In questi giorni si celebrano i 70 anni dell'Icam, una fabbrica di cioccolato che ha segnato praticamente tutta la mia vita. Arrivando a Lecco certe volte ci sisentiva presi alla gola dalla puzza di cioccolato. Succedeva uscendo, in treno, dalla galleria del Barro. Lo si sentiva arrivare come una nebbia densa che ti impediva il respiro. Il cambio del tempo, la pulizia di qualche filtro, il vento, non ho mai capito e saputo cosa accadesse in determinati giorni. Stavo in collegio e dalle finestre entrava la puzza di cioccolato. Non ho mai amato il cioccolato. Fra le mie compagne di classe ce n'era una proveniente dalla famiglia Icam. Poi si trasferì in un altro liceo, fondato anche grazie alla lunga mano di una parte delle mia famiglia legata a Cl. Non riesco a mangiarlo il cioccolato. Mi mette di cattivo umore. Non lo so, due righe che non vogliono dire nulla. Col cervello confuso. Come quando si respirava quella puzza di cioccolato.
.....
Hanno celebrato il funerale dell'industriale del paese dove sono vissuto.
Il paese ruota da anni intorno a questa gigantesca azienda.
Il paese vive di servi.
La scritta Limonta la si vede comparire su molti campi da calcio.
Giorni e giorni di mistero e poi é morto anche lui.
Signor Gianni lo chiamavano.
Sono cresciuto in affitto in uno dei suoi appartamenti.
Mio zio era molto legato a Gianni. Lo consultava spesso per la banda. Ci andava insieme all'opera.
Non parlo a sproposito.
La mia famiglia materna e quella di Gianni sono cresciute nello stesso cortile.
Gianni di sicuro é uno di quelli usciti distrutti dalla morte di mio zio Adriano, a 16 anni, nel 1944.
La mia famiglia si porta nella tomba qualche segreto sulla loro fortuna internazionale.
Non mi faccio problemi a dirlo.
Loro lo sanno.
Lui e la sua famiglia, i cugini si sono costruiti un'azienda.
Mia madre fino al 1974 ha vissuto in mezzo ai ratti, col cesso in cortile, alla mercé di un fattore al servizio di un'altra serie di industriali di merda.
Altri come lei hanno vissuto fra i ratti.
Fuori splende il sole.
Certe volte mi dimentico di aver avuto uno zio morto a 16 anni.
Di aver avuto una madre che porta il suo nome.
Di mio zio Ezio con la vita segnata.
Di mia nonna che mi affida molte parole da custodire in silenzio.
perché ho sentito il respiro del sangue e il respiro del sangue mi piace molto
perché mi piacciono i romanzi che incastrano storie familiari in maniera complicata
perché ho apprezzato la decisione di tradurre il titolo originale “The Shore” con “Tutto il nostro sangue” e perché la potenza metafisica delle isole, la loro violenza, la loro benevolenza, il loro essere altrove emerge dal romanzo come un pugno-bacio
perché le donne di questo romanzo sono personaggi incredibili, soprattutto Tamara, Chloe, Sally e Elly
perché è vero che mentre si legge spesso ci si sente in bocca Flannery O'Connor
perché la Taylor traduce splendidamente sulla pagina il senso di abbandono, di tragedia, di violenza, di riscatto, di speranza
perché si respira magia
perché vive di fantasmi
perché il futuro che si prospetta nel romanzo sembra molto interessante e mi ha ricordato una cara amica che non vedo da secoli
Difetti:
alcuni passaggi a vuoto e altri che tendono a ripetersi
la debolezza dei capitoli ambientati nel XIX secolo. Troppo manierati. Il personaggio di Medora non mi ha convinto seppur fondamentale nell'economia del romanzo (altrove ho letto che sono deboli le pagine ambientate nel futuro...tanto per dirvi quanto le recensioni possano differire l'una dall'altra)
sembra quasi che alcuni personaggi si ripetano, altri che sono troppo di contorno per spiegare qualcosa che non si vuole spiegare
certe volte la struttura sormonta i vari capitoli e li annulla
Il passaggio migliore per me è senza dubbio il Capitolo 1: “1995- Esercitazioni di tiro”. In questo capitolo si respirano Flannery O' Connor e anche Shirley Jackson ma soprattutto un grande potenziale autoriale. Un capitolo da incorniciare. Da estrapolare e far leggere ovunque.
