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sabato 30 aprile 2016

Imbecilli Isis; Francesco Borgonovo; impronte digitali; su "Balene bianche" di Richard Price (Neri Pozza); Silvia Valerio; Alessia Sgro Filippo Facci; Marine Le Pen

Tutte le volte che leggo, ascolto, vedo, discuto di qualcosa che ha a che fare con l'Isis finisco, dopo un momento di serietà, per credere che questa gente, da quella merda del Califfo all'ultimo aspirante cinturino kamikaze, possano potenzialmente tutti essere dei possibili ospiti di un Arkham Asylum di serie Z.



E a proposito di Isis è da poco uscito per Bietti il libro di Francesco Borgonovo: "L'Impero dell'islam. Il Sistema che uccide l'Europa". Ne ha scritto qualche giorno fa Mario Giordano su Libero: "Islam e finanza ci ammazzeranno. Giordano: "La profezia in un libro"

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Il mio nuovo contratto di lavoro prevede anche le impronte digitali.
Sempre senza ferie e malattia pagata.
Ho anche l'obbligo di segretezza.
Ma lo sto già violando o no?

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Se "Clockers" mi era piaciuto molto più del film che ne era stato tratto, "Balene bianche" (Neri Pozza, traduzione di Luca Briasco), molto incensato dalla critica, mi ha parzialmente deluso. Se i dialoghi come al solito sono strepitosi e le ambientazioni talmente vivide che si possono quasi toccare, la storia invece mi è parsa molto debole, improbabile (intendiamoci, la storia è credibile ma è come resa che poi diventa improbabile) e farraginosa in molti passaggi (. Quasi un esercizio di stile dichiarato. Potenzialmente un grande film.

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Prossimamente scriverò di questo libro con annessa intervista a Silvia.

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Un pezzo di Filippo Facci: "A che serve Davigo?"


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Un articolo pungente di Alessia Sgro: "NUIT DEBOUT: A PARIGI TORNA LA COMUNE (MA PER CONTO DI CHI?)"


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E fra qualche giorno una probabile lunga seduta di esami medici.

giovedì 28 aprile 2016

"Il lupo del Lago Nero" di Ferdinand Ossendowski (Edizioni di Ar); "La parola a Ezra Pound e altre maschere d'autore" di Miro Renzaglia (Circolo Proudhon); "Senza Pelle" di Nell Fink (Minimum Fax)


Sono tre racconti di poche pagine quelli contenuti in "Il lupo del Lago Nero" di Ferdinand Ossendowski (Edizioni di Ar, traduzione di Franco Freda) ma sono pagine dense di emozioni, descrizioni, spirito religioso, rifiuto del progesso paesaggi incantati, tribù scomparse, sette suicide, spose bambine, monaci folli. Hanno un respiro così ampio questi tre racconti che mi sono visto spalancare le finestre e far entrare aria fredda nella stanza per ricreare un mondo così lontano e affascinante come quello siberiano. Nel 2009 Francesco Boco aveva scritto questo bell'articolo su Ossendowski: "Ossendowski, l’ultimo avventuriero"

Lascio tre estratti:

"Che ne è degli anni della mia giovinezza? Dei pensieri, degli ideali di quella stagione? Era questo che mi attendevo dalla vita e dalla civiltà, mentre vent’anni fa vagavo tra questi dolmen, ascoltando le voci di secoli sepolti e sognando di una civiltà possente, in grado di interrompere la rovina che incombeva su queste tribù morenti? Quando stavo qui, persuaso di operare per il progresso e la felicità del genere umano, di contribuire a dischiudere prospettive migliori a questa terra sconfinata, così seducente nella sua primordiale essenzialità, avrei mai immaginato di imbattermi, vent’anni dopo, in simile desolazione? Insomma, era questo che mi attendevo dalla ‘rivoluzione’, ossia dalla manifestazione più decisiva del ‘progresso’, quando, nel 1905, appunto in nome del progresso e per protesta contro le criminali ingiustizie del governo imperiale, mi gettavo nel turbinio della prima rivoluzione, per poi languire due anni nelle prigioni zariste, a scontarvi la pena del mio ardore? No, non era questo che anelavo. L’equazione ‘rivoluzione-progresso’ è vera sempre?

Il paese della morte e delle tombe, la prateria tra Ciulyma e Minusinsk ha verificato questa equazione, emettendo il proprio giudizio con il fruscio delle sue erbe disseminate di pietre. La stessa giustizia di Hak l’evaso, il giorno in cui ci separammo da lui e dai suoi due compagni del bagno penale, nei pressi di Minusinsk, sul finire di settembre.

“Senza di voi, ora, noi rimaniamo senza via di scampo. Ma la vostra sorte non è migliore della nostra. Su di noi incombe la morte, grondante di fame e di freddo; ma sino alla sua venuta, noi ci muoveremo nel libero spazio della foresta. Voi, invece, dentro le vostre città di pietra, dovrete lottare in continuazione contro artifici malvagi e astuzie sordide, contro insidie contronatura. Anche su di voi incombe la morte, con il suo corteo di gridi e di gemiti delle vittime dell’esistenza cittadina.” (da "I costumi matrimoniali di una tribù della prateria", pp. 15-16)


"In preda al terrore, i contadini erano sicuri che quel fulmine caduto per caso sulla cappella fosse proprio la voce di Dio, né avevano il minimo dubbio che il monaco sfruttasse dei fenomeni naturali per agire sulla loro sensibilità sovraeccitata e persuaderli ad accogliere la sua predicazione del suicidio. Essi quindi non osavano levarsi da terra, non osavano alzare la testa per paura di scorgere il volto terribile di Dio. Restavano immobili, con il viso nascosto dalle mani, né si curavano della vittima del sacrificio, che ormai riposava nella pace del Signore: in attesa della resurrezione della propria carne squarciata, alla fine dei tempi." (da "Al cospetto di Dio", pag. 34)


"Deliziosa Lodoletta, piccola, incantevole Bibi-Enè" pensavo io, isolato dai mille rumori del treno in corsa. "Ora ti scioglierai la nera capigliatura odorosa di muschio e di sandalo, poi ti strapperai i tre capelli per gettarli al vento della prateria, in direzione del sole calante - e così avrai eliminato qualsiasi ricordo di me. Non provare risentimenti Lodoletta! Tu sei bella, agile e gioiosa; tu canti come l'allodola della prateria; tu, fanciulla dagli occhi neri, danzi come un urì del tuo paradiso; tu sei bravissima a cucire bottoni e a cuocere sulla brace il succulento sciasc'lyk e il delicato azu - ma io non potevo trasformarti in moglie. Che saresti diventata, tu, stando assieme a questo noioso topo di biblioteca quale io sono? Addio, piccola Bibi-Enè, e che tu sia sempre felice dopo aver gettato al vento di ponente i tuoi tre capelli neri." (Da "Lodoletta, Hanum della prateria, pp. 54-55)

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(qui)


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mercoledì 27 aprile 2016

Cimiteri

Volevo dimenticare luoghi ameni (caf, sindacati, asl) dove ho accompagnato mio padre e chiudo gli occhi per cancellare tutta la merda che ho digerito. Il vento freddo mi stava quasi per staccare le orecchie. Poi sono stato da mia madre e ho pensato a una madre e a un figlio, P., che mi tengo stretto al cuore. Ho cambiato i fiori e pulito la foto dalla sabbia. Ho baciato il viso di mia madre, mi sono voltato e ho avuto l'ennesima conferma che il cimitero del mio paese è uno dei luoghi più belli dove sono mai stato nella mia vita. Vorrei viverci. Morire. Scompaiono le fabbriche, i palazzi, le villette, le macchie e vivono solo il cielo, le montagne, il silenzio, gli alberi. Fra le tombe ho riconosciuto una figlia che piangeva sua madre. Mi sono spostato sulla tomba di mio zio e poi su quella di Flavio che mi salvò la vita. La figlia si comportava come mia nonna nel 1944. Stesa sulla tomba della madre piangeva in silenzio abbracciando una lastra calda. Le ho accarezzato i polpacci e me ne sono andato. 

