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sabato 30 gennaio 2016

sul '93, Mattia Feltri, Gabriele Cagliari, Sergio e Chiara Moroni


Leggere “Novantatré” di Mattia Feltri (Marsilio) è come leggere, con le dovute e giuste distinzioni, “I poemi di Fresnes” di Robert Brasillach. Da una parte i ladri, i corrotti, i suicidi, i tangentari e dall’altra il collaborazionista, il fascista, il responsabile. Ad unirli la forca. Sbandierata, applaudita, auspicata. E poi i tribunali, i giornalisti, i magistrati, i manettari, i moralizzatori., i cortigiani del rinnovamento. Il popolo servo che applaude e applaude.

MAI SONO STATO E MAI SARÒ UN ESTIMATORE DEL POOL DI MILANO E ALTRE ROBE DEL GENERE

E ringrazio la mia famiglia per avermi tenuto lontano da programmi indecenti come Un giorno in pretura.

Trascrivo qui un capitolo dedicato a Gabriele Cagliari:

“Oggi è lunedí 8 marzo 1993. Nonostante tutto, nonostante le manette e tutte le cose che sappiamo, le bugie, le ipocrisie, le mani pulite e quelle sporche, e quelle tenute in tasca perché non se ne veda il lercio, nonostante tutto qualcosa va avanti. Stasera, alla Scala di Milano, si è celebrato il centenario della morte del grande compositore Petr Ilîc Cajkovskij. Hanno eseguito la sua sesta sinfonia, la Patetica. La sua ultima, la più bella, la più cupa: c’è sapore di morte nelle note finali. Questa sera, ad ascoltarla, c’era anche la signora Bruna Cagliari. Ci hanno detto che la signora ha applaudito, alla fine, è uscita ed è andata a casa. Ci è arrivata intorno alle 22, ci hanno detto, a casa c’era la Guardia di finanza, e c’era suo marito Gabriele, socialista, presidente dell’Eni. Gabriele Cagliari ha aspettato che la perquisizione finisse, poi gli agenti hanno portato via un mucchio di carte e si sono portati via anche lui. Questa notte la trascorrerà a San Vittore. Ci hanno detto che è accusato di corruzione aggravata per quattro miliardi di tangenti pagati su un conto svizzero dal Nuovo Pignone, del gruppo Eni, per forniture all’Eni. La richiesta di custodia cautelare è stata firmata da Antonio Di Pietro, Gherardo Colombo e Piercamillo Davigo. L’ha convalidata il gip Italo Ghitti. Abbiamo controllato e visto che Cagliari, a San Vittore, ci rimarrà centotrentatré giorni, sebbene già domattina ammetterà le sue colpe. Non uscirà, per centotrentatré giorni, perché non farà i nomi che ci si aspetta lui faccia.
“Ho riflettuto intensamente e ho deciso che non posso sopportare più a lungo questa vergogna. La criminilazzazione di comportamenti che sono stati di tutti, degli stessi magistrati, anche a Milano, ha messo fuori gioco soltanto alcuni di noi, abbandonandoci alla gogna e al rancore dell’opinione pubblica. La mano pesante, squilibrata e ingiusta dei giudici ha fatto il resto (…) L’obiettivo di questi magistrati (…) è di costringere ciascuno di noi a rompere con quello che loro chiamano il nostro ambiente. Ciascuno di noi deve adottare un atteggiamento di collaborazione che consiste in tradimenti e delazioni che lo rendano infido, inattendibile, inaffidabile (…). Secondo questi magistrati, a ognuno di noi deve essere dunque precluso ogni futuro, quindi la vita, in quello che loro chiamano il nostro ambiente. Si vuole creare, insomma, una massa di morti civili, disperati e perseguitati, proprio come sta facendo l’altro complice infame della magistratura che è il sistema carcerario (…) i magistrati considerano il carcere nient’altro che uno strumento di lavoro”. Gabriele Cagliari, una lettera alla famiglia da San Vittore, 3 luglio 1993.
Domattina, martedí 9 marzo, Gabriele Cagliari si dimetterà dalla presidenza dell’Eni e ammetterà al Gipè di aver avuto un ruolo in quelle mazzette. Giovedí 11 marzo sarà interrogato da Colombo e ripeterà le ammissioni. L’avvocato ne chiederà la scarcerazione. Il giorno stesso il gip risponderà di no: né libertà né arresti domiciliari. Il fatto, scriveranno i magistrati, è che serve che Cagliari resti in cella, perché “i reati contestati trovano origine e causa in un più vasto ambito che deve essere dettagliatamente ricostruito”. Seguiranno altri interrogatori, e altre domande di scarcerazione. La prossima, il 19 marzo: rigettata. La successiva, il 29 marzo: rigettata. Ci siamo informati sull’età di Gabriele Cagliari: sessantasette anni. Le cose andranno avanti cosí, fra istanze rigettate e nuovi ordini di custodia cautelare, fino al 21 luglio. Quel giorno, Cagliari uscirà da San Vittore. Nella cella troveranno numerose lettere, le più delle quali indirizzate alla moglie. Una comincerà cosí: “Cara Bruna, sono pronto a un atto di ribellione”.
“L’ex presidente dell’Eni, Gabriele Cagliari, si è ucciso ieri mattina nel carcere di San Vittore, dov’era detenuto dal 9 marzo (…) Venerdí il pm De Pasquale s’era opposto alla scarcerazione. È morto soffocato da un sacchetto di plastica avvolto attorno alla testa e stretto al collo con un laccio da scarpe”. Corriere della Sera, 21 luglio 1993.” (pp. 191-193)


Questo lungo è estratto è dedicato in primis alla memoria del mio zio paterno, Antonio, che, fino alla sua morte avvenuta in una camera di rianimazione nel 1997 a cinquant'anni, mai rinnegò di essersi presentato alle elezioni col Partito Repubblicano e di averlo votato in maniera convinta. 
Sarebbe stato uno straordinario uomo politico mio zio e quanto mi manca oggi la possibilità di discutere con lui di politica, letteratura e fumetti.


In secondo luogo questo estratto è, per motivi strettamente personali e che non ho nessuna voglia di spiegare, in memoria di Sergio Moroni e in onore della battaglia di testimonianza di sua figlia Chiara.




venerdì 29 gennaio 2016

Succede

Succede di entrare in un ufficio postale italiano nel centro di una grande città italiana. 
Locale fatiscente.
Il sistema che regola gli sportelli fuori uso.
Personale indisponente.
Banali operazioni che si trasformano in naufragi omerici.
Personale che si muove alla ricerca di penne e altro materiale.
Non un ciao, un buongiorno, un arrivederci. 
Niente di niente.
Io ci sorrido spesso attorno a queste miserabili questioni, me ne sbatto, capisco i disagi degli statali,  i pochi soldi (?), i disagi, ma succede che arrivo stanco di lavoro, dodicimilioni di pensieri in testa, lo stomaco a pezzi, scoglionato, depresso e vorrei solo piazzare del tritolo e far saltare in aria tutto quanto.
E poi pisciare sulle macerie.
Basta.


giovedì 28 gennaio 2016

Due righe su "AntiCamera" di Rune Christiansen (La Finestra Editrice)



Sono pagine, quelle di “AntiCamera” del norvegese Rune Christiansen (La Finestra Editrice, a cura Nanni Cagnone, collana Coliseum) che si materializzano davanti agli occhi, istanti colti in un soffio, fotografie in movimento, rallentate, in una danza statica. Sottili movimenti di corpi e colori. Esitazioni e amore. Sguardi raggelanti. La carne, il sesso, l’amore, le rughe, il disvelamento da sfogliare sul palmo di una mano. Lo spiffero, la finestra aperta, il prato, il trascorrere delle stagioni. L’equilibrio della mancanza.

