e propria cattiveria in quel commento ma solo l'abitudine allo scherno compulsivo e volgare che impera nella società ma confesso che in quel momento avrei voluto trasformarmi in un dittatore sanguinario che impone a tutti, pena la morte, la lingua italiana.

E invece sono andato al cimitero e ho passeggiato triste per le file di tombe.

Per fortuna ho incontrato Lucky, un becchino albanese. In italiano mi ha chiesto della mia famiglia, del mio lavoro. Secondo me lui non capiva perché fossi così contento di parlargli.

Per fortuna Lucky è uno di quegli immigrati che arrivato in Italia ha imparato prima l'italiano che il dialetto.


domenica 27 novembre 2016

La bellezza delle città chiuse + Albertine Sarrazin, Wendell Berry, Corporatismo del III Millennio, Old gray

L'ho già scritto altre volte ma per me, di domenica, uscire  dal lavoro distrutto e stanco, prendere la macchina e trovare alle 14 la città (turistica) dove vivo praticamente chiusa e semi addormentata mi procura sempre momenti di gioia intensa, di serenità. Solo un paio di edicole aperte, qualche bar e ristoranti (non tutti), chiusi tutti i negozi, le librerie, i supermercati. Ritiro il mio plico di giornali, prendo i giornali gratuiti domenicali, entro dal benzinaio e torno a casa. 

Ogni volta che di domenica mi sposto invece in Italia mi manca il fiato a vedere tutto aperto, colonne di macchine dirette ai centri commerciali, vie di centri cittadini invase da affamati di shopping. 

Un vero schifo.

Fuori casa splende il sole, fa caldo, ma ho già trascorso troppe ore nel mondo al di là di queste pareti.

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Altri libri che leggerò a breve:


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Impazzisco dalla voglia di ascoltare questo disco. Intanto un altro estratto.

sabato 26 novembre 2016

Romanzi di guerra (Turner, Parker); scoprire libri leggendo LaVerità (Lasch, Peguy), Carissa's Wierd

- fidel non mi mancherà.


- Due romanzi su guerra, ossessioni, rielaborazione del trauma, dolore che a breve, dopo averli ordinati, mi arriveranno sulla scrivania:


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Leggendo LaVerità, a parte l'intervista a Marion Le Pen, ho trovato due articoli dedicati a libri che m'interessano molto:


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Nel mio i-pod sono stabili da quando l'ho comprato i Carissa's Wierd. Non li ho mai tolti.



venerdì 25 novembre 2016

Contratti, black friday, bar, pioggia - Dio delle zecche

Leggevo su Area, giornale del sindacato Unia, un articolo esemplificativo di quanto sta succedendo nel mondo del lavoro. Una donna che da un contratto part-time viene portata al lavoro a chiamata e infine, dopo le proteste, condotta a calci in culo verso il licenziamento. Nel cinema dove lavoro ho un contratto a chiamata. Senza ferie e malattie pagate (me le pagano solo se sono in programma ma basta che si prolunghi e non prendo un cazzo). Senza una vera e propria garanzia di orari. 
Ma soprattutto ho una collega che per aveva un contratto part-time, con ferie, malattie e tredicesima e che è finita da un anno ad avere un contratto a chiamata esattamente come il mio. 
Ne avevo un'altra che ha resistito solo pochi mesi col nuovo contratto. Erano cadute tutte le sue garanzie. La sua stabilità.

Riflettevo su tutto ciò mentre camminavo per le vie del centro invase da insetti a due zampe in cerca di saldi. Si affannavano. Spendevano. Sbavavano. Litigavano per promesse non mantenute. Borse, pacchi. Commesse sfinite. Ma anche pienamente calate nella parte. Un mese a Natale e questi sono già in ultradipendenza da acquisti.

Sono scappato via e sono entrato in un bar discosto frequentato da anziani, tossici, alcolizzati, divorziate e dopo aver pisciato ho ordinato un calice di bianco. Mi è stato portato in un bicchiere polveroso. Con tranquillità. Ho sfogliato i quotidiani locali e pagato una cifra irrisoria per la consumazione. Una donna si è seduta accanto a me e mi ha chiesto dell'herpes che ho sotto l'occhio destro. Viso e mani da alcolizzata ma la dignità della persona perbene. Ha commentato l'articolo che stavo leggendo. Mi ha chiesto dove lavoro. Intanto che la ascoltavo lei beveva un bicchiere di vino rosso dietro l'altro. Aveva i denti gialli e le unghie curate. Ne ho ordinato un altro di bicchiere, l'ho bevuto in fretta e sono tornato a casa salutando la donna con una stretta di mano. Sotto la pioggia battente ho incrociato gli studenti del liceo. Sembravano dei vecchi.


giovedì 24 novembre 2016

Sparsi (firme false stellate, Stenio Solinas, Hanya Yanagihara)

- Magari poi all'interno ci saranno decine di pagine dedicate alla firme false stellate ma sulla prima pagina del Fatto e nemmeno del Manifesto (questo ce l'ho in casa e ci sono due riquadretti abbastanza anonimi) c'è un richiamo a queste inchieste.  Che poi chissenefrega di queste storie anche se in realtà sono a mio parere fatti di una gravità che m'infastidisce quasi più del politico che prende una mazzetta.

