Tre libri che si incrociano. Che si rincorrono. Che si affratellano. Tre uomini impossibili da incasellare. Da imprigionare. Dominique Venner. Ernst Jünger. Alain De Benoist.
Trascrivo alcuni estratti e condivido pensieri confusi. Niente recensioni perché sarebbe solo tempo perso. Questi autori sono da incontrare, scoprire, studiare. I loro sono libri non solo da leggere ma da sentire nel cuore, nella testa, nella carne.
Libri che in questi miei giorni sacrificati al lavoro sono stati di grande conforto alla mia anima a pezzi.
Per fortuna che ci sono la mia compagna di vita e gli alcolici.
Poche frasi.
Pochi passaggi per riprendere a respirare.
Fra le lacrime.
Trascrivo alcuni estratti e condivido pensieri confusi. Niente recensioni perché sarebbe solo tempo perso. Questi autori sono da incontrare, scoprire, studiare. I loro sono libri non solo da leggere ma da sentire nel cuore, nella testa, nella carne.
Libri che in questi miei giorni sacrificati al lavoro sono stati di grande conforto alla mia anima a pezzi.
Per fortuna che ci sono la mia compagna di vita e gli alcolici.
Poche frasi.
Pochi passaggi per riprendere a respirare.
Fra le lacrime.
Sarebbe facile, da idioti, considerare Dominique Venner che si suicida nella cattedrale di Notre Dame come un pazzo furioso. Un fanatico, un vecchio rincoglionito che di fronte al progresso, alla modernità decide di suicidarci come un povero imbecille. Magari anche un fifone che che non ha nemmeno il coraggio di portare qualcuno dei suoi nemici insieme a sé verso la morte. Tutto semplice. Molto semplice per la vulgata comune. Per i presunti progressisti. Per i custodi della modernità-Immaginare che qualcuno in nome degli ideali, di un codice di comportamento possa scegliere con lucidità un suicidio rituale è qualcosa di assolutamente inconcepibile al giorno d'oggi. Ci si è abituati a leggere di uomini e donne e bambini con addosso una cintura kamikaze, si ammazzano le prime persone che passano per strada, si fa strage di bambini, inermi. Qualcosa di assolutamente inconcepibile se non si decide di aderire a una dimensione più alta. Quella del ribelle. Del bushido. Del samurai. Del sacrificio estremo di un combattente. Di un animo nobile scagliato contro la decadenza di questo mondo, il suo silenzio, la sua paura. Di un modo di stare nel mondo e combattere che sta al di fuori di questo tempo dominato da eroi di cartapesta creati sul web.
" Io mi do la morte al fine di risvegliare le coscienze assopite. Mi ribello contro la fatalità del destino. Insorgo contro i veleni dell’anima e contro gli invasivi desideri individuali che stanno distruggendo i nostri ancoraggi identitari, prima su tutti la famiglia, intimo fondamento della nostra civiltà millenaria. Mentre difendo l’identità di tutti i popoli a casa propria, mi ribello nel contempo contro il crimine che mira alla sostituzione dei nostri popoli."
Dominque Venner ci fa regalo col suo “Un samurai d'Occidente. Il breviario dei ribelli” (Settimo Sigillo) di un vento di speranza che abbraccia il futuro, come scrive Adriano Scianca nella prefazione: “La consapevolezza di questo nuovo inizio è viva in ogni pagina di “Un samurai d'Occidente”, ed è il motivo per cui questo libro – sorto all'ombra di un suicidio e con la certezza della catastrofe – non appare mai disperante o disperato. Questo è un libro di fondazione ed è proprio a un'opera fondativa che ci invita. Agli eroi spetta il compito di fondare le città, il che significa sempre: tracciare dei confini divinamente ispirati e accendere un fuoco sacro. Avere anche solo la consapevolezza di questo compito è il nostro modo di essere eroi. Cerchiamo di esserne all'altezza. Lo dobbiamo a Dominique Venner. Lo dobbiamo a noi stessi.” (pag.