Un paio di estratti:

Al di sopra
Dimidiato, ora mi trovo nella vecchia casa (quasi dissolto nell’umido) e grido. In quel che diciamo silenzio c’è dell’abitudine, e una patetica ma imperiosa inquietudine. Ora non resta che la tenerezza, arnese alquanto arrugginito dalla presenza. Tremule le felci, e noi parliamo – in verità, niente da dire; eppure, avanti fino al momento dell’impossibilità. Un tempo non ero qui, e non sono più tornato.” (pag. 47)

dal 2 luglio
Spingo nell’ombra un bicchiere; l’altro braccio è sospeso tra la spalla e l’aria. Non si dice niente, ma non si dice niente, si dividono i piccoli niente che raddoppiano il calore: Polvere, un granello di luce e polvere, la luce del giorno prima che si aggrumi. Allora sarà arsa esaurita finita – ora è qui, ed è insopportabile.” (pag. 59)


La collana Coliseum de La Finestra Editrice è diretta da Marco Albertazzi e Nanni Cagnone e presenta questi titoli:


Per completezza segnalo anche il bel sito di Nanni Cagnone: http://www.nannicagnone.eu

Ci casco sempre (a proposito di librerie di qualità)

Ci casco ogni volta come un perfetto cretino.

Sono alla ricerca di un romanzo pubblicato da una piccola/media casa editrice e penso che, forse, in quella presunta libreria di qualità lo potrei trovare.

Entro e in bella vista sugli scaffali (la prima impressione è come sempre in questi casi di essere entrati in un luogo a metà fra la boutique di moda, il minimarket e un salone di bellezza) sono esposti i libretti che un vero lettore (sic) dovrebbe leggere (e intanto che tristezza visuale non scorgere gialli, paccottiglia, libri rosa o fantasy…troppi fanno male, lo so, so tutto, ma a questo punto preferisco gli spazi librari identitari, con un’impronta forte, sfacciata e invece queste librerie di qualità mi sembrano uscite da Vanity Fair, Il Post, Internazionale, le pagine culturali di qualsiasi giornale o da tutti quei posti che celebrano i fantomatici luoghi dove la cultura viene rispettata e da cui si propagano “idee”) ma soprattutto ecco comparire nel mio orizzonte visivo/mentale ristretto la titolare/libraia/commessa/critica/dispensatrice di consigli letterari e pedagogici, seduta sulla sedia a gambe accavallate, calze a strisce, rosse e gialle, un paio di scarpe da tennis di produzione esclusivamente (in migliaia di copie) limitata, pantaloni marroni a coste larghe, la maglietta dei Sonic Youth e una specie di golfino (che mio padre, uomo pedantissimo che per quarant’anni ha lavorato nel settore della moda e che mentre io fissavo la tipa lui ci girava intorno, mi ha poi assicurato essere un capo molto costoso) che sta leggendo il mio tanto odiato Internazionale. 
Buongiorno, le rivolgo con la mia solita timidezza che m’impedisce di guardare le persone in viso.
Ciao, fa lei, sempre con quell'insopportabile modo di parlare col campionamento a base di puzza sotto il naso/ demodè/ sigaretterollate/ salutismo/ milanese/ universitaria/ letterata/ in regola col fisco/ impegnatapoliticamentesocialmente/ libertina/ pragmatica/inserita.
A questo punto chiedo il libro.
Risposta negativa. Mi arriva settimana prossima, fa lei molto annoiata e lo dice sempre mantenendosi nella medesima posa indolente probabilmente studiata in qualche palestra o riunione di intellettuali/santoni/critici/insegnanti/sindacalisti/agopunturisti/massaggiatrici o magari in una seduta da modella per qualche studente di un’accademia d’arte o di uno psichiatra/psicologo).
Aggiunge, Se ti interessa, lo stanno per presentare a Milano in una bellissima libreria.
(Col traffico che avevo incrociato, più di due ore per arrivarci, il treno da scartare e vaffanculo, che cazzo me ne frega di sta’ presentazione di merda, ti ho solo chiesto se hai questo libro, dio povero…). Comunque, se vuoi  te lo ordino.
No, grazie, non c’è problema.
e allora mi dirigo verso una di quelle librerie che distruggono la concorrenza con i loro sconti. So già che non troverò il romanzo che cerco e che nemmeno lo ordinerò ma alla fine in questa libreria ci comprerò questi due libri:




Quello di Mattia Feltri mio padre non me lo presterà mai per timore delle mie sottolineature. 

La commessa che mi ha aiutato nella mia ricerca sembrava uscita da Desperate Housewifes ma è stata di una straordinaria gentilezza nei miei confronti.

E purtroppo succede la stessa cosa nei supermercati dove incontro persone molto più alla mano e gentili che nei negozi di qualità.

Siamo arrivati alla fine di una storia senza capo né coda.

Con una postilla finale. 

Mio padre, una volta usciti dalla libreria di qualità, mi ha detto: Se vuoi andare a Milano prendiamo un taxi.

Mi è suonata  strana questa sua nota sarcastica visto che ha sempre gradito quel genere di ragazze/donne che fanno emergere la sua anima ex sessantottina e radical chic anche se  poi mio padre venera il genere femminile nella sua quasi interezza, praticamente ho un padre che flirta con tutte le donne che incontra da quando me lo ricordo e le donne flirtano con lui ma, pur invecchiando, le stronze, quelle con la puzza sotto il naso, le elette, le migliori, le psicorivoluzionarie continuano a stargli sul cazzo.

Esattamente come al sottoscritto.


- Molto curioso di ascoltarlo -

lunedì 25 gennaio 2016

Pensierini: No al raddoppio del tunnel stradale del Gottardo e No all'estensione eccessiva degli orari delle aperture dei negozi




Il 28 febbraio qui in Ticino ci saranno votazioni federali e cantonali dei cinque quesiti (che potete leggere in dettaglio qui e qui) ce ne sono due che mi stanno particolarmente a cuore: sul raddoppio del tunnel stradale del Gottardo e l’altra sull’estensione degli orari dei negozio. 

Le ragioni del no al raddoppio sono facilmente intuibili, sono meglio spiegate quiqui (compreso tutto il magna magna), e a quelli che si lamentano sempre di queste opere  vorrei solo ricordare lo scandalo della Pedemontana. Due casi diversi: la Pedemontana è vuota, il raddoppio significherebbe aumento del traffico. Il risultato è sempre lo stesso: a farne le spese le la natura e le popolazioni. (A margine ho vissuto in un paese toccato da una linea ferroviaria sinceramente vergognosa e soprattutto in una zona da dove è quasi impossibile raggiungere in treno Como, seppure la linea è presente)

L’altra questione mi sta forse ancora più a cuore. Una delle qualità del Paese dove abito consiste proprio negli orari di chiusura dei negozi: oltre alle 1900 in settimana non si va, alcuni negozi chiudono anche alle 1800. Al sabato qualcuno anche alle 17. Solo il giovedí fino alle 21. Domenica tutto chiuso. Tranne i minimarket annessi alle stazioni di servizio o agli scali ferroviari. Questo non vuol dire che il mondo lavorativo svizzero sia umano, tutt’altro, è iper-liberista e le garanzie sono davvero poche ma ho sempre apprezzato questa opposizione allo shopping continuo, al fantomatico diritto di negozi sempre aperti, tutto collegato all’idiota figura del consumatore. Ci si può organizzare, ce la si fa, avete il freezer per il pane, eccetera, eccetera. E credo che sia anche giusto che, come è successo ieri al sottoscritto, se avete un’urgenza da soddisfare (non posso fare a meno del caffè) paghiate quel prodotto con un sovrapprezzo. Mi piacciono le città silenti di domenica (anche molti bar sono chiusi la domenica), mi piace che le persone abbiano tempo da dedicare non solo allo shopping. Non m’interessa molto che questa è la modernità e infatti queste votazioni dovrebbero permettere di ripensare e mettere in discussione il mondo del lavoro, le tanto osannate liberalizzazioni, le nostre priorità. So bene che questo potrebbe cozzare con la libertà individuale ma che libertà è questa: praticamente è l'attuazione del produci, masturbati, incazzati, dimagrisci, consuma, ammalati, crepa.

