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mercoledì 29 giugno 2016

Riguardando "Rushmore" - perdere la testa per un'insegnante; Ernst Jünger; Robert Ward





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Ieri sera riguardavo per curiosità "Rushmore" di Wes Anderson (non mi hanno mai davvero convinto le sue pellicole e anche "Rushmore" mi fa lo stesso effetto di tutti gli altri: giocattolini simpatici, interessanti in superficie ma che alla distanza svaniscono sempre dalla mia memoria) e ho ricordato che anch'io, come Max Fisher protagonista del film, persi la testa per un'insegnante. Due volte la persi. In terza media il cuore e il cazzo mi si gonfiarono a dismisura per una supplente d'italiano, biondissima, alta, giovanissima. La sognavo di notte e scrissi dieci, venti poesie per lei che mai le feci leggere. Un giorno svanì e quando la rividi, dieci anni dopo, in un supermercato, mano nella mano col suo marito/fidanzato ebbi un sorprendente attacco di gelosia che mi feci venir voglia di spaccare la faccia al rivale. La seconda volta fu per una giovane professoressa di matematica che incontravo spesso in treno. Avevo 16 anni. E quanto sperma ho sprecato pensando a lei (del tipo Portnoy). Questa volta lei venne a saperlo per colpa di una mia amica particolarmente stronza. Le chiesi se le andava di darmi una mano per risollevare i miei voti e lei gentilmente declinò. Adesso è una vera professoressa ma invecchiando è diventata davvero brutta e insignificante ai miei occhi.
E comunque sia se chiudo gli occhi e riavvolgo il filo della memoria posso ancora ricordare il profilo dei loro seni, le loro dita, i capezzoli, le scollature, i centimetri di reggiseno, il segno delle mutande sotto le gonne o i pantaloni, il trucco, le labbra, le caviglie, il loro culo, le loro schiene, i loro sorrisi, i loro denti.
Che ricordi.

E comunque, restando su pellicole di ambientazione scolastica, molto meglio "Fuga dalla scuola media" di Todd Solondz.



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Sempre bello rileggere il "Trattato del Ribelle" e ritrovare sempre la forza di alcuni passaggi:

"Che cosa vuol dire per l'uomo di oggi farsi guidare dall'esempio del vincitore della morte, degli dei, degli eroi, dei saggi? Vuol dire partecipare alla resistenza contro il tempo, e non soltanto contro questo tempo, bensì contro ogni tempo, il cui potere fondamentale è la paura. Qualsiasi paura, per quanto sembri derivata, è essenzialmente paura della morte. L'uomo che riesce qui a strapparle terreno può imporre la sua libertà in ogni altro ambito governato dalla paura, e abbattere i giganti, la cui arma è il terrore. Anche questo si è ripetuto nella storia moltissime volte.
È nella natura delle cose che l'educazione segua oggi un indirizzo esattamente opposto. Mai come ora l'insegnamento della storia è stato dominato da concezioni così singolari. In tutti i sistemi si tende a imbrigliare il flusso metafisico, ad addomesticare e ammaestrare gli uomini piegandoli alle ragioni del collettivo. Persino dove è costretto a ricorrere al coraggio, come sul campo di battaglia, il Leviatano penserà di simulare di fronte al combattente una seconda e più grave minaccia, in modo che questi rimanga al suo posto. Sono questi gli Stati in cui ci si affida completamente alla polizia. 
La grande solitudine dell'individuo è uno dei segni che contraddistinguono il nostro tempo. Egli è circondato, anzi è assediato dalla paura che lo stringe sempre più da presso come una parete. Nelle carceri, nella schiavitù, nell'accerchiamento, la paura assume forme concrete. Ne sono dominati i pensieri, i monologhi, forse anche i diari, negli anni in cui l'uomo non può fidarsi neppure del proprio vicino." (pp. 79-80)


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"Io sono Red Baker" mi era piaciuto tantissimo e ora non vedo l'ora di leggere questo "Hollywood Requiem" (Aliberti compagnia editoriale)

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martedì 28 giugno 2016

Fuoco fatuo

Uno dei miei libri/film preferiti in assoluto.
Drieu.
Malle.


Fuori l'estate.
Il calcio.
Dentro il dolore.
L'inutilità.
La ribellione.
La mediocrità della mia esistenza.

lunedì 27 giugno 2016

Scrivania (Malamud, Willa Cather, Silvia Pareschi, Cristina Coccia, Fratus/cioni; Roth, Vollmann, Rosenblatt)

Quest'estate di dolore e depressione.

La mia scrivania e il quaderno ad anelli si riempiono sempre di nuovi titoli


(qui)


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(qui) - con l'autrice Cristina Coccia spero di organizzare due chiacchiere


(qui)

E intanto proseguo con la scoperta/riscoperta Roth, dedicandomi questa volta a uno dei suoi romanzi più noti:


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di cui per adesso ho letto i primi due racconti:"Fuga" e "Ad ascoltare le granata" e li ho trovati luminosi.

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e per fortuna che fra poco c'è:


domenica 26 giugno 2016

ieri, leggendo i giornali

L'unica copertina/giornale in cui mi sono ritrovato ieri è stata quella di Libero che quantomeno ricordava i Sex Pistols:




ho provato a sfogliare Repubblica e Il Manifesto e li ho trovati vergognosamente schifosi. Non sono un fan di Feltri e compagnia. Nemmeno di Farage e di molti di quelli che in Gran Bretagna avranno votato per l'uscita. Ma avessi voluto votare avrei votato anch'io per l'uscita. Pur sapendo che quelli come me saranno sempre fregati. Ma non sono certo uno di quelli che piange per le esportazioni, i problemi calcistici, i possibili aumenti delle tariffe aeroportuali (ne ho usufruito, quindi lo so), gli studenti erasmatici in sofferenza eccetera, eccetera perché negli ultimi vent'anni com'è andata la situazione per la classe sociale a cui appartengono? Quali sono stati i benefici dell'UE, del Fmi, delle liberalizzazioni, della presunta modernità, della globalizzazione? Risposta: precarietà, flessibilità, liberalizzazioni, tagli sociali, guerre per difendere il nostro livello di vita. E questa fantomatica generazione erasmus cos'ha prodotto? Insomma, son tanti anni che esiste e probabilmente questo girare per l'europa produce, salvo nobilissime eccezioni, solo merda e status quo. E poi basta con questi richiami alla giovinezza! Ai giovani che votano per la modernità, che votano nella maniera giusta. Quali giovani? Mi sento simili a quei giovani che vivono la precarietà esattamente come la vivo io e non vorrebbero viverla, che non sopportano i voucher e i contratti a ore, la flessibilità, che non gradiscono le città divertimentificio, la distruzione del territorio, la Tav, i supermercati e i negozi aperti sempre e comunque. Sono vicino a quegli operai distrutti dalla globalizzazione, ai farmacisti distrutti dalle aperture indiscriminate nei supermercati, ai piccoli albergatori che non fanno parte di catene alberghiere, a quelli che producono per il proprio territorio senza aver bisogno di portarlo altrove.