Sul voto in Canton Ticino ho letto un sacco di articoli/titoli di giornali italiani alquanto approssimativi. Un voto che mi coinvolge particolarmente. Sto pensando di scrivere un pezzo lungo ma intanto mi limito a dire che si è approvato uno specchietto per le allodole promosso e appoggiato dai complici di questa situazione. Come spesso accade a un malessere giustificato, a problemi reali (non credete alla favola della disoccupazione al 3%...perché la situazione del mondo del lavoro/socialità ticinese sta collassando) le persone hanno risposto di pancia, pensando di farsi sentire, eccetera. E come al solito continueranno a subire. "E chissenefrega del dumping"
Pur di non leggere di cinque stelle, piddi, sinistra, destra, centro, referendum sì o no, sono tornato ad amare i necrologi, gli annunci, le inserzioni delle prostitute.
"Erased" di Tomohiko Itō è uno splendido anime tratto dal manga di Kei Sanbe. Ne ha scritto Federico Magi qui.
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Stanchissimo di lavoro ho fatto un giro veloce a Como per sbrigare alcune cose. Bevo un caffè. Avevo quasi gli occhi chiusi per la stanchezza. Adesso ho bevuto troppo. A Como si è registrata un'estate super di turismo. Al bancone stazionavano tedeschi, inglesi, una filippina. Per un caffè ho atteso quindici minuti. Non avevo ancora pagato. L'appassimento al bancone mi ha permesso di vedere quanta merda viene servita da mangiare e bere alla gente. Vengo da Lecco. Tanto per dire.
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Poi magari voi vi preoccupate di salvare il mondo e invece io cerco di leggere.
Quanto mi sento distante in questi giorni, ore, settimane, mesi, anni da:
- i dementi e le dementi che progettano campagne per la fertilità con imbarazzanti manifesti annessi
- le Sentinelle in piedi
- i Sentinelli in piedi che si oppongono alle Sentinelle in piedi
- quelle e quelli che per rispondere alle idiozie sessiste sbandierano giocattolini sessuali
- coloro che ci ficcano dentro chissà perché il porno nelle sue varie e presunte sfumature
- le associazioni di questo o quell'altro colore
- quelli che inneggiano alla prostituzione libera
- quelli che vorrebbero incarcerare i clienti e le clienti che stanno con le/i prostitute/i
- quelli che la scuola e la scuola e la scuola e la scuola e che due coglioni....
- quelli che vorrebbero finanziato tutto dallo stato
- quelli che lo stato e lo stato e lo stato e lo stato...
e mi fermo qui.
Poi mi verrete a dire: ma tu spesso rilanci articoli di Costanza Miriano, hai recensito bene il libro di Langone. Ecco sì, lo faccio e continuerò a farlo. Anche se fanno parte della lista sopra. Nei loro articoli e in quelli di molti altri simili a loro trovo spunti di riflessione, di incazzatura, di confronto e scontro. In quelli del resto della combriccola avversa trovo ben poco che mi interessi, che mi stimoli. Se non noia generale e un senso di soffocamento come quando andavo a scuola. Il compitino giusto. Una prigione. Anche se inneggiano alla libertà.
Onestamente ultimamente (anche se è tutta la mia vita che va a questo modo) mi sento vicino, ma veramente vicino, a pochissime persone, ma pochissime davvero
Le posso contare sulle dita di una mano.
Forse arrivo a due mani.
Di sicuro per indole mi sento vicino a questi quattro uomini:
...è un periodo che la mattina prima di andare al lavoro leggo piccoli brani del suo diario per cercare di prendere coraggio e non morire soffocato....
e sempre a lui:
E aggiungo...non dovrei andare nelle librerie...mi svuoto il conto in banca:
"Il sollievo più grande è non dover mai piú incontrare un altro essere umano sul marciapiede, vederli camminare grassi e tronfi, coi loro occhietti da topo, le loro facce crudeli e meschine, la loro floridezza animale. Che cosa fantastica: non dover mai piú guardare in faccia un altro essere umano." (Charles Bukowski, "A sud di nessun nord")
Un super film di Bruno Dumont. Non bellissimo come gli altri suoi ma lo stesso sempre molto bello. Ne scrivono qui.
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Perché poi tutti stanno a parlare di quello che parlano e a me interessa poco quello di cui parlano, che poi sono gli argomenti che escono dai social e dalla politichetta quotidiana. Ritorno ai libri, tipo questo sotto che spero mi arrivi presto:
Leggere "Vraghinaroda (Viaggio allucinante fra creatori, mediatori e fruitori dell'arte) di Tommaso Labranca mi ha fatto sentire meno solo. Quanto ossigeno mi ha donato. Come quando scrive di musica e Hopper o quando prende per il culo l'esperienza di Macao a Milano o quando critica, analizza, sfotte tutta una serie di mondi che detesto anche io. Sapere che Labranca non scriverà null'altro mi fa star male.