L'amica più preziosa che ho a questo mondo mi spedirà un sasso miracoloso. 
Lo terrò sulla scrivania fino a quando troverò la forza di morire.


martedì 26 aprile 2016

Sta bene signore?




Esco dal lavoro.
Cammino per due chilometri con le lacrime nello stomaco.
Entro in un supermercato.
Arrivato alla cassa la ragazza mi chiede "Sta bene signore?"
Non rispondo, pago con la carta e torno a casa.
Tengo le tapparelle abbassate anche se fuori c'è il sole.
Bevo una birra e assaggio dei pomodori.
Mi lavo e mi metto in pigiama sul divano.
Fa freddo.
Tanto freddo.


lunedì 25 aprile 2016

Il mio 25 aprile e Ezra Pound

Potrei raccontarvi di mio nonno partigiano, delle sue medaglie come partigiano e al valor militare, di tutti i racconti, del mio bisnonno socialista che mai prese la tessera del Fascio, di tutti i cortei che ho fatto, di cosa significhi il 25 aprile (poca retorica, nessuna bandiera di partito o commemorazioni pubbliche), di cosa significhi viverlo oltre frontiera in un giorno lavorativo, della città dove mi sarebbe piaciuto essere oggi (Lecco), eccetera, eccetera. Ma correndo il rischio di risultare blasfemo, oggi mi preme ringraziare i partigiani e tutti coloro che graziarono Ezra Pound nei giorni della Liberazione. A loro va tutto il mio ringraziamento. Perché non avrei mai potuto leggere I Canti Pisani. Tempo fa quasi litigai con una persona a proposito di Ezra Pound. Oggi ci ripensavo. Per me la Resistenza è un'insopprimibile spinta verso la libertà, il dubbio, l'anticonformismo. Ezra Pound è poesia, bellezza, classicità, respiro che unisce i millenni. Niente, non so come spiegarlo. Non ce la farò mai. Ma sono disposto a morire per gli scrittori e i libri che amo.

"Quello che veramente ami rimane,
il resto è scorie
Quello che veramente ami non ti sarà strappato
Quello che veramente ami è la tua vera eredità
Il mondo a chi appartiene, a me, a loro
o a nessuno?
Prima venne il visibile, quindi il palpabile
Elisio, sebbene fosse nelle dimore d'inferno,
Quello che veramente ami e' la tua vera eredita'
La formica e' un centauro nel suo mondo di draghi.
Strappa da te la vanità, non fu l'uomo
A creare il coraggio, o l'ordine, o la grazia,
Strappa da te la vanità, ti dico strappala
Impara dal mondo verde quale sia il tuo luogo
Nella misura dell'invenzione, o nella vera abilità dell'artefice,
Strappa da te la vanità,
Paquin strappala!
Il casco verde ha vinto la tua eleganza.
"Dominati, e gli altri ti sopporteranno"
Strappa da te la vanità
Sei un cane bastonato sotto la grandine,
Una pica rigonfia in uno spasimo di sole,
Metà nero metà bianco
Né distingui un'ala da una coda
Strappa da te la vanità
Come son meschini i tuoi rancori
Nutriti di falsità.
Strappa da te la vanità,
Avido di distruggere, avaro di carità,
Strappa da te la vanità,
Ti dico strappala.
Ma avere fatto in luogo di non avere fatto
questa non è vanità Avere, con discrezione, bussato
Perché un Blunt aprisse
Aver raccolto dal vento una tradizione viva
o da un bell'occhio antico la fiamma inviolata
Questa non è vanità.
Qui l'errore è in ciò che non si è fatto, nella diffidenza che fece esitare."

domenica 24 aprile 2016

"La politica dell'impossibile" di Stig Dagerman (Iperborea); Simone Buttazzi; Arvo Part

Fuori ci sono il sole, il vento, i bambini che giocano, le mamme a spasso, le coppiette, i cani, i pensionati, i gatti, le tartarughe. Io sono qui col mal di testa, lo stomaco a pezzi e l'angoscia che mi toglie il respiro.


Stig Dagerman/Simone Buttazzi è una copia da far battere il cuore. L'Uomo Barbuto più affascinante d'Europa, medicina da assumere quando la testa fa le bizze e tutto si spegne, ha scritto una recensione impeccabile de "La politica impossibile" (Iperborea, traduzione di Fulvio Ferrari)

E sempre tramite Simone arrivo a questo intelligente riassunto: "DDL CIRINNÀ: VANTAGGI E SVANTAGGI PER LE COPPIE OMOSESSUALI. COSA PREVEDE IL DDL CIRINNÀ".



"E se finisci giudicato da un tipo così?" di Piero Sansonetti

Di qualsiasi colore siano non mi piacciono giudici, magistrati e compagnia bella. Intanto lascio questo articolo:


"E se finisci giudicato da un tipo così?" di Piero Sansonetti

L'intervista di Davigo al Corriere apre due problemi. Uno molto pratico e l'altro di tipo ideale. Il problema pratico è questo: se a un cittadino qualunque capita - e capiterà - di aspettare una sentenza della Cassazione che deve essere emessa da una sezione della quale fa parte Davigo, come si sentirà questo povero cittadino? Potrà ricusare Davigo, o invece dovrà accettare di essere giudicato da un magistrato il quale afferma e ribadisce che "non esistono innocenti, esistono solo colpevoli non ancora scoperti"? E se per caso questo cittadino fosse uno che fa o ha fatto politica, come si sentirà a farsi giudicare da un magistrato il quale sostiene che i politici - tout court - rubano?
Non è un problema "virtuale" è un problema concretissimo. E porta con se un secondo problema: è evidente che Davigo non rappresenta tutta la magistratura italiana, e che anzi la maggior parte dei magistrati hanno idee ed esprimono posizioni del tutto diverse e non in contrasto con la Costituzione Repubblicana, come sono le idee di Davigo. Però è pur vero che Davigo è stato di recente eletto a capo dell'associazione nazionale magistrati, e questo può farci immaginare che esista comunque un numero significativo di magistrati che la pensano come lui. Qualunque cittadino che dovesse finire sotto processo è autorizzato a temere che il magistrato che lo giudicherà la pensi come Davigo.
Vedete, il danno che il presidente dell'Anm ha creato alla giustizia italiana con questa intervista è grande. Perché finisce col minare la credibilità non tanto di un singolo giudice, ma di tutta l'istituzione.
Del resto che questo pericolo sia molto serio lo ha immediatamente avvertito il dottor Luca Palamara, che oggi fa parte del Csm e qualche anno fa ricoprì l'incarico di presidente dell'Anm. Palamara ieri mattina, appena letta la pagina del Corriere, è immediatamente intervenuto per tentare di limitare i danni. Ha fatto benissimo. Ma l'impresa è complicata, perché ormai l'intervista è stampata. E lo sfregio che ha recato all'immagine della magistratura e di tanti valorosi magistrati è irreversibile.
Il secondo problema è quello dei rapporti tra giustizia e politica. Davigo non è certo uno sprovveduto. E' un giurista molto colto, ha studiato, è sapiente. Il suo unico difetto è quello di avere una visione della giustizia e del diritto un po' precedente all'esplosione, in Europa - nel settecento - dell'illuminismo. E dunque di essere, nelle sue idee, molto lontano dalla Costituzione Repubblicana (dal suo spirito e dalla sua lettera). La domanda è questa: se i rapporti tra politica e giustizia sono nelle mani di un leader dei magistrati che ha le idee di Davigo, come si può pensare che questi rapporti si risolvano in qualcosa diversa da una guerra?
Mi pare che questa prospettiva sia temuta anche dal dottor Palamara, ma non credo che possa essere cambiata se non scendono in campo quei pezzi di magistratura, moderni e filo-Costituzione, che ci sono, sono molto grandi, ma anche, francamente, piuttosto silenziosi.

sabato 23 aprile 2016

Due cantanti: Torres e Sylvia


Il suo "Sprinter" (Partisan):


è ancora un po' acerbo ma mi è piaciuto.

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E poi c'è Sylvia. Fra poco esce il suo disco che sto aspettando da parecchio tempo. Intanto a Balcony Tv ha eseguito il suo "Pozzanghera" e ha parlato un po'.

venerdì 22 aprile 2016

"Anime baltiche" di Jan Brokken (Iperborea); "Fuoco e sangue" di Ernst Junger (Guanda); "Il mio letto è una nave" di Robert Louis Stevenson (Feltrinelli)


Non sono un viaggiatore, ma un gran camminatore sì; sono un uomo che ama il caldo, le spiagge, il mare, l'oceano ma fatico a legare con una certa anima mediterranea/marina (sono freddo, nebbioso, lacustre, sfuggente); sono uno con la passione per l'Europa dell'Est, senza mai esserci stato; sono uno che si sente europeo pensando a luoghi impensabili e distanti, almeno per me, come Lettonia, Russia, Estonia, Lituania, Ungheria, Romania, Ucraina. Leggere "Anime Baltiche" di Jan Brokken (Iperborea, traduzione di C. Cozzi e Claudia di Palermo) significa allargare la visuale, guardarsi in giro, respirare.

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Perchè leggere "Sanctuary Line" mi ha messo voglia di leggere le poesie di Stevenson.


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giovedì 21 aprile 2016

In breve su "Sanctuary Line" di Jane Urquahrt (Nutrimenti)



Il mondo che mi ha circondato per gran parte della mia vita è letteralmente scomparso. Scomparsi paesaggi, amicizie, parenti, familiari. Scomparsi ricordi, sogni, avventure, progetti. Demoliti capannoni, asfaltate strade. Gettati materassi, vestiti da sposa. Immondizia, ladri, case abbandonate, lapidi, funerali, lontananza. Scatoloni in cantina. Leggere “Sanctuary Line” della canadese Jane Urquhart (Nutrimenti, traduzione di Nicola Manuppelli) é stato come veder rinascere dentro di me e davanti a me tutta una serie di storie, profumi, saghe, ricordi, dolori.che avevo seppellito lontano o che avevo voglia mi fossero nuovamente raccontate. Come mio nonno che mi raccontava di garibaldini e immigrazione negli Stati Uniti. Come la crudeltà a cui fui sottoposto una volta in cortile giocando a nascondino. Come le riunioni familiari. Come tutta la famiglia che gioca a Monopoli e il nonno perde sempre perché non ha mai saputo come si dovessero gestire le finanze dell'albergo. Pagina dopo pagina l'Ontario si è confuso con la mia di esistenza. Questa famiglia é diventata la mia. Questo zio Stan è diventato tutte le figure maschili della mia di famiglia. La voce narrante era come se me la sentissi dentro alla testa. Il lago era dietro di me, davanti a me. E la vita e la morte delle farfalle è il tempo che sfiorisce e e muore rinasce imperturbabile. Senza di noi e con noi. 

Un estratto:

“Mi viene in mente ora che le farfalle monarca hanno tutte l'apparenza di creature allegre. La loro bellezza, il fatto danzano davanti ai nostri occhi d'estate, meravigliosamente adorne e sempre accanto a fiori dai colori luminosi, il loro equilibrio e l'apparente spontaneità dei loro movimenti, ci danno tutte le ragioni per credere che vivano in uno stato di grazia. Ma in realtà pochi insetti come loro hanno una vita così piena di insidie. In primo luogo, subito dopo il concepimento devo affrontare una serie di trasformazioni complesse e probabilmente dolorose: dall'apertura e l'abbandono del rivestimento larvale per adattarsi alla crescita del bruco, alla formazione del bozzolo per ospitare la pupa. A questo fa seguito, due settimane dopo, la fase molto critica in cui la farfalla lotta per liberarsi dalla prigione della crisalide. Poi c'è la breve e piacevole stagione in cui cavalcano la brezza e si nutrono di nettare, preparandosi per la lunga e faticosa migrazione, per poi collassare in un periodo di inattività invernale. Tutto questo sforzo inconcepibile e questa imprevedibile esposizione al pericolo conducono infine all'accoppiamento, e non molto più tardi alla morte.
Mio zio restò sul prato per quello che mi sembrò un tempo infinito, inclinando su e giù sotto la luce il disco graffiato da mia zia, per vedere quanto fosse danneggiato. Lo guardai dalla finestra, mentre sistemavo coltelli e forchette sul tavolo. Qualcosa nel movimento con cui piegava la testa per esaminare il disco mi fece capire che l'ultima volta che era stato dal barbiere si era fatto rasare dietro il collo. Il pensiero di lui seduto sulla sedia con il mento appoggiato sul petto, completamente sottomesso e coperto com un bambino da un grande bavaglio bianco, insieme al modo in cui ora faceva scivolare con cura il vinile nella sua custodia e lentamente chiudeva il coperchio del giradischi, mi addolorarono, sebbene in quel momento non avrei saputo spiegare perchè mi sentissi così.” (pag. 60)