I costi, i benefici.

C'é un termine che odio: narrazione.
E la narrazione di questi giorni è stata imbarazzante.

L'Europa che sogno è un'Europa diversa da quella inventata da Spinelli & Co, da quella di Bruxelles, da quella delle piccole patrie ultraliberiste/mercatiste/serve del dogma del lavoro, da quella serva del libero mercato, da quella di Tsipras e Podemos, da quella di Salvini e Meloni. 

La mia Europa non esiste, se non nel cuore delle persone libere. Nude, abbronzate su una spiaggia. Serene,  nel proprio appartamento. Libere sulle vette di montagne libere da alberghi. Viandanti nella nebbia della pianura. Libere in una città come Milano che permetta finalmente a Bianciardi di sorridere e che seppellisca nell'acqua dei navigli il circo elettorale, le radio popolari, gli expo.

Solo gli incendiari che misero a ferro e fuoco Milano il 1 maggio 2015 avevano capito il respiro gioioso dell'atto di distruggere una città improponibile, marcia, schifosa.


(e io so che mi direte che non posso apprezzare la copertina di Libero e poi appoggiare quel 1 maggio...ma io in quella copertina ci vedo più possibilità che in una qualunque copertina del manifesto...prendetemi pure per folle...)

sabato 25 giugno 2016

I furbi e i fessi secondo Giuseppe Prezzolini






"Dei furbi e dei fessi

1. I cittadini italiani si dividono in due categorie: i furbi e i fessi.

2. Non c’è una definizione di fesso. Però: se uno paga il biglietto intero in ferrovia, non entra gratis a teatro; non ha un commendatore zio, amico della moglie e potente nella magistratura, nella pubblica istruzione eccetera.; non è massone o gesuita; dichiara all’agente delle imposte il suo vero reddito; mantiene la parola data anche a costo di perderci, eccetera. questi è un fesso.

3. I furbi non usano mai parole chiare. I fessi qualche volta.

4. Non bisogna confondere il furbo con l’intelligente. L’intelligente è spesso un fesso anche lui.

5. Il furbo è sempre in un posto che si è meritato non per le sue capacità, ma per la sua abilità a fingere d'averle.

6. Colui che sa, è un fesso. Colui che riesce senza sapere è un furbo.

7. Segni distintivi del furbo: pelliccia, automobile, teatro, restaurant, donne.

8. I fessi hanno dei principi. I furbi soltanto dei fini.

9. Dovere: è quella parola che si trova nelle orazioni solenni dei furbi quando vogliono che i fessi marcino per loro.

10. L’Italia va avanti perché ci sono i fessi. I fessi lavorano, pagano, crepano. Chi fa la figura di mandare avanti l’Italia sono i furbi che non fanno nulla, spendono e se la godono.

11. Il fesso, in generale, è stupido. Se non fosse stupido avrebbe cacciato via i furbi da parecchio tempo.

12. Il fesso, in generale, è incolto per stupidaggine. Se non fosse stupido, capirebbe il valore della cultura per cacciare i furbi.

13. Ci sono fessi intelligenti e colti, che vorrebbero mandar via i furbi. Ma non possono: 1) perché sono fessi; 2) perché gli altri fessi sono stupidi e incolti, e non li capiscono.

14. Per andare avanti ci sono due sistemi. Uno è buono, ma l’altro è migliore. Il primo è leccare i furbi. Ma riesce meglio il secondo che consiste nel far loro paura: 1) perché non c’è furbo che non abbia qualche marachella da nascondere; 2) perché non c’è furbo che non preferisca il quieto vivere alla lotta, e la associazione con altri briganti alla guerra contro questi.

15. Il fesso si interessa al problema della produzione della ricchezza. Il furbo soprattutto a quello della distribuzione.

16. L’Italiano ha un tale culto per la furbizia, che arriva persino all’ammirazione di chi se ne serve a suo danno. Il furbo è in alto in Italia non soltanto per la propria furbizia, ma per la reverenza che l’italiano in generale ha della furbizia stessa, alla quale principalmente fa appello per la riscossa e per la vendetta. Nella famiglia, nella scuola, nelle carriere, l’esempio e la dottrina corrente, che non si trova nei libri, insegnano i sistemi della furbizia. La vittima si lamenta della furbizia che l’ha colpita, ma in cuor suo si ripromette di imparare la lezione per un’altra occasione. La diffidenza degli umili che si riscontra in quasi tutta l’Italia, è appunto l’effetto di un secolare dominio dei furbi, contro i quali la corbelleria dei più si è andata corazzando di una corteccia di silenzio e di ottuso sospetto, non sufficiente, però, a porli al riparo delle sempre nuove scaltrezze di quelli." (pp. 178-181)

venerdì 24 giugno 2016

Il caldo - The Hotelier - della generazione erasmus

Questo é il caldo che aspettavo.
Quello quasi crudele.
Quello da siesta.
Quello del pomeriggio torrido.
Quello che ci vuole un paio di giorni per capirlo ma poi mi abbraccia e mi fa sorridere.
Non c'entra nulla con infradito, costumi (anche se il bagno nel lago lo faccio eccome e cambio di colore), sorrisini, gelati, ombrelloni (anche se serve).
È una dimensione fisica e mentale.
Da caso psichiatrico quasi.
Ho imparato a camminare sulla spiaggia di Pesaro.
Se prima stavo male, quando i miei nonni e i miei genitori mi portavano al mare o al lago io sorridevo e stavo bene. Facevo sempre la mia vita da solitario ma stavo meglio.
Le coste della Cornovaglia, le spiagge di Triopetra, Matala, Creta, Rodi, Baratti sono uno dei pochi motivi per cui non mi sono ancora fatto fuori.
Ancora oggi evito spiagge affollate, casini vari, giovani e adulti schiamazzanti, radio a tutto volume, grigliate.
Cerco un angolo sereno dove poter leggere, star seduto per ore a guardare l'orizzonte, uno specchio d'acqua dove potermi tuffare e portare tutto il mio dolore.
Anche se senza mia madre che era una fanatica di mare e spiagge e sole è tutto più difficile.

Leggo Spengler:


Hemingway, Vollmann e Roth e ascolto questo disco:


e la canzone "Soft Animal" mi fa star male.