Una giornata che per fortuna sta volgendo al termine.
Mi salvo soprattutto grazie all'abbraccio della persona che amo.
A un amico che vive lontano.
Alla musica in macchina.
A una ragazza che corre. Corre. E che la vedo spesso quando lavoro e anche quando non lavoro. Un'atleta. Una sportiva. Lo si capisce da come corre. Una donna. Che corre. E correndo mi dà respiro. Quando ci incrociamo lei mi alza il pollice. Sa dove lavoro. Lo stadio con la pista è accanto al cinema. Una mattina presto, alle 5 e 30, insolitamente per le sue abitudini, ci siamo incontrati/sfiorati e lei mi ha gridato svanendo nell'alba "Stamattina respiro anche per te...". Quasi come un fantasma.
C'erano i Mercury Rev nella radio della macchina oggi.
Deserter's Song.
Avevo 19 anni quando uscì.
Quando ascoltai questa canzone ero nella merda totale.
Per la mia famiglia, per i miei parenti ero un fallito totale.
Lo sono ancora oggi.
Sono diventati bravi a mascherare quello che pensano.
Mi è sempre piaciuto sapere quale santa o santo si festeggiasse quel tale giorno. Alcuni sono noti, altri invece sono quasi del tutto sconosciuti. Pronunciandone il nome ho percepito fin dall'infanzia una strana forza/pace invadermi le membra. Mi sentivo parte di un mondo quasi incantato.
Oggi si celebra una santa della quale ho invece letto un libro molto bello. Si tratta di Ildegarda di Bingen e il libro è invece di Annalisa Terranova:
Ci sono poi romanzi che mi chiedo perchè ho fatto ammuffire sulla scrivania. Romanzi come "Le cose che restano" di Jenny Offill (NNEEDITORE, traduzione di Gioia Guerzoni) che una volta aperti ti conquistano a vita. (Dentro ci ho trovato, in alcuni passaggi, l'anima nascosta di Aimee Bender e forse questo è l'unico difetto del romanzo). E viene citata Ildegarda a pagina 163.
Leggere i racconti di "In un palmo d'acqua" di Percival Everett (Nutrimenti, traduzione di Letizia Sacchini) è vivere l'esperienza di una sospensione dal mondo fisico, reale per abbandonarsi a spazi infiniti naturali, per vivere l'altrove e l'aldilà, la bellezza dell'incontro con l'inspiegabile che sta dentro di noi. Racconti che sfiorano e descrivono quel muoversi fra ciò che definiamo realtà e ciò che riteniamo impossibile. L'umanità, il mondo, l'esistenza che si disvela in forme che la nostra mente non è chiamata a comprendere ma a vivere. Ognuno di questi racconti conserva dentro di sè tracce di magia, di presenze indescrivibili, di fantasmi, di luoghi che non esistono sulle carte geografiche. Come il veterinario che cerca una bambina indiana sordomuta dispersa nel deserto ("Un po' di fede") e viene morso da due serpenti velenosi e ne guarisce attraverso una visione o il ragazzino ("Plecottero) che sulle rive del lago dove morì annegata sua sorella vive un episodio di pesca miracolosa o l'anziana donna malata ("Un lago d'alta quota") che attraverso una fenditura nella montagna incontra il proprio passato o il legame di un padre e una figlia che si rinsalda affrontando a colpi di urla un puma ("Congelamento") o gli animali che fanno riaccendere l'amore in un matrimonio a pezzi ("Direzione sbagliata") o la morte che arriva all'improvviso ("Arriva il giorno") quando nemmeno te l'aspetti, quando pensi che tutto stia andando bene, o cosa significhi cercare un uomo di cui tutti raccontano qualcosa di diverso e che non riuscirai mai a vedere in volto ("Cercare Billy Penna Bianca") o il meccanico che incontra un uomo senza testa ("Vetro solubile). Poi si arriva all'ultimo racconto "Graham Greene" e si resta in silenzio per la sua bellezza assoluto. Non ci sono parole per descriverlo. Bisogna solo leggerlo.
