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giovedì 31 marzo 2016

Minigonne/Masturbazione; Sebastiano Caputo su Palmira; Andrea Scarabelli su De Turris

Leggendo l'articolo di Francesco Borgonovo su Libero che parla di minigonne:


mi sono ricordato della prima volta che una minigonna mi scosse dentro. Accadde in prima media. Di minigonne ne avevo già viste tante. Le indossavano vicine di casa, sconosciute, ragazze al mare, parenti, fidanzate di cugini, prostitute ma quella che vidi quel giorno mi confermò definitivamente che avevo qualcosa fra le gambe che si muoveva, che si induriva, che voleva essere soddisfatto. Si trattava di Raffaella, una mia compagna di classe. Era stata bocciata l'anno prima, aveva un visto incantevole e un corpo che dimostrava vent'anni. Conosceva già il sesso. Quel giorno si presentò in classe con un paio di All Star nere basse, una camicia stretta e questa minigonna nera che lasciava libere un paio di gambe lunghissime fasciate in collant neri. Quando la vidi salire le scale di scuola qualcosa dentro di me esplose. Praticamente il mio cazzo fece su e giù tutto il giorno e quando suonò la campanella corsi a casa e mi chiusi in bagno per masturbarmi furiosamente. Rimasi seduto sul bordo della vasca in estasi con le mani colme di sperma per una decina di minuti. Il resto del pomeriggio lo trascorsi a sfogliare giornali porno e a masturbarmi furiosamente pensando a lei. La casa deserta. I miei genitori lontani. Mi dimenticai completamente di fare i compiti. Ma non fu mai la ragazza dei miei sogni. Trascorsi i tre anni delle medie con una cotta per un'altra mia compagna di classe che si chiamava anche lei Raffaella. Non glielo dissi mai. 



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Un articolo di Sebastiano Caputo: "Palmira non è pop quanto Kobane"

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Un articolo di Andrea Scarabelli: "L'autopsia di una civiltà"

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martedì 29 marzo 2016

Due estratti da "Jefferson e/o Mussolini" di Ezra Pound (Società Editrice Il Falco)


“Aprile 1935, Anno XIII, finalmente una premessa. Questo manoscritto fu da me completato e lasciò le mie mani nel febbraio 1933. 40 editori l'hanno rifiutato. Nessun mio dattiloscritto è stato letto da tante persone. Né mai mi procurò una corrispondenza tanto interessante. Viene qui stampato verbatim, inalterato. Non ho più visto il manoscritto da quando lasciò Rapallo, finché mi ritornò sotto forma di bozze di stampa. Viene edito come testimonianza di ciò che vidi nel 1933. La prefazione di settembre (1933) segnalava una eccitante attesa, che è diventata gradatamente più palpitante e meno promettente.” Ezra Pound, Rapallo, Aprile XIII

Tra una notte e l'altra la rilettura di “Jefferson E/O Mussolini” di Ezra Pound (Società Editrice Il Falco, 1981, traduzione dall'inglese di Luca Gallesi) che è comunque stato riproposto ultimamente da Bietti. Lo so, apparirò come uno irrimediabilmente fuori dal mondo, uno vetusto, un fascista, un idiota (mi piace considerarmi come un lettore, un lettore che percorre varie strade. Mi piacerebbe trascorrere le giornate solo a leggere). Non importa, vado avanti per la mia strada ma continuo a non comprendere chi rifiuta a priori di leggere Ezra perché non sa cosa si perde. 

Ezra mi irretisce come la prima volta che lo lessi. Sono trascorsi anni e anni orami. Oscuro, criptico, contorto, suggeritore, mistico, confuciano, lucido, ribelle, visionario, Ezra mi inquieta, mi sprona, mi commuove, mi accarezza, mi bastona mi confonde, mi fa venir voglia di leggere e soprattutto di scrivere. 

Trascrivo due capitoli di questo libro:

“XXVIII - Dell'essere governati”

L'ultimo stadio di decadenza di un popolo democratizzato come di uno non democratizzato è quello in cui entrambi iniziano a lamentarsi di essere dominati. È necessario DISTINGUERE tra il fascismo, che è un'organizzazione con alla testa un uomo al quale il potere non è stato DATO, ma che ha organizzato il potere, dalla situazione dell'America, dove la stampa grida che si dovrebbe DARE il potere a Roosevelt, cioè a un uomo malato, o che si suppone comunemente malato, un uomo che non ha mostrato ALCUNA COMPRENSIONE, né alcuna conoscenza della realtà contemporanea. Non si può sapere se questo grido provenga da banderuole terrorizzate o da mezzani pagati allo scopo nell'interesse degli occulti fautori di un colpo di Stato; ma un simile desiderio di rinunciare ai propri diritti è del tutto contrario allo spirito del fascismo degli anni 1921-22, quando l'iniziativa era proprio quella di mantenere l'ordine di una cornice di civilizzazione e e NON di farlo calpestare da un partito o annullare dalla corruzione o dall'inganno. La degradazione in America è sorprendente, poiché legalmente gli strumenti per una possibile resistenza locale ESISTONO; esiste un diagramma di tutti i quadri e di tutte le strutture organizzative locali, molte delle quali hanno funzionato, ma la popolazione E gli intellettuali ora sono troppo pigri, codardi o ignoranti per farne uso. Occasionalmente il Sud Dakota o qualche incolto stato dell'ovest informano il mondo di avere una propria legislazione, ma simili sforzi non sono nè coerenti, nè sufficientemente illustrati. Arrivare a supporre che un “soviet” potrebbe funzionare dove dei corpi deliberativi non riescono è alquanto al di là della mia comprensione. Semplicemente: il soviet non è la soluzione adatta agli S.U.A. Metà dell'energia richiesta per trasformare la legislazione di uno stato in un soviet sarebbe più che sufficiente a rinvigorire il sistema e a farlo funzionare SE ci fosse l'indispensabile capacità e cognizione. E in ogni caso il potere non lo si può CONFERIRE. Concedete autorità a uno sciocco e cadrete immediatamente nel caos. È proprio questo che probabilmente i pescatori in acque torbide desiderano e hanno sempre desiderato. Similmente l'ampiezza del potere che è possibile DELEGARE è limitata da leggi tanto precise, quanto quelle che regolano l'intensità della corrente che si può mandare attraverso un filo elettrico di spessore e consistenza determinati. La democrazia si nutre per un terzo di pessimismo grossolano, per un terzo di laissez-aller e per un terzo di profonda indifferenza. Non si dà il potere a uno sciocco come Harding solo facendolo presidente; sarebbe come voler trasformare Coolidge in un intellettuale. “Al” Smith, come come giornalista dimostra una volta alla settimana la sua idoneità a occupare un posto neanche al gabinetto, fece una patetica apologia di Coolidge del tipo “Beh, era un buon fumatore di pipa”. Calvin Calidge non era un demagogo e si comportò nobilmente sfuggendo a quella trappola confutando i detrattori della democrazia. Se la cavò molto semplicemente, in virtù di un processo predestinato. Non suscitò mai in ALCUNO dei complessi d'inferiorità. Idem Harding. Idem il secondo Roosevelt. Nulla è più frequente nei lavori di commiato, negli intrighi politici e anche nella scelta di un direttore di giornale, che dare spazio a un uomo che sia forte, ma non abbastanza, e a individui indecisi che si pensa di poter poi guidare. Wilson in questo senso fu una grande delusione per alcuni suoi sostenitori, come Taft per Theodore Roosevelt. Come imparai dal mio incontro con Griffiths: UN capo non sostenuto da un'organizzazione legale è più dipendente dalla volontà generale del suo partito di un funzionario eletto che abbia delle istituzioni alle quali ricorrere. 
Mussolini ha sempre rifiutato di venir chiamato altrimenti che “Duce” o “Capo del Governo”, l'epiteto “dittatore” gli è stato applicato dall'invidia straniera, come i Tories furono chiamati ladri di cavalli. Non esprime la vera concezione che il Duce ha del proprio ruolo.
La sua autorità deriva dalla “giusta ragione”, come Scoto Eriugina sosteneva, e dalla convinzione generale dei fascisti che egli sia probabilmente più nel giusto di chiunque altro.
Nel dare ordini alla Milizia non si comporta diversamente dal Presidente nella qualità di Capo Supremo dell'esercito americano in tempo di guerra, o da un qualsiasi generale sul campo con pieni poteri di comando. O meglio, una diversità esiste, nel senso che alla Milizia sono stati dati dei motivi per obbedire.”  (pp. 124-126)