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in chiusura: delle lacrime della generazione erasmus non me ne frega un cazzo.

giovedì 23 giugno 2016

VENERDì 24 GIUGNO 2016 - 21.30 Invisible°Show presenta: TRITHA ELECTRIC in ACCADEMIA CARRARA (Piazza Giacomo Carrara, 82 - Bergamo)


VENERDì 24 GIUGNO 2016 - 21.30
Invisible°Show presenta:


TRITHA ELECTRIC 
in 
ACCADEMIA CARRARA
(Piazza Giacomo Carrara, 82 - Bergamo)



In un dialogo tra suono e figurazione, Invisible°Show invita Tritha Electric ad esibirsi in Accademia Carrara con un percorso che intende sollecitare confronti e scambi tra arti visive e musica. Contraddistinta da un approccio tradizionale della musica indiana, capace di evolvere in chiave contemporanea, la ricerca musicale di Tritha Electic accompagna i visitatori ad esplorare lo spazio del museo per raccontare e interpretare la corrente artistica che, nel linguaggio della pittura, ha fatto della luce la sua capacità di svelamento della realtà. La performance musicale vuole costruire una sinergia tra sguardo e ascolto, tra luce e voce - quali elementi di appello e conduzione – in cui le discipline si mescolano e si fondono in un passaggio tra lo spazio esterno ed interno della pinacoteca.

Tritha Electric è una band psychedelic / fusion rock che ha origine nel 2010 tra New Delhi e Parigi con la voce di Tritha Sinha, le percussioni di Paul Schneiter e la chitarra di Mathias Durand. Le sonorità del gruppo nascono come unione di rock psichedelico ispirato al Krautrock tedesco degli anni ’70 e alle melodie folk della musica classica indiana del Nord. Tritha Electric ha suonato in oltre cento concerti e viaggiato attraverso tre continenti durante i 18 mesi di tour che hanno seguito il debutto dell’LP PaGLi nel 2014.

 a cura di:

 Bonus gigs (per chi volesse il bis): domenica 26 giugno, ore 19.00,
Tritha Electric si esibirà a Lovere, qui  l'evento facebook

mercoledì 22 giugno 2016

Intervista a Silvia Valerio




, alla sua visione del mondo, alla sua femminilità, al suo essere uno spirito guerriero. Eccola qui:

Ciao Silvia, allora, cosa provi a distanza di sei anni a parlare nuovamente del tuo “C'era una volta un Presidente” mentre sei in giro per l'Italia a presentare “Non ci sono innocenti” scritto con tua sorella Anna? Un po' di noia? E riguardando la copertina sei ancora tu o ti sei trasformata, invecchiata, rifatta?

Ciao, Andrea. Tutt’altro che noia, ho impressioni positive. Rimango sempre affezionata a quel piccolo e pestifero primo libro, pur nella consapevolezza che oggi lo scriverei meno duro in alcune sue parti. Quindi mi fa piacere discuterne. Quanto alla copertina, fonti vicine all’autrice affermano che è sempre uguale. Ritocchi? Mi dà fastidio solo il pensiero di modificare in maniera così profonda, intima, il proprio corpo, per poi ritrovarsi zigomi, bocca, seno identici a quelli di moltissime altre donne, e porzioni di plastica tra cellula e cellula… Sono un’innamorata del corpo umano, quando è autentico, naturale: mi piace scoprire i disegni unici che ciascuno di noi si porta addosso, le tracce delle espressioni, le proporzioni armoniche o disarmoniche, anche i difetti. Tutta la nostra storia è scritta sul corpo e trovo che sia molto affascinante tentare di interpretarla. Quello che cerco nelle persone è vita, espressione, unicità, interpretazione: pensa a quanto sono belli certi visi di vecchi che trascolorano di emozione in emozione... Non a caso i giapponesi hanno elaborato diversi concetti di estetica che danno dignità anche all’imperfezione, al vuoto o a una particolare irregolarità come veicolo di significati. Quando le loro tazze di ceramica si scheggiano, colano oro o argento liquido nelle crepe, oppure li usano per saldare i frammenti. Le ferite preziose del kintsugi trasformano i vasi in piccole opere uniche.  

Come è nato questo pamphlet? Pensi di aver centrato l'obiettivo? E qual era l'obiettivo? Recentemente, parlandone al telefono, mi hai detto che la satira é la tua forma stilistica preferita. Ho qualche ragione nel dire che questa forma rispecchia anche un po' il tuo carattere? 

È nato in un’estate in cui riflettevo sulla mia vita e sulle esperienze della mia generazione, e in cui percepivo una grande ingiustizia in tutto lo stile che veniva propagandato, espressamente o meno, dai media. Inautenticità, scelte obbligate, l’affossamento dei propri veri desideri, una mediocritas poco aurea, l’amore e il sesso deprivati di senso e trasformati in cosa da farsi per non sfigurare di fronte alla società oppure in soluzioni contrattuali. Così, ho scritto tutto quello che mi sgorgava dal cuore, cattiverie comprese. Perché, sì: la satira rispecchia moltissimo un lato del mio carattere, ironico e autoironico, che non disdegna di prendersi a sberle da solo, talvolta. Allo stesso modo, voleva essere una sberla data a fin di bene alla società, alla scuola, ai coetanei, alle generazioni dei genitori, per far sì che si risvegliassero dal sonno lisergico indotto dalla società dei consumi. Dalle reazioni, multiformi, che ci sono state, penso che qualche buon effetto l’abbia sortito. 

Come è stata l'accoglienza della critica e delle persone accanto a te? Se non sbaglio stavi frequentando le scuole medie superiori.

L’ho scritto mentre ero alle superiori ed è stato pubblicato durante il primo anno di università. L’accoglienza è stata varia: qualcuno l’ha letto e recepito entusiasticamente, qualcuno ha confermato l’opinione che aveva di me, qualcuno si è distaccato, qualcuno si è avvicinato proprio in questa circostanza ed è diventato un ottimo amico. 

Cos'é la Verginità? E ha ancora significato parlarne?

È un momento aurorale in cui tutti i tuoi sensi conoscono una tensione fatta di mistero desiderio e timore. Soglia tra la fanciullezza e l’età adulta, fa parte di quei passaggi che hanno sempre affascinato l’uomo da quando ha avuto storia - non a caso, tutte le mitologie e le leggende sacre fanno riferimento a questa fase e alle sue caratteristiche. Credo proprio che si possa continuare a parlarne, in quest’epoca che parla di tutto, e di cose sempre più folli, senza i terrori indotti da un certo tipo di educazione ‘castrante’ e senza l’assenza di bellezza di una visione consumistica della vita.
Al di là dell’aspetto sessuale, c’è poi una verginità dell’anima: quel momento della vita in cui sei distante dai giochi sociali, segui solo i tuoi istinti e li anteponi ai calcoli, alle soluzioni di compromesso. In questo senso, penso che il mondo avrebbe proprio bisogno di una dose di innocenza…
Mi viene in mente una lirica bellissima di una poetessa friulana, Maria Di Gleria Sivilotti:
‘Un giorno solo
i fanciulli
avevano appeso stelle:

era Domenica.

Lunedì mattina
erano già adulti
e si chiedevano
che cosa servissero
in cielo
le costellazioni.’

Nel tuo libro si respirano freschezza, sorrisi, sensualità mescolati a durezza e ferocia. Pensi che possano essere degli ingredienti per combattere la decadenza di questa epoca?

Sì, lo penso. Penso che ci voglia molta vita, creatività, energia, elasticità, e purtroppo (dico purtroppo perché mi dispiace immensamente rendermi conto del fatto che la quantità paghi più della qualità) costanza, resistenza, capacità di attendere. 