In questi giorni è mancata Lalla Pecorini della Libreria Pecorini nel Foro Bonaparte a Milano chiusa nel 2012. Un'altra anima bella di Milano che scompare. A parlarmi di questa libreria fu un'amica milanese e la prima volta che ci misi piede ne uscii con un regalo per mia sorella. Ma solo dopo una lunga conversazione, di quelle che sembrano uscite da un altro mondo. Senza intenti economici ma una conversazione che, nata da un libro, prese mille altri rivoli. Senza fretta, lentissima. Ci tornai altre volte purtroppo senza lo stesso tempo a disposizione. L'ultima volta che ci misi piedi mancavano si stava avvicinando la chiusura, dentro c'erano un altro paio di persone a curiosare e feci solo in tempo a lamentarmi, sommessamente, di una città che si stava abbruttendo. Di librerie spazzatura. Me ne uscii intristito. Era un giorno triste in generale. Sono trascorsi tanti anni. Ma la tristezza rimane.
Su romanzo "Hotel del Nord America" (Bompiani, traduzioni di Licia Vighi) Rick Moody ha già scritto tutto Pincio. Personalmente posso solo rimarcare la sensazione di disperazione e solitudine che si respira in tutte le pagine. Aggiungo solo che io e la mia compagna lavoriamo in luoghi sottoposti alla gogna dei vari siti di recensioni. Tutti quei vari numeri, tutte quelle recensioni finiscono spesso per ricadere su chi lavora in quei luoghi rovinandogli la vita. Per non parlare delle truffe, dei commenti scritti da presunti chef, eccetera, eccetera.
Trascrivo un brano:
“Forse, e dico forse, in certe occasioni un tizio chiede a un altro tizio quante ore di straordinari ha accumulato di preciso in un dato mese, ma questo capita solitamente in tarda serata, quando sono già state esaurite tutte le conversazioni sullo sport, dopo che questi uomini sono già arrivati a livelli esoterici tipo quand'è che un certo giocatore diventa free agent, e di conseguenza lo sport non può più essere usato come argomento di conversazione, dopodichè si raggiunge un momento in cui persino la discussione sui turni arriva a un punto morto, a meno che, forse, la chiacchierata non si allarghi fino al confronto tra il turno “altalena”, dalle quattro del pomeriggio a mezzanotte, e quello “cimitero”, cioè il turno di notte. Per esempio avevo sentito uno di questi tizi sulla terrazza, dal punto in cui mi trovavo solo soletto in Hemlock Street, completamente solo, dire che lui in realtà preferiva il turno cimitero, perché ormai non aveva più nulla per cui valesse la pena alzarsi al mattino, non c'era più nulla nella sua vita per cui valesse la pena alzarsi al mattino, “Se ne è andata di casa, sapete, ha voltato pagina, mi ha detto che non mi capiva, così ha detto, che tra di noi non poteva andare avanti se non c'era nemmeno un minuto in cui riuscivo a manifestarle un po' di tenerezza, così se n'è andata, e si è portata via bambini e tutto.” E un altro tizio aveva aggiunto: “Io una volta ho accettato il turno altalena soltanto per stare lontano da lei qualche settimana, sostituivo uno che si era fatto male alla schiena e tornavo a casa quando ormai dormivano tutti, dopodiché prendevo un po' di sonnifero e mi scolavo due o tre birre.” Si erano fatti una bella risata.
In fondo ci assomigliamo tutti, stringi stringi, me compreso, perché seppur sposato, all'epoca viaggiavo da solo, dopo essermi da poco svincolato da un nefasto e atletico flirt, e pertanto questo era proprio l'hotel che faceva per me, l'hotel con il telefono a muro vecchio stile nella hall, l'hotel con la piscina svuotata, l'hotel sprovvisto di minibar, l'hotel frequentato da uomini che non erano stati che non erano stati all'altezza o che avevano subito quel rovescio di cui cercavano di non parlare, da uomini che alzandosi al mattino per farsi la barba salutavano il riflesso allo specchio con epiteti ben scelti, da uomini che quando erano giovani avevano sognato in grande e in modo ancor più eclatante avevano fallito nella realizzazione dei propri sogni, e quando entrai nella camera mi resti conto che l'artigiano era proprio del mio stesso genere di artigiano. C'erano aracnidi in ogni angolo, e si vedeva passare un mucchio di gente che andava a prendersi il gelato o un sacchetto di caramelle mou, e non ci sarebbero state sorprese, e la Jacuzzi era solamente una grossa vasca da bagno dotata di qualche getto d'acqua in più, talmente rumorosa da coprire praticamente qualunque grido di disperazione. ★★★★ (Postato l'8/9/2012)” (pp. 44-45)
Non vi dico nulla.
Andate qui.