mercoledì 20 aprile 2016

Persone che muoiono; Fino a prova contraria; un romanzo intensamente bello

Due anni e mezzo fa conobbi una persona. Erano i tempi della malattia di mia madre. Ero seduto su una panchina in un parco vicino casa a leggere i racconti Dubus e un vecchio col viso giallo di malattia mi si era seduto accanto. Avevamo parlato di libri, di politica, di famiglia e soldi. I suoi due figli stavano in giro per il mondo a lavorare come broker e responsabile in qualche catena turistica. Lui era un avvocato con un tumore. Mi chiese se mi andava di offrirgli una delle birre che tenevo nella borsa accanto a me. Gliene offrii una e lui la finì in due sorsi. Da giallo divenne rosso e bluastro e per i successivi venti minuti rimase in silenzio. Ripresosi mi spiegò tutto del suo tumore e che stava per morire e che aveva liquidato da tempo i suoi figli dall'attività di famiglia e che sua moglie era morta pochi anni prima per un infarto. Stavo aspettando che la mia compagna tornasse dal lavoro. Non mangiavo da giorni e se chiudevo gli occhi non vedevo altro che dottori, corsie e il mio posto di lavoro. Tornai a casa ubriaco e in lacrime. Ci rivedemmo altre volte. Gli raccontai della morte di mia madre. Lui della sua solitudine. Della chemioterapia. Del suo amore per Heidegger e Zurigo. Poi smisi di incontrarlo. Poi mi sono dimenticato di lui. Non lo vedevo piú al parco. Era scomparso. Qualche giorno fa ho chiesto a una mia vicina che avevo visto parlargli se sapesse qualcosa di quell'uomo del quale non conoscevo nemmeno il nome. Risposta ovvia. Morto. Mi ha spiegato dov'era stato seppellito. E sono andato a salutarlo. C'erano rose rosse fresche sulla tomba che divideva con la moglie. La vicina mi ha raccontato che al funerale c'era solo una decina di persone e che i figli se n'erano tenuti a distanza. Quell'uomo mi era stato ad ascoltare e mi aveva anche preso in giro perché tutte le volte che bevo da una lattina io mi bagno sempre i vestiti. Era stato colostomizzato e ci rideva sopra come faceva mia madre. Volevano vivere loro due. E sono morti. Ci sono persone come me, ipocrite e vili, che non hanno mai voluto vivere e che continuano a vivere. Tutto questo mi fa star male. Ingenera sensi di colpa. Non c'è verso di uscirne.

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Rilancio: 





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Oddio, posso quasi dire che forse era meglio che non cominciassi a leggere "Sanctuary Line". Troppe emozioni, troppe lacrime. Ma a voi capita ancora che dopo aver letto un libro non fate piú nulla per l'emozione? Che non vi fa di far nulla se non di tenerlo fra le mani per ore. È anche per questo che ho smesso di scrivere recensioni. Come fare un attentato ai libri che si legge. Quelli che ci piacciono davvero.

martedì 19 aprile 2016

"Non ci sono innocenti" di Anna K. Valerio e Silvia Valerio (Edizioni di Ar); incubi e lavoro; Persona - Urali


"Non ci sono innocenti" di Anna K. Valerio e Silvia Valerio (Edizioni di Ar) è un libro che leggerò a breve con molta, moltissima curiosità. Lo leggerò per farmi del male, per respirare, per riconquistare la fiducia nel romanzo che sto scrivendo. E per tanti altri motivi che non sto qui a spiegare. 
Intanto un'intervista a Anna e un brano letto da Claudia Grazia Vismara.

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Ho trascorso una notte piena di incubi. mi sono svegliato stanco, indolenzito e vuoto. Camminando per andare al lavoro sentivo la voglia di buttarmi nel fiume. Ho dovuto indossare il sorriso giusto per sopportare le ore di lavoro. La fila al supermercato. La scortesia di una torma di idioti studenti della scuola d'arte. La mia ragazza mi ha detto: "Hai la faccia stravolta. Le occhiaie nere". Ho gettato gli arancini di riso nel cesso e mangiato pasta in bianco con un filo d'olio. Quando pensavo di essere al sicuro ecco la telefonata di una collega che mi chiede delucidazioni sull'orario di lavoro che ci hanno appena spedito. E parlo, parlo, parlo a vuoto. 


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Sabato 23 aprile 2016 h.19 INVISIBLE°SHOW + CONTEMPORARY LOCUS presentano: Camusi c/o Studio Italo Chiodi




studi d'artista aperti al suono

sabato 23 aprile 2016 h.19

INVISIBLE°SHOW + CONTEMPORARY LOCUS

presentano:

Camusi c/o Studio Italo Chiodi


 70 posti limitati 
per conoscere il luogo e confermare la tua presenza:
invisibleshow@yahoo.it | 349 88 30 539 | 349 16 80 619


Il progetto Z nasce dall’incontro tra gli sguardi e le pratiche di contemporary locus e Invisible°Show, ascissa e ordinata che definiscono un nuovo punto - Z - su un asse sperimentale che ha origine nella dimensione spaziale e sonora. Oltre a sollecitare confronti e scambi tra arti visive e sonore, tra artisti e musicisti di diverse generazioni, geografie e poetiche, Z offre l’occasione di abitare spazi intimi e sconosciuti della produzione artistica. Il secondo appuntamento si svolge sabato 23 aprile alle 19.00 nello studio di Italo Chiodi a Bergamo con il duo di musicisti Camusi.



Camusi (Bologna, Italia) - Stefano Giust - percussioni, Patrizia Oliva - voci e suoni. Il progetto Camusi si concretizza attraverso la pratica della libera improvvisazione, dove l’estetica dei due musicisti, emerge in una sommatoria di idee e sensibilità al limite con la musica contemporanea, il jazz d’avanguardia, l’elettroacustica e altri generi musicali. Camusi si identifica con l’atto performativo del concerto, un work in progress musicale esclusivamente dal vivo in una condivisione artistica totale. Dal 1993, Stefano Giust è fondatore e gestore autarchico di Setola di Maiale, etichetta radicale che si impegna a documentare musica sperimentale. 



Italo Chiodi (Bergamo, Italia) - Il paesaggio in tutte le sue accezioni è il filo conduttore del lavoro di Italo Chiodi. Lo sguardo personale indaga i micro e macro cosmi della natura attraverso la pittura, il disegno o la scultura, riportando alla superficie elementi poetici che si relazionano di volta in volta allo spazio. Dal 1995 Italo Chiodi ha esposto in mostre collettive o personali in gallerie italiane e straniere ed è Docente presso L’Accademia di Belle Arti di Brera. L’artista abita il suo studio da molti anni. Il luogo è uno straordinario spazio di elaborazione, produzione, riflessione e incontro.


Partner:
CTRL magazine 
BG birra
La Fiaschetteria 
La Marianna

domenica 17 aprile 2016

Stanco; Battisti; Swift - Aboliamo il cristianesimo!; Annalisa Chirico; saloni

- Praticamente mi mancano due mesi di lavoro. Poi il cinema chiuderà per ristrutturazioni. Ancora oggi non so nulla del mio contratto, se verrò licenziato oppure no, che tipo di contratto mi faranno se avranno deciso di tenermi. Intanto mi fanno malissimo i polsi ma il mio contratto non prevede malattia. Nemmeno ferie pagate. Il contratto futuro non sarà diverso, cambierà solo la proprietà. Per la quale sto, in realtà, già lavorando da un anno.


- La notizia relativa alla ragazzina/Battisti mi sembra una notizia di poco conto, sicuramente sfruttata da abilissimi commentatori ma personalmente mi limito a dire che preferirò sempre ascoltare Battisti che mille tromboni pseudorivoluzionari di ieri e oggi.