(con tanto poi di salutismo, provenienza certificata, fair-trade, bio e una valanga infinita di rotture di cazzo)

Sul volantino del Partito Socialista ( e da queste parti il Partito Socialista, vista la situazione, sembra quasi una banda di rivoluzionari) la si spiega in questo modo (so bene dei pendolari e degli uffici e del traffico e bla bla bla...):

"Mettiamoci nei panni di Maria. Maria lavora tutti i giorni fino alle 18.30 e fa appena in tempo ad andare a prendere sua figlia al doposcuola. Se le spostano l'orario di lavoro fino alle 1900, dovrà pensarci la nonna. Rincasata, Maria si limiterà a scongelare i "Quattro salti in padella" di fronte agli occhi un po' accusatori della bambina. Hanno mangiato alle 19.45, sono le 20.30, la piccola va a letto e la mamma quasi non l'ha vista. Domani si torna al lavoro. Il sabato la bimba spera di poter passare un po' di tempo con la mamma, ma nemmeno questo le è concesso, perché si lavora fino alle 18.30. L'unica giornata libera, la domenica, Maria è stravolta. Non se la sente di andare al parco, così rimangono a casa a guardare la televisione. Questa domenica va bene, la prossima un po' meno perché la mamma è di turno: con la nuova legge le tocca un festivo al mese. Nel frattempo, Maria inizia a soffrire di problemi di circolazione: tutte quelle ore in piedi si fanno sentire. Avrebbe bisogno di riposo...ma quando? Maria ha l'impressione di vivere solo per lavorare."

Potrebbe sembrare una storia strappalacrime ma pensateci bene a quanto cazzo di tempo occupiamo per ucciderci.

E tanto per ricordare, io faccio orari sballati, la mia ragazza idem e sono cresciuto in una famiglia con un padre che tornava a sera tardi e una madre che non guidava e per fare la spesa dovevi spostarti in macchina. Loro due si organizzavano per il sabato mattina o il sabato pomeriggio. Se non c’era pane in casa mia madre usava quello vecchio o cucinava il riso. Altrimenti c’era la pasta o qualcos’altro. Se non ci andava dovevamo farcelo andare bene e tenere la bocca chiusa oppure non mangiare nulla e ringrazio i miei genitori per avermi trasmesso questo modo di intendere le cose, le priorità. Ancora oggi ho mantenuto l'abitudine di mangiare riscaldato, di conservare le minestre, di reinventare gli avanzi.

Lo so, è una battaglia persa. 

domenica 24 gennaio 2016

"Timelapse" by Kovlo


"Timelapse", il nuovo disco dei Kovlo è uscito. Lo potete ascoltare qui.
Venerdì si sono esibiti al Living Room, un locale luganese, poco distante da casa mia. Avevo una mezza voglia di andare ad ascoltarli ma poi ho cambiato idea. Non sopporto più i concerti, i locali, la gente, la fila, i corpi ammassati, il sudore. Sono rimasto a casa. Non invitatemi mai a un concerto, a una pizzata, a una serata al ristorante, al pub, a teatro, al cinema, a un convegno, in un bar, eccetera, eccetera. Non ci verrò. Preferisco il mio divano, il mio tavolo, il mio cesso, il mio letto.

Domenicali (Malamud, Corinne Luchaire, Rosalinda Cappello, Christophe Palomar, Maurizio Abate, L'Intellettuale Dissidente)


"La corona d'argento", primo e straordinario racconto di questo raccolta di Malamud, (narra di un uomo che per salvare il padre malato decide di far costruire a un rabbino una corona d'argento miracolosa) mi ha ricordato un episodio simile accaduto durante la malattia di mia madre. Un marito che le provò davvero tutte per salvare sua moglie: viaggi all'estero, rimedi, maghi, pozioni, preghiere, guaritori, sottoponendola a un vero e proprio calvario. Un giorno mi disse: "Avrei dovuto passare questo tempo con mia moglie, starle vicino, cercare di vivere una vita quantomeno normale e adesso sta morendo e quel tempo non me lo ridarà nessuno. Lei lo ha fatto per me."





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LA REDAZIONE - 17 GENNAIO 2016
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SULLA STRADA DEL PRIMATO 

Quando ci siamo lasciati Vi avevamo promesso che saremmo diventati nel giro di pochi anni il primo mezzo d’informazione indipendente nel panorama giornalistico italiano. Siamo sulla buona strada, a testimoniarlo è la viva partecipazione agli incontri, ai dibattiti, alle presentazioni, alle conferenze che abbiamo organizzato in giro per il Paese, da Nord a Sud. Ma soprattutto ce lo dite Voi che nel 2015 avete risposto positivamente al nostro appello: in 12 mesi abbiamo raccolto 9mila euro circa di contributi.  La campagna abbonamenti del nostro progetto editoriale giunge così al suo secondo anno. L’obiettivo questa volta è di raggiungere i 15mila euro per continuare a darVi voce in modo ancora più autorevole e professionale. 

I RISULTATI OTTENUTI QUEST’ANNO GRAZIE AL VOSTRO SOSTEGNO

Con i nostri circoli di lettori sparsi su tutto il territorio siamo di fatto riusciti ad organizzare incontri straordinari con ospiti di eccezione. Abbiamo portato in Italia Alain De Benoist, Eric Zemmour, e Alexander Dugin. Abbiamo fatto sedere allo stesso tavolo Marco Tarchi e Alessandro Giuli, Paolo Becchi e Alberto Bagnai, Luca Giannelli e Stenio Solinas, Diego Fusaro e Giuseppina Barcellona, Massimo Fini e Antonio Padellaro. Ed è solo l’inizio. Il programma del 2016 ha la stessa caratura. 

DA “L’INTELLETTUALE DISSIDENTE” AL “CIRCOLO PROUDHON EDIZIONI” ALLA RIVISTA TRIMESTRALE “IL BESTIARIO DEGLI ITALIANI”

Nell’arco di tutto il 2015 contiamo con le “edizioni Circolo Proudhon” (vedi il catalogo sul sito www.circoloproudhon.it) quasi 20 pubblicazioni a sfondo esclusivamente saggistico. Ultima iniziativa è stata quella de “Il Bestiario degli italiani”, una rivista trimestrale che conta tra le 3 e le 40 pagine e che si inserisce in quel filone cutlurale a sua volta intrapreso nei primi nel Novecento da Mino Maccari, Giuseppe Prezzolini, Leo Longanesi, Curzio Malaparte. “Scrittori emergenti, qualche grande firma e uno stile pamphletistico scandito da vignette e illustrazioni darà vita alla prima rivista strapaesana del nuovo millennio”  si legge sul sito www.ilbestiariorivista.it 

PERCHE’ TESSERARSI?

La tessera annuale parte da un contributo di 30 euro. Questo non vuol dire che i contenuti del sito saranno a pagamento ma rimarranno invece gratuiti così come è stato per due anni e mezzo.

- Tesserarsi sarà un atto simbolico per sostenere idealmente l’intero progetto. Il vostro finanziamento garantisce la nostra indipendenza, nonché l’assenza di pubblicità sul sito, e vi assicurerà la nostra professionalizzazione e una qualità permanente. 

- Inoltre i tesserati avranno il 20% di sconto sui libri delle nostre edizioni Circolo Proudhon. 

- Ed infine potranno partecipare al congresso generale che terremo alla fine di ogni anno per stabilire le future prospettive. 

Coinvolgeremo e terremo costantemente aggiornati tutti i contribuenti sulle attività e gli svolgimenti del progetto attraverso sito internet, social network e newsletter (iscrivetevi se non l’avete già fatto).

sabato 23 gennaio 2016

Su "La polvere dell'infanzia" di Francesco Permunian (Nutrimenti)



“La polvere dell’infanzia” (Nutrimenti) è il Polesine, i fantasmi, la follia, le osterie, la trippa, i preti molto più saggi dei professori comunisti, gli omicidi, le fughe, i filosofi, gli ubriaconi, le vendette, le canzoni, i cantanti, l’alluvione, l’Adige, i ricordi, le corna, Cavarzere, l’infanzia, le barche disperse, la Callas, un diario, l’invenzione letteraria, il dialetto, il Veneto . E soprattutto Francesco Permunian, uno straordinario scrittore.