Ne ha scritto Annalisa Chirico qui: "Grillo e il falso mito della politica pura e diversa"

- Alcune righe di Stenio Solinas: "ÈLITES GIÙ DAL TRENO"


- Maestoso:


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- Incubi. Tutti giorni. Prima di andare dal lavoro. La sera mi stordisco. Dovrei stordirmi di giorno. Per sopportare la merda che ingoio. Ma voglio sentirla questa merda. Sentirmela in bocca. Ricordarmela tutta. Viverla. 


mercoledì 23 novembre 2016

Impermanence



Di solito quanto torno da mio padre mangiamo in cucina. Due chiacchiere veloci. Il caffé. Qualche commissione insieme nel pomeriggio. Se invece sono previsti altri ospiti, come ieri sera, sediamo in salotto, attorno al tavolo in legno massiccio cercato per anni da mia madre. In queste occasioni preferisco sedere vicino alla finestra così da poter guardar fuori, verso le case e i palazzi vicini, mentre intorno a me fioriscono conversazioni di cui non m'importa assolutamente nulla. Resto zitto e rispondo solo se interpellato. Conto i minuti che mi restano prima di andarmene. 
Ieri sera si é ripetuto il solito copione. Con gli anni ho rinunciato a qualunque velleità di partecipazione. A qualunque propensione al litigo, alla difesa dei miei principi. 
Sorrido, taccio, mostro, delicatamente, il mio disinteresse. Questi appuntamenti che vivono di ipocrisia mi stravolgono a tal punto un umore che è già nero di suo da impedirmi, nel prosieguo della giornata o il giorno successivo, di svolgere qualsiasi attività. Leggere, scrivere, guardare un film, camminare, mangiare, parlare mi risultano azioni difficili e quasi incomprensibili da compiere. 

Per fortuna in questa giornata c'è Drieu da stringermi al petto (rileggere "Gilles" a quasi quarant'anni è un'emozione di puro dolore) e nessun libro da leggere per recensioni o altri obblighi del cazzo:

Dormiva. Sospirò sollevato. Era finalmente solo con se stesso. Aveva una gran voglia di abbandonare quel letto. Ma l'inquietudine lo trattenne. Non era un uomo, no. Non era un uomo: se fosse stato un uomo sarebbe penetrato in quella fanciulla senza orrore. E ora si sarebbe sentito felice. Guardò nel buio: il rimorso lo popolava di miti.” (pag. 154)

e soprattutto l'emozione di vedere la mia compagna che in pigiama si aggira silenziosa e pensierosa per i 50 metri quadrati del nostro appartamento.
  
Fuori piove a dirotto e pioverà a fino a venerdì.
Questo pomeriggio sono costretto a uscire per pagare bollette e per fare spesa.

Infilo le cuffie e ascolto l'ultimo album, triste e depresso, dei Deer Leap, “Impermanence”, guardando fuori, verso l'Asilo Montessori e i  bambini che corrono sotto l'acqua. 
I loro sorrisi, i loro giochi non mi risollevano l'umore.

Ieri sera hanno parlato di cuochi stellati, ricette, referendum, vita di paese, persone che non so nemmeno chi sono, soldi, educazione.

Al solo pensiero di essere trascinato per ristoranti, università, locali, bar, musei, mostre, trattorie, concerti, saloni del libro, sedi di partito, seggi elettorali, teatri, sale cinematografiche mi viene voglia di morire, di scomparire.

Datemi una spiaggia, le rive di un lago, le sponde di un fiume, le oscurità di una foresta, un bungalow a Creta, una pistola, alcolici, il silenzio dei cimiteri e dei templi in rovina.

martedì 22 novembre 2016

Non



Non mi piace festeggiare. In generale. Feste comandate, feste nazionali, feste del cazzo. Ricorrenze e compleanni. Miei, dei miei familiari. Di chiunque. Non mi piace e basta. Salvavo Natale ma da quando è morta mia madre non mi va più di viverlo. Stasera affronterò una di queste insopportabili occasioni familiari. Nell'attesa di spostarmi vivo già ore d'angoscia. E mi sento un ipocrita. Un falso e un vigliacco. A continuare a cedere, a fingere, a partecipare. Accetto tutto. Come un perfetto coglione.


lunedì 21 novembre 2016

Drieu; due film che vorrei vedere"; Silvia Valerio; Bukowski; The Azure Vault; Ceronetti; per curiosità, interesse e per bellezza.

Prevista una settimana di pioggia. Inutilità costante. Strani sogni. Incubi.
Io ci ho provato a leggere il reportage di Ezio Mauro alla ricerca della sinistra ma l'ho mollato dopo dieci minuti. 
Al lavoro per fortuna c'è un elettricista che da quattro mesi mi tira su l'umore anche solo parlandomi di quanto ama l'universo femminile. Quando parla di donne diventa quasi poetico.

Salvarmi leggendo Drieu: 

"Finalmente si lasciò andare a osservare, a desiderare. Tutto quel mondo, che per lunghi mesi aveva disprezzato, ora gli appariva strano. Gli uomini avrebbe anche potuto odiarli, ma non guardava che le donne, e le adorava. La serata era dolce. Se avesse alzato gli occhi al cielo, come spesso faceva al fronte - ma qui, nella grande città, se n'era subito scordato; qui i suoi sensi erano tutti tesi verso qualche feticcio - avrebbe visto un cielo incantevole. Cielo di Parigi senza stelle. Era una serata dolce, appena un po' fresca. Le donne portavano le pellicce aperte. E lo guardavano. Operaie e donnine. Queste ultime lo tentavano di più, ma per ora voleva solo trastullarsi col suo desiderio, fino a serrare i denti, fino a svenire. Tutti sembravano inseguire uno stesso fine. E anche lui: un fine la cui forma gli era ancora sconosciuta. Prima o poi, avrebbe scoperto quella forma." (Gilles, pp. 11-12)

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Due film che vorrei vedere:


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Intervista a Silvia Valerio: "Silvia Valerio: “Etica ed estetica per un mondo migliore”. Peccato non esser riuscito ad andare a Padova. 