Camillo Langone scrive su il Giornale di "Aboliamo il cristianesimo!" di Swift, edito da Giubilei Regnani: "Jonathan Swift: l'arte di abolire chi vuole abolire il cristianesimo"

- Vabbé che quando vedo in tv un giornalista de Il Fatto mi girano sempre i coglioni ma sono grato a Annalisa Chirico per ieri sera a Otto e Mezzo. Certe volte Annalisa Chirico mi fa girare il cazzo ma con lei potrei litigare mentre con quelli de Il Fatto non ci berrei nemmeno un caffè.

- Onestamente continuo a non comprendere le ragioni di queste folle ai e intorno ai Saloni. Di qualunque tipo siano questi saloni.


venerdì 15 aprile 2016

Maledetti! Un abbraccio alla famiglia di Giuseppe Uva

Doina; Razionalismo Comasco; PJ

Sono uno che continua a pensare che sia più onesta la pena di morte rispetto all'ergastolo e alle pene di lunga durata, che il 41bis sia una vera e propria forma di tortura, che sia del tutto folle rompere i coglioni a chi spara in casa contro un ladro e che sia ridicolo accusare di assassinio qualcuno che sacrifica un'altra vita per difendere la propria famiglia, se stesso o anche delle cose inanimate (mia madre sarebbe stata disposta a uccidere se qualcuno le avesse portato via l'anello di suo padre che era uno dei pochi ricordi che ancora lo legava a lui, eccetera), che non comprendo quelli che si scatenano contro le vittime perché il dolore/l'odio/le emozioni di vittime/amici/parenti/eccetera è solo da rispettare e accettare, che è abbastanza semplice capire che viviamo in una società carceraria, che la riabilitazione durante il carcere è folle proprio perché la società che ti aspetta fuori è una merda e allora per riabilitarti o ti devi convertire o accettare di diventare un bravo cittadino produttivo e con la testa bassa o fingere per pararti il culo, che conosco personalmente persone uscite dal giro carcerario e che stanno vivendo una vita più serena di quella precedente e hanno messo su famiglia e hanno avuto figli e hanno un lavoro, che non sopporto quelli che dicono di gettare la chiave ma mai una volta che lo dicono per i loro parenti o per quelli del loro giro, che i condizionamenti sociali esistono eccome ma esistono anche le responsabilità personali, che conosco persone che hanno avuto decine di occasioni di riscattarsi e le hanno sprecate tutte e non glien'è fregato un cazzo  di sprecarle e hanno rovinato la vita di quelli che gli stavano intorno, che quando leggo delle belve che si scatenano in rete io perdo la pazienza. 
Tutto questo mi è uscito dal cuore dopo aver letto e ascoltato a proposito della vicenda di Doina e che mi fa sinceramente ribrezzo. 
E allora, non per fare il buonista a tutti i costi e nemmeno il bastian contrario, lascio due articolo:

"Quanto odio per Doina, perché siamo diventati così?" di Angela Azzaro pubblicato sul neonato Il Dubbio e vorrei lasciarvi anche quello di Daniela Ranieri pubblicato su Il Fatto Quotidiano: "Doina Matei è tornata in carcere perché ha sorriso troppo su Facebook"



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Con un po' di ritardo segnalo dei bellissimi appuntamenti dedicati al Razionalismo Comasco. Sono molto legato emotivamente a Terragni. Maggiori informazioni qui.


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Pronto ad ascoltarlo.

giovedì 14 aprile 2016

Perché non andrò a votare

Qualcuno mi chiede perché non voto mai. 
La risposta sta fondamentalmente nelle parole di Céline.
E non rompetemi i coglioni.
Davvero, non rompetemeli, perché non me ne frega un cazzo.
Di Renzi, di Casaleggio, dei promotori, degli oppositori.
Lasciatemi stare.
Fraintendete pure.
Se lo fate, non capite un cazzo.


(E grazie a Andrea Lombardi che mi evita la fatica di trascrivere  tutto)

"Sono anarchico da sempre, non ho mai vo­tato, non voterò mai per niente né per nessu­no. Non credo negli uomini. Perché vuole che mi metta d’improvviso a suonare lo zufolo so­lo perché decine e decine di falliti me lo suo­nano? io che me la cavo piuttosto bene col pianoforte? Perché? Per mettermi al loro livel­lo di gente meschina, rabbiosa, invidiosa, pie­na d'odio, bastarda? Questa è davvero buona. Non ho niente in comune con tutti questi froci - che sbraitano le loro balorde supposizioni e non capiscono nulla. Si immagina a pensare e a lavorare fra le grinfie di quel gran coglione di Aragon, per esempio? Questo sarebbe l'av­venire? Colui che dovrei adorare, è Aragon! Puah! […] Non sente, ami­co, l’Ipocrisia, l’immonda tartuferia di tutte queste parole d’ordine ventriloque! […] I nazisti mi detestano al pari dei socialisti, e i comunisti anche, senza contare Henri de Régnier o Comoedia. Si in­tendono tutti quando si tratta di sputarmi ad­dosso. Tutto è permesso tranne che dubitare dell’Uomo. Allora non c’è più niente da ri­dere.
Ho fatto la prova. Ma io me ne frego, di tutti.
Non chiedo nulla a nessuno".

Céline a Elie Faure, 1934

Iniziando a leggere "Cerca di stare calmo" di Matt Sumell (Einaudi) e pensando a mia sorella


Ho appena iniziato "Cerca di stare calmo" di Matt Sumell (Einaudi, traduzione  di Matteo Colombo) e per adesso mi sta piacendo. Umorismo selvaggio, cattiveria, rabbia, sentimenti da stomaco aperto. Poi magari andando avanti mi deluderà, non lo so, per adesso alcuni passaggi sono molto interessanti. 

Ne trascrivo uno che mi ha fatto pensare al rapporto che abbiamo avuto io e mia sorella durante l'infanzia e l'adolescenza. Abbiamo condiviso per tanti anni la stessa camera. Lei per studiare teneva la luce accesa fino alle tre di mattina, io tornavo a casa in condizioni spaventose e lei ha sempre odiato l'odore di sigaretta. Una volta stetti così male che riempii il letto e la moquette di vomito e la puzza se ne andò solo dopo un mese. Ci siamo messi le mani addosso parecchie volte. Anche in maniera violenta. Intendo proprio violenta. Ci siamo fatti male reciprocamente. E quando ce le davamo volevamo davvero fare del male. Esprimevamo violenza pura, risentimento, odio, delusione. Mia sorella è sempre stata esile come me ma è dotata di una forza spaventosa. Come di una crudeltà verbale che ha poche uguali. Se ci penso sento ancora due costole che piangono.