In questo libro mi sono segnato due personaggi, Stino Pavanato e Renzo, che sto per cercare e un passaggio dedicato a Piero Ciampi e mi ha fatto pure ricordare Alfonso, un anziano fascista che gestiva una bocciofila della provincia. 

Cresciuto con mio nonno, loro due si erano riappacificati un paio d’anni prima che mio nonno morisse ed erano tornati a frequentarsi, a parlarsi, a sorridere, ad aiutarsi, a bere uno accanto all'altro. Per tanti anni fui solito fermarmi da quelle parti e bere un calice di Sangue di Giuda e farlo parlare di Balilla, Africa, Mussolini ma soprattutto per gustarmi le sue perle di saggezza sull'accadimento del giorno e in generale sul mondo. Pizzetto nero, camicia abbottonata fino all’ultimo bottone e il bicchiere sempre in mano, Alfonso aveva un debole per me. Qualcuno lo definiva un alcolizzato che sparava stronzate a raffica eppure a me piaceva stare ad ascoltarlo, a farmi prendere per il culo, a farmi versare il vino nel calice sporco da settimane. Lui mi accarezzava i capelli e mi guardava negli occhi vedendoci mio nonno. Morto di un tumore al fegato, dimenticato da gran parte dei suoi parenti, si è fatto seppellire in camicia nera. Al suo funerale faceva un freddo cane ed eravamo venti persone a salutarlo. Sua nipote, di qualche anno più grande di me e arrivata direttamente dall’Emilia, fece il saluto romano, fascistissima e alta un metro e ottanta come il nonno. Dopo la celebrazione io e lei rimanemmo per tante ore a sfogliare fotografie e bere vino al caldo in quella vecchia casa. La bocciofila era chiusa, tutto in vendita, in attesa della demolizione. In una scatola trovammo una bellissima foto che ritraeva insieme mio nonno, Alfonso e la ragazza, Vittoria, che sarebbe poi diventata sua moglie. Sorridemmo con gli occhi gonfi di lacrime e continuammo a bere e a parlare fino a mattina inoltrata. Ancora mezzo sbronzo l’accompagnai alla Stazione Centrale e ci abbracciammo forte dopo tre caffè e due grappe.  

Ed ecco il pezzo di Permunian con Ciampi e Stino:

“Diversamente da altri illustri predecessori nati a Cavarzere e poi emigrati altrove – vedi fra tutti il grande Tullio Serafini, di cui si dirà più avanti – Stino preferí invece non abbandonare mai il paese, riuscendo tuttavia a collaborare con alcuni degli esponenti più significativi della canzone d’autore. In primis con l’amico e sodale Piero Ciampi, con il quale un’estate girò l’Italia dando vita a un singolare duetto canoro/alcolico che si concluse bruscamente in Sardegna, dentro un locale alla moda pieno di vip e ricconi, sulle cui teste Piero e Stino ad un tratto si misero a sputacchiare dall’altro del palco su cui si esibivano. Molti anni dopo, seduto sotto i portici del caffè Commercio, Stimo stesso mi raccontò che a salvare lui e Ciampi in quella occasione fu l’intervento dei vigili del fuoco, i quali con elicottero li tirarono su dal tetto del night in cui si erano rifugiati per sfuggire al linciaggio. Aggiungo che il disco registrato presso la Rca contiene la sua canzone più celebre; l’anno in cui uscí fu la più gettonata nei jukeboxe del paese e, credo, dell’intera riviera adriatica. Ancora oggi, a Cavarzere, basta canticchiare “E mentre io mangiavo, lei mi sputava in faccia tutto il suo veleno” e immediatamente a più di qualcuno, chissà perché, viene un groppo in gola ripensando a Stino e ai bei tempi andati.” (pp. 36-37) 

Un Piero Ciampi:

venerdì 22 gennaio 2016

non solo oggi



Oggi sono incazzoso facile per vari motivi.

Mi va di rompere le palle e poi di sentirmi di merda.


Mi tiro su il morale con questo articolo che irriterà molti: "Je suis Charlotte Rampling: “Il boicottaggio degli Oscar? È razzismo antibianco”. 

Sono stanco.
Puzzo di pop-corn e mi sono uscite per la trecentesima volta le emorroidi.
Le mani e la schiena mi fanno male.
Sto mangiando di merda

Conforto lo trovo in Bill Fay:





giovedì 21 gennaio 2016

Del 1992-1993

Del 1992-93 ho i ricordi che posso avere, visto che avevo 13 e 14 anni. Ci sono alcuni eventi che mi ricordo precisamente. Per esempio i viaggi verso Pesaro che sono fra i ricordi migliori della mia vita , il mio ingresso in collegio, il mondiale di Bugno e pure la sua crisi sulla Marmolada nel giro del 1993. Che scrivessi Nirvana ovunque. Che all'esame delle medie, all'orale, parlai bene della famiglia Le Pen solo per fare un dispetto ai professori di sinistra che avevo. Mi ricordo anche di Tangentopoli e mi ricordo distintamente che non provavo nessuna simpatia per il Pool, per Di Pietro, per Brosio, per i manettari, per i forcaioli, per quelli che lanciavano le monetine perché era bello lanciarle.. Non mi stavano simpatici nemmeno i politici ma quell'ipocrita ebbrezza di giustizia che fuoriusciva dalla bocca di parenti e conoscenti e padri e madri di questo o di quell'altro mi disgustava profondamente.

La giustizia e la rivolta che mi piacevano stavano in pochi.
Isolati, marginali, marginalizzati. 



Da poco è uscito questo libro di Mattia Feltri, lo sta leggendo mio padre, penso che me lo presterà. Ne ha scritto Facci qui.




E che film questo sopra, altro che Revenant.

mercoledì 20 gennaio 2016

Un libro


Questo è uno dei libri più importanti della mia vita.
L'ho letto e riletto e strariletto.
Una volta l'ho letto tutto seduto su una poltrona della sala d'aspetto di un pronto soccorso.  Fra un racconto e l'altro morì il figlio della donna seduta accanto a me. Fu un giorno interminabile quello.
Oggi è stata una giornata difficile.
Anche solo toccandone la copertina mi sono sentito invaso dalla serenità.
E di sereno questo libro ha ben poco.
Di voglia di vivere ne ho ben poca.





martedì 19 gennaio 2016

Una canzone straordinaria: "Come uno stupido" di Charles Aznavour


Mi fa schifo

Quanto mi fa schifo ormai tornare nel mio paese.
In giorni come questi.
E incrociare le casalinghe, le stronze, gli operai, gli insegnanti, i bancari, i disoccupati, il prete, le suore, le maestre, i professori.
Entrare nel cimitero con mio padre e sentirsi dire da due stronze di merde che due rose delle dieci che mio padre ha messo sulla tomba di sua moglie stanno perdendo i petali ed è ora di cambiarle, sottintendendo che non cura troppo quella lapide, che si sta dimenticando di mia madre.
Ero stravolto da una giornata di lavoro e volevo solo trascorrere del tempo con mio padre, sbrigare alcune incombenze, guidare con lui per le strade della provincia.
Alla fine ho benedetto il momento che me ne sono andato, che sono tornato in una città/nazione dove vivo da estraneo, da straniero, dove non ho legami, dove non ci sono parenti, parenti di, ex colleghi, coetanei, vicini, ex vicini e tutto il resto da incontrare, incrociare.
Dove la solitudine sa di di liberazione.



domenica 17 gennaio 2016

Ve li meritate Fazio e Gramellini!

- Era da parecchio tempo che non incrociavo Che tempo che fa. Ieri sera m'è successo di incappare nel sermone a due voci di Fazio e Gramellini. L'ho ascoltato fino alla fine cercando di contenere i conati di vomito.  Che squallore. Che sequela di ovvietà. Di buon senso. Di paraculaggine. Di servilismo travestito da democrazia. Che moralismo d'accatto.
Ve li meritate Fazio e Gramellini e direi anche Concita De Gregorio, Scalfari e compagnia bella.
Ve li meritate davvero...