“XIX - KUNG”

Quanto ai misteri del genio, mi si rimprovera di citare Confucio, sebbene il Tao Hsio sia lungo solo trentadue pagine. Mi si obietta che il lettore non ne possiede una copia e che dovrei stamparmene il testo completo in appendice. O spiegare di che cosa si tratti. In verità, la gente chiede molto poco per molto poco.
La dottrina di Confucio afferma:
È possibile creare ordine intorno a noi solo dopo averlo creato in se stessi, e aver compreso i motivi delle proprie azioni.
È possibile migliorare i governi stranieri solo dopo aver migliorato quello del proprio paese.
Che il guadagno privato non significa prosperità, ma che il tesoro di una nazione è la sua onestà.
Che la tesaurizzazione non è prosperità e che si debbono impiegare le proprie risorse.
Si dovrebbe avere rispetto dell'intelligenza, del “luminoso principio di ragione”, delle facoltà degli altri; si dovrebbe perseguire un costante rinnovamento.
“Rinnovatevi, rinnovatevi come l'erba nuova che cresce.”
Non ci si dovrebbe accontentare della mediocrità ricorrendo sempre al primo principio, vale a dire iniziando con ciò che è più a portata di mano: la propria intelligenza e le proprie motivazioni. Si potrebbe poi affermare che Kung riteneva che l'organizzazione non si instaura tra le cose o le nazioni dall'esterno all'interno, ma solo partendo da un centro che sostenga mediante attrazione.
“Il buon re si conosce dal modo di distribuire, il cattivo dal suo arricchirsi.”
I critici superficiali non riescono a comprendere le idee, perché le considerano allo stato di quiete, come fossero affermazioni immobili e non vedono dove conducono. La gente che non prova interesse per Kung sbaglia; perché, io penso, non è in grado di vedere DOVE conduce il pensiero di Confucio.
Per 2500 anni, ogni volta che in Cina o in qualche sua regione si è realizzato un ordine, è lecito aspettarsi che l'artefice sia stato un confuciano.” (pp. 127-128)

lunedì 28 marzo 2016

Oggi

Esco prestissimo, 05.30 per andare a lavorare.
Sono a casa per le 12 e 31.
Riposo, scrivo queste righe, sfoglio un libro di Ezra Pound alla ricerca di passaggi che ho sottolineato.
Fra meno di un'ora uscirò per tornare al lavoro.
Non so quando timbrerò l'uscita.
So solo che domani uscirò di casa ancora alle 05.30.



domenica 27 marzo 2016

Che angoscia pasqua; tristi concerti; Francesco Bornogovo/Alessandro Gnocchi/Oriana Fallaci; Jane Urquhart

- c'è chi non ama il lunedì o le domeniche. io sono uno di quelli che non sopporta le feste religiose ma anche quelle civili. mi mettono addosso angoscia. mi scavano voragini d'angoscia dentro.

- lo so che sembro un bastian contrario a tutti i costi ma che tristezza mi hanno comunicato le immagini del concerto dei Rolling Stones a Cuba. quanta poca vita. 


Fra non molto in libreria: "L'impero dell'islam" di Francesco Borgnovo (Bietti) e lo stesso Borgonovo recensisce qui questo libro di Alessandro Gnocchi:


...


(qui)



sabato 26 marzo 2016

Ci mancava l'estimatore di Rudolph Giuliani; Demetrio Paolin; Durrenmatt; Leni; Iceartland, The Lobster

- a Milano, dopo Mr Expo, quell'altro di centrodestra, ecco spuntare dal carnevale 5 stelline il figlioccio di Rudolph Giuliani. si attende la benedizione del giullare nobel per caso e del guru orwelliano. mi auguro una bella accoglienza nei ghetti da ripulire. a questo punto sulla giostra è rimasto un posto libero anche per Civati. e poi tutti a girarla questa giostra per farla volare lontano  e lontano negli abissi dell'universo.



- Pellicole che mi ho visto e rivisto:


"Durrenmatt, una storia d'amore"


"Il trionfo della volontà"


"Iceartland"


"The Lobster"

venerdì 25 marzo 2016

Mio padre...eppure...e "Quelli della San Pablo"

mio padre usa per un profilo una foto di trentancinque anni fa.
ha ritagliato il viso.
è in forma, magro, occhi azzzurri, riccioli neri.
nel resto della foto ci siamo io, infante, e il resto della mia famiglia.
siamo tutti abbronzati.
io ho meno di un anno, mia sorella cinque, poi ci sono mia madre con uno splendido vestito bianco e mia nonna con un vestito a fiori azzurri
mia madre raccontò che fu la vacanza più bella mai vissuta da mia nonna che per 15 anni mangiò pesce tutti i giorni, camminò sul lungomare, bevve caffè in decine di bar.
l'albergo era magnifico, raccontano tutti.
io non so cosa pensare di questa scelta di mio padre ma quando ho visto la foto mi sono sentito aggredito da una valanga di tristezza.
mia madre morta, mia nonna morta, mia sorella che non vedo mai, mio padre col quale non ho quasi scambi.
eppure sul mare ho imparato a camminare.
eppure sul mare ho visto la prima ragazza per la quale valesse la pena di farsi una sega.
eppure sul mare ho cercato di uccidere una persona che mi stava rompendo il cazzo.
eppure sul mare ho rincontrato la donna della mia vita.
eppure sul mare ho pianto duramente tutti i miei fallimenti.
eppure sul mare ho cercato un modo per superare il dolore che mi attanaglia da tutta la vita.
eppure continuo a non capirlo, mio padre.
eppure continuo a non riuscirci a parlare con mio padre, a discutere, a confessargli tutto quello che ho dentro.
eppure non ne sento nemmeno il bisogno.
eppure...tutto sta svanendo.
cammino per il cimitero per ore e piango.
le rose di mia madre sono sempre fresche.
quando morì c'erano ancora molti loculi vuoti.




e mi consolo con un film che mi ha sempre preso...