Ecco l'estratto tratto dal primo racconto "Pugni a Jackie":

"E adesso mia sorella stava usando la faccenda del libro contro di me, e questo perché pensava, giustamente, che mi avrebbe fatto male. La risposta migliore che mi è venuta è stata:- Ma impara a usare la lavastoviglie, deficiente -. Lei ha sogghignato scuotendo la testa.  - E poi, - ho aggiunto, - piantale di lasciare sul lavandino le tue cazzo di doppie punte quando ti tagli quei capelli da lesbica perché é una cosa schifosa, proprio come la tua forfora. È meglio se ti compri un antiforfora serio, perché l'aceto di mele non sta funzionando, fricchettona del cazzo. E piantala di buttare nel cestino del bagno la tua merda di carta igienica imbrattata di sangue dopo che ti depili quelle gambe del cazzo, perché poi quella cogliona di Sparkles fiuta il sangue e rovescia il cestino e si mangia la roba. Okay? E poi comunque alla gente non va di andare in bagno e vedere la tua cazzo di carta igienica imbrattata di sangue nel cazzo di cestino. Quindi vaffanculo.
Lei mi ha insultato un altro po', cosí a un certo punto le ho fatto il verso con la voce di quando le faccio il verso. Le ho detto: - Ecco, sono te: "Sono troppo occupata a fare il mio importantissimo lavoro artistico per pensare agli altri e pulire dove sporco e quindi lascio la mia merda su ogni superficie piatta che trovo, cosí gli altri non posso nemmeno mangiare a tavola senza prima spostare la mia merda. Ah, e sono anche una troia imbecille". Ecco, troia imbecille, tu sei cosí.
Lí lei ha cominciato a spintonarmi fuori dalla porta urlando: - Vattene! Vattene! Vattene, cazzo! - E non scherzo se vi dico che è davvero forte e quasi mi butta fuori, e io nemmeno stavo facendo tanta resistenza, quasi me ne andavo spontaneamente, dopodiché ho pensato: "No, te ne vai tu". Mentre mi dava un altro spintone l'ho presa per la maglietta, e sinceramente è stato uno di quei casi in cui sono piú forte di quel che penso, perché lei è tipo volata per aria atterrando di schiena. Siamo rimasti scioccati entrambi, probabilmente piú io. Lei subito si è rialzata ed è partita all'attacco, tirando pugni a destra e a sinistra (aggiungere alla lista: 8) Mi ha picchiato prima lei), ma senza combinare molto se non farmi indietreggiare di qualche passo nella cucina. Poi si è fermata a valutare i danni, e io l'ho guardata con un ghigno. Allora è ripartita, sempre sbracciandosi come una pazza, io ho parato quel che potevo e poi l'ho spinta via. Quand'è tornata alla carica la terza volta le ho mollato un pugno di forza media in mezzo al petto che è tipo slittato sulla tetta destra e atterrato in pieno sulla sinistra, spingendola di schiena contro lo sportello della lavastoviglie, che era ancora aperta e con un sacco di spazio libero per le pentole e le padelle. C'erano però anche alcuni utensili, nel coso per mettere gli utensili, tra cui un coltello con sopra mi pare del formaggio spalmabile, e lei rialzandosi l'ha afferrato. Mi sono girato e sono corso via. Appena uscito di casa, l'ho sentito sbattere contro l'interno della porta sul retro.
Ci siamo evitati per il resto della serata e quasi tutto il giorno dopo, finché nostro padre non è tornato a casa dal lavoro straimbottito di Ritalin e si è messo a fare lo stronzo, anche se i dettagli non me li ricordo e non importano. Quello che importa è che condividere la sofferenza può creare un senso di solidarietà - magari falso, di sicuro temporaneo - cosí ci siamo coalizzati contro di lui finché non è scappato di sopra in camera sua a giocare a Sudoku o a qualche altra cagata al computer. Poi io e mia sorella siamo rimasti alcune ore al tavolo di cucina a tracannare tutto l'alcol rimasto in casa, giurandoci fedeltà reciproca, promettendoci di non farlo mai più e ripetendoci scusa, scusa. Scusa tantissimo." (pp. 12-13)

mercoledì 13 aprile 2016

Tiziano Angri; Eni; Incontri in Vaticano; due righe su "Il potere della fame" di Rosalinda Cappello (Idrovolante Edizioni); Ballad in Blood

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Ho aperto "L'unica voce" di Tiziano Angri sulla pagina che ospita questo disegno. Ero in un vagone della metropolitana e volevo scendere. Troppa gente, troppo rumore, la testa mi esplodeva. Sono letteralmente corso fuori dal vagone e poi dalla fermata per recuperare aria. Fuori c'era una giovane rom molto bella che faceva la questua. Le ho lasciato due euro. Aveva i denti bianchissimi. L'avrei baciata tanto mi aveva restituito il sorriso.

- Quei due euro erano parte del resto per l'acquisto de Il Manifesto. Mi chiedo come possano ospitare la pubblicità dell'Eni sul loro giornale. Il giornale l'ho sfogliato perdendo subito la voglia di leggere e rimpiangendo il fatto di averlo acquistato. L'ho lasciato sulla panchina dov'ero seduto. Andandomene ho notato che una classica studente di sinistra della Statale lo raccoglieva come fanno i mendicanti per strada con qualcosa di utile per la loro sopravvivenza.

- Ma quando Bernie Sanders incontrerà il papa cosa gli dirà? Gli darà del piazzista, dell'imbroglione, del suonatore di serpenti, dello schiavo del denaro come fa con i rivali nella corsa alla Casa Bianca? Gli chiederà di versare milioni e milioni di dollari ai nativi per quello che hanno combinato e continuano a combinare i suoi soldati in tonaca e magari anche di restituirgli tutti i terreni che gli hanno fregato (questo vale anche ovviamente per il resto degli USA)? Gli chiederà di svestirsi del denaro e chiudere la sua banchetta? Macché andrà a ripetergli le solite cose, una carezza e uno schiaffo leggero a distanza, che Cristo era il primo socialista, che i poveri e la misericordia e gli immigrati e gli orfanotrofi e le mense e San Francesco e un'altra valanga di stronzate da far schifo.

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In un'epoca come la nostra fatta di sconforto, di crisi economica, di quasi zero possibilità lavorativa, disoccupazione giovanile alle stelle, voucher, precariato mettersi a leggere un libro come "Il potere della fame. I Faraone, dalla tradizione contadina all'innovazione industriale" di Rosalinda Cappello (Idrovolante Edizioni) potrebbe aiutare a non perdere la speranza, a conservare intatti i sogni, a credere che si possa uscire dal fango, che ci possa riscattare. Purtroppo questo non accade, se non nelle prime pagine, perché poi si annega in un libro strutturato male che ricorda un articolo/reportage di giornale dilatato all'inverosimile, in un mare di melassa, di retorica e buoni sentimenti, di una spolverata di Olivetti e Mister Ignis, di valori familiari e radice contadine, di successi internazionali e presunta saggezza popolare. Senza mai un lampo nella scrittura, senza mai epica, senza mai odori veri ma solo tanta tanta noia. 



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lunedì 11 aprile 2016

Ricordando Hiroshima con Keiji Nakazawa e il suo "Gen di Hiroshima" (Hikari Edizioni)


Lasciate perdere la retorica, Obama, i politici e i vari schieramenti politici che sfrutteranno questa ferita per i loro biechi fini, gli insegnanti che parlano di patria e espansione territoriale. Ricordate invece l'orrore, Hiroshima, Nagasaki, la guerra, gli innocenti, i bambini, le vittime, i militaristi, le bombe atomiche ancora pronte a esplodere, coloro che si arricchiscono con le guerre, le mutilazioni, le larve, i cadaveri, le sofferenze, le ustioni, le cancrene, i cimiteri.

