“E allora bisogna essere concreti e spietati: con Lorenz è diverso non in quanto nazista ma per le sue teorie sull'imprinting e forse, soprattutto per qualche suo saggio non-conformista come “Gli otto peccati capitali della nostra civiltà” (peraltro, pubblicato in Germania nell'anno del Nobel) in cui mette alla berlina il modello democratico che esalta una innaturale disumanizzazione della nostra specie. Per questo, e non per le sue passate “simpatie”, Lorenz è diventato un appestato. Ma non si ha il coraggio di dirlo.” (pag. 34)
Avevo trascorso una settimana di lavoro distruttiva, al limite dell'alienazione totale, e tenevo questo sferzante, incisivo e anche struggente libro “
L'ubbidiente democratico. Come la civiltà occidentale è diventata preda del politicamente corretto” di Luigi Iannone (Idrovolante Edizioni, prefazione di Michel De Feudis) fra le mani ma prima di leggerlo volevo tornare a guardare, dopo un sacco di tempo, un po' di tv. Stando seduto sul divano. Senza alcuna voglia di uscire di casa. Sedersi e oziare. Bere un caffè dietro l'altro. Alla mia destra, sul tavolo, colonne di libri da leggere. Appunti da sistemare. Ma niente, volevo solo tv. Talk show e programmi “culturali”, documentari, approfondimenti.
È bastato poco per sprofondare nel solito spettacolino indecente. A sorbirsi le solite chiacchiere. I soliti ospiti. Le solite battute. I soliti pseudo approfondimenti. Una cascata di lacrime e giornalisti con l'ipad fra le mani. Storie “vere” e politici sbraitanti. Poi, mentre mangiavo un panino, sempre seduto sul divano, arrivava il programma di Augias (e ci si chiede Ma non si era ritirato quest'uomo saccente? ) e davanti agli ospiti (sempre di primo piano, sempre eccellenze) avevo pensato: “Ma quante volte li ha invitati?”. Poi magari quell'ospite non l'avevo mai visto prima d'allora però l'avevo incrociato su Repubblica, sul Corriere, sul Manifesto, poi forse intervistato su un settimanale eper non farsi mancare nulla ecco i siti che gli dedicano uno speciale, in un girotondo continuo delle solite facce, dei soliti libri, del solito pensiero omologante, giusto, ineccepibile.
E intanto venivo preso da noia e disgusto per quanto avevo visto e ascoltato.
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Il giorno prima avevo letto il romanzo di Spaggiari “Le fogne del paradiso” e avevo pensato al suo sorriso, alle sue gesta, alla sua brama di vita e così mi ero deciso a spegnere tutto, luce compresa, rimanendo al buio a riflettere sulla miseria della mia vita bevendo una birra dietro l'altra.
Affranto e triste.
Più tardi mi ero messo a leggere il saggio di Iannone, in piedi in cucina, i fornelli spenti alle mie spalle e l'ho letto d'un fiato. Sentendomi letteralmente travolto e finalmente a casa. Non condividendone alcuni passaggi ma totalmente l'impeto, il desiderio di liberarsi dal conformismo che ci circonda, che permea ogni singolo istante dell'esistenza, della contemporaneità. Dalla tv ai giornali, dalle case editrici ai siti internet, dalla politica a chi grida al cambiamento.
Conformismo. Conformismo anche nell'anticonformismo.
Iannone non fa sconti a nessuno, nemmeno a coloro che ospitano i suoi interventi.
Sono pagine dense, urticanti ma anche piene di sentimenti, di genuina passione.
A Augias e compagnia bella l'autore dedica un bellissimo e ironico passaggio ma sono emozionanti anche le ricostruzioni della formazione politica, del Fronte della Gioventù e delle letture non conformi (Evola, Drieu, Freda, Degrelle e molti altri). E ti viene voglia quasi di chiedere cosa significa letture non conformi? Ferretti cantava “Conforme a chi Conforme a cosa Conforme ad ogni strana posa” Eppure ricordo ancora la lite con mio padre quando trovò sulla mia scrivania “Rigodon” di Céline preso in prestito dalla biblioteca