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Per curiosità, interesse e per la bellezza andrei qui.

sabato 19 novembre 2016

Buoni motivi per leggere un quotidiano; Marylinne Robinson


Leggo la copia odierna de LaVerità a pomeriggio inoltrato dopo una giornata di lavoro breve ma intensa (in attesa di quella campale di domani e dopodomani) e ci ho trovato alcuni articoli che sono valsi i soldi spesi:

Quello di Marianna Baroli sul mondo allucinante delle cliniche vip: "Vogliono darmi 500.000 dollari per affittare l'utero a un vip", quello di Francesco Borgonovo sul Papa di Sorrentino e la punzecchiatura sull'ultimo imbarazzante appello degli intellettuali che va in coppia con quello di Francesco Bonazzi, quello su Torino e infine quello di Benedetto Colli su Mishima.

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Marylinne Robinson è un'autrice straordinaria. Completamente fuori dai tempi di questa modernità insopportabile. Leggetela. Cercate "Le cure domestiche" (Einaudi, traduzione di Delfina Vizzoli) e tutti i suoi libri. Vera emozione.

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L'ansia e il dolore che mi prendono al petto.
Guardo gli animali rinchiusi in un circo e li saluto con la mano.
Siamo simili.
Ridicoli.

venerdì 18 novembre 2016

Minor Victories, freddo insostenibile, Robert


-....un album semplicemente splendido....-

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oggi è stata una giornata risanata dalle carezze

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Robert Brasillach, con le sue parole, nel mio cuore.

"A trentacinque anni prigioniero come Villon, incatenato come Cervantes, condannato come Andrea Chenier, prima dell'ora dei condannati, come altri in altri tempi, su questi fogli scarabocchiati inizio il mio testamento. Per sentenza, dei miei beni terreni mi si vuol togliere il possesso. È facile, non ho terre ne tesori e i miei libri, le mie visioni possono essere dispersi al vento: amore e coraggio non sono soggetti a processo. Per prima cosa lascio l'anima mia a Dio suo creatore, nè santa nè pura, lo so, soltanto l'anima di un peccatore. Possano i Santi francesi quelli della fiducia, dire egli non arrivò mai. A peccare contro la speranza. Cosa donare alla mia patria se ella stessa mi ha scacciato? Ho creduto d'averla servita e l'amo sempre, anche oggi. Essa mi ha dato il mio paese, e la lingua che è stata mia. Io non posso che lasciarle qui il mio corpo, in terra sconsacrata. E poi lascio il mio amore, la mia infanzia, il mio cuore, il ricordo dei primi giorni, il cristallo della più pura felicità. Ah! Lascio tutto ciò che amo il primo bacio, la freschezza, lascio veramente tutto me stesso, il meglio, se pure ve ne è. A te o prima immagine, al sorriso sulla mia culla alla tenerezza e al coraggio, alla magia dei giorni tanto belli, sole anche fra i singhiozzi, fierezza nei tempi peggiori, a te che non importa l'età del tuo bambino. E per te, sorella, amica mia, (ho passato tanto poco tempo lontano da te, e per tutta la vita i nostri cuori hanno palpitato insieme) quello che lascio sono i fienili della vecchia primavera, i giochi della giovinezza, le passeggiate da studenti.In mezzo alla neve gelatala gaiezza è soltanto tua, tuo il sorridere al di là le sbarre lontane tu così fiera, indomita, sorridente nella sfortuna, amica di sempre, sorella di gioia e di dolore. A te, ancora, che ho visto nascere quando avevo dodici anni, o sorellina, ti sei affacciata alla vita in giorni foschi. A te tutto ciò che abbiamo trovato, il disprezzo dei cuori vili, il silenzio che ci riunisce, e l'onore che non si infrange. O bambini miei,voi che non mi dimenticherete (e forse altri verranno dopo di me)voi m'avete dato quaggiù i vostri giuochi e i vostri abbracci, il vostro sonno da custodire:ecco vi parlo sottovoce e vi rendo tutte queste meraviglie. Ed eccomi a te, Maurice, fratello della mia giovinezza,cosa potrei donarti a te che lascio che non sia anche tuo? Parigi che ci fu cara Firenze che appare, e, con le strade brulle e rosse, sempre la nostra Spagna. Ma ecco soprattutto, fratello mio,il coraggio della giovinezza: nessun caso o disperazione, guarda tutto con fiducia. Dallo stesso destino ben mascherato noi desideravamo solo un disegno chiaro, così è stato. E niente ci ha negato fra i doni che poteva recarci. Bene o male, accettiamo il premio! Glielo rendo, tutto alla rinfusa. Ma lascio a te il meglio, i diciassette anni, la nuova alba,i colori del mattino avanzato, i nostri anni uguali e belli,i bimbi della nostra casa,e la nostra giovinezza immortale. E poi ecco i miei amici,a ognuno il suo ricordo,a voi di ieri, a voi di oggi,voi mi siete intorno senza scappare,voi accendete al mio passaggio il più bel fuoco dell'avvenire.Tendo le mani verso i vostri volti che mi aiutano ad essere forte. Caro Josè, ecco la città,la corte di Luigi il Grande Georges, per lo stato futuro,ecco le strade nelle campagne. Henry, ecco i Lungosenna, e i libri da sfogliare, e il paese delle Sirene che avremmo dovuto visitare. Ecco Natale a Vendome, Notre-Dame dei pellegrini. Il passato è stato tanto bello non bisogna accusare il destino.Fino al termine del nostro viaggio terreno, abbiamo sempre visto il meglio, la consapevolezza di noi stessi, la giovinezza del nostro cuore. E per te, amica mia, tanto tempo dopo la nostra adolescenza, non ho che strani ricordi da lasciarti: poche gioie, certamente, e molte pene, l'asilo dove cercai di proteggere la mia vita nel mezzo dei giorni peggiori, e ciò che mai si dimentica. A voi, fratelli di guerra, camerati dei fili spinati fedeli in ogni disavventura, non cessate di parlarmi. Ecco le nostre nevi sul campo, ecco le nostre speranze di esuli, le nostre lunghe attese, la nostra limpida fede. E voi, giovani del mio paese ecco le parole che abbiamo pronunciato, i nostri fuochi nel campo della notte, e le nostre tende nei boschi, voi lo sapete meglio di chiunque, ho voluto preservare la patria dal sangue versato, a voi dono, amici miei, questo sangue custodito. Caro Well, pilastro incrollabile, il popolo minuto del mercato, la via brulicante, le carrette degli ortolani, sono cose tue, testardo amico, che nell'ombra sembri indovinare, ciò che la fede duratura, malgrado l'apparenza, spera. E voi, ultimi arrivati, amici dei giorni peggiori, prigionieri rinchiusi dalle sbarre, custodite le mie ultime ore di condannato custodite il freddo e il fastidio: per chi non avrà neanche questi essi sono dei tesori. Ed io l'ho conosciuti con voi. Qualche ombra, qualche immagine ha ancora diritti a qualche briciola:affrettiamoci quindi nella spartizione prima che si compi il destino.Tutti coloro, uomini e donne,che sono entrati nel mio cammino possono nella notte lucente aspettare il mattino con me. Per tutti loro avevo mani traboccanti: esse sono ora vuote dei ricordi più lontani e del passato più commuovente. Non conservo da portare al di là della vita terrena, lontano dai piaceri umani, che quelle che furono le mie amicizie, solo ciò che non mi si può strappare, l'amore e il gusto della terra,il nome di quelli che vengono nel mio cuore nelle notti tristi; gli anni della mia felicità,l a fiducia dei miei fratelli, e sempre il pensiero dell'onore e l'immagine di mia madre. 