E perché Ahmadinejad? 

Al tempo, era l’esempio negativo per eccellenza dato in pasto all’italiano medio per certe sue caratteristiche, certe intransigenze, certi orgogli, certe prove di forza e di sobrietà. Era un termine di contrasto perfetto per la nostra penisola confusa e buonista, ma non davvero buona... 

Sei stata additata, almeno a quanto ho potuto verificare, con termini come: una puttanella, una cretina, un'esibizionista, una fascista, una ragazzina alla disperata ricerca di notorietà. Come hai vissuto le critiche e che tipo di critiche ti hanno rivolto? E di apprezzamenti ce ne sono stati?

Ho approcci diversi a seconda delle critiche: non ho problemi ad ascoltare opinioni discordanti rispetto alle mie da parte di persone che credono davvero in quello che dicono. Escludo a priori, invece, le critiche di chi insulta mascherato, dietro la spinta dell’invidia o dell’antipatia gratuita: sono commenti sterili e stupidi, di persone che non si rendono conto di essere le prime vittime del meccanismo, che perdono energia e tempo in cambio di una soddisfazione di pochi secondi. La nostra società ha cavalcato i sentimenti dell’invidia e del risentimento, ha dato modo a ciascuno di avere quella zona sicura in cui può dire qualsiasi cosa su chiunque in qualunque momento. Basta osservare i commenti sotto le interviste di certi attori di Hollywood, delle celebrità, di chiunque si sia discostato dalla vita ordinaria: un concentrato di malvagità che nemmeno all’inferno dantesco. 
E insieme, così facendo, la società ha portato a un enorme depotenziamento dei desideri: quando hai detto/digitato la tua, sei appagato, non cerchi davvero di realizzare qualcosa di buono, di vero, di grande, perché ormai hai esaurito la spinta emotiva, impegnarsi per un’idea sarebbe lungo, difficile; molto meglio uno sfogo istantaneo e tornare alla propria ruota di criceto come ieri e come il giorno prima e quello prima ancora. È come se centinaia di uomini avessero rapporti sessuali sempre con la stessa bambola gonfiabile invece che con donne vere – e continuassero a ritenersi soddisfatti così. Una società illuminata dovrebbe invece cercare di contenere, quando non di estirpare l’invidia, spingere ciascun cittadino a trovare la propria strada di vita, professionale, e a percorrerla al meglio. 
Detto questo, oltre alle critiche che hai ben sintetizzato, ci sono stati apprezzamenti molto gentili: per l’idea del libro, lo stile, gli argomenti. Qualcuno per le calzature che indosso in certe foto…

La Donna del Ventunesimo Secolo cos'è diventata? E il Maschio? Come vivi quest'epoca dei diritti a tutti i costi? Di teorie gender?

In genere, c’è stata un’osmosi tra maschile e femminile: la donna media, per condizionamenti storici e sociali, a poco a poco si è trovata ad assumere alcune caratteristiche prettamente maschili, con risultati discutibili, visto che, molto lontane da certi archetipi di donne guerriere, hanno finito per trasformare dentro di sé la forza in isteria, la capacità di prendere l’iniziativa in volgarità, l’indipendenza in nevrosi, la resistenza in abbrutimento.  
Il maschio medio, travolto e sconvolto dai cambiamenti circostanti, bombardato di teorie, inchieste psicologiche sui mensili e film hollywoodiani, ha finito per rifiutare molti aspetti virili. 
E più la donna media si altera, più emerge, esasperata, una specie di grottesca femminilità del maschio: è un cane che si morde la coda.
Fatte le debite eccezioni, incarnate da persone libere che si tengono fuori da questi meccanismi, siamo circondati da personalità sempre più nevrotiche, incerte, lunatiche e sempre meno definite. E purtroppo rischiamo che tra non molto, se non ci sarà un’inversione di tendenza, si arrivi a un unico genere informe e debole, privo dei caratteri di energia tipici di una differenziazione. Ecco dunque teorie gender, rifiuti di definizioni e altre sciocchezze di questo tipo. Che possono essere considerate solo sciocchezze finché non vanno a finire nelle scuole…  
Oggi si parla tanto di diritti, certo, ma sempre a senso unico: hai diritto solo a essere o esprimere qualcosa di peggiore, o alterato, rispetto alla media. Non ho nessun interesse a sindacare sulle predilezioni sessuali di qualcuno, ma il diritto obbligato all’ostentazione e a fare proselitismo dei propri gusti intimi è un’altra cosa. Vorrei invece che reclamassimo diritti veri: il diritto a un dibattito culturale sincero; il diritto all’autentica libertà di pensiero; il diritto a una scuola che ti insegni sul serio a vivere; il diritto a un’informazione attendibile, a un’alimentazione sana, a una sanità competente, a una ricerca medica ben organizzata; il diritto, per i più giovani, a un lavoro in linea con i propri studi e i propri talenti; il diritto a vivere nel paese in cui sei nato e alla non-emigrazione; il diritto a fare politica senza dover entrare nel gorgo di nepotismi, interessi e bastardate; il diritto a conservare i legami con la propria famiglia d’origine, senza atomizzarsi. 

Come donna mi sembri anche molto lontana dalle cattolicone dei Family Day. Mi ricordi più una sacerdotessa dell'antica Grecia.

Ti ringrazio, non avrei potuto sperare in un complimento migliore!

Seduzione, ballo, bellezza, vergogna, astrologia: cosa sono per Silvia?

Seduzione: un’espressione della pienezza di vita, della capacità di entrare in affinità col mondo. …
Ballo: una delle attività più armoniose e piacevoli per una donna, un’attività fisica che si trasforma in arte, in cui eserciti il corpo mentre entri nella musica e la musica entra in te. 
Bellezza: il lenimento della sofferenza, la pace, la spinta verso la creazione, un carburante, un traguardo, una delle cose per cui vale la pena vivere, un motivo per amare il mondo e per credere ci sia un segreto che lo superi. 
Vergogna: un sentimento che talvolta fa bene provare, anche se oggi è diventata spesso la parola d’ordine facile dei moralisti. 
Astrologia: un mistero antico e vertiginoso che ha poco a che fare con gli oroscopi dei giornali, che mi piace studiare e a poco a poco tentare di comprendere. 

Lo rifaresti di andare in televisione? E come giudichi la tua esperienza televisiva?

Sì, ci tornerei. È stato istruttivo: un condensato di umanità e scienza della comunicazione. 

Come è nata la tua passione per la scrittura? La scuola e la famiglia hanno un peso nella tua passione? E come vissero in famiglia questo tuo libro e la tua improvvisa notorietà?