Guardate quanto è bello questo uomo, quanto sono belli tutti e due, quanto è bello è tutto.
Si respira bellezza.
Dentro.
Giornata con poco lavoro. Tanto caldo. Finito l'effetto degli sconti. Altro da fare. La gente non va al cinema. Anche perché nel cinema dove lavoro programmano soltanto film di merda. non è che mi dispiaccia. Qualcun altro sì ma non sono fatti miei.
Sono però felice che uno dei miei registi preferiti, Lav Diaz, abbia vinto a Venezia. Anche se dubito che il suo film lo proietteranno da qualche parte.
.....
E di questi giorni, una delle pochissime cose belle che ho vissuto è stata la Vuelta:
non si fa qualcosa per farle andare di super merda, vanno di super merda per conto loro.
troppo lavoro.
colleghi del cazzo.
che parlano di argomenti del cazzo.
e poi traffico all'andata e al ritorno.
e vorresti parlare di qualcosa ma niente.
non c'è nulla di cui parlare.
per fortuna a casa di mio padre c'era il pranzo pronto e un buon bicchiere di vino bianco.
si evitano le contrattazioni, le snervanti discussioni.
al cimitero ho trovato quella gente di paese che vorrei sempre evitare.
sulla via del ritorno ascolto su quella cazzo di radio popolare qualcosa che parla che se ascolti radio popolare diventi più produttivo.
simpatico o no, tutto da farsi saltare il cervello seduta stante.
per fortuna ora sono tornato a casa.
col mio pacco di quotidiani nello zaino.
una confezione di otto da birra da 50 e mezzo litro di vino rosso da dividere con la mia compagna.
mi tengo i tanti libri presi in prestito e acquistati.
fuori grigliano carne sui balconi.
roba da attacco nucleare se potessi.
da farmaci da ingoiare se le avessi.
qui.
disponibili.
per farla finita.
Eluvium. False Readings On (Temporary Residence). Un disco commovente. Straordinario. Se potessi farlo mi piacerebbe ascoltarlo a volume alto. Come se fossi in una cattedrale. Gli angeli che volano fra le campate. Lo sguardo puro di mia madre. In giorni (e anni) come questi di dolore, ansia, senso di vuoto totale incontrare opere d'arte come questa provoca quello scarto nel cuore che mi permette ancora di respirare. A fatica, ma di respirare. Di tutto il resto. Della Raggi, di Renzi, del campionato di calcio, delle Olimpiadi, dell'Unità, dei vibratori, degli aperitivi, dei locali giusti, del bio non me ne frega veramente un cazzo. E domani mi toccherà sorbire mio padre con Repubblica in mano che mentre mangerò mi romperà i coglioni con queste storie. Dovrò sorbirmi poi i compaesani del cazzo, le stronze che mi guarderanno storte.
Per fortuna potrò camminare per i cimiteri.
Andrò a salutare mia madre, mio zio, i miei nonni.
Leggendoli. tenendoli fra le mani, ringraziando Dubus, bevendo vino scadente non posso che confessare quanto i tradimenti facciano parte delle mie storie d'amore, anche di quella attuale.
Ho tradito tutte le ragazze con le quali sono stato.
Anche più volte.
Con gioia, con orrore, con senso di sporcizia addosso, con spirito d'avventura, con troppo alcool e sigarette e droga in corpo, per scommessa.
E quasi tutte le ragazze che ho frequentato mi hanno tradito.
Qualcuna intratteneva persino altre relazioni mentre diceva di amarmi.
Che una ragazza, bellissima, con la fessura fra i denti, mi stesse tradendo l'ho saputo per esempio una sera, da un ragazzo che quella sera sarebbe proprio diventato mio amico rivelandomi quel segreto che tutti sapevano ma io no.
Anche con la donna che considero la mia vita da tanti anni è accaduto.
Pure lei mi ha tradito alla luce del sole, per esempio con un grandissimo stronzo, permettetemelo di dire.
Questi tradimenti ci hanno fatto capire quando fosse forte il nostro legame ma anche che tipo di persone siamo e forse saremo. Ce lo siamo visti negli occhi. Ci siamo accettati per quello che siamo. C'è tantissimo che ci lega. Qualcosa che ci ha fatto condividere esperienze terribili.
Eppure guardando al passato non cambierei una virgola di quanto accaduto.
Delle tentazioni che mi hanno attraversato il corpo, il cazzo, la mente, il cuore.
Anche se gli strascichi, i fraintendimenti, il dolore hanno travolto le giornate, il cuore, la testa, lo stomaco, le amicizie.