- 22 Gennaio 1945 -

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giovedì 17 novembre 2016

Lucio Mastronardi, "Il maestro di Vigevano"; Simone Cristicchi; Tipografia Helvetica - Labranca (For Dummies); Sarah Kane; canzone di oggi


Con la letteratura italiana non ho un bellissimo rapporto. Leggo di solito letteratura straniera. Anche se alcuni autori italiani sono stati e sono tutt'ora fondamentali nella mia esistenza. Penso a Morselli, Fenoglio, Simone Cattaneo, Paolo Mascheri, Tommaso Pincio, Guareschi e a Lucio Mastronardi. De "Il maestro di Vigevano" ho visto prima il film e poi ho letto il libro e se l'ho letto è solo grazie alla mia professoressa d'italiano in collegio. Fu amore disperato a prima vista. Crescendo e maturando ne ho compreso meglio la portata e l'ho amato ancora di più. 
In questi giorni l'ha letto la mia compagna e terminate alcune letture, credo che sia ora di riaprirlo.
E di farsi del male.

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Fra non molto comincerò anche questo che mi viene regalato da una persona a me molto cara e che non se la sta passando bene: "Il secondo figlio di Dio" di Simone Cristicchi (Mondadori)

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Pomeriggio che però dedicherò alla lettura di Tipografia Helevetica - Labranca (For Dummies). So mi verrà il magone.

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Sarah Kane. Quanto l'ho amata e quanto la amo ancora oggi:


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martedì 15 novembre 2016

"Le fogne del paradiso. Nizza 1976: la rapina del secolo" di Albert Spaggiari (Oaks Editrice)



Io sono un ladro. Ve lo dico per onestà.
Bene, come diceva un grande poeta finlandese:” Non è tutto qui!”.
Prima di questa avventura – o questo scasso, se preferite – mi ero assopito per otto lunghi anni Nel commercio. Ho provato anche questo. Ho provato tutto. Si trattava di un negozio di foto. Un vero coma. Il reddito, l'IVA, i sussidi, la sicurezza sociale, le assicurazioni obbligatorie, le imposte locali, le etichette, le autostrade, i parcheggi, le contravvenzioni, le contribuzioni, le reti viarie, le insegne, gli spazzini, la televisione, gli sconti, i piccoli omaggi, i favoritismi, gli sbirri, gli ospedali, le feste padronali, i contributi, le mutue...Ho pagato per tutto. Per i figli che non ho avuto, per la stupidità universale. Mi facevano pagare anche per la mia merda che avrebbe dovuto nutrire la terra.” (pag. 17)

Al giorno d'oggi uno come Albert Spaggiari, paracadutista in Indocina, ex membro dell'O.A.S., a un passo dall'uccidere Charles De Gaulle, fascista, anarchico, ladro, avventuriero, ex carcerato, fotografo, latitante sarebbe considerato dalla stragrande maggioranza delle persone, dall'opinione pubblica, da una certa intellinghenzia forcaiola e moralista e probabilmente anche da moltissimi lettori uno da rinchiudere in galera o da fucilare sul posto. La sua grandezza verrebbe accantonata per far posto all'ipermediatico e autominatosi Robin Hood contemporaneo Fabrizio Corona o a spregiudicati piazzisti come Grillo e combriccola che a furia di diete a base di yogurt e televisione si trasformano tutto d'un tratto in rivoluzionari sotto la luce delle stelle o a presunti ribelli che oziano su internet e concionano di qualunque argomento ritenendosi degni eredi di questa o quell'altra teoria/pratica  rivoluzionaria. 