Ho sempre amato leggere e scoprire storie: mi è venuto spontaneo provare a scriverne. Sono stata fortunata ad avere mia sorella Anna, che mi ha fatto respirare prestissimo mitologie classiche e mi ha avvicinata a libri splendidi. La scuola invece non ha contribuito a che sviluppassi come mi sarei aspettata certe tendenze: nozionismo, letture e scritture stereotipate non conciliano le vocazioni di nessuno. Mi è toccato, più che altro, scoprire in modi ‘underground’ autori che poi sono diventati punti di riferimento, cercare esperienze sensate e, sempre in maniera anarchica, studiare quello che desideravo imparare e fare esercizio.
La mia è una famiglia meravigliosamente non convenzionale, formata da persone che hanno caratteri diversissimi, ma accomunati da una speciale libertà di pensiero. Si sono divertiti a leggere il libro e a seguire le avventure di quella stagione. 

Domande sulla scrittura: quanto scrivi al giorno? Hai un metodo? 

Avrei un metodo, ma poi cerco di dimenticarmene. Nel senso che ogni tipo di scrittura richiede un’energia e una predisposizione diverse. Ci sono pagine che scrivo di getto, come quelle della satira o di un certo tipo di scrittura lirica, che hanno bisogno solo dei rimaneggiamenti finali (rileggo moltissimo), e pagine che devono depositarsi a poco a poco, con costanza, crescere silenziosamente, riaggiustarsi – e queste sono quelle del romanzo. Pagine che esigono leggerezza e gioia e pagine che vogliono disperazione. Come, nello sport, la corsa di scatto e quella di resistenza presuppongono allenamenti, diete, tecniche differenti. 
Un aspetto che ritengo importante per qualsiasi tipo di scrittura è quello di ricavarsi il tempo di lasciare ‘respirare’ le pagine, un giorno, mezza giornata. Meglio non scrivere troppo. È fondamentale non perdere la dimensione della realtà, per far sì che le parole abbiano il corpo necessario. Dormire, se possibile, decentemente, ed evitare le sessioni lavorative notturne se si vogliono scrivere pagine logiche – in casi diversi, può essere utile anche lo stato di coscienza alterata. Soprattutto se impegnati in un progetto complesso, attenersi alla moderazione, nei più vari ambiti. Infine, mi piace alimentare la scrittura con altri tipi di arte: la musica per il ritmo, la fotografia per le immagini, il cinema per i movimenti. 

Visto che io ci spero, concludo chiedendoti: ci sarà mai un altro pamphlet di Silvia Valerio?

Lo spero proprio anch’io. 

"Uomini si diventa" di Michael Chabon (Rizzoli)


Leggere "Uomini si diventa" di Michael Chabon (Rizzoli, traduzione di Matteo Colombo) significa compiere un viaggio nella fantasia, nelle emozioni, in un tempo perduto che non smette mai di vivere dentro di me.

Alcuni estratti:

"Per quanto tragga una sensazione di forza e di sicurezza dalla scrittura e dalla mia vita di marito e padre, si tratta di occupazioni notoriamente soggette a infiniti intoppi, ed esposte senza sosta a imperfezioni, debolezze e insufficienze, specie nei confronti dei figli Un padre è un uomo che fallisce ogni giorno. A volte le cose funzionano: il tuo segnale luminoso viene ricevuto e decifrato, la tua canzone viene rifatta da un'altra band e si piazza dritta al numero 1, tuo figlio benedice il giorno in cui lo hai aiutato a disporre le sedie vuote del suo sogno destinato al fallimento, un ultimo disperato tentativo proietta la tua casa editrice e i suoi fumetti ai vertici dell'industria editoriale. Il successo, tuttavia, non attenua in alcun modo la consapevolezza che il fallimento è in agguato dietro a tutto ciò che fai. Ma tu lo hai da sempre saputo. Nessuno supera i dieci anni senza questa consapevolezza. Benvenuti nel club." (pp. 16-17)

"I bambini scrivono i propri manuali da soli, in un linguaggio nuovo, mescolando ciò che ricevono da noi con ciò che deriva dal particolare cablaggio delle loro menti. La potenza dei Lego si manifesta solo dopo che i modellini sono stati smontati o buttati, ancora incompiuti, in un cassetto. Ti metti lì con l'idea di costruire qualcosa e cominci a rovistare nel cassetto, o nel contenitore, alla ricerca di un certo mattoncino o assale, e i Lego prendono a circolare per il cassetto producendo un inconfondibile rumore. A volte non trovi il pezzo che stai cercando, ma l'occhio ti si posa su un ingranaggio o un cono trasparente arancione o un elmetto con le corna. Più volte, mentre giocavo ai Lego con i miei figli, ho ceduto all'incantesimo di quel vecchio, famigliare rumore. È il richiamo stesso della creatività, della mente inventiva all'opera: creare qualcosa di nuovo con ciò che ti è stato dato dalla tua cultura, ciò che sai che ti servirà per realizzare il lavoro, e ciò che incontrerai per caso lungo il cammino. Tutti i bambini - anche quelli buoni - hanno un tocco della follia di Sid, del creatore di ibridi e anomalie. I miei figli hanno usato i pezzi aerodinamici e affusolati di una dozzina di kit di Guerre Stellari, mescolati con fauci di dinosauri Lego, per inventarsi improbabili navicelle spaziali ben più commisurate di quelle di George Lucas ai misteri di altre galassie e civiltà aliene. Hanno dotato gli omini Lego ispirati ai manga di pinne Lego da ittiosauro. Quand'era ancora molto piccolo, Abraham si divertiva a mettere un costume fluorescente da fantasma  Lego, tipo lenzuolo, su una minifigura verde di Goblin, per poi piazzarlo su un cavallo sioux, armato di spada laser, e farlo combattere contro la minifigura di Darh Vader, a sua volta in groppa a un cavallo nero e armato di arco e frecce. È questa l'estetica che vige ora nella Legosfera: non la purezza modernista degli esordi, né la visione totalizzante voluta dall'impero delle tenebre del marketing aziendale moderno, bensì l'estetica del cassetto dei Lego, della commistione, del pastiche che distrugge le proprie fonti e al tempo stesso se ne serve reinventandole. Rimesti nel cassetto e tiri fuori quel che colpisce il tuo sguardo, pezzetti sparsi presi dai film, dalla storia e dal tuo estro, e crei qualcosa di nuovo, qualcosa che prima di te nessuno ha mai visto o immaginato." (pp. 58-59)

Fra le altre cose nel libro si parla anche di Big Barda:


martedì 21 giugno 2016

"Nemesi" e "Il fuoco della vendetta"