Gouge Away - , Dies


Potete ascoltarlo qui. Ho bisogno di questa musica. Me la sento dentro

E se lo leggessero in classe?; le stronzate di Claudio Cerasa; Spartiti/Jukka/Max

- Qualcuno mi ha chiesto qual è il passaggio temibile ne "La piccola casa nella prateria". Lo trascrivo e chiedo a chi ha figli che frequentano le scuole elementari quale sarebbe la reazione se oggi facessero a leggere in classe un passaggio del genere che narra della macellazione di un maiale:

"Dopo un po' si tolse un dito da un orecchio e ascoltò. Il maiale non gridava più. Solo da quel momento in poi il giorno della macellazione diventava divertente. Era una giornata movimentata, con una quantità di cose da vedere e da fare. A pranzo ci sarebbero state le costolette e papà aveva promesso a Laura e a Mary la vescica e la coda del maiale. Appena ammazzata la povera bestia, papà e zio Henry la alzarono di peso, la tuffarono nell'acqua bollente e ce la lasciarono fino a che non fu ben scottata. A quel punto stesero il maiale su un'asse e lo grattarono con i coltelli, per togliere tutte le setole. Poi lo appesero a un albero, estrassero le interiora e lo lasciarono lí a raffreddare. Una volta freddo, lo tirarono giú e gli tagliarono i prosciutti e le spalle, la carne dei fianchi, le costolette e la pancia. E poi c'erano il cuore, il fegato, la lingua, mentre la testa serviva per la coppa e i pezzettini di carne venivano gettati in una grande padella, per fare le salsicce. La carne fu disposta su un'asse nella capanna dietro la casa e ogni pezzo venne cosparso di sale. I prosciutti e le spalle dovevano insaporire nella salamoia, poi poi affumicarsi nel tronco cavo.
- Non c'è prosciutto migliore di quello esposto al fumo di noce - disse papà.
Gonfiò la grossa vescica finché diventò un palloncino bianco, legò l'apertura con una fettuccia e poi lo diede a Mary e Laura per giocarci. Potevano lanciarselo, oppure prenderlo a calci. Ma, piú del pallone, alle bambine piaceva la coda del maiale. Papà la spellò con cura e infilò un bastoncino appuntito nell'estremità piú grossa. La mamma aprí lo sportello della cucina, tirò fuori i carboni ardenti e li mise sulla griglia del focolare. Allora Laura e Mary, a turno, tennero la coda del maiale sui carboni accesi. Sfrigolava e friggeva, e le gocce di grasso che colavano sui carboni prendevano subito fuoco. La mamma cosparse la coda di sale. Alle bambine si arrossarono la faccia e le mani per il calore, e Laura si scottò anche un dito, ma la gioia era tanta che non se ne curò. Arrostire la coda del maiale era un tale divertimento che faceva fatica a non pretendere di fare tutto lei, senza rispettare il turno di Mary. Finalmente la coda fu pronta. Era ben rosolata e mandava un profumo davvero appetitoso. La portarono in cortile e cominciarono a rosicchiarla ancor prima che si raffreddasse, scottandosi la lingua." (pp. 8-9)

- L'editoriale di ieri di Claudio Cerasa è un concentrato di cazzate riconoscibile a distanza di chilometri. Basta il titolo: "L'Europa chieda a Netanyahu di commissariare la nostra sicurezza". Questi sono i classici direttori di giornale.


- Arriva la pasqua e chi cazzo se ne frega. lavoro. non festeggio. quando torno dal lavoro resto in casa a leggere e riposare e bere birra. non faccio gitarelle fuori porta. non mangio colombine e agnelli e uova di cioccolato. non vedo parenti. i parenti non vedono me. 



mercoledì 23 marzo 2016

Sylvia - Pozzanghera; Roberto Brasillach, "Islamofascismo, no grazie", ieri

- il nuovo video di Sylvia: "Pozzanghera". per me lei è una grande.

- uno scritto su un libro molto prezioso per il sottoscritto: "Presenza di Virgilio” di Brasillach e la pietas come visione del mondo"

- hitch, hitch, hitch: "Islamofascismo, no grazie"

- chissà a leggere le storie di Laura Ingalls cosa accadrebbe ad alcuni vegetariani e vegani? morirebbero immediatamente.

- esco da giorni neri. praticamente sono due settimane che non dormo prima di lavorare. non dormo.  non riposo. non ho ragioni per riposare, dormire, svegliarmi. se mi addormento lo faccio in preda all'angoscia e resto sveglio, steso a letto, ad attendere la sveglia per andare a svolgere un lavoro che mi angoscia. non ho scelta. per il momento devo farlo. fino a quando resisto.

- su quanto accaduto ieri tengo il silenzio. adoro Bruxelles. sono comunque disturbato da certe letture e commenti di alcune persone e siti (non  sto parlando per esempio della prima pagina di Libero), ma preferisco tacere perché sono già stato seduto sul cesso troppe volte. e mi ricollego a hitch. non voglio, ripeto non voglio, che nessuno mi faccia sentire in colpa di essere nato in italia, in europa. lo dico seriamente. perché mi sento responsabile e colpevole di tutto in questa vita del cazzo che conduco. ma non di tutta la vostra merda.



martedì 22 marzo 2016

"XXI secolo" di Paolo Zardi (Neo Edizioni) e "Come sopravvivere al politicamente corretto" di Luigi Mascheroni (il Giornale)


Due estratti da “XXI secolo” di Paolo Zardi (Neo Edizioni). Credo di condividere per esempio questa recensione di Demetrio Paolin:

“L'odio di classe aveva lasciato il posto all'odio razziale che andava alsciando spazio a una forma di risentimento primitivo, inclassificabile, destrutturato, totalizzante. La gente odiava la gente tutto il giorno, tutti i giorni. Tempi di ira, di tremendo rancore. E lui, ogni sera, doveva convincere questi adulti incattiviti a comprare un aggeggio di cui non avevano mai sentito il bisogno. La sua attività, ormai, richiedeva un talento soprannaturale. Ma lui conosceva il loro odio, e non lo temeva: offriva amore, e in cambio chiedeva solo di lasciarsi amare. Perché lui era un venditore vecchia scuola: conosceva i trucchi, ma alla fine ci metteva il cuore. A quelle persone chiedeva solo una cosa: fidatevi di me, perché io ci credo. Pensate alla salute, diceva. Alla salute di quando sarete vecchi, alla salute dei vostri figli. Il cloro provoca tumori al colon, anche a distanza di vent'anni. Lo dicono le statistiche. E le bottiglie di plastica che comprate possono stare diciotto mesi in un magazzino completamente privo di norme igieniche, prima di arrivare sulla vostra tavola: lo sapevate? Beviamo acqua morte, e la paghiamo pure.” (pag. 30)

“La tragedia non è per tutti. Ci vuole un certo physique du role, per farne parte. Una predisposizione precisa, un talento. Non basta morire, o soffrire, o perdere tutto, per essere il protagonista di un dramma: serve un destino già scritto, un coraggio inspiegabile, e una voce ben impostata. E la bellezza. Soprattutto quella. Ai brutti, solo ruoli secondari e un po' ridicoli, o l'umiliazione di una farsa. E lui, per cosa era portato? Altezza media, corporatura media – uno strato adiposo di medio spessore a coprire uno scheletro tutto sommato proporzionato -, una faccia martoriata da linee e solchi, le palpebre gonfie, il naso massiccio, mani tozze e dita rettangolari che finivano in unghie curate, nel complesso meno bello di quanto avrebbe sognato da ragazzo. Un uomo qualunque – troppo brutto per la tragedia, troppo bello per la farsa, terribilmente noioso per la commedia.” (pag. 37)

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Un estratto da un breve e sferzante libretto di Luigi Mascheroni uscito per il Giornale “Come sopravvivere al politicamente corretto”:




“Nato negli Stati Uniti negli anni Trenta del Novecento negli ambienti intellettuali della sinistra comunista e assimilato più tardi, negli anni Sessanta, da alcune frange della New Left e quindi sbarcato sull'onda del Sessantotto sull'altra sponda dell'oceano, dilagando dalle università americane in tutta Europa durante gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, per placarsi finalmente, senya però esaurirsti, nei primi due decenni dell'attuale, il fenomeno del politically correct è tragicamente affogato nel conformismo delle idee e nell'assurdo del pensiero-unico. Presuntuoso e ipocrita tentativo di eliminare le ingiustizie limitandosi a giocare con le parole invece che cambiare una mentalità, si è schiantato contro i principi della logica e il senso del ridicolo.
Per aver fatto, se non piazza pulita, almeno un minimo di ordine concettuale nel caos dei tic culturali, delle espressioni anti-discriminatorie, delle parole corrette e delle idee corrotte prodotte da tale agghiacciante atteggiamento mentale, non ringrazieremo mai abbastanza Robert Hughes (1938-2012), autore dell'immortale Culture of Complaint (1993), libro in cui si profetizzava – scherzando, e invece prima o poi accadrà veramente – che qualcuno leggendo il Moby Dick di Melville avrebbe considerato il capitano Achab “portatore di un atteggiamento scorretto verso le balene”.
Non c'è modo migliore per mettere fine a un inutile piagnisteo che ridicolizzarlo. Quando un bambino strilla, se vi mettete a ridere di fronte a lui, all'inizio s'arrabbia di più, ma poi smette. Ecco. Un buon modo per frenare la deriva frignante delle anime semplici del pensiero liberal e radical, progressista, buonista, multiculturalista, egualitarista e moralista, forse è quello di sorridergli in faccia. Anche se ci sarebbe da piangere. Difficile, del resto, ridicolizzare ulteriormente quanti sono già sprofondanti nella farsa proponendo, per esempio, di cambiare il finale di alcune fiabe troppo “impressionanti” o anti-animaliste oppure di sterilizzare l'orrore della guerra, come ha fatto di recente il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni dichiarando che “dobbiamo combattere i terroristi sul piano militare, ma senza entrare in una dinamica di conflitto”, che fa il paio con la famosa “difesa attiva” per dichiarare un attacco missilistico e con le correttissime missioni Onu di peace keeping e peace enforcing, come se inviare soldati a combattere per mantenere o imporre la pace non significasse compiere azioni di guerra.
L'ossessione per parole e opinioni depurate da qualsiasi accento razziale, etnico, religioso, sessuale o fisico ha coinvolto tutti e tutto. Uomini, cose, animali. Stravolgendo principi etico-filosofici e valori secolari di intere civiltà.Un eccesso di garantismo per la forma che ha finito per stuprare il contenuto. Il Politicamente Corretto si è insinuato nella società occidentale stigmatizzando sentimenti che sono alla base dei comportamenti umani, e pure delle opere del pensiero: sì anche l'odio, la vendetta, l'ambizione, l'ostinazione, la sete di giustizia, ossia sentimenti connaturati all'uomo (e alla donna, per carità...) e di cui sono strapieni i capolavori della letteratura, dell'arte, della musica, del teatro e del cinema che nutrono la cultura occidentale da millenni, da dei quali la società Politicamente Corretta si vergogna. Vero mal du siècle – qualcosa a metà fra il Catechismo dei Sentimenti Leciti a norma di Codice Ideologico e la Buoncostume del nuovo razzismo etico – il Politicamente Corretto (un po' come il radical chic a cui lo apparentano il substrato ideologico, il background culturale e la condizione di privilegio degli adepti) è difficile da debellare. Assume sempre nuove forme ma rimane identico nella sostanza. Predica male e razzola peggio, incantando gli altri ma illudendo prima di tutti se stesso.” (pp. 39-41)

lunedì 21 marzo 2016

I gaglioffi a Cuba

A Cuba si celebra l'incontro fra due gaglioffi, obama e raul, benedetto via misericordia dal terzo gaglioffo, il papa francesco, con la genuflessione di tutti gli stronzi leccapiedi di questo mondo.

- god save the queen -

alla faccia di chi parla male dei sex pistols...


domenica 20 marzo 2016

Dal "Diario. 1939-1945" di Drieu La Rochelle (Il Mulino) + Enzo Cipriano


Drieu è uno dei miei compagni di viaggio prediletti.
Trascrivo un passaggio, quasi a caso, da questo diario che ho letto solo grazie alla meritoria opera di Enzo Cipriano e della sua Libreria Europa a Roma.

"16 ottobre

Tutto sommato, ho vissuto come un sibarita, mi sono ingegnato per vivere così. Mi sono ingegnato; non ho fatto molta violenza alle cose, ma seguendo la linea di minore resistenza ho raggiunto e preso il poco di cui avevo bisogno.
Poverissimo o troppo ricco, sarei stato comunque un sibarita, perché i miei beni più preziosi erano la libertà, la solitudine, la pigrizia.
Non mi occorrevano molti soldi, e neppure la fama. Quasi sempre ho avuto più denaro di quanto non me ne servisse. Quanto alla fama, ad onta di qualche lamentela occasionale, mi è bastato essere apprezzato di tanto in tanto da poche persone qua e là. 
Le donne. - Non ho potuto permettermi quelle che si possono avere quando si fa un mestiere redditizio, le fanciulle che uno sceglie povere o ricche, a suo capriccio. Ho avuto invece le puttane e le donne ricche che danno il tempo di cui dispongono. Se avessi avuto più temperamento, la scelta non avrebbe avuto limiti. Del resto, quando ho rinunciato, è stato per negligenza o per musoneria. Mi sembravano quasi tutte troppo stupide o troppo leggere, stancanti.
Ho avuto grandi piaceri: alzarmi tardi, leggere a letto, passeggiare per le strade di Parigi, andare al cinema, al bordello, vedere gli amici solo di rado, poter incontrare le mie amanti solo due o tre ore al giorno, fantasticare interminabilmente, leggere, scrivere quando ero stufo di non fare niente, talvolta viaggiare. È vero, non ho viaggiato abbastanza, ma in fondo ho visto la Grecia, la Spagna, l'Italia - l'essenziale. Mi mancano l'Egitto e il Messico. Mi è piaciuta Londra e persino Berlino, non New York. 
Solo che sono un sibarita del genere di Jean-Jacques. Oltre alla solitudine, l'altra mia grande ricchezza è stata la malinconia. La gente non ha capito e mi ha creduto uggioso, annoiato. Io stesso, a volte, non ho capito.
Malinconia infinita e deliziosa, fatta del rimpianto di ciò che non avevo perennemente lenito dal piacere per ciò che avevo.
Malinconia di essere poco attivo, statico, che si risolveva nel piacere di essere lento e quasi immobile; malinconia di non essere sposato che sfumava, dopo ogni sbandata, nel piacere di non esserlo più; malinconia di vivere in un paese in decadenza che trapassava nel piacere di gustare tanti residui risparmiati dalla laidezza del tempo; malinconia di non essere pittore o poeta che si risolveva nel piacere di fare grandi scorpacciate di storia; malinconia di non essere un politico che diventava piacere di scrivere qualche pagina libera.
Rimpiangerei solo di non essermi accettato e riconosciuto per quello che ero, di aver fatto il processo alle mie inclinazioni. Tutto quel senso di inferiorità, di persecuzione e di colpa mi ha tormentato e svilito agli occhi miei e altrui. Ma in fondo non posso veramente rammaricarmene, perché senza quell'elemento di inquietudine e di amarezza sarei stato esattamente ciò che potevo apparire ad alcuni: un abietto gaudente senza interiorità.
Ho anche sfruttato il vantaggio rappresentato, per il sibarita, dall'essere dolcemente mistico. Anche in questo caso, Jean Jacques. Non mi sono privato della compagnia degli dei. E ho visto Dio attraverso le cose. E talvolta, nonostante tutto, sono stato visitato dalla compagnia e dall'angoscia e ho saputo che mi libravo su un abisso di ebbrezza in confronto al quale le bellezze sensibili non erano nulla.
Sì, guardando Watteau ho saputo non solo che era tutto, ma che non era nulla.
Ma è inutile, anche su quella strada non riesco a liberarmi della mia natura, ed ecco che lo stesso approssimarsi della morte diventa per me un piacere in chiaroscuro." (pp. 92-93)

Le stronzate inventate dai librai



Sostanzialmente sono un debole, uno che non riesce a parlare con le persone, uno che quando gli fate una proposta stupida non vorrebbe dire no ma solo spaccarvi la faccia per eliminare la vostra idiozia dalla faccia della terra ma che poi alla fine accetta la proposta perché è un vile e si vergogna di se stesso, uno che non ha nessuna voglia di relazionarsi con gli altri e che quando si relaziona combina solo disastri o rimane zitto o guarda nel vuoto come fatto d'eroina. 
Proprio per questi motivi alcune settimane fa hanno fatto pure a me la tesserina di quella stronzata di merda che è l'Italian Book Challenge.
Responsabile è una scaltra libraia, in stile Digos.
I librai sono come i venditori porta a porta e io rispetto di più i mormoni, i Testimoni di Geova, quelli di Scientology che un certo tipo di libraio, spesso di sinistra.
Non sapete cos'è questo Challenge? 
Non vi perdete nulla, è una via di mezzo fra i pensierini dei Baci Perugina, la tessera fedeltà, il Lotto, questa straminchia di modello partecipativo, il denaro che esce dalle vostre tasche, tutto però per sostenere le librerie di qualità.
Una vera merda. 
E che bravi coglioni quelli che si prestano a questo genere di iniziative
La mia l'ho gettata nel bidone dell'immondizia appena uscito dalla libreria. 
Mi auguro che le librerie che hanno aderito a questa iniziativa soffrano le pene dell'inferno.
Che vengano messe in crisi dalla discarica di merda di Amazon e compagnia bella.
Non sto scherzando.
Lo penso per davvero.
I locali sfitti dovrebbero rimanere vuoti per secoli.
I libri regalati o gettati.
Arriva la primavera ma il mondo fa sempre schifo.



sabato 19 marzo 2016

Uno straordinario Paolo Nori, lavaggio del cervello elettorale, Il Talebano, Luigi Manconi, Anche noi l'America, alberi di Natale

- Uno straordinario Paolo Nori che ironizza su politica e grillini: "La politica di qualità"

- Stamani il mio disprezzo per partiti e politici ha raggiunto l'apice assistendo alla squallida campagna elettorale di uno schifosissimo partito politico ticinese che si promuove facendo proiettare un film per bambini. Da lavaggio del cervello, da 1984, da allattamento velenoso. Come allevare servi fin dalla tenera età. Spero che fra quei bambinetti cresca almeno una potenziale non votante o un potenziale bombarolo. Che poi questa mattinata mi ha fatto pensare a questo pezzo molto bello e anche molto ironico e agli anarchici che lanciavano bombe nei caffè. Tra l'altro ho visto gli ultimi venti minuti di questo film, Kung Fu Panda 3, e mi ha fatto cagare.



- Un articolo da Il Talebano: "Marion Le Pen dietro le quinte. Lezioni di politica incrociate".
Quanto mi piacerebbe chiedere a Drieu "Cosa ne pensi del Front National?"


(qui)


(qui)

---si "inizia" segando alberi di Natale e si finisce a lavorare in Rai. qualcuno la capirà.

giovedì 17 marzo 2016

Due righe su "Mi sono perso in un luogo comune" di Giuseppe Culicchia (Einaudi) e Juventus



L'ho letto velocemente ma anche no perché sono giorni un po' contorti e pieni di pre/occupazioni e l'ho trovato spassoso ma anche alcune volte ripetitivo e col sospetto che l'autore qualche volta non si sia sforzato più di tanto di non restare in superficie e di trovare alcune variazioni alle parole. Di sicuro Culicchia non ha perso il suo sguardo corrosivo, sferzante e anche decisamente ironico di cui è dotato.

Trascrivo alcuni termini. 

Parto dal primo dedicato a tutti gli juventini che stanno piangendo e via di seguito.
 Piccola nota, io sono juventino senza conoscerne i motivi anche perché poi sono più legato al Lecco, al West Ham, al Liverpool, al St. Pauli, oggi al Lugano e da sempre a Zeman e mi stanno simpatiche la Roma, la Fiorentina, il Genoa, in generale sono legato al bel calcio e odio la famiglia Agnelli, la Triade, sono straconvinto che la Juve si dopasse e che abbia rubato un sacco per anni. Se uno mi chiedesse perché tifo Juve è perché da piccolo ero innamorato di Platini (non aggiungiamo nulla sul presente) e poi perché quando cominci a tifare una squadra non puoi mollarla e allora gioisci per la squadra per cui tifi e non puoi gioire per un'altra anche se poi per la maggior parte del tempo gioisco per la Juve solo per sfottere gli amici romanisti e l'unico amico...g....a...che conosco. La sento come una maledizione, una vergogna che non posso cancellare perché poi il primo risultato che controllo è quello della Juventus e ieri ci sono rimasto parecchio male anche io perché sapevo che sarebbero arrivati messaggi di sfottò totale e perché il modulo che aveva schierato Allegri era esattamente quello che avrei schierato io (stessi nomi, identici, prima degli infortuni, chiedete a mio padre). 
Mi manca Roberto Baggio, ecco, che ritengo essere il più grande talento calcistico di tutti i tempi in Italia. 

E allora vai con i termini, tre, perché poi l'Einaudi si incazza..........:

"ZEBRE. Cavalli a strisce. Definire così le strisce pedonali. Il solo quadrupede che noi papà del Toro evitiamo di mostrare ai nostri figli, arrivando al punto di strappare le pagine dei libri dove compare e di eliminarlo fisicamente se per caso è presente sotto forma di animale di plastica in qualche gioco." (pag. 228)

"CORRIDE. Se la Spagna fosse un Paese civile non vi si terrebbero. Vi assistono solo gli Spagnoli. sono fatte per i turisti. Per quanto mi riguarda, il capitolo finale di Morte nel pomeriggio è tra le cose più belle scritte da Hemingway, insieme con i racconti Colline come elefanti bianchi e Un posto pulito, illuminato bene e Breve la vita felice di Francis Macomber e Le Nevi del Kilimanjaro e Una storia molto breve e alcune parti di Festa Mobile e tutto Fiesta. Ma non sono mai stato a una corrida. Però ricordo i match in bianco e nero tra Monzón e Benvenuti, e ho visto e rivisto Quando eravamo Re, lo stupendo film documentario sull'incontro tra Muhammad Ali e George Foreman, e alla voce boxe mi sento a posto. Ciclismo? Eddy Merckx. Soldati? Ettore, Goerge Armstrong Custer, Bill Kilgore, Walter E. Kurtz, il sergente maggiore Hartman, I duellanti, Erwin Rommel, Ernst Junger, Florian Geyer, il maresciallo Ney, Marlon Brando ne I giovani leoni, Georg Frundsberg, la Legione Straniera, il Barone Rosso, Giovanna D'arco, eran trecento giovani e morti, le Sturmtruppen di Bonvi, i due militi ignoti dell'Afrikacorps che salvarono la vita a mio padre, al suo compare e amico fraterno Nuzzo e a un numero imprecisato di altri marsalesi, e infine Fritz Klingenberg." (pp. 69-70)

"WAGNER. Lo ascoltano i nazisti. Citare la celebre scene di Apocalypse Now, peraltro ricalcata da un cinegiornale nazista che documenta la prese di Creta da parte dei parà nazisti. Vedi BAYREUTH. La battuta migliore resta quella dell'ebreo Woody Allen: "Tutte le volte che ascolto Wagner mi viene voglia di invadere la Polonia". Per quanto mi riguarda, poche altre cose sono paragonabili al preludio all'Atto III del Lohengrin. Nei miei momenti di megalomania, accarezzo l'idea di scrivere nel mio testamento che dovrà essere suonato al momento della mia cremazione. Ma senza fretta." (pag. 225)


INVISIBLE°SHOW ♕ ASYA SELYUTINA (Russia) SABATO 2 APRILE 2016 21:30



INVISIBLE°SHOW ♕  ASYA SELYUTINA (Russia)

SABATO 2 APRILE 2016
21:30

info e prenotazioni - invisibleshow@yahoo.it
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"Circa vent’anni fa, parlando col mio illustre collega, il chitarrista Miguel Llobet, gli chiesi che cosa insegnava, come prima lezione a quelli che non sapevano niente, ed egli mi rispose che faceva suonare le corde parecchie volte, per abituare le dita a premere."

(Julio Sagreras, Lezione 1 da Le prime lezioni di chitarra, giugno 1922)

In italiano suonare ha un verbo proprio: suonare la chitarra. In inglese è “play the guitar”, giocare la chitarra. In russo è “играть на гитаре” (igrat' na gitare), giocare sulla chitarra. Ad Asya Selyutina si addice piuttosto lo spagnolo: “tocar la guitarra”, toccare la chitarra.

Nata a Mosca in un anno imprecisato ma recente, Asya Selyutina inizia a suonare la chitarra a 9 anni. Poco dopo decide di farne il suo motivo di vita.
Si diploma all’Istituto Musicale di Stato di Mosca ed inizia a girare il mondo suonando in esibizioni e concorsi, toccando tutti i continenti emersi. 


info

suoni


a cura di

mercoledì 16 marzo 2016

Stregoni, Una notte in Tunisia, traslochi, Miriam Vile


La Isbn Edizioni non esiste più ma è comunque bello trovare per caso a pochissimo prezzo una delle loro uscite. Di cui lascio una vecchia recensione sul sito dello UAR.


Vitaliano Trevisan è uno dei pochissimi autori italiani che rispetto davvero. "Una notte in Tunisia" (Einaudi) è un gran bel testo teatrale.


Noi due spostiamo spesso i mobili. Cambiamo verso, orientamento, umore alla nostra casa. Costruiamo, gettiamo, riattiamo, litighiamo, progettiamo, sorridiamo, puliamo. Aspettiamo un trasloco definitivo.


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Su Gioiellis si parla di Miriam Vile: "Performance e bijoux di Miriam Vile"

martedì 15 marzo 2016

Mi piacerebbe, Caspian, Elvis, depressione, la delusione di Fuocoammare, Richard Millet


A me piacerebbe che il nuovo sindaco di Roma diventi Giorgia Meloni, anche solo per vedere cosa potrebbe combinare. Sono davvero curioso di vedere come cercherà di risolvere i problemi della città. Nutro una spontanea simpatia per lei. Mi piacerebbe vedere una madre sindaco anche se ovviamente è un'avventura rischiosa e difficile da portare avanti. Ma le madri sono qualcosa di incredibile. E lo dice uno che con la propria madre ha litigato dagli 11 anni fino ai giorni della malattia e non sarà mai padre.

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Ci sono mattine come queste in cui esplodono tutto il mio senso di colpe, le mie cazzate, la mia vita stupida e inutile, la mia mancanza di sensibilità verso chi mi sta intorno, la voglia di morire, le occasioni perse, le tante occasioni perse con mia madre. Sono mesi e mesi che a qualunque ora io vada a letto mi sveglio verso le 2 e non riesco più a prendere sonno e non vedo l'ora che arrivi il mattino e quando arriva il mattino mi sento morire.

Avrei dovuto sbrigare delle cose stamattina ma resto al computer ad ascoltare musica, con la prima  e la seconda lattina accanto allo schermo, i buoni propositi finiti nel cesso, robe da leggere che non mi va di aprire. 

Mi consolo con i Caspian o forse sarebbe ora di tornare a farsi vedere per far sì che la situazione non peggiori ma sono stanco e vorrei tatuarmi ma non ho voglia di stare con un tatuatore.


E ricordando una vecchia canzone che mia madre mi faceva ascoltare da piccolo. Elvis era un grande ma davvero un grandissimo e questa esibizione è da brivido. A tutto volume la metteva e io sentivo i vicini che si muovevano anche loro e ballavano e mia madre che giocava con le lenzuola e le federe e mi avvolgeva dentro e mi nascondeva e mi faceva riapparire. "Ci sei e non ci sei" e rideva. Quanta musica che ascoltava mia madre.


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Ho visto Fuocoammare di Rosi e credo di concordare con la recensione di Giulio Sangiorgio sugli Spietati che lo stronca.

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Dovrei scriverci intorno.

domenica 13 marzo 2016

Grazie a Blu e a chi gli dà una mano! - Giuseppe Culicchia - segni


Sono pienamente d'accordo con Blu e con chi lo sta aiutando. 

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Lo sto leggendo e sorrido al pensiero della verdura che mangia mio padre proveniente da orti a due passi da strade trafficatissime e industrie pesanti. 

Un estratto:

"ADDITIVI. Fanno venire il cancro. A seconda dei casi negarne l'aggiunta o sospettarne la presenza. Un tempo, quando facevo la spesa al supermercato, controllavo l'elenco degli ingredienti sulle confezioni dei prodotti a caccia di additivi, sottilette comprese. Poi un giorno ho visto una foto aerea della pianura padana. La pianura padana in quella foto non si vedeva. Era coperta da una spessa coltre grigia: la coltre, si sa, è sempre spessa. Ma non si trattava di uno strato di nuvole. Era smog. Ovvero, era un concentrato di nanoparticelle, le famose polveri sottili. Molto bene, mi sono detto, considerando che avevo trascorso la maggior parte della mia vita a Torino, proprio lí dove - stando alla foto - c'era se non l'epicentro di sicuro il vertice della suddetta concentrazione di smog, ovvero di polveri sottili. E da quel giorno andando a fare la spesa ho smesso di preoccuparmi degli additivi nelle sottilette." (pp. 8-9)

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Uno dei segni della stupidità contemporanea è che il cinema dove lavoro, dopo aver stritolato il personale, smesso di proiettare film di qualità, alzato i prezzi, cancellano per due settimane anche il secondo spettacolo. Poi lo rimetteranno, poi ristruttureranno tutto, poi il personale sorriderà, gli spettatori verranno abbindolati. Come le oche ingrassate per ricavarne paté. Eppure, non so perché, ma mi fanno più pena le oche.

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E domani tornerò in quella città di merda che è Milano.
Per fortuna che c'è Edda.
E non sentirò la mancanza della candidata dei 5inutili a Milano. Il resto dei candidati sindaci non è di certo migliore.


Su cinghiali, Occupy Wall Street, guerra/Bill Fay, Tracey Thorn



Mi piacciono i cinghiali perché quando li ho incontrati dal vivo mi hanno sfidato e messo paura, perché mi piacciono esteticamente così come mi piacciono i maiali, mi piacciono i loro denti/zanne, perché sono infestanti, perché se ne fregano di tutto, perché la loro carne è buonissima e sono anche un fanatico di John Ford, dei suoi film, di John Wayne, de “L’uomo che uccise Liberty Valance” che tutte le volte che lo guardo mi emoziona, mi irrita, mi stimola riflessioni, mi fa stare letteralmente male per la storia che racconta. Invece “Il cinghiale che uccise Liberty Valance” di Giordano Meacci (Minimum Fax) non mi è piaciuto affatto perché l’ho trovato freddo, autocompiaciuto nella sua apparente ricercatezza linguistica, noioso, staticissimo, che si rivolge agli scrittori da salotto, condito da riflessioni socio/politico/psicologico scontatissime, ben poco cinghialesco e anche direi quasi offensivo nei confronti dei cinghiali per “come” (non l’idea) ha sviluppato l’idea di una loro antropomorfizzazione, con questi adolescenti super intellettuali che non si sopportano più.




Qualcuno si ricorda ancora di Occupy Wall Street? Eppure mai come oggi credo che quella fu/è un’opportunità per gli Stati Uniti che è una realtà difficilmente leggibile secondo i canoni interpretativi europei e lo dico per esperienza perché quando incontrai alcuni attivisti statunitensi restai sorpreso da tutta una serie di difficoltà. “Occupy Wall Street” di Stephanie McMillan (Becco Giallo, traduzione di Margherita Taffarel) è una graphic novel molto interessante perché oltre a raccontare quell’esperienza, descrive le contraddizioni esistenti in ogni movimento, lo scontro-incontro fra le varie sensibilità/idee e soprattutto la centralità dei momenti di discussioni assembleari tanto bistrattati (non sempre a torto) dalla vulgata comune. Discutere e confrontarsi apertamente, guardandosi in faccia, non è semplice ma è di fondamentale importanza se si vuole contrapporsi a una società verticistica, leaderistica, adorante, servile.

Ieri era una giornata di mobilitazioni contro le guerre.
Io le ricordo con Bill Fay.


E ho scoperto per puro caso "Out Of The Woods" di Tracey Thorn e mi piace molto:


venerdì 11 marzo 2016

Purity, Maurizio Cotrona, Evgeny Morozov, olio, Sulle rive del Plum Creek


Preso (anche se pagato un botto qui in Svizzera). Franzen mi ha sempre destato qualche perplessità, anche se dopo il Parkinson che devastò mia nonna, il tumore che uccise mia madre e i problemi di mio padre ho riconsiderato "Le correzioni" e l'ho riletto per farmi un male assurdo ed è davvero, almeno per me, un romanzo importante. Sul cartaceo di Libero oggi Francesco Borgonovo ha scritto un gran bell'articolo: "www.unionesovietica.com Il libro che fa a pezzi la rete" (trovarlo in rete è quasi impossibile) citando anche i libri di Evgeny Morozov pubblicati da Codice Edizioni



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Ho letto una bella recensione su Il Foglio di questo romanzo. Spero di trovarlo. 

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SAVE THE DATE - Drunken Rabbit & Elena Fregni - l’oeil @ Art Night Out Venerdì 18 Marzo, dalle 19 alle 24 Gallery on the Move, Via Elba 30, Milano



Appesi ad un filo
con DrunkenRabbit


e Elena Fregni


Nei dipinti di Drunkenrabbit, fanciulle di un sogno a tratti gotico vi prenderanno per mano e vi condurranno in una fiaba meravigliosa, grigia e decadente. Le ninfette, non altro che alter ego della pittrice, incarneranno la parte della donna intenta a muovere un passo verso l’inatteso. Esili creature ritratte nell’attimo prima di prendere una decisione:  l’oblio oppure la salvezza, due possibilità altrettanto magnetiche.
Le eteree figure femminili di Drunkenrabbit si muoveranno in un antro popolato dai giganteschi coleotteri di Elena Fregni. Elena “disegna” i suoi animali intrecciando fil di ferro. Sotto le sue mani, esso prende vita e grazie a nodi, intrecci, piegature si trasforma da materiale rigido e pesante in una nuova entità viva e aerea.
Insieme vi condurranno per mano in un paesaggio onirico in cui perdersi.

vi aspettiamo*


Evento facebook:

Per maggiori informazioni sull'Art Night Out:


( un saluto a Linda/DrunkenRabbit che ho conosciuto proprio sul web)

giovedì 10 marzo 2016

Le frontiere e Spartiti

A me piacciono le frontiere. Mi piace superare le frontiere. Oltrepassarle. Mi piace la fisicità delle frontiere. L'illusione di entrare in un mondo nuovo. Quando invece il dolore è ovunque. Mi è rimasto il brivido, la passione dell'avvicinarmi alla dogana, di mostrare un documento, di farmi aprire la macchina. Invecchio ma le frontiere me le sento correre sul corpo. Le vene, gli ematomi, le croste, i fantasmi. Mi piacciono le dogane. Le divise di diversa fattura. Da piccolo rimanevo incantato a fissare mappe, cartine geografiche e mappamondi. Con la punta delle dita mi avventuravo lungo linee, angoli, confini. montagne, fiumi, laghi, oceani. Piangevo sdraiato sulla moquette. Mi piace quando arrivo in un aeroporto e mi si fa incontro un agente di polizia per ordinarmi di aprire la valigia. Le decine e decine di volte che hanno aperto e smontato la macchina di mio padre quando andavamo in Svizzera e io che mi immaginavo di essere Bonnot, un rapinatore in fuga, un trafficante di diamanti, un disertore, un narcotrafficante. L'invenzione dell'avventura che si fa incontro di fantasia, evaporazione, paura, sensibilità. Mi piace sapere che ci sono dei limiti nell'importazione e il brivido di volerli sfidare. Quando sento parlare di chiusura di frontiere io non so immaginare altro che questi miei piccoli brividi, di poco conto, ma sono brividi che mi salvano la vita, che mi donano ancora qualche emozione, qualche motivo per stare al mondo, per spostarmi, per sognare avventure che vorrei vivere e che non vivrò mai.


Che bello e che bello!....e Bagliore è da lacrimoni ma son tutte belle. Jukka e Max Collini sono una gran coppia.

martedì 8 marzo 2016

10 anni di On The Camper Records


(Picture taken on www.myswitzerland.com)


Maggiori informazioni qui.

Li amo.

Etgar Keret "All'improvviso bussano alla porta", Keoma, Savitri Devi


Se avevo particolarmente apprezzato altri libri di Keret che avevo letto come "Sette anni di felicità", "Mi manca Kissinger", "Pizzeria Kamikaze", "La notte in cui morirono gli autobus" e "Gaza Blues", esco invece parzialmente deluso da "All'improvviso bussano alla porta" (Feltrinelli, traduzione di Alessandra Shomroni). Lo stile di Keret che unisce comicità e dramma, sguardi fulminei e digressioni micidiali e infatti ci sono alcuni racconti che restano impressi nella mente parecchio tempo dopo averli letti ma in generale la raccolta mi ha trasmesso una certa noia e manierismo. Durante la lettura percepivo una certa insistenza dell'autore a trasmettermi la sua bravura e quanto era capace di stupirmi e questa sensazione alla lunga mi ha innervosito. Questo dello specchiarsi è uno dei difetti che ho percepito in tutti i libri di Keret ma se negli altri rimaneva in sordina qui l'ho sentito maggiormente, unito a una certa freddezza. O forse è solo che certe volte i libri parlano ai lettori in maniera diversa a seconda dell'umore, delle aspettative, del tempo che fa fuori.

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Che riscoperta. Il vecchio trailer .

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Ho perso per strada parecchie persone per le mie letture, per le mie frequentazioni ma io continuo i miei percorsi di lettura, sono incuriosito da molte questioni, mi piace scendere negli abissi, farmi del male mentre leggo e me ne frego se resto solo, se qualcuno giudica inopportune alcune mie letture, eccetera. Chissà cosa dirà qualcuno del fatto che nei prossimi giorni comincerò a leggere qualcosa di Savitri Devi. Un mondo lontanissimo dal mio ma mi ha sempre incuriosito questa donna che non ha mai smesso di definirsi nazista. 

Leggerò: 







lunedì 7 marzo 2016

Cabu sempre....

"Architettura del dissenso. Forme e pratiche alternative dello spazio urbano" di Colin Ward (Elèuthera, traduzione a cura di Giacomo Borella e Achille Brambilla")



Circondato da progetti e costruzioni faraoniche/idiote/assassine firmate da architetti star, città sventrate per inchinarsi alla modernità, quartieri spazzati via o riqualificati a seconda della marca o del ristorante che li sponsorizza, palazzi e tangenziali è bello leggere un libro come "Architettura del dissenso. Forme e pratiche alternative dello spazio urbano" di Colin Ward (Elèuthera, traduzione a cura di Giacomo Borella e Achille Brambilla") che racconta di altre possibilità abitative, di orti e case/comunità fai da te, di carrozze ferroviarie trasformate in bungalow, di inventiva individuale e cattedrali gotiche, di architetti che scelgono strade alternative e fattibili e per questo esiliati e dimenticati, di case costruite in un notte sola. Leggetelo e respirerete aria pulita. 

La raccolta di interventi si chiude così:

"Sono molte le culture nel mondo convinte che la terra sia, per natura, proprietà comune di tutti. "Il padrone possiede i contadini, ma i contadini possiedono la terra" dice un proverbio russo risalente ai giorni in cui i ricchi misuravano la propria ricchezza in "anime". In Inghilterra e Galles, la maggior parte della gente ritiene che quel poco che resta delle terre comuni sia di fatto una proprietà collettiva, e questa convinzione appare come un prezioso lascito dell'antica saggezza popolare. Ma in realtà, come spiegano gli studiosi dei beni comuni, dal punto di vista legale "tutte le terre comuni sono proprietà private. Appartengono a qualcuno, che sia un singolo o una società, ed è così da tempo immemorabile". E poi aggiungono:

I diritti comuni non erano diritti specificatamente concessi da un proprietario terriero generoso, ma erano forme residuali di diritti un tempo largamente diffusi che, con tutta probabilità, erano antecedenti all'idea stessa di proprietà terriera privata, e dunque antichissimi.

Antichissimi come lo è, con tutta probabilità, anche la convinzione che i poveri e i senza casa, nonostante la pretesa dei potenti di essere i monarchi di tutto ciò che cade sotto i loro occhi, possano, in una notte, conquistare il loro posto al sole." (pag. 158)