Di sicuro oggi la vita per uno come Spaggiari sarebbe stata quasi impossibile con la derisione degli ideali e di chi continua ad averne, con le banche odierne vuote di contanti, con l'ipercontrollo tecnologico che regola qualunque nostra azione quotidiana, con la videosorveglianza sarebbe stata quasi impossibile. 
Forse. 
Perché Spaggiari si sarebbe di sicuro inventato qualcosa fuori dall'ordinario.

Albert Spaggiari é stato un uomo di passioni totalizzanti, di grandi sconfitte, un Don Chisciotte che combatteva pur sapendo di uscirne sconfitto ma che nella lotta, negli ideali, nella grande rapina, nella fuga rocambolesca, nell'amore, nella ribellione vinse sempre. L'essere mai domi fu la sua ragione di vita. 

Le fogne del paradiso. Nizza 1976: la rapina del secolo” (Oaks Editrice, a cura di Carlos D'Ercole, postfazione di Tomaso Staiti di Cuddia, traduzione di Jacopo Ricciardi) é il suo romanzo che racconta della grande rapina compiuta da Spaggiari, insieme a un gruppo di suoi solidali e al clan dei Marsigliesi, ai danni della filiale di Nizza della banca Société Générale. Se la trama si snoda raccontando il risveglio di Spaggiari dopo un periodo di inattività, la relazione con la straordinaria moglie Marcelle Audi, l'ideazione del piano, la composizione del gruppo e il legame coi Marsigliesi (ritratti in maniera indimenticabile), la straordinaria impresa che porterà allo scavo di un tunnel di otto metri nelle fogne (pagine indimenticabili e che contengono tutto il fetore respirato) per raggiungere il caveau della banca e alla sottrazione di cento milioni di franchi lasciando su una parete la storica frase: “Senza armi, senza odio, senza violenza”, lo spartizione del bottino, il tentativo fallito di scomparire, l'arresto, il carcere preventivo, gli interrogatori e la definitiva e rocambolesca fuga su cui chiude il libro: “Tutta la notte la radio si scatena. Alla prigione di Nizza, sono sicuro che tutti i compagni stanno battendo sulle gavette e sulle sbatte a ogni notizia che fa loro capire che Spaggiari è riuscito ad attraversare le linee nemiche. A parte il guardasigilli e i suoi subalterni la Francia intera si diverte un mondo. Ecco la storia. Come mio nonno e come prima suo padre: io vi abbandono, moglie, cani, vestiti e fucili...Addio, mio paese. Ti rivedrò tra vent'anni o tra venti secoli... Sono libero.” (pag. 213), quello che colpisce e affascina di questo romanzo-vita sono il suo tono da noir nerissimo e disperato, il suo essere un strano incrocio del primo Malet/Papillon/Don Chisciotte/Bukowski/Céline, l'atmosfera feroce e malinconica dei film di Jen-Pierre Melville, il dissertare poetico fra Ezra Pound e Nietzsche, il fantasma luminoso di Léon Degrelle che scrisse: “Il decadimento scaturisce segretamente nel pensiero, prima di diffondersi in tutto l'essere.” (pag. 37. “Militia”), lo sberleffo per sbirri e magistrati, il tono tragico/picaresco dell'eroe sconfitto, il senso di solitudine: “Senza figli, non c'è la tribù. Non era dunque che un sogno come gli altri. Questa roccaforte, questo rifugio, questo nido d'aquila l'ho costruito per niente. Nessuno dei bambini che avrei potuto avere andrà a calpestare la pianura o a fertilizzare la montagna.” (pag. 173), una guerra che non finisce mai e che ancora si sta combattendo coi suoi combattenti che vagano da un confine all'altro della terra: “Il Portogallo più della Spagna era il rifugio europeo di tutti i nazionalisti. Prima della rivoluzione si aggiravano in quel paese tutti i vecchi collaborazionisti o le S.S che non avevano potuto pagarsi il viaggio in America del Sud, né riadattarsi a una vita civile non militante. La rivoluzione dei garofani ha fatto un grande massacro tra questi nostalgici. Le Rouxel, veterano della destra, aveva capito le cose molto tempo prima e si era sbrigato a morire avendo cura di distribuire prima ad alcuni “cani pazzi” del nazionalismo i suoi indirizzari e i suoi appunti. Figlio di un colono di Angola, accolto in Spagna dai suoi amici, Rico aveva assistito all'esodo della parte migliore del suo paese e alla miseria dei reietti degli ultimi trent'anni. Russi, cosacchi, ucraini, croati, italiani, francesi d'Algeria, ora perseguitati in tutta l'Europa, poiché la Spagna, loro speranza massima massima, stava essa stessa sparendo nella trappola dove tutti i paesi europei erano già sprofondati. "(pp. 53-54),  due straordinarie pagine su New York/Stati Uniti: “New York con i suoi tre milioni di immigrati clandestini, i suoi grandi viali più scassati di una pista africana, i suoi odori di Medina, i tassì putridi e protetti da reti metalliche. New York! La follia sistematica e generalizzata, la grazia e la bruttura. La Libertà con un gusto di merda.” (pag. 175), l'infanzia e adolescenza fra montagne, città e collegi, raccontata quasi alla "400 colpi"  di Truffaut, con un ragazzino che corre e corre e che poi arriva al confine del mare e si guarda intorno disperato, Nicolás Gómez Dávila col suo antimodernismo: “La nostra libertà non ha miglior garanzia delle barricate che, contro l'imperialismo della ragione, la parte anarchica del mondo erige.” (pag. 13, “Pensieri Antimoderni”), le avventure di guerra del mitico mercenario belga Jean Schramme o quelle del corsaro nero Henry de Monfreid, la vivida descrizione del degrado del mondo contemporaneo, la noia della vita senza senso e emozioni. 