In questi due giorni mi sono confortato, ferito, commosso affrontando due opere accomunate dal tema dell'uomo che affronta la catastrofe ma ne viene travolto. Uomini come il protagonista del capolavoro di Philip Roth “Nemesi (Einaudi, traduzione di Norman Gobetti), Bucky Cantor, che vede le proprie certezze, la propria vita, il proprio amore, il senso di Dio fatti a pezzi dalla poliomelite,  dalla morte, dal senso di colpa, dal senso del dovere, delle scelte sbagliate o come Russell, protagonista del modesto ma non per questo poco emozionante film “Il fuoco della vendetta” di Scott Cooper, che perde tutto ma proprio tutto: padre, fratello, donna. Che incontra il carcere per una di quelle maledette coincidenze/avversità/colpe che accadono ogni giorno su questo mondo. Che nella vendetta troverà l'appagamento momentaneo prima della definitiva solitudine, della marea di dolore che lo sommergerà per sempre. Ho trascorso la mia esistenza a interrogarmi senza tregua sul perchè Simona sia nata con un sacco di problemi quando ero io che secondo tutte le previsioni sarei dovuto nascere con qualche sindrome e sua madre che da ragazzino me lo diceva spesso guardandomi negli occhi, sul perchè sia morta quella ragazza, in quell'ospedale al posto mio, sul perchè mia madre proprio quando stava per cominciare a godersi la vita, progettava viaggi sia stata falciata via dal tumore. Mi hanno detto che sono le regole del mondo, dell'esistenza, che Dio ha un progetto, che ci sono universi paralleli, che ognuno di noi ha la possibilità di cambiare la vita, che la morte non ha colpe, tutte parole, ipotesi che non mi hanno mai rasserenato. Cammino e non trovo pace e il senso di colpa, di disprezzo per me stesso non troveranno mai soluzione.

Ma nessuno è più irrecuperabile di un bravo ragazzo che si è rovinato. Per troppo tempo se n'era stato da solo con il suo senso della realtà – e senza tutto quel che aveva così disperatamente voluto – perchè io potessi cancellare la sua interpretazione del terribile evento della sua vita o modificare la sua relazione con esso. Bucky non era un uomo brillante – non avrebbe avuto bisogno di esserlo per insegnare educazione fisica ai ragazzini – nè aveva mai preso qualcosa alla leggera. Era fondamentalmente una persona priva di umorismo, piuttosto efficace nell'esprimersi ma senza la minima traccia di arguzia, uno che mai in vita sua aveva parlato in termini satirici o con irona, che di rado faceva una battuta o parlava in modo faceto: un uomo ossessionato da uno strenuo senso del dovere ma privo di una grande forza d'animo, e che per tutto questo aveva pagato un prezzo molto alto conferendo alla propria storia il più greve dei significati, il quale, intensificandosi nel corso del tempo, aveva perniciosamente ingigantito la sua malasorte. Il disastro che si era abbattuto sul campo giochi della Chancellor e poi su Indian Hill a lui non era sembrato una maligna assurdità della natura, ma un grande crimine a suo carico, che gli era costato tutto quello che un tempo possedeva e gli aveva distrutto la vita. In uno come Bucky il senso di colpa potrebbe sembrare assurdo, ma in realtà è inevitabile. Una persona così è condannata. Niente di ciò che fa è all'altezza dell'ideale che nutre dentro di sè. Non sa mai dove finisce la sua responsabilità. Non accetta i propri limiti perchè, gravato da un'austera bontà naturale che gli impedisce di rassegnarsi alle sofferenze degli altri, non riconoscerà mai di avere dei limiti senza sentirsene in colpa. Il più grande trionfo di una persona simile consiste nel risparmiare alla sua amata un marito storpio, e il suo eroismo negare il proprio desiderio più profondo abbandonandola.
Forse, se non fosse fuggito di fronte alla sfida del campo giochi, se non avesse abbandonato i ragazzini della Chancellor solo qualche giorno prima che il Comune chiudesse il campo giochi e rimandasse tutti a casa – e anche, forse, se il suo più caro amico non fosse rimasto ucciso in guerra -, non sarebbe stato così affrettato nel biasimare se stesso per il cataclisma e avrebbe potuto non diventare una di quelle persone fatte a brandelli dai suoi tempi. Forse, se fosse rimasto fino a superare la prova cui era sottoposta la comunità degli ebrei di Weequahic e, al di là di quel che avrebbe potuto succedergli, avesse virilmente mantenuto la sua posizione fino alla fine dell'epidemia...
O forse sarebbe giunto a vederla a modo suo ovunque fosse stato, e per quanto ne so io – per quanto ne sa la scienza dell'epidemiologia – forse anche a ragione. Forse Bucky non si sbagliava. Forse non era vittima della mancanza di fiducia in se stesso. Forse le sue affermazioni non erano esagerata e lui non aveva tratto la conclusione sbagliata. Forse lui era stato davvero la freccia invisibile.” (pp. 178-179)

lunedì 20 giugno 2016

a ogni cambio/restaurazione/stabilizzazione di regime...

a ogni cambio, fessura, restaurazione crepa di regime cominciano a vedersi strisciare per strada i voltagabbana, i lecca-scarpe che cambiano modello, i cambia casacca, gli sborratori di repulisti, i rivoluzionari dell'ultima ora, i comunistelli senza rivoluzione che si aggrappano ai venditori di droghe rivoluzionarie, i giornalisti con la schiena flessibile ma sempre a loro dire molto dritta, i presunti scrittori corsari che un salotto buono dove accasarsi lo troveranno sempre, gli appendi abiti usciti da quei corsi che fanno tanto fighi di buon amministratore, i radiopopolaristi che festeggiano e festeggiano e festeggiano, gli opinionisti con o senza barba che Barbablu li sterminerebbe tutti.

personalmente ribadisco ancora una volta la mia completa distanza da tutti, ribadisco tutti, gli attuali e precedenti sindaci e da tutti i partiti/movimenti/sacchi di merda di cui sono esponenti, che li appoggiano e li hanno appoggiati o li hanno contrastati (?).

lo scrivo perché nelle ultime ore alcune persone mi hanno sollecitato su questo argomento. mi hanno letteralmente rotto i coglioni in preda a crisi isteriche, psicodrammi esistenziali, euforia da vittoria.

preferisco il lago.

e l'unica risposta a tutte queste domande sono le parole, ormai mi sto ripetendo assai, di Céline.

"Sono anarchico da sempre, non ho mai vo­tato, non voterò mai per niente né per nessu­no. Non credo negli uomini. Perché vuole che mi metta d’improvviso a suonare lo zufolo so­lo perché decine e decine di falliti me lo suo­nano? io che me la cavo piuttosto bene col pianoforte? Perché? Per mettermi al loro livel­lo di gente meschina, rabbiosa, invidiosa, pie­na d'odio, bastarda? Questa è davvero buona. Non ho niente in comune con tutti questi froci - che sbraitano le loro balorde supposizioni e non capiscono nulla. Si immagina a pensare e a lavorare fra le grinfie di quel gran coglione di Aragon, per esempio? Questo sarebbe l'av­venire? Colui che dovrei adorare, è Aragon! Puah! […] Non sente, ami­co, l’Ipocrisia, l’immonda tartuferia di tutte queste parole d’ordine ventriloque! […] I nazisti mi detestano al pari dei socialisti, e i comunisti anche, senza contare Henri de Régnier o Comoedia. Si in­tendono tutti quando si tratta di sputarmi ad­dosso. Tutto è permesso tranne che dubitare dell’Uomo. Allora non c’è più niente da ri­dere.
Ho fatto la prova. Ma io me ne frego, di tutti.
Non chiedo nulla a nessuno".