C'è poi quella strana sensazione, che certe volte prende contorni tragicomici, di sentirsi addosso l'odore del tradimento. In bocca. Quasi come un preservativo sul cazzo. Odore proprio e altrui. Odore di sesso, labbra, fica, cazzo, capelli, sudore, sperma, confidenze, birra, carezze.
Non voglio nemmeno dimenticare i sorrisi, la complicità, gli sguardi, la felicità, i sotterfugi, gli appostamenti, le prese per il culo.
Per chiudere trascrivo un lungo brano tratto dal libro di Dubus:
“Se ne andò. Quando arrivai in cucina, dopo essermi vestito, la tavola era apparecchiata per una persona sola: una tovaglietta di paglia rossa, una tazza fonda che aveva il leggero luccichio di un fresco lavaggio, un cucchiaio su un tovagliolo, un bicchiere di succo d'arancia. Terry era di sopra, alle prese con l'aspirapolvere. Nel lavandino c'erano i piatti della colazione dei bambini, non ancora lavati, e sotto questi c'erano quelli della sera precedente.
Terry è perennemente in balia delle presenze demoniache che animano la casa: lavastoviglie, asciugatrice, fornelli, frigorifero, piatti, vestiti e la polvere che si accumula nelle stanze. Il piano cottura deve essere pulito e, mentre Terry solleva i fornelli, la lavatrice finisce l'ultima centrifuga; allora lei abbandona il piano cottura e porta un altro carico di vestiti sporchi in lavanderia. E' un carico di biancheria avvolta in un lenzuolo, che ha lasciato a terra, sul pavimento della cucina, fin da prima della colazione. Svuota la lavatrice e, tenendo stretti i panni bagnati contro il seno, apre l'asciugatrice. Ma si è dimenticata che l'asciugatrice è piena dei panni che ha messo ad asciugare la notte precedente. Così ci appoggia quelli bagnati sopra e tira fuori quelli asciutti. Li porta in soggiorno e li ammucchia in una pila disordinata sul divano. Un paio di Levis' di Sean cadono per terra e, mentre si china per raccoglierli, vede un pezzo di pane e una buccia d'arancia tra la polvere sotto il divano. Non può prendere i jeans senza sdraiarsi sul pavimento, così dice tra sé e sé, con un principio di panico, che stamattina deve proprio pulire il soggiorno: scopare, spolverare, passare l'aspirapolvere. Ma ci sono i panni in attesa di essere piegati, e un nuovo mucchio di vestiti pronto per l'asciugatrice, mentre un altro è ancora dentro la lavatrice. Passando per la cucina vede il piano cottura che si è dimenticata, i fornelli tutti incrostati e l'unto sul bianco delle piastrelle. In lavanderia butta i panni bagnati nell'asciugatrice, chiude lo sportello e preme il tasto d'avvio; un bel suono rilassante proviene dall'elettrodomestico, i panni girano invisibili. In cinquanta minuti saranno asciutti. Sembra tutto così efficiente e rimanendo lì ad ascoltare la macchina, lei avverte quest'efficienza e ogni cosa adesso le sembra in ordine. Ha ripreso il controllo, può fermarsi. Ma tutto questo dura solo un momento. Carica la lavatrice, l'accende, torna in cucina, distoglie gli occhi dai fornelli e guarda la caffetteria. Prima si farà un caffè, si riprenderà e programmerà la mattinata. Ma, con disperazione, s'accorge che non è più una mattina che l'aspetta ma un giorno intero di lavoro, che si protrarrà ben oltre l'ora dell'aperitivo e della cena, fino a notte fonda. Quando i piatti della cena saranno lavati, avrà altri panni da piegare e alcuni da stirare. Le capita spesso, così si ritrova a guardare la televisione mentre lavora. Anche se si vergogna di guardare Johnny Carson. I piatti della colazione sono nel lavandino, le pentole della scorsa sera sul ripiano: il puré di patate si è indurito e il grasso si è rappreso. Va in cerca della tazza del caffè che ha usato tutta la mattina e la trova appoggiata sul lavandino in bagno. C'è del caffè ormai freddo dentro e lo rovescia sui piatti che stanno nel lavandino. Poi si accende una sigaretta e pensa a qualche posto dove andare a sedersi, qualche posto dove riuscire a bere la sua tazzina di