Ricordate che respiriamo.

Ho avuto due nonni segnati indelebilmente dalla guerra.
Nel fisico e nella mente.
Uno l'ho conosciuto, l'altro no.
Ma la foto di quello che non ho conosciuto appena tornato dalla Germania mi ha segnato dentro.
Ci somigliamo tantissimo.
Quella foto potrebbe essere il simbolo di quello che gli esseri umani, i poveri patiscono durante le guerre, le dittature, le democrazie.

Cercate "Gen di Hiroshima". Fluviale, emozionante.

È un capolavoro. Piangerete tantissimo. Ma anche riderete. E avrete tanta voglia di lottare. Spero.

Questo post è una risposta a tutti quegli stronzi che fraintendono, per stupidità, molte cose che passano da questo blog. E una dedica ai miei nonni, diversi fra loro, ma uniti nelle sofferenze.




domenica 10 aprile 2016

Brasillach giornalista


Informazioni qui e qui.

Perchè ci sono uomini che quando li si incontra, anche solo leggendoli, non li si dimentica più.

In breve su "L'eco di uno sparo" di Massimo Zamboni (Einaudi)



“L'eco di uno sparo” di Massimo Zamboni (Einaudi) è un libro doloroso che ripercorre una storia tragica, quella del nonno, fascista, ucciso il 29 febbraio del '44 dai Gap e ripercorrendola descrive con stile asciutto che sa di terra, preciso, poetico e senza mai essere ridondante un mondo lontano, scomparso e vicino, Reggio Emilia, la Pianura Padana, cimiteri, uccisioni, fallimenti, sconfitte, bombardamenti, alberi genealogici. Un libro che dà voce alla sua e alla nostra di famiglia.

Due estratti:

“Questa vita nuova familiare si allunga su due fronti, la vita agiata di città – tra i primi ad avere la caldaia a carbone, nella via – e il Podere Carina di Rivalta, luogo dell'eterno ritorno. Nella città di allora razzolavano le galline nei cortili, e stavano i gabbioni delle coniglie ai bordi del giardino. Animali anche nei solai, rinchiusi nelle stie, nelle cassette, granaglie in sacchi, rotoli di fieno. Coperte stese a terra per asciugare mele e pere nell'inverno, e quegli aromi impregnano i sottotetti, si infilano tra le travi e i ricordi. L'uva in tralci appesa ad appassire fino ai giorni di Natale. Noci, nocciole, verdure e non aiuole, alberi da frutto di cui si può trovare qualche superstite ancora in prima periferia tra i garage e le recinzioni. Una dispensa viva, a portata di mano familiare, senza confezioni, senza intermediari. È un modello di città che si prolunga fino agli anni Sessanta del secolo scorso, ho potuto conoscerlo senza averlo osservato se non distrattamente; considerandolo – come fanno i bambini – eterno, non modificabile- Ma già stava crollando sotto spinte incalzanti, anzi, era già crollato e non lo vedevamo, trascinando con sè tuguri e officine sguaiate, empori, privative e salsamenterie, strade di polvere e cellule animali. Questo ho potuto respirare, ma non ho saputo riempirmene allora gli occhi: tanto che, orfano di questa mancanza, dovessero offrirmi un viaggio in una fantastica civiltà del passato, chiederei di trascorrere un'intera giornata di mercato, un classico martedì o venerdì, in quella, ora incredibile, reggianità. (pp. 56-57)

“La chiusura di Moby Dick di Herman Melville è colma di mestizia e di speranza irriducibile. Ismaele, unico superstite – quando il dramma si compie e la nave baleniera Pequod infine si inabissa assieme a tutto il suo equipaggio – galleggia perduto e completamente solo alla deriva, aggrappato a una bara di legno, in un oceano “molle e funereo”. Racconta Ismaele: “Il secondo giorno, un veliero si avvicinò e mi raccolse, finalmente. Era la Rachele che incrociava raminga e che, tornando sui suoi passi alla ricerca dei figli perduti, trovò solo un altro orfano”. Rachele, madre e nave, inconsolabile madre biblica che “piange i suoi figli, nè ha voluto esser consolata” secondo il Vangelo di Matteo, nave “lacrimosa di spuma” alla ricerca dei figli del suo capitano perduti mesi prima in mare nel corso di una sventurata caccia alla balena. Non posso fare a meno di pensare alla nave baleniera Rachele di Melville rileggendo i resoconti dei nostri giornali locali sulle ruspe che in varie riprese percorrono la pianura di Reggio verso il Po, scavando, smuovendo, asportando terra, provando a tentoni - “all'orba”, si dice da noi, così come farebbe un cieco -, cercando secondo i sentito dire i luoghi dove potrebbero giacere i resti dei familiari uccisi. Sono i parenti che le hanno ingaggiate per la ricerca, madri e padri o figli e fratelli di fascisti uccisi sul finire della guerra, ma soprattutto dopo. Nessuna salma restituita da accudire, la maggior parte della vita trascorsa in stato di insopportabile incertezza. Anni di attese, una ostinazione lunghissima, ossessiva, per la necessità viscerale di piangere sopra una sepoltura certa. Ogni nostro corpo appartiene alla linea familiare che lo ha generato, perchè venga accudito in nome collettivo. Il procedere di quelle ruspe “a pause continue” in campagna smisurata, la loro rotta, “tortuosa e dolente”, sono quelle medesime della nave Rachele, senza conforto nell'oceano infinito. Rachele che piange i suoi figli perduti, senza trovarli. Lo stesso dolore cieco, la stessa ingiuria subita: ancora una volta – non sarà l'ultima – madri miti e forti, dagli occhi allagati. Nessuno si permetta di volerle consolare. Di volerle portare a una ragione.” [....] Una ricomposizione archetipica che a nulla deve servire se non a lasciar proseguire tutti, morti e vivi. Occorre, per ottenere questo, una nuova inumazione entro terre consacrate, interne al recinto della comunità. Occorre concludere il cerchio del dolore – ancora una volta: di là da ragioni o torti – per rinsaldare il vviere collettivo. Perchè Rachele possa tornare in porto, infime, nave madre consolata, con i suoi corpi perduti da accudire.” (pp. 167-168)

venerdì 8 aprile 2016

I libri che terrei nella mia libreria

Assistendo a tutta la sceneggiata relativa al figlio di Riina, ho letto (e visto) di librerie che non terranno quel "libro" e ho pensato e ripensato a tutte le volte che entro in una libreria alla ricerca di un libro e capisco che quel libro è indesiderato, che non c'è perché è indesiderato, che non me lo ordineranno mai, che pure io sono un indesiderato e allora mi sono messo a riflettere su quali libri terrei nella mia ipotetica libreria, a parte tutti quelli che ho letto nella mia vita e che vorrei leggere (tipo la letteratura americana di cui sono semplicemente ossessionato dall'infanzia e tutto il resto, dai, lo sapete che leggo tantissimo), e diciamo che sicuramente nella mia libreria oltre a quello che esce, i classici e bla bla bla, fra le altre cose potreste trovare la Bibbia, il Corano, il Mein Kampf, Brasillach, Céline, Savitri Devi, Stig Dagerman, John Zerzan, Drieu, Corridoni, Ezra Pound, Malcolm Lowry, Il manifesto di Unabomber, Prezzolini, Rebatet, La seconda guerra civile americana, Guareschi, Francesco Borgonovo, Papini, Selby Jr e William Vollmann (perché ormai non li si trova più), Proudhon,  Dante Virgili, Non ci sono innocenti, Morselli, Simone Cattaneo, Simone Weil, eccetera, eccetera. 