C'è un cuore aperto in questo romanzo. 
Un cuore di coraggio e battaglia, di sangue puro, di voglia di vivere, di prendere a calci nel culo il mondo moderno fatto di banchieri, di finanza, di falsità, impostori, traditori. 
Un cuore che batte. 
Fortissimo. 
È stata una vera emozione fisica leggere queste pagine col fisico distrutto da giorni di lavoro senza senso, la mente occupata da pensieri autodistruttivi e stupide incombenze materiali e scartoffie su scartoffie. Come se Albert Spaggiari  e tutti coloro che hanno permesso la pubblicazione di questo libro (Carlos D'Ercole, Jacopo Ricciardi, Tomaso Staiti di Cuddia, Stenio Solinas) mi avessero risvegliato e mi avessero regalato, a questi quasi miei quarant'anni, amicizia, schiaffi, commozione sincera, nuovi sogni, lacrime, sorrisi e tanta tanta avventura che non sentivo nel mio corpo da tanto, troppo tempo.

Musica calda: LDNFK e Alicia Keys

Di solito non è il genere di musica che ascolto ma sarà per il freddo colossale, per l'autunno, la caduta delle foglie, la neve che cadrà nel fine settimana, le mani congelate sto ascoltando anche questi dischi:


LDNFK - Lust Blue (Feelin' Music), scaricabile anche gratis.


E "Here" di Alicia Keys. Un brano.

Elsa Cayat - Charlie Divan



Ieri sera parlavo con la mia compagna di problemi mentali, psicologia, psichiatria, antidepressivi. Parliamo spesso di questi argomenti visto che ci riguardano direttamente.
Quando siamo tornati alle nostre rispettive letture mi è tornata in mente Elsa Cayat, uccisa anche lei nella strage di Parigi.


Psicanalista, scrittrice, ebrea e soprattutto donna libera
Su Charlie Hebdo curava la rubrica Charlie Divan.
Ce la si ricorda poco anche perché non così famosa come gli altri suoi colleghi trucidati.
Ma è bene non dimenticarla mai.

E per chiudere ci metto anche questa copertina. Il pisello che esce dalla barba è fantastico:



lunedì 14 novembre 2016

In brevissimo su "Mostri che ridono"; Knight of Cups; Adam Wild; De Benoist su Trump; perquisizioni di massa; DIIV


Denis Johnson ha scritto uno dei libri più importanti nella mia storia di lettore e di aspirante scrittore, "Jesus' Son" (Einaudi, traduzione di Jack Delaney)  Ogni volta che lo rileggo mi emoziono come la prima volta. "Mostri che ridono" (Einaudi, traduzione di Silvia Pareschi) è invece stato una mezza delusione. Alcune pagine molto belle ma nel complesso un romanzo mai trascinante, per certi versi scontato, anche noioso. Inutile e fuori luogo accostarlo a capolavori come "Cuore di tenebra" di Conrad o a Graham Green.

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Visto. Ne ha scritto tanto tempo fa Baratti su Spietati.

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Un saluto a Adam Wild. Che chiude. La Sergio Bonelli, al di là di alcuni tentativi più o meno di rilancio, mi sembra in crisi di idee e vendite.

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domenica 13 novembre 2016

Charlie Hebdo - MAHOMET DÉBORDÉ PAR LES INTEGRISTES


Così.
Tanto per non dimenticare.
E stringermi al cuore chi mi sta veramente a cuore.
Sono diventato cripitico, mi nascondo, mi arrendo.
Ma continuo ad amare chi voglio io.
E amerò sempre i profeti. Quelli fichi, quelli alla Charlie Hebdo.

Tom Wolfe, "Il regno della parola"; Vittorio Feltri/Massimiliano Parente "Il vero cafone" e stravolto dal lavoro e dalla sua merda...............

Libri che leggerò a breve:


(qui)


(qui e ne scrive Luigi Mascheroni qui)

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Sono stravolto.
Domani ultimo giorno di lavoro.
Farsi comandare è uno schifo.
Farsi comandare pure da dei dementi leccaculo, immigrati pure loro come il sottoscritto, senza cervello ma con la lingua lunga centinaia di chilometri è ancora peggio.
Io mi metto in cuffia il live dei The Notwist, bevo alcolici, mi lecco le ferite e penso al peggio.

sabato 12 novembre 2016

Kovlo, mia madre, Gemma Gaetani



Mia madre ha fatto la quinta elementare ma è sempre stata più sveglia e in gamba di tanti che hanno studiato. Gemma Gaetani su LaVerità ha scritto oggi un gran bel pezzo sul tema:


venerdì 11 novembre 2016

Quasi dieci ore (Carla Dal Forno - The Notwist)


(qui)

Quasi dieci ore di lavoro. 
Durissime fisicamente e mentalmente.
La cassiera della Coop aveva quasi schifo a prendere i miei soldi tanto ero impresentabile.
Domani non sarà una giornata diversa.
Fra poco ritirerò i vestiti dalla lavatrice.
Oggi era il mio turno.
Fra poco mi suonerà la solita vicina in minigonna, tacchi a spillo, scollatura e labbra rosse per chiedere se può lavare anche lei.
Per fortuna domani ritirerò dei libri che ho acquistato direttamente da micro case editrici e che oggi a farmi compagnia c'era un architetto francese, Olivier, che mi ha tirato su di morale con le sue battute pronunciate in un italo-francese da starci male.