Biblioteche, James Welch, Massimo Fini, Rilke, Marissa Nadler

Giro spesso per biblioteche. Tutte le volte che torno da mio padre compio un giro fra tre, quattro biblioteche della mia zona per prendere in prestito qualche volume. È sempre un piacere incontrare bibliotecari leggendari come "Antonio, la Guardia" di Bulciago. L'ultima volta sono tornato a casa con una sacca che ne conteneva quattordici di libri. Fra questi c'erano due libri che avevo già letto ma che avevo voglia di rileggere come questo:



che ho ritrovato doloroso e commovente per come racconta la fine di un mondo, le sofferenze di un popolo massacrato, annientato, imprigionato, spogliato di tradizioni e bellezza e questo:

di cui trascrivo un estratto:

"Felupe. Parecchi anni fa mi trovavo, per lavoro, in Guinea-Bissau, ospite di una missione cattolica, tenuta da un bravo padre saveriano, Giuseppe Fumagalli, originario di Brugherio alle porte di Milano. La missione di occupava di una tribù del luogo, i Felupe, che vivevano principalmente di agricoltura e in quel periodo il cruccio di padre Fumagalli era che i Felupe si rifiutavano cocciutamente di usare la falciatrice meccanica della missione. Padre Fumagalli se ne lamentava e quasi se ne disperava con me. Non capiva come quella gente potesse rifiutare l'aiuto della falciatrice che fa in tre ore, e senza sforzo, quello che una famiglia Felupe fa, con fatica, in una settimana. Per i Felupe la paglia andava tagliata a mano, col falcetto. "Questa gente - mi diceva padre Fumagalli - ha una cultura totalmente conservatrice, non progressista, gli manca il concetto stesso di "progresso", cioè cammino in avanti verso il meglio, verso una vita migliore. Mi ricorda certi contadini del mio paese che, come mi raccontava mio padre, quando a Brugherio comparvero le prime macchine agricole dicevano: "Non permetterò mai che nei miei campi entrino quelle macchine che fanno fumo". Allo stesso modo quando arrivarono i primi fertilizzanti, molti non li vollero usare. Erano mentalità conservatrici, come ritrovo ancora oggi qui in Africa". Eravamo a metà degli anni Settanta e a padre Fumagalli non veniva nemmeno il sospetto, che forse oggi qualcuno comincia a nutrire, che quei contadini potessero avere le loro buone ragioni. Tantomeno ne potevano avere, nella mente di un missionario animato dalle migliori e più pie intenzioni, i Felupe.
Un pomeriggio assistetti a una specie di "showdown" fra padre Fumagalli e il capo dei Felupe. Dopo molte cerimonie, convenevoli e discorsi che giravano intorno alla questione, il Felupe disse: "Per noi la vita va avanti bene quando tutte le forze della natura sono in equilibrio. La tua falciatrice distrugge questo equilibrio, per questo non la vogliamo". Ma poiché padre Fumagalli continuava a insistere e voleva appioppargli a tutti i costi la sua falciatrice, una notte, per buona misura, gliela incendiarono e la faccenda finì lì.
Non sono più tornato da quelle parti ma sono certo che, se lo facessi, oggi troverei molte falciatrici e macchine ancora più sofisticate e distrutto il felice equilibrio su cui vivevano i Felupe." (pp. 77-78)


E poi c'era anche Rilke. Che a leggerlo regala sempre nuovi brividi.

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Fuori è arrivato il sole.
Ma la depressione resta.




sabato 18 giugno 2016

Camminando per le vie di Lugano con "Everyman" di Roth in testa


Oggi ho camminato per le vie di Lugano con "Everyman" di Roth in testa. Mi sono seduto su una panchina in riva al lago e ho lanciato maledizioni verso i cigni che si avvicinavano sporchi e cancerosi come mendicanti. Faceva freddo, stava per piovere. Avrei voluto piangere sulla vita che mi è stata data da vivere ma non ce l'ho fatta. Quando piango, mi sfogo, spiego le mie ragioni, mi confido mi prendono per matto, per spostato, per paziente da curare con psicofarmaci. Sulla panchina accanto si sono poi sedute due russe in sottoveste bianca. Sorridevano. Bionde. Una giovanissima. L'altra cinquantenne. Da sotto il vestito della più vecchia affioravano capezzoli duri, gonfi, luminosi. Me ne sono andato e ho lanciato sassi nel fiume. Poi sono scese le prime gocce. Per strada ho incontrato una bambina tedesca o svizzero-tedesca che piangeva sul marciapiede. La madre fumava una sigaretta guardando il fiume ingrossato. Ci siamo guardati negli occhi. Piangeva pure lei.

Un breve estratto perché altrimenti lo trascriverei tutto intero:

"La maggior parte della gente, era convinto, lo avrebbe considerato un conformista. Lui stesso da giovane si considerava un conformista, così tradizionale e poco avventuroso che dopo l'accademia, invece di fare il pittore e vivere con i soldi che riusciva a raggranellare - che era la sua segreta ambizione - aveva fatto il bravo e, esaudendo più i desideri dei genitori che i suoi, si era sposato, aveva avuto dei figli e, per avere avere un lavoro sicuro, si era dato alla pubblicità. Non aveva mai pensato di essere qualcosa di più di un normale essere umano, uno che avrebbe dato qualunque cosa perché il suo matrimonio durasse tutta la vita. Si era sposato proprio con questa aspettativa. Invece il matrimonio diventò la sua cella carceraria, e cosí, dopo molti tortuosi pensieri che lo assorbivano mentre lavorava e quando avrebbe dovuto riposare, cominciò spasmodicamente. tormentosamente, a cercare una via d'uscita." (pag. 25)


E comunque oggi ho in testa questo film:


e da sempre questa canzone:


Il Bestiario degli italiani - Numero III


In copertina: “Sisifo rivisitato” di Mario Damiano

I / L’editoriale 
II / L’eredità dimenticata di Antonio Martino / Il calcio che fa a pezzi la creatività di Luca Giannelli
III /La sagra del gastronomicamente corretto è l’obitorio del palato di Mario De Fazio / Vada a quel paese, chef di Martina Turano / La Roma ritrovata oltre la fuffa del gourmet di Mauro Zanon
IV / Nuovo Realismo Italiano di Giulio Casadei / L’economia grama delle start up di Benedetta Scotti / Il tempo dello studio, il tempo del danaro di Mario Manna
V / Cadaveri eccellenti: Luciano Bianciardi di Valerio Alberto Menga
VI /I figli di Don Pè di Andrea Chinappi / Crociata due punto zero di Carlotta Maria Correra
VII/ Le avventure di Mercuzio di Daniel Albizzati /La vita vera di Lorenzo Vitelli
VIII/ Lettera ai contadini di Alessandro Petruccelli /Archistar: vieni avanti cretino di Angelo Crespi /Il crudo e il cotto. I tristi tropici della cucina di Luca Giannelli

Informazioni qui.

venerdì 17 giugno 2016

No alle Olimpiadi! No alla farsa dei ballottaggi!