caffè. Ma non gliene viene in mente nemmeno uno, non c'è neanche una stanza pulita al piano di sotto. Di sopra la stanza con la tv è abbastanza pulita, perchè nessuno vive lì, solo che salire le scale per raggiungere l'ultima oasi rimasta le mette angoscia. Così va in soggiorno, si siede sul divano vicino ai panni puliti e ignora la crosta di pane e la buccia d'arancia che le sussurrano da terra. Tentare di programmare la giornata di lavoro per lei adesso di è troppo. Ne rimane sopraffatta. Per questo fa ciò che è più a portata di mano: comincia a piegare i vestiti, beve caffè, fuma una sigaretta. Dopo un po' di tempo sente la lavatrice bloccarsi. Subito dopo l'asciugatrice. Va nel tinello, prende i panni asciutti, torna e butta il carico bagnato nell'asciugatrice. Quando rincaso per pranzo, il soggiorno è invaso dal bucato. I panni sono ovunque: in pila sulle sedie o ripiegati e ammucchiati sul divano e per terra. Li guardo e poi guardo Terry che sta seduto sul divano. Dietro le sue gambe vedo il pezzo di pane e la buccia d'arancia. Sta bevendo il caffè e ha una faccia stravolta. Vicino a lei il posacenere è colmo di sigarette spente. “E' già a mezzogiorno?” dice. I suoi occhi si muovono di qua e di là, in preda al panico. “Dio mio, non sapevo che fosse così tardi.” Le passo vicino e vado in cucina. Ci sono ancora i fornelli sporchi, i piatti da lavare. “Cristo santo,” dico a quel punto. Litighiamo, ma solo per poco, perché è giorno e non siamo ubriachi, e i bambini, che sono fuori a giocare, torneranno presto, sporchi e affamati. Proprio come il nostro matrimonio, penso: sporco e affamato.” (pp. 29-31)
La maggior parte dei miei giorni mi sento completamente fuori dal mondo. Non mi dispiace. In fin dei conti è la mia natura. L'incontro con un certo genere di mondo mi crea disturbo, tendenzialmente tanto dolore. Gli strascichi me li porto dentro per anni e si sommano come strati di una torta. Ogni strato anni di dolore. Seduto in macchina con mio padre ho spento la mente ma le sue parole, i suoi discorsi, i loro discorsi continuavano a bussare, a infettarmi coi loro suoni, i loro odori.
M'allieto ascoltando Brendan Lukens e rileggendo il diario di Drieu:
"13 luglio 1940
Quanto a noi, non ci siamo stupiti. L'educazione di destra ci aveva trasmesso un senso della morte che non inganna. I nostri maestri, i pagani come i cristiani, ci avevano insegnato che la morte vaga senza posa intorno alla vita rigirando tra le mani il laccio fatale.
Joseph de Maistre, de Bonald, de Gobineau, d'Aurevilly e dopo di loro Nietzsche ci avevano messo davanti agli occhi la visione della morte. E così Pascal e san Paolo, Claudel e Bossuet. E altri ancora.
E anche Marx.
Non riuscivamo a capire la vostra illusione di vecchi superficiali e verbosi che pretendono di lasciare la morte fuori dalla porta, che hanno una fede superstiziosa nei poteri di una pillola e all'improvviso nella conversazione, per scongiurare il panico, fanno dei discorsi contro il sistema del mondo, scherniscono Dio e gli rimproverano l'esistenza del male e della morte.
Noi lo sapevamo che Atene non è durata molto, ma voi non volevate ammetterlo. Vi è venuta meno persino l'apparenza del cinismo, non avete nemmeno avuto la fierezza di volere che Atene perisse restando Atene fino all'ultimo. Certo avete permesso che Maurras fosse imprigionato in una delle vostre prigioni francesi da uno dei vostri maestri ebrei, ma il vostro scherno aveva un secondo fine e da ultimo avete confuso tutto in un'ipocrisia infame. Parlavate della patria, della famiglia, della santità della guerra, vi eravate procurati degli atteggiamenti spartani di accatto. I vostri ministri massoni andavano a chiamare gli arcivescovi perché salmodiassero alla radio gli ultimi piagnistei democratici.
Avete fatto una fine miseranda. Senza un bel gesto, senza un motto di spirito, senza nemmeno uno scherzo ben riuscito.
Nessun suicidio fra voi, nemmeno un tubetto di Dial-Ciba.