- Ieri sera prima dell'incontro con la tv, fra lavoro e ritorno a casa,  mi sono ritrovato accerchiato da migliaia di esseri umani che sgomitavano, urlavano, posteggiavano, litigavano, insultavano per il concerto di Jovanotti e assistere a film di merda. Come sono stato contento di cancellare dal mio scheletro tutte quelle facce e quelle voci.

- Che disgusto che provo per le diatribe per le prossime consultazioni elettorali.

- Per fortuna ci sono:


Il primo aprile esce il nuovo disco degli Explosions In the Sky: "Wilderness" e "Disintegration Anxiety" è il loro primo singolo:




- Libri che leggerò fra qualche giorno:


(qui)


(qui)


sabato 16 gennaio 2016

Un breve commento su "My Little China Girl" di Giuseppe Culicchia (EDT)


Sicuramente chi ha in progetto un viaggio a Pechino troverà utili consigli culinari nell'agilissimo libretto di Giuseppe Culicchia: “My Little China Girl” (EDT) che per il resto invece mi è sembrato come un divertente esercizio di stile con qualche riempitivo di troppo e lo stucchevole utilizzo della L al posto della R (simpatico però “Curicchia”). Il libretto si salva (oltre che per i consigli turistici) per il ritratto delle accompagnatrici cinesi di Culicchia che ricorda a tutti noi come in Cina la libertà sia calpestata tutti i giorni in nome del progresso economico, delle buone relazioni internazionali, dell’oggettino elettronico da leccare e adorare.
La vera perla del libro è questo posto sotto che spero un giorno di poterlo vedere con i miei occhi, prima che scompaia.

“Fantasma?
Gujie
Dongzhimennei
Dongcheng
Orario: 24 ore su 24
Guje in cinese significa Strada Fantasma. Qui, complice un orario di apertura che non ha orario, si danno appuntamento i nottambuli pechinesi, e dalle sei del pomeriggio alle quattro del mattino si registra la massima affluenza di affamati. La via è lunga un chilometro e mezzo ed è un unico susseguirsi di banchetti di cibo di strada, dov’è possibile gustare tutto quello che cammina, tutto quello che striscia, tutto quello che vola e tutto quello che nuota. Astenersi schizzinosi e ipocondriaci.” (pag. 89)

venerdì 15 gennaio 2016

Per respirare contro questo freddo


Riporto la conclusione del libro di Giulio Meotti: "Hanno ucciso Charlie Hebdo" (Lindau). Spero non me ne voglia l'autore se trascrivo un parte così lunga ma ho davvero bisogno di sentirmi in testa questo passaggio mentre lo trascrivo.

"Esiste un video girato nei giorni del 2006 in cui le minacce contro "Charlie Hebdo" si fecero preoccupanti. Si vedo i giornalisti e i vignettisti riuniti attorno a un tavolo, mentre decidono assieme all'allora direttore, Philippe Val, l'impaginazione del numero successivo. Si parla di islam, ovviamente. Nel video si sente Cabu, uno dei vignettisti uccisi il 7 gennaio 2015, porre la questione in questi termini: "Nessuno in Unione Sovietica aveva il diritto di fare satira su Breznez." Poi prender la parola un'altra vittima di quella strage, Goerge Wolinski: "Cuba è piena di vignettisti, ma nessuno fa caricature di Castro. Quindi siamo fortunati. Sì, siamo fortunati, la Francia è un paradiso." Cabu e Wolinski avevano ragione. Le democrazie sono, o almeno dovrebbero esserlo, depositarie di un tesoro delicato e deperibile: la libertà d'espressione. È questa la grande differenza fra Parigi e Cuba, Londra e Amman, Berlino e Teheran, Roma e Beirut. E ancora fra la democrazia e una teocrazia. Lo sapeva bene Vaclav Havel, il presidente-scrittore della Repubblica Ceca, uno dei padri dell'Europa post-sovietica, che nell'agosto 1968, durante l'invasione, era intervenuto a Radio Free Europe e da quel momento editori e teatri gli chiusero la porta in faccia. Nel 1974, per sopravvivere, fece addirittura il manovale. Il regime lo bollò come "agente controrivoluzionario" e lo condannò al carcere. Nel 1989 Havel fu il primo capo di stato occidentale a parlare in difesa di Rushdie. Sapeva molto bene cosa ci fosse in gioco al di là di un romanzo. Incontrando Rushdie a Praga nel 1993, Havel disse: "Sento una profonda solidarietà verso quanti hanno perso la libertà a causa dei loro scritti". Avremmo avuto bisogno di lui quando è stata attaccata la redazione di "Charlie". Il massacro a "Charlie Hebdo" non è stato soltanto   un atto barbarico di violenza islamista nel cuore dell'Europa.  stato anche un grande test per tutto l'Occidente e per la libertà di espressione nelle democrazie. E ha dimostrato che stiamo tutti fallendo.  È in corso una servile resa su più fronti. La stampa, la politica e i media hanno adottato una politica dell'autocensura forzata. Il diritto di esprimere la propria opinione delle democrazie occidentali è stato pagato a caro prezzo e se non viene esercitato può avvizzire e scomparire. Lo sanno bene Mandel'stam, Babel Pil'niak, Vavilov, Pasternak, Salamov, Solzenicyn e gli altri eroi svaniti nei gulag e nelle galere dell'Unione Sovietica, la società concentrazionaria più vasta della storia, che non meno delle moderne dittature religiose praticò la negazione assoluta della libertà di scrivere e pensare. Quando alcuni scrittori e poeti russi iniziarono a criticare lo stato di polizie in Unione Sovietica, a denunciarli non furono gli sgherri del Cremlino, ma lo stesso ceto letterario, che pensò: "Perché mai non possono comportarsi come noi?". Ecco, anche su Charlie Hebdo e gli altri irregolari europei della critica all'islam sta maturando la stessa serrata conformista, la stessa delazione da parte dell'establishment. L'autocensura preventiva, la ritirata strategica di fronte alla furia islamista, verso la quale dopo "Charlie Hebdo" sembra che ci stiamo inesorabilmente avviando, appiano dunque come una regressione epocale. Intanto la cosiddetta "islamofobia" sta diventando un reato di opinione analogo a quello che si perpetrava un tempo in Unione Sovietica, contro i "nemici del popolo" e i "deviazionisti". L'invenzione di questo reato ideologico, che è una cosa ben diversa dall'attacco razzista ai mussulmani in quanto persone, svolge molte funzioni: negare, per legittimarla meglio, la realtà di un'offensiva fondamentalista; bloccare la mano di chi scrive liberamente in Occidente; intimidire i "cattivi mussulmani" interessati al cambiamento, e come dice Pascal Bruckner, "riabilitare l'offesa d'opinione per chiudere la bocca ai contraddittori". Grazie a quest'offensiva, e al fatto che ormai soltanto qualche "pazzo" si avventura ancora nella difesa della libertà di parla, da noi regna la paura. E i vignettisti, i giornalisti e gli intellettuali cosiddetti "islamofobi" sono i primi cittadini europei dal 1945 a doversi ritirare dalla vita pubblica per proteggere la propria incolumità. Il giovane matematico francese Jean Cavaillès, per spiegare il suo fatale coinvolgimento nella Resistenza, era solito dire: "Lottiamo per leggere "Paris Soir" e non il "Volkischer Beobacher". Forse avrebbe detto lo stesso su "Charlie Hebdo" se fosse stato vivo. Per questo non è nostro diritto disquisire sulla bellezza dei quadri che si realizzano di là e di qua dell'oceano, sugli articoli che si scrivono, sulle vignette che si disegnano. In Occidente abbiamo conquistato a caro prezzo la libertà di farlo. Non spetta agli antichi custodi del fuoco il permesso di concedere il diritto di pensiero e di parola.
Equivarrebbe alla fine dell'Occidente così come lo abbiamo conosciuto". (pp. 159-161)


giovedì 14 gennaio 2016

Un estratto da "Ritorno alla terra desolata" di Gabriele Marconi (Idrovolante Edizioni)


Davvero molto bello questo "Ritorno alla terra desolata" di Gabriele Marconi" (Idrovolante Edizioni). Un estratto:

"6. Passato, presente e futuro"