I won't need anymore memories
For the next 50 years i could still write you love songs
I won't need anymore photographs
To remember the color that your eyes changed with the color of your hair
My heart is gone
My heart is gray


(per capire l'umore)


No alle Olimpiadi romane.
No a questa farsa generale.
Nessuna Olimpiade moderna.
No a Malagò, al Coni, a Giachetti, alla Raggi e compagnia bella.
Non me ne frega un cazzo delle disamine geopoliticheeconomichepoliticheesattorialiripercurssionieconomicobottegarie che eccitano pseudo giornalisti critici del sistema.

Se non capite nel vostro cuore perché le olimpiadi moderne siano una farsa, è inutile discutere.

Disertate il prossimo ballottaggio romano.
Disertate tutti i prossimi ballottaggi.

Il compostaggio e i cimiteri sono la destinazione ideale per tutti, ribadisco, tutti, i candidati.

Guardate i Goonies.
Leggete.
Curate i vostri fiori, le vostre piante, i vostri figli.
Flirtate.
Pregate.
Camminate.
Nuotate.
Prendete il sole.
Masturbatevi.
Scopate.
Drogatevi.
Ubriacatevi.
Meditate.
Correte.
Dormite.
Qualunque cosa ma non date credito a gentaglia come questa, a gente come Fassino, Appendino, Sala, Parisi, Dario Fo, Radio Popolare, me, eccetera, eccetera, eccetera......

(....il calcio è una rottura di cazzo...se me lo chiedete, io tifo Ungheria per simpatia...preferisco il ciclismo...il suicidio...)


giovedì 16 giugno 2016

Un po' di libri sparsi, con brevi commenti + "Antarès - Prospettive Antimoderne"




Sono 5 anni che questo disco suona in casa mia.





"La vita segreta delle donne sposate" di Elissa Wald (Nutrimenti, traduzione di Nicola Manuppelli) è un bellissimo noir che fa male al lettore. Come dovrebbe sempre fare un noir. Partito prevenuto, mi sono dovuto ricredere. Una scrittrice che terrò d'occhio.


"Lettere a Francesca" di Enzo Tortora (Pacini, prefazione di Giuliano Ferrara) mi ha fatto pensare a tutte le lettere che ho scritto ai prigionieri in carcere e alle loro risposte vergate con disegni, richieste, sfoghi, lacrime, sangue. Tortora viene spesso sbandierato a vanvera da politici e giornalisti ma la sua incarcerazione non ha purtroppo insegnato nulla a magistrati, politici, giornalisti, al cosiddetto poppppolo. Ne ha scritto Guido Vitiello su Il Foglio.


"La politica che non c’è. Un anno di em.ma su Facebook" di Emanuele Macaluso (Castelvecchi) è una raccolta di interventi che poco hanno a che fare per stile, idee, punture di spillo con i toni sbracati della politica/giornalismo contemporaneo. L'importante non è condividere necessariamente quanto scritto in questi interventi quanto il fatto che siano uno sprone alla riflessione, allo studio, alla ricerca intellettuale.




"Un'altra giovinezza" di Mircea Eliade (Rizzoli) perché è un libro feroce, scanzonato, ironico, devastante. Mentre lo leggevo ho sentito scorrere la vita dentro di me.


....


La mia copia la vedrò domani ma intanto se vi interessa questa intervista andate qui.

mercoledì 15 giugno 2016

Novanta - Hello We're Not Enemies (Seashell Records)


Tenetevi a mente il titolo.
Sentite che bel gusto che vi lascia in bocca.
Esce il 17 giugno.
Lo potete ascoltare e acquistare qui.

martedì 14 giugno 2016

Inquinamento/De Benedetti/Repubblica - Icmesa

Le richieste della procura per De Benedetti & co. non devono interessare molto alla redazione di Repubblica, che infatti relega la notizia a pagina 27, dedicandogli un articolo nemmeno troppo lungo.

Cos'altro aspettarsi da un giornale del genere che pullula di origliatori, servi, leccapiedi, presunti artisti, moralizzatori a corrente alternata?

...la cadrega...la cadrega...la cadrega...la cadrega....la cadrega...la vacanza...il festival..........

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Sempre a proposito di inquinamento, disastri ambientali, sono trascorsi quarant'anni dal disastro dell'Icmesa. A Meda ci vive la sorellastra di mia madre. Io non so quali relazioni possano esserci fra il tumore che uccise suo marito, quello che da tanto tempo l'affligge e la diossina, ma qualche dubbio lo conservo.

Marta Clinco ha scritto un articolo in due parti dedicato a quella tragica vicenda. Si possono leggere qui e qui.

Oggi ho in mente questa canzone:


lunedì 13 giugno 2016

Incomprensibile




Leggo di persone di pseudo sinistra/5stronzi che andranno a votare alle prossime consultazioni d'immondizia favorendo candidati anti pd.
Ecco, lo dico da non votante/uomo che detesta il pd tanto quanto il centrodestra/grillino del cazzo: ma perché non rimanete a casa? Ve ne infischiate? Strappate la scheda elettorale? Non venitemi a raccontare la storiella di machiavelli o degli antisistema, perché sono discorsi senza senso, da masturbartori con i sex toys della rivoluzione della stupidità.
Ma lo so, a voi piace giocare con queste robe figlie dell'indigenza mentale partorite da gente come fo o dagli strafatti quotidiani.
Vi piace perché forse rivelate ciò che siete.

Mi hanno chiesto: ma fra Sala e Parisi? Ecco, buttate una bomba di cannibali su Milano, fra Brera e Navigli.
A Torino, meglio le pantegane che escono dal Po.
A Napoli............Maradona?

Fatela finita.





domenica 12 giugno 2016

Domenica, Ghost Orchard, Yes Yes A Thousand Times Yes, Philip Roth, Joseph Incardona, Eric Zemmour


(qui)


(qui)


Giorni fa ho visto un documentario su Philip Roth: "Philip Roth rivelato" che mi aveva scosso dentro, soprattutto nella parte finale, quando lo scrittore si mette a parlare di morte, malattia, amici che stanno morendo. Ci ripensavo oggi uscendo dal lavoro con un sacchetto dell'immondizia in mano e tanta stanchezza nella testa. Ero così vuoto che non ricordo nulla dei quasi due chilometri che separano il cinema da casa mia.


Entrato nell'appartamento ho aperto "Everyman" e quasi mi sono commosso. Nella pila di libri da leggere c'è anche "Nemesi". Quest'estate, in particolare durante queste sei settimane (tranne alcune pause) senza lavoro, dedicherò molto tempo a Roth.

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Dedicherò molto tempo (anche per la mole) a questo:

(qui)

Altro romanzo di prossima lettura.


(qui)

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(....se ho l'umore a pezzi, per peggiorarlo mi basta incontrare Dario Fo)