Che voglia di Creta.
Di Rodi.
Di Stegna.







giovedì 10 novembre 2016

Altrove - Mineral



Uscito dal lavoro mi sento meglio.
Ma appena parlo coi miei familiari, gli scrivo, sento le loro voci io mi sento peggio di prima.
Per andare e tornare dal lavoro cammino per quasi due chilometri costeggiando un fiume, il cimitero, palazzi anonimi, una scuola.
L'ho scritto chissà quante volte.
Quei due chilometri, fra alberi, macchine/autobus/moto/camion che sfrecciano, gabbiani, anatre, sconosciuti a passeggio col cane, studenti, pensionati col nipote nel passeggino, tossici, sconosciuti rappresentano una delle mie poche valvole di sfogo e pace.
Tutto però svanisce rapidamente.
Bastano una telefonata dal lavoro, la vista dei vicini, la mia faccia nello specchio del bagno per far crollare tutta questa fragile rete di protezione.
Domani mattina alle 4 e mezza la solita sveglia, il solito caffè latte, la solita camminata, il solito lavoro, i soliti problemi.
La solita lagna.

Poi nelle cuffie mi metto i Mineral e sto meglio e piango mentre lavo i piatti, cerco di scrivere, guardo fuori dalla finestra bevendo una birra dopo l'altra.

La morte come pensiero fisso.




"There are blue skies in my dreams
And laughter that seems unending
There are green grass fields there 
And happiness and hope for tomorrow

My cup is full and my heart 
Spills awkward and embarrasing blood
Onto white golden streets 
And I am unashamed of the stains my steps leave

Tears stream down my cheeks
Only to meet their redeemer and be wiped away
And there is joy"

(Mineral - Take the Picture Now")

mercoledì 9 novembre 2016

Su Trump

Ovviamente Trump è un personaggio impresentabile.
Con un passato, presente, futuro da far schifo.
Con un programma che basta leggerlo per capire quanto sia improponibile. 
Ma onestamente io sono contento per la sua vittoria.
Contento per motivi personali e non solo.
Contento perché mio padre e mia sorella sono tristi.
Per l'ennesima dimostrazione di come moltissimi analisti, blogger, giornalisti, filosofi, cazzoni, pensatori hanno ormai perso qualunque contatto con ciò che c'è fuori dai salotti televisivi, dai quotidiani di opinione e dai giornaletti per hipsters e universitari e post universitari, da twitter, facebook, blogger, dalle Fondazioni Prada dislocate in tutto il mondo, dalle librerie, dai siti di cultura. 
Un continuo parlarsi addosso.
Incessante.
Estenuante.

Anche se.....lasciamo stare....

Schematico su "Perdersi" di Charles D'Ambrosio (Minimum Fax)





Quello che non mi é piaciuto:

-I saggi “Hell House” e “Un paradiso in più”, abbastanza noiosi e in questa noia si perdono alcuni spunti interessanti.
-Alcuni passaggi un po' troppo verbosi
-Convincente a metà “Gradazioni di grigio a Philsburg” che alterna passaggi splendidi ad altri monotoni e in parte già sentiti altrove.

Quello che mi é piaciuto:

-praticamente tutto il resto
-come D'Ambrosio ti porta a spasso fra argomenti trattati, i suoi drammi interiori e familiari, svolte improvvise
-per svolte improvvise intendo  il descrivere un orfanotrofio (“Orfani”)senza ricorrere al cliché del luogo d'orrore ma raccontando della delicatezza degli orfani, dell'amore e della bellezza che esprimono loro e lo stabile in rovina dove sono ospitati
-il passaggio sulle balene (da vere sganasciate) e in generale tutto "Caccia alle balene nel profondo Ovest”, che bisognerebbe farlo leggere alla valanga di ecologisti, sciamani new-age, idioti di cui pullula il mondo intero
-e anche io sarei curioso di assaggiare carne di balena
-il saggio su Salinger “Salinger e singhiozzi” perché oltre a tutte le riflessioni possibili, si ricorda giustamente di Seymour
-come D'Ambrosio scrive di suicidio, di suo padre e della sua famiglia e delle persone finite ai margini
-il saggio su un caso di cronaca “Scagliare pietre” (amore/sesso/figlio fra un'insegnante e studente tredicenne) che é un'analisi arguta e sferzante sull'utilizzo del linguaggio, sulle teorie umane, sul mondo dei media e della giustizia.
-le sue frasi, musicali e ricercate insieme

Un estratto:

“Più o meno agli antipodi dell'esitanza della Letourneau stavano i commenti in tempo reale offerti dai media locali. Dopo la sentenza, una tale Bonnie Hart della KIRO o della KOMO – non mi ricordo quale delle due, e non credo che abbia davvero importanza – ha rapidamente convocato una sorta di sinedrio radiofonico. A quanto ne so, l'unico vero titolo che abbia la Hart per commentare la vicenda della Letourneau é che il suo lavoro le impone di dire qualcosa su un argomento qualsiasi ogni giorno della settimana. Di giorno in giorno, immagino che sia pagata per esprimersi sulle vicende politiche, sui libri di cucina, le verdure fresche, le mode passeggere, le posizioni di battuta nel baseball, la menopausa, le gomme chiodate o quello che sia. In altre parole, la sua autorità è data solo dal ruolo professionale che ricopre, anche se sembra che abbia il dono dell'onniscienza. Le sue opinioni non erano abbastanza persuasive da convincermi, in base a nessuno degli abituali criteri che ho sviluppato da bambino, ascoltando centinaia di prediche dal pulpito alla vorace ricerca di un momentaneo difetto. Nessuna eleganza né forza di pensiero, nessuna arguzia, nessuna perspicacia, nessun momento rivelatorio che ampliasse la prospettiva, che desse forza ai sentimenti, nessuna risonanza, nessuna autocritica, nessun rischio, nessuna compassione o empatia e niente che si avvicinasse all'eloquenza. Dal tenore stridente e aggressivo del discorso non si capiva se questa Bonnie Hart avesse mai nutrito un dubbio in vita sua, sulla questione specifica e in assoluto, tanto stava attenta a non deviare mai del proprio punto di vista, a incanalare la sua indignazione lungo la rotta più facile. In un certo senso l'intento della Hart stava tutto nell'appiattire la rotondità del mondo e nel sostenere l'asimmetria, la divisione in due. Sembrava un progetto grossolano e retrivo, dato che ciò che ci differenzia dalla scimmie non è tanto il pollice opponibile quanto la capacità di far convivere idee contraddittorie nella nostra mente, caratteristica distintiva che magari dovremmo cercare di non perdere. 
Ma ultimamente pare che l'opinione pubblica ritenga che tentennare sia da vigliacchi, come se avere ed esprimere, o peggio ancora confessare, dubbi e incertezze significasse tradire un'idea fondamentale. Nel caso di Mary Kay Letourneau mi è sembrato che nel corso degli ultimi nove mesi non si sia fatto altro che assistere allo spettacolo di una donna pubblicamente demolita, svergognata, umiliata, mortificata, abbandonata, che era stata messa in carcere e privata di tutto, che aveva perso qualunque cosa, la famiglia, il lavoro, la casa, la libertà, la privacy, e anche se avessi accettato la linea più dura dei sostenitori della linea dura, anche se avessi ammesso la possibilità che questa donna “adultera” e “molestatrice” avesse meritato la sua sorte, che i suoi crimini fossero sconvolgenti e odiosi  e che la sentenza di libertà vigilata appena emessa dal giudice Linda Lau fosse troppo indulgente, tutto questo non mi avrebbe impedito di sentirmi a disagio e molto solo nell'ascoltare l'intrepida e farisaica Bonnie Hart, che defilata e protetta nella sua postazione radiofonica si stava già praticamente chinando per raccogliere la prima pietra. “ (pp. 239-241) 


lunedì 7 novembre 2016

Librerie, librai, libri (Charles D'Ambrosio, Denis Johnson, Jonathan Lethem), Viruuunga, herpes

Nella libreria di Lugano dove solitamente mi rifornisco, oltre ad esserci il sosia del cantante dei The National, c'è anche uno dei miei librai preferiti. Serio, quasi incazzato, di poche parole, simile a quegli impiegati statali o ai burocratici di qualche stato dittatoriale. Non sorride, non desidera scambiare chiacchiere. Se gli chiedi un libro lui controlla sul computer o va a prenderlo negli scaffali. Senza tergiversare, moine, battute. Veste come mio nonno, impeccabile. Anche se avrà poco più di cinquant'anni e anche se mi vede parecchie volte non dà segno di riconoscermi e nemmeno gli interessa conoscermi meglio. Una giusta distanza e indifferenza. Tutto ciò mi regala serenità. 
Oggi ho acquistato questi tre libri per la modica somma di 66 franchi, più o meno 62 euro.
(Tanto per ricordare, la stragrande maggioranza dei libri di cui parlo o scrivo, li compro o li prendo in prestito. Tranne rari casi, non mi va più di ricevere libri in omaggio o da recensire)
E per acquistarli ho aperto bocca solo per dire Buongiorno e Arrivederci.
Lui ha aggiunto solo la cifra.
Nient'altro.
Dalle 4 e mezza di stamattina, avrò pronunciato al massimo cinquanta parole. E ho lavorato. Forse sono anche troppe cinquanta parole.


(qui)


(qui)


(qui)

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Di politica non mi va di parlare.
Della Leopolda e dei presunti contestatori non me ne frega assolutamente nulla.
Al referendum e alle presidenziali preferisco i cavoli di Bruxelles.
Preferisco lavare i piatti e ascoltare musica come questa nelle cuffie.

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È arrivato il freddo.
E io ho l'herpes un po' ovunque.

sabato 5 novembre 2016

Giovanna Lacedra


Le persone pensano che io le dimentichi perché scompaio.
Ma non è così.
Mi sottraggo in generale.
Così come mi vorrei sottrarre dal cibo, dal tempo, da tutto.
Ma non dimentico.
Mi tengo strette al cuore, alla mente, allo stomaco, le facce, le parole, le lettere, tutto.
Come nel caso di Giovanna.

Non aggiungo nulla.
Ma ti vorrò per sempre bene.

https://ellepourart.wordpress.com
https://vimeo.com/136373942