Quella notte lo scoramento,
complice la pioggia martellante e il freddo,
era più entusiasta del solito
e in un pub cercavo di ammazzarlo
a forza di Jim Bean.
Mi avvicinò una donna.
Si chiamava, a dir suo, Teresa Cassandri
e leggeva i tarocchi a Telelombardia.
Dopo aver distribuito le carte sul tavolo di vetro
la vidi impallidire sotto il fondotinta
che s'era spalmata a piene mani:
"Strano, strano" disse a bassa voce,
"la desolazione volgare del presente
mi ha offuscato ormai la vista del futuro,
ma il passato e il presente per me non han segreti
però non vedo il tuo passato
e il presente è come vuoto:
non vedo te!" concluse quasi urlando
e mi toccò temendo fossi un sogno.
Là rimase come congelata, chiuse gli occhi
chinando il capo e parlò con voce nuova, vecchia:
"Ascolto io chiedo...
Hljods bid. Kéklute ofr' éipo. Verbisque meis fides sit!
Ci sono strade per chi è scaltro come lupo
e sentieri per chi è furbo come volpte
ma non è un mondo per leoni, questo:
la foresta è una repubblica
e presidenti sono gli sciacalli".
Già il poeta cieco
diceva che la statistica a volte è strano abuso,
pensai, che me ne faccio di una veggente
che non vede avanti?
Come l'avessi detto ad alta voce, lei mi rispose:
"Anche s'io non avessi smarrito la strada del futuro
non vedrei il tuo, non l'ho già detto?
TU NON ESISTI!"
Lanciato questo grido la nuova voce vecchia si zittì
e tornò la vecchia voce più o meno giovane,
che impietosita mi passò il telefono di Jessica,
regina delle hot line." (pp. 19-20)

Su Il Giornale OFF un articolo di Davide Fent: "Marconi e la critica alla “mortale” modernità"

Due brevi righe su "Sindacalismo e Repubblica" di Filippo Corridoni (Idrovolante Edizioni)



Si può amare un libro inattuale come "Sindacalismo e Repubblica" (Idrovolante Edizioni) ? Si può amare un libro con previsioni rivelatesi errate? Condito da un'etica lavorista, produttivista, industriale che poco ha a che fare con me? Si può. Perché mentre leggevo questo libro di Filippo Corridoni mi sono sentito spronato, coinvolto, irretito. Perché è un libro vivo, che parla, voglioso di cambiare il mondo. Un libro di un'urgenza rara. Un libro scritto da un rivoluzionario mai domo e mai domato nemmeno da morto. Che tristezza se lo confronto ai vari Landini, Cremaschi, Camusso e compagnia blablaparlante. Uomini e donne che non trasmettono nessuna emozione, nessun sogno, ti fanno venire voglia di suicidio immediato. Solo sfumature di burocrati. E mi frega poco se poi Corridoni è diventato un'icona del fascismo o forse anche un precursore del Comunitarismo, perchè resterà per sempre l'esempio di un uomo libero, alieno a qualunque casacca.

Trascrivo qui due passaggi. Il primo s'intitola "Il potere monarchico" e sembra molto attuale:

"Ma vi sono ancora in Italia molti e molti, e non solo tra i riformisti, che sostengono che tutti  i governi si rassomigliano, che fra repubblica e monarchia non c'è una sostanziale differenza e che perciò non vale la pena spendere delle energie e del sangue proletario per delle inezie. Noi non dovremmo considerare simili obiezioni, delle quali ogni uomo di mediocre intelletto è in grado di fare sommaria giustizia. Pur tuttavia siccome anche fra i nostri lettori vi saranno indubbiamente alcuni che son caduti in tal pania, ingannati anche dalla apparenza inoffensiva della nostra monarchia, non è male che in brevi linee si illustrino tutti i poteri di cui essa è centro e quali formidabili resistenze può opporre alla realizzazione delle volontà popolari.
Il re a norma dello Statuto è il capo del potere esecutivo; e cioè comanda l'esercito, fa la guerra, la pace, stringe alleanze, ecc; è la terza parte del potere legislativo: e cioè le leggi, che sono approvate dalla Camera e dal Senato, per essere promulgate, hanno bisogno della sua sanzione, che può essere negata; come se ciò non bastasse, il re può sciogliere la Camera ogni qual volta gli piaccia. Si dirà: ma fino ad oggi ogni leggere che sia passata attraverso alle due Camere non è mai stata bocciata dal re e gli scioglimenti del Parlamento sono rarissimi. Ne conveniamo. Ma si è presentata mai l'occasione? Abbiamo avuto un qualche ministro siasi messo in conflitto con il potere regio per avere proposto gli interessi di questo a quelli della nazione? No. Fino ad oggi i grandi conflitti sono stati smorzati prima di giungere alla soglia del trono e i monarchici han potuto darsi l'aria di costituzionaloni all'inglese, per la semplice ragione avevan dei prudenti e devoti lacchè che si assumevano l'incarico odioso di gabellare come propri tutti i piani di politica antinazionale che stavano a cuore al Sovrano.
Eppure qualche volta la commedia non riusciva ed allora i personaggi della reggia si mostravano nella loro repugnante nudità e si avevano gli stati d'assedio e i telegrammi a Bava Beccaris. Ciò che prova che maschera inglese non sempre riesce a coprire la faccia balorda di una qualsiasi scimmia di re bomba.
Che bisogno ha il re di bocciare le leggi che gli sono ostiche quando ciò è fatto da un Senato da lui scelto e quando è risaputo che alla Camera passan solo quelle proposte dai ministri, e quindi dal potere esecutivo, mentre quelle che propongono i deputati, anche se della maggioranza, finiscono senza eccezione agli archivi? E che giova se è invalso il sistema di seguire le indicazioni della Camera per la scelta dei Ministri quando gran parte delle crisi ministeriali hanno una soluzione extra-parlamentare e quando, comunque, anche fra le opposizioni, che man mano si van formando in Parlamento, il re può sempre scegliere un ministro ligio ai suoi interessi?
E non si sa poi che i Ministeri della guerra, della marina, e degli esteri son sempre coperti da persone di assoluta fiducia della monarchia? E poi chi fa le elezioni? Come si fanno? Oramai è assiomatico che il suffragio, sia esso universale o ristretto, dà sempre ragione a chi l'interroga. Almeno che costui non sia di una tale ingenuità e di un tale galantomismo da sentir di miracolo. Ma al giorno d'oggi i miracoli non li fa più neanche Sant'Antonio!" (pp. 67-69)

E il secondo è uno stralcio del suo programma:

"1. Federazione delle province italiane, con trasmissione ad esse di gran parte degli attuali attributi statali;
2. Nazione armata;
3. Libero scambio e soppressione di ogni sovvenzione all'industria privata;
4. Soppressione della polizia di Stato ed istituzione di polizie comunali;
5. Scuola libera;
6. Diritto di referendum;
7. Diritto di iniziativa e di revisione;
8. Eleggibilità e revocabilità di tutte le cariche, nessuna eccettuata.

Non ci vuol molto ad accorgersi che non si riuscirà in Italia, seguendo le vie legali, ad ottenere anche la minima parte di quanto abbiamo prospettato. Se anche la borghesia, per evitare guai maggiori, si acconciasse ad accettare quel programma, la monarchia ne sarebbe ugualmente una irriducibile avversaria. E difatti una monarchia senza esercito e con dei sudditi che hanno dei diritti di revisione e di iniziativa, è alla mercé dei sudditi stessi. D'altronde ognuna di queste condizioni è per noi una garanzia alla intangibilità delle altre." (pp. 64-65)

In coda al libro ci sono gli interessanti atti di un convegno dedicato a Corridoni a firma di Paolo Martocchia, Giovanni Facchini, Corrado Camizzi, Massimo Zannoni.

mercoledì 13 gennaio 2016

Un vecchio compito a casa su mia madre

Ieri mi sono ricordato di un piccolo episodio che riguarda mia madre. Risale al periodo delle scuole elementari. La maestra Milena ci chiese di scrivere di nostra madre. Io tornai a casa molto preoccupato perché sapevo che mia madre era molta riservata e si arrabbiava molto quando qualcuno raccontava di lei in pubblico. Andava su tutte le furie. Ricordo che andai da lei col foglio in mano e le chiesi cos'avrei dovuto scrivere. Lei mi rispose: "Inventa". In quel testo mescolai poca realtà e tanta fantasia. Lei ne fu soddisfatta. Stiamo parlando di un racconto da leggere ad altri bambini. Con la maestra che praticamente conosceva mio padre da quando ero nato. Significativo insomma di che tipa fosse mia madre.