“Noi che conosciamo la storia di migliaia di anni, e la scrutiamo con lo sguardo ansioso quale poteva essere quello di Simmaco, sappiamo quello che lui non sapeva. Sappiamo che individualmente siamo mortali, ma che lo spirito del nostro spirito è indistruttibile, come lo è quello di tutti i grandi popoli e di tutte le grandi civiltà. Nei nostri tempi, non è solo l'Europa della politica o della potenza che è assente, dopo le guerre distruttrici del XX secolo. È prima di tutto l'anima europea che è in letargo. Quando verrà il grande risveglio? Lo ignoro, ma di questo risveglio non dubito affatto. Ho mostrato in questo Breviario che lo spirito dell'Iliade è come un fiume carsico, inesauribile e sempre rinascente, e che spetta a noi scoprire. Poiché questa continuità è invisibile, e tuttavia vera, dobbiamo rievocarcela mattina e sera. E in questo modo saremo invincibili. Essere stati spodestati dalla posizione dominante che è stata nostra fino al 1914, e quindi precipitati in un abisso di negazioni e colpevolizzazioni, siamo i primi Europei posti davanti all'obbligo di ripensare interamente la nostra identità attraverso un ritorno alle nostri fonti più autentiche. L'Antichità che invochiamo non è quella degli eruditi. È un'Antichità vivente, che abbiamo il compito di reinventare. Inizieremo così a ricomporre la nostra tradizione, per farne un mito creatore, questo non può avvenire solo tramite scritti e parole. Lo sforzo intenso di rifondazione deve essere reso autentico da atti che abbiano un valore sacrificale e fondatore.” (pp. 181-182)
e leggete cosa scrive Alain De Benoist nella postfazione (che tra l'altro è l'intervento alle Giornate del pensiero ribelle del 20 gennaio 2002 a Parigi) de “Il Trattato Transatlantico. L'accordo commerciale USA-EU che condizionerà le nostre vite” (Arianna Editrice e lasciatemi dire che il titolo, visto i contenuti, è abbastanza fuorviante e riduttivo):
“Ci sono sempre stati spiriti ribelli. Ma il mondo attuale riserva loro un posto tutto particolare. Nell'epoca della modernità, il ribelle appariva come in ritirata, rispetto al rivoluzionario. Oggi che la modernità finisce, esso ritrova tutto il suo posto. La globalizzazione, l'ho già detto, fa della Terra un mondo senza esterno, che non si può più attaccare a partire da fuori. Un tale mondo è votato non tanto all'esplosione, quanto alla depressione implosiva. La globalizzazione, ripetiamolo, consacra l'avvento delle reti, la cui influenza si propaga alla maniera dei virus.
Il ribelle è adatto a questo mondo, appunto perché anima delle reti e propaga le sue idee in modo virale. In un mondo che tende all'omogeneo, il ribelle, insomma, è la singolarità stessa. In un mondo sempre più conforme, è il non-conformismo stesso. In un mondo votato alla trasparenza totalitaria, è il punto opaco, un soggetto che ha saputo restare reale in un mondo di oggetti virtuali, un sedizioso per eccellenza in un mondo votato alla sorveglianza totale, uno straniero che si potrebbe a buon diritto escludere in nome della lotta contro l'esclusione se non si fosse di primo acchito autoescluso.
L'avvenire, perciò, appartiene al pensiero ribelle, a quel pensiero che osserva e delinea inediti spartiacque, abbozza una topografia nuova, prefigura un altro mondo. Bisogna pertanto essere attenti a ciò che viene, attenti a quello che non si lascia prevedere, ma soltanto presagire e intuire.
Ne “Le coeur rebelle” (1994), Dominque Venner diceva che:
“ogni uomo che cerca di darsi una forma interiore secondo la propria norma è un creatore di mondo, una sentinella solitaria posta alle frontiere della speranza e del tempo.”
Siamo fedeli allo spirito ribelle, fedeli alla Ribellione.” (pag. 184)
e pensando a Ernst Jünger e al suo "Trattato del Ribelle" (Adelphi) nel mio cuore batte il passaggio al bosco.
“Che cosa vuol dire per l'uomo di oggi farsi guidare dall'esempio del vincitore della morte, degli dei, degli eroi, dei saggi? Vuol dire partecipare alla resistenza contro il tempo, e non soltanto contro questo tempo, bensì contro ogni tempo, il cui potere fondamentale è la paura. Qualsiasi paura, per quanto sembri derivativa, è essenzialmente paura della morte. L'uomo che riesce qui a strapparle terreno può imporre la sua libertà in ogni altro ambito governato dalla paura, e abbattere i giganti, la cui arma è il terrore.” (pag. 79)