Credo che ci siamo intesi? Mi immagino una libreria crocevia, bazar di incontri/scontri, "malaffare" e usato/dimenticato che s'incontra con le novità. Non come nell'orrore da catena del Libraccio.

Farei per esempio più fatica a tenere roba del tipo "saggistica/letteratura" alla Scalfari, Giordano, Murgia, Iacona, Grillo..................................



giovedì 7 aprile 2016

Il mio caveau svizzero; Charlie Hebdo editoriale; due righe su "Giorni di fuoco" di Ryan Gattis (Guanda)


Col fatto che vivo e lavoro in Svizzera mi sono ormai abituato a tutta una serie di battute, critiche e anche insinuazioni. Gente che s'immagina che vivo una vita da nababbo, che ho i lingotti in cassaforte, che chissà che lavoro faccio, che chissà che merda che sono. Tutta la vicenda panamense, che coinvolge ovviamente anche la Svizzera, mi ha ricordato un episodio accaduto durante il matrimonio di mia sorella quando un parente dello sposo, con posa alquanto ambigua, mi rivolse alcune domande su come portare i soldi oltre frontiera, sul sistema bancario elvetico, eccetera, eccetera. Io gli feci un discorso serio invitandolo a rivolgersi ad altre persone con la sola conseguenza, lo seppi giorni dopo, di aver alimentato chissà quale leggenda sul sottoscritto. Nella mia vita ho conosciuto contrabbandieri e traffichini, gente che trasportava sigarette, titoli, soldi, diamanti. Gente come Fortunato, pace all'anima sua, conoscente di mio nonno che faceva avanti e indietro dal Brasile trasportando diamanti. Aveva la barba folta, mani giganti. Quando ero piccolo lui mi prendeva e mi sollevava fino a toccare con la testa il soffitto. Ci sono persone nella mia zona che vivono ancora grazie ai guadagni ottenuti da questi traffici. 

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Un editoriale di Charlie Hebdo che ha fatto discutere: "HOW DID WE END UP HERE?". Ne discutono qui. Condivido in larga parte quanto scritto nell'editoriale. Il problema sono le religioni.

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Romanzo duro e intenso "Giorni di fuoco" di Ryan Gattis (Guanda, traduzione di Katia Bagnoli). La rivolta di Los Angeles del '92 che fa da sfondo a una lotta fratricida fra gang. Esecuzioni, irruzioni della polizia, violenza spietata, droga, follia. Eppure questo romanzo non mi ha convinto fino in fondo forse per colpa dei troppi film/telefilm che mi entravano in testa durante la lettura e anticipavano gli eventi.. La stessa struttura mi è sembrata fin troppo studiata con tutte le storie che trovano comunque una soluzione o un filo che le lega una all'altra. L'autore offre invece il meglio di sé scrivendo di coloro che stanno fuori dalle gang o di coloro che invece fanno di tutto per poterci entrare, degli innocenti, dei parenti fuori dal giro o che hanno voluto abbandonare la vita delle gang senza per questo trovare una reale redenzione, delle infermiere che soccorrono le vittime spesso loro conoscente, dei pompieri assaliti riuscendo a farli emergere dalla pagina con la loro carne, i loro dubbi, le loro ferite.

lunedì 4 aprile 2016

Vestita da troia; due film che mi interessano; su Carlo Michelstaedter; il nuovo degli Explosions in the Sky; la stronzata della taglia sui corrotti

Sono fuori dal cinema. Sto aspettando un fornitore. Nel parcheggio antistante c'è una ragazza con un vestito rosso primaverile. Maniche corte, gonna cortissima. Senza calze. Tacchi a spillo. Si pettina i capelli biondi e fuma una sigaretta. Una borsa argentata per terra. Mi guarda. Mi chiede che ore sono. Le rispondo e rientro nel cinema. Dieci minuti dopo riesco, lei è ancora lì. Mi guarda, sorride e mi chiede: "Sono vestita da troia?" "Non mi sembra". Delusa si accende un'altra sigaretta. Mentre firmo le bolle di consegna, arriva un'utilitaria da cui esce musica a tutto volume. Al volante una tizia con le braccia tatuate che mi squadra come per decidere se spararmi oppure no. Se ne vanno e il corriere mi fa "Che troia quella bionda...". Forse avrebbe dovuto chiederlo a lui.

Ci ho messo un po' ma poi ho capito che ascoltavano questa canzone:



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(qui)


(qui)

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Anna K. Valerio scrive di Carlo Michelstaedter: "Carlo Michelstaedter o l’elogio della persuasione"


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È uscito il nuovo disco degli Explosions in the Sky e io sto già piangendo ascoltandolo qui. Non me ne frega un cazzo delle possibili recensioni ma me lo sento dentro.

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A ma la taglia sui corrotti della Meloni mi pare una stronzata. Chissà, se le cose vanno per il verso giusto ne discuterò qui con una persona che cura la campagna di uno dei candidati della lista Meloni.

domenica 3 aprile 2016

Una coppia del cazzo; un saluto a Galieno Ferri; su il Giornale oggi; un'intervista a Mario Vattani

Conosco, per motivi di parentela, una coppia, lei psicologa/cameriera/agricoltorebio, lui insegnante di sostegno/poeta/attivista politico, che puntualmente quando li incontro mi rompe i coglioni con chiacchiere sull'antipsichiatria, il genio della follia, Artaud e i Baustelle, Basaglia e la lobby delle case farmaceutiche, Walser e Steiner, artisti maledetti e conoscenti suicidi. Due che tengono sempre le porte aperte, con lo spirito d'accoglienza, con l'empatia verso i sofferenti. Basta che non gli parli di depressione, che non gli racconti di come stai, del dolore che provi, delle giornate che trascorri praticamente senza fare nulla, della tua incapacità di alzarti dal letto/mangiare/bere/pisciare/pulirti il culo, telefonare, pulire casa perché sennò gli scatta la noia, l'insofferenza. Gente insomma che legge troppi libri, vede film, ascolta musica, che confonde la depressione/i problemi con una tristezza perché lo Spritz alla presentazione non era come quello veneto, gente non sa un cazzo di cosa sia la depressione. Gente che vorrebbe essermi amica ma che prenderei volentieri a calci nel culo. Gente di merda. Gente che mi fa venire voglia di antidepressivi, alcolici, droga, violenza.

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Oggi nelle pagine culturali de il Giornale si parlava di opere molto interessanti:




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Un'intervista a Mario Vattani qui: "Viaggio nel Giappone seducente ed impenetrabile"