Quello che avrei voluto scrivere è questo. Ho cercato di mantenere lo stile da bambino delle scuole elementari.

"Mia mamma ha un occhio verde e uno marrone. Il papà di mio papà dice sempre che quelli che hanno gli occhi così sono persone che non si fanno mai mettere i piedi in testa. Mia mamma è bassa ma sembra alta quando parla. Le piace leggere, ascoltare la musica, risolvere La Settimana Enigmistica. Mia madre sa cucinare tantissimi piatti e ha imparato da sola. Sa cucinare: cassoela, trippa, coniglio in tutti i modi, faraona, trippa, osso buco, spiedini, lasagne, vongole, cozze, capitone, piccione, cinghiale, lepre, vitello tonnato, tantissimi sughi per la pasta, omelette. Le sue polpette sono il mio piatto preferito. Non sa cucinare i dolci e nemmeno la pizza. Beve tantissimi caffè e fuma mentre lava i piatti. Quando fuma mia madre sorride. Mia mamma non viene mai a guardarmi giocare a calcio. Non le piace il calcio. Mia mamma non lavora. Ha cominciato a lavorare a 13 anni ma mia mamma non è stata mai una che voleva tanto lavorare. Racconta sempre che lei e le sue amiche facevano scendere dalla finestra del suo reparto fino alla strada un filo con una cesta che veniva riempita di panini, birra e vino. Mia mamma ama la montagna ma soprattutto il mare. A lei piace Pesaro. Piace prendere il sole ma non nuotare. Lei vorrebbe vivere al mare. Mia mamma voleva anche vivere in Colombia dove mio papà doveva andare a lavorare. Mia mamma vorrebbe vedere il mondo. Le piacciono i musei e le chiese e i castelli. Mia mamma voleva fare la maestra ma non ha potuto studiare perché c'erano pochi soldi. Sarebbe stata una maestra molto severa. Mia mamma non va d'accordo con la mamma del papà. Mia sorella dice che litigano perché sono uguali.
Mia mamma non piange mai ai funerali.
Tutti dicono che mia mamma non piange.
Ma mia mamma piange.
Ma piange senza farsi vedere.
Una volta l'ho vista seduta al parco su una panchina.
Fumava e piangeva tantissimo."




lunedì 11 gennaio 2016

Domani

Domani saranno due anni che è morta mia madre.
Quando chiudo gli occhi la rivedo ancora stesa su quel dannato letto.

Lunedí (Giulio Meotti, caspian, Richard Stern, Costanza Miriano, Boris Pil'njak, Lars Vilks) - David Bowie



Lunedí. Finalmente un giorno di riposo dopo nove giorni consecutivi di lavoro. Stanotte tre ore di sonno per i dolori alla schiena e l'angoscia che non mi abbandona mai. L'inverno non mi aiuta certamente. Cerco di leggere, quando riesco, e sto male anche perché in questi giorni sto leggendo poco, davvero poco. Mi sento poi particolarmente uno sciocco a faticare cosi tanto per un lavoro che perderò fra pochi mesi. Senza malattia, ferie e con un ipotetico assegno di disoccupazione ridicolo. Forse lo faccio per uno strano senso di dignità. O forse solo perché sono un coglione.

- Su Il Foglio di venerdì 8 gennaio c'era questo bell'articolo di Giulio Meotti dedicato a Lars Vilks:



"Vita da vignettista condannato a morte “Non posso nascondermi e sperare che passi tutto: loro non dimenticano. C’è una paura immensa. Nessuno scrive o dice più niente”. Intervista a Lars Vilks, l’artista in cima alla lista dei terroristi islamici, dopo Charlie Hebdo"

Tra l'altro Giulio nel suo libro "Hanno ucciso Charlie Hebdo" cita il romanzo "L'anno nudo" di Boris Pil'njak (Utet)  di cui mi parlò tempo fa un parente di mio nonno. L'autore scomparve durante le purghe staliniane.



- Costanza Miriano è una donna con la quale ho quasi nulla in comune eppure mi sta simpatica e la trovo una donna davvero tosta. Propongono due articoli che ne parlano:

"In Europa vogliono censurarmi perché difendo la famiglia naturale" di Adriano Scianca

"Chi ha paura in Francia di libri che parlano di famiglia e figli?" scritto di suo pugno e pubblicato su Il Foglio

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- Quanto sono felice di leggere degli stellati invischiati nelle solite robe.




---------------------------------Ciao David e grazie. 

giovedì 7 gennaio 2016

Innervosito

Così, tanto per dire, ma se ciò che è accaduto a Colonia (tutto da verificare, circostanziare, eccetera, eccetera) fosse accaduto in Italia per mano di qualche padre, branco, estremista di destra, cos'avrebbero sbattuto in prima pagina Il Manifesto & co o come si sarebbero mosse tante altre persone? Magari niente o magari no. Poi magari mi sto perdendo qualche passaggio. Poi magari penso male. Poi magari mi direte che mi sto facendo trascinare dagli eventi e dai commenti. Ma credetemi non è così. Non lo scrivo tanto per scriverlo. Questa sottile ipocrisia. Questa incapacità di farsi avvolgere dal dolore tutto mi devasta. Questa mancanza di voglia di mettersi a nudo violentemente rischiando di scomparire, di camminare soli mi annoia. Tutto qui. Non necessito di assoluta purezza. Non necessito di anticonformismo continuo. Non ho bisogno di un emerito cazzo e ho bisogno di tutto.

mercoledì 6 gennaio 2016

Befana & altro (Heidegger/Zolla)

- Il giorno della Befana mia madre e sua madre si divertivano parecchio. Esplodeva il loro lato beffardo, sarcastico, ilare. Si divertivano a fare scherzi. Non vi racconto altro.










- Son riuscito a cagare dopo tre giorni, Ho la schiena a pezzi. Trattengo dolore. Ho le mani gonfie. Bevo birra. 


martedì 5 gennaio 2016

Non

Non sono abituato a parlare con le persone.
Mi devo sforzare.
Ogni sforzo mi fa stare ancora peggio di prima.
Non so spiegarlo ma è cosi.
Fuori dal cinema ho visto  un uomo piangere appoggiato al cofano della sua BMW.
Stavo per tornare a casa.
Gli ho chiesto Cos'è successo?
E lui, La vita.
Ci vogliono venti minuti a piedi dal cinema per tornare a dove vivo.
Meno due gradi nell'aria.
Sbandati che camminavano sui marciapiedi.
Una ragazza pisciava accovacciata in un angolo.
L'avevo servita tre ore prima.
Mi ha riconosciuto e ha urlato il mio nome.
Ho sorriso.
Le mutandine le danzavano fra le gambe.
Mi ha gridato che sono un ragazzo gentile e che una sega era gratis.
Stava pisciando sulla sua borsetta in finta pelle.
Le porte del cimitero erano chiuse.
I semafori rossi.
Una Budweiser Dark che ha il sapore di una medicina che bevevo in ospedale.
La mia ragazza sta dormendo.
Mi basta guardarla per stare meglio.
Ma domani lavorero' ancora.
Troppe ore lontano da lei.
Non è vita quella che sto conducendo.
Ma esiste quella roba chiamata vita?