Nell'ultimo dei vostri, in Reynaud, tutti gli aspetti del ridicolo erano spinti fino all'esasperazione. Il getto di ergersi in tutta la propria modesta statura per il scimmiottare l'avversario, la testa vuota gettata all'indietro, il sorriso canzonatorio da monello che sfidi la maestà delle catastrofi. E la voce, mio Dio, quella voce alla radio, quella voce da avvocato di quart'ordine in corte d'Assise che ha imparato la modulazione da un ex-allievo di Conservatorio. Quella facile cadenza acquistata al reparto musica delle Galeries Lafayette (direzione Brader), quella cantilena monotona, quelle inflessioni che ricordano l'attore meridionale, il pedante appassionato di poesia e lo scroccone che tenta di apparire beneducato.
Il Daladier aveva l'aria di un valoroso. Eppure non lo era in nessun senso. Un debole tra i deboli. Un masochista perdutamente innamorato delle situazioni grottesche, capovolte, umilianti. Un trionfatore alla rovescia che ha ostentato per tutti gli Champs Elysées e fino ai piedi del Milite Ignoto il calcio ricevuto nel sedere.
L'uno rappresentava la vostra viltà e l'altro le vostre vanterie. Entrambi la vostra ignoranza delle leggi della Natura e dell'Uomo, il vostro ateismo da scemi del villaggio che confondono la Chiesa con la latrina.
Eravate devoti dell'ignoranza. Ignoravate la geografia e la storia, l'economia, la strategia, lo spirito delle leggi, il contratto sociale, la religione, la filosofia, la natura e Dio.
Politicanti formati dai maestri e dai professori della Sorbona, talvolta maestri o professori voi stessi, eravate inferiori a loro. Loro stessi talvolta si vergognavano di voi e avrebbero voluto non riconoscervi come figli. Per rinnegarvi, diventavano comunisti e invocavano l'ombra sommaria di Lenin.
Francesi ignari della Francia, vi rifugiavate in seno agli stranieri - che del resto vi erano altrettanto estranei dei pochi francesi ancora tali. Attendevate un progetto di vita o degli ordini dai samoiedi - o dai borsisti inglesi - dai bravi sindacalisti scandinavi - dagli ebrei del boulevard, da chiunque. Non riuscivate più a guardarvi allo specchio.
I docenti sono stati crocifissi nella persona di un docente, gli ispettori delle finanze nella persona di un ispettore delle finanze.
La repubblica dei professori è andata a fondo chiusa in un sacco insieme alla repubblica degli speculatori da quattro soldi, degli ebrei, dei massoni, dei prevaricatori. Tutte in quello stesso sacco dove erano vissute così bene insieme.
La repubblica è morta il 6 e il 9 febbraio 1934. In quei giorni, il sangue dei giovani borghesi e dei giovani operai ha offerto le sue primizie sull'altare della patria repubblicana e democratica, l'altare dell'89 già tante volte inondato di sangue.
In quei giorni la repubblica veneziana dei falsi complotti, degli assassini discreti e degli imbrogli polizieschi, ha ucciso o ridotto alla disperazione gli ultimi difensori possibili, quelli che volevano lavarla dalla lordura di cui era coperta da capo a piedi. Ha preferito passare loro Doumergue a mo' di supposta calmante e il Fronte popolare per confondere le carte." (pp. 254-256)
Da fuori del mondo....
Sogno spiagge cretesi e un proiettile ben piantato nella mia testa.
Ieri durante una pausa di lavoro ho scorto su una televisione la cerimonia per la santificazione di Teresa di Calcutta. Una tristezza infinita mi ha preso al petto. Era già una giornata pessima ma lo spettacolo sconcio di quella piazza mi ha tolto ogni altra possibilità di respirare. Per questa donna provavo antipatia sin da piccolo. Mia cugina suora era molto indispettita da questa mia antipatia. Ma quando la guardavo, questa donna, questa presunta missionaria del bene, quando la seguivo coi miei occhi di bambino io non ci vedevo nulla di santo. Anzi mi comunicava orrore. Lei e non la malattia. Non quei corpi malati. Lei.
Sulla signora in questione la penso come Hitch, non aggiungo altro:
Poi tornando a casa a piedi mi sono dovuto sorbire una discussione con mio padre che sul referendum costituzionale voterà sì. A me del referendum non frega assolutamente nulla. Quel giorno me ne starò a casa come faccio per qualunque giro elettorale. Quando leggo un giornale salto appositamente tutte le pagine dedicate a questo tema.
E comunque il giornale peggiore è sempre Il Fatto Quotidiano.
Thalia Zedek la vidi tantissimi anni fa a Urbino. Ascoltai il suo live e poi le strinsi la mano. Un sorriso da brividi. Quanti ricordi. Quanto stavo male in quei giorni.