Sempre grazie a Charlie Hebdo. Con le lacrime. - L'assassin court toujours

Con le lacrime.
Loro mi hanno fatto sempre sentire meno solo.

domenica 3 gennaio 2016

Nella testa (film inutili, Drieu, Ezra, Aisha Devi, Crocifisso Dentello)

- Al lavoro, sfogliando giornali, seguendo tg, ascoltando la radio sempre e soltanto l'argomento del giorno sono film inutili, film natalizi, film campioni d'incasso e una cascata di considerazioni sociologiche, editoriali, titoloni, prima pagina, copertine, gente che fa la fila, gente che si maschera, bocche piene di pop-corn, soldi a palate, tonnellate di rifiuto. 
Il sogno di prendere tutto quanto e infilarlo in un inceneritore.

- Ma che cazzo ve ne frega della rai?

- Ma che cazzo ve ne frega del messaggio di fine d'anno del presidente?

- Ma che cazzo ve ne frega di grillo?

- Piccole case editrici che pubblicano libri di qualità:


(qui)


(qui)

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Un articolo su Ezra di Donato Novellini: "Ezra Pound, la bellezza antica e oscura che accecò gli stolti". In quest'articolo si cita un libro che sto cercnado da precchio tempo:



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Ne ho letto oggi la recensione sul cartaceo di Libero. Informazioni qui. Ci daro' una lettura.


Uno dei miei dischi dell'anno: Aisha Devi "Of Matter And Spirit":

sabato 2 gennaio 2016

Il frutto della giornata

Il frutto della giornata.
Mani e schiena a pezzi.
Due ore di sonno.
Lo stomaco spaccato.
La consuetudine insomma.
Domani per fortuna un pomeriggio e una sera tutto per me e che sono stati scritti libri come questo che mi tengono compagnia e mi danno forza:


Sogno Creta tutti i giorni.
Io e la mia compagna su una spiaggia o seduti in un bar a bere Retsina discutendo di buddhismo, letteratura, ricordi d'infanzia, filosofia, stupidaggini, politica.
Pensavo oggi a mia madre.
A Pat in terra d'Inghilterra.
A Simone e Paolo.
A Franco Califano nella mia stanza da bambino.
Sono sfiduciato.
E molto depresso.



venerdì 1 gennaio 2016

Girando intorno a "I misteri della sinistra" di Jean-Claude Michéa (Neri Pozza) / Sebastiano Caputo e altro


Ci sto pensando parecchio a questo libro dopo averlo letto e a tutte le possibili ramificazioni, deviazioni, dubbi a esso connesso. Riporto un estratto:

"Ma come si può sperare di farsi ascoltare da quella parte dell'elettorato popolare (che per di più è spesso la più modesta e la meno protetta dalle istituzioni esistenti - su tale punto basta leggere i saggi di Christophe Guilly) se s'inizia subito (e con quel modo generalmente arrogante e accusatorio che piace tanto alle élite intellettuali) con l'esigere da essa - in nome dei dogmi del liberalismo culturale che quella parte dell'elettorato paragona proprio, e il più delle volte con ragione, all'universalismo astratto e benpensante che ha sempre caratterizzato la boghesia di sinistra – che rinunci a quei valori di decenza e di civiltà che le stanno così a cuore? Oppure, in altri termini, ordinandole continuamente di piegarsi al vessillo identitario di una sinsitra che ai suoi occhi ormai non evoca più che il culto della modernizzazione a oltranza, della mobilità obbligaria e generalizzata (sia geografica che professionale) e della trasgressione morale e culturale sotto tutte le sue forme (ed è sicuramente qui che si puo' misurare quanto il brutale crollo di quel genuino movimento popolare ideologicamente contrario al sistema vigente che era il vecchio Partito comunista – malgrado il suo pervertimento staliniano e il suo culto delle “sviluppo delle forze produttive – spieghi in gran parte la sbalorditiva assenza di qualunque difesa immunitaria della sinistra moderna di fronte allo sviluppo terribilimente devastatore della società dello Spettacolo e del suo liberalismo culturale) Dovrebbe, al contrario, essere perfettamente chiaro che soltanto se “la sinistra della sinistra” decidesse finalmente di compire lo sforzo (intellettuale, morale e psicologico) di comprendere le buone ragioni che anche il popolo di destra più svantaggiato (come del resto anche quelli che ormai sono giunti a pratica lo “sciopero degli elettori”) puo' avere per sentirsi indignato di fronte all'attuale stato delle cose (e tale sforzo di comprensione chiede naturalmente un minimo di empatia e di senso degli altri), soltanto così potrà diventare eventualmente possibile indurre quest'ultimo, il popolo di destra, a superare i limiti manifesti del suo risentimento attuale (perchè è evidente che nessuna lotta che si ponga sotto il segno di una destra moderna puo' portare a cambiare qualcosa nell'ordine capitalista). E anche a rivolgere la sua rabbia e la sua esasperazione contro cio' che rappresenta in ultima analisi, la causa prima delle sue disgrazie e delle sue sofferenze, vale a dire quel sistema liberale globalizzato che non puo' crescere e prosperare se non distruggendo progressivamente l'insieme dei valori morali ai quali quel popolo di destra è ancora profondamente – e legittimamente – attaccato. Perchè in ultima analisi – come sottolineava Engels – è proprio la “coerente attuazione del principio già insito nella libera concorrenza” cio' che conduce inesorabilmente a edifcare quel mondo spietato e sen'anima del quale il collaboratore di Marx descriveva così le tendenze profonde “ognuno sta per conto suo e lotta per conto suo contro tutti gli altri, e se egli debba danneggiare o no tutti gli altri, suoi nemici dichiarati, dipende soltanto da un calcolo egoistico su cio' che è per lui più vantaggioso. A nessuno viene più in mente di potersi accordare per via pacifica con il suo prossimo; la gente risolve tutti i contrasti con le minacce, facendo giustizia da sé o ricorrendo al tribunale. Insomma, ognuno vede nel suo prossimo un nemico da togliere di mezzo o tutt'al più uno strumento da sfruttare per i propri fini. E questa guerra, come dimostrano le statistiche dei delitti, diventa di giorno in giorno più violenta, più accanita, più implacabile.” (La situazione della classe operaia in Inghilterra).
Solo che, per poter sperare di stimolare quel “popolo di destra più svantaggiato” (che suppongo approverebbe senza esitare questa analisi socialista di Engels), bisognerebbe pure che tutti quelli che si vantano di appartenere a una “sinistra davvero di sinistra” si mostrasssero anche capaci, da parte loro, di capire che il capitalismo si presenta ormai come un fatto sociale onnicomprensivo, ovvero come una totalità dialettica della quale tutti i momenti sono inserabili (siano essi economici, politici e culturali) e richiamano, a loro volta, una critica radicale. Il che significa semplicemente che se questa “sinistra della sinistra” non riesce in fretta (ovvero prima che sia troppo tardi) a tirarsi fuori, una volta per tutte, da quel liberalismo culturale “mitterandiano” che rimane ancora appiccicato alla maggior parte delle sue analisi (se, per esempio, si ostina a vedere nel capitalismo solo un puro e semplice sistema economico che porta a riparite in modo non ugualitario la ricchezza collettivamente prodotta – ma che non avrebbe niente a che vedere, in quanto tale, con il culto della crescita illimitata, con l'alienazione dei consumatori, con la “mobilità geografica e professionale continua, con la metodica distruzione delle città e delle campagna, con l'abbruttimento mediatico generalizzato o ancora con la persistente trasgressione morale e culturale), allora si condannerà per sempre a fare rientrare a tambur battente dalla finestra il sistema che avrà invano cercato di far uscire dalla porta. Per il momento, bisogna riconoscere che all'infuori di qualche circolo anarchico e radicale, di alcuni “sperimentatori sociali” forniti di ammirevole dedizione e dei fautori della decrescita (intesa quest'ultima nella misura in cui porta, per definizione, a mettere in discussione il modo di vita capitalista), ben pochi sono, a sinistra, coloro che hanno già saputo fare qualche passo coerente nella giusta direzione, ritrovando così le intuizioni emancipatrici del socialismo delle origini.” (pp. 47-50)



 e a proposito di questi argomenti e del Front National condivido due articoli di Sebastiano Caputo in cui si parla di Michéa e di altri intellettuali che m'interessano parecchio:



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E dalla recensione di questo disco sopra ho cominciato ad ascoltare questo gruppo da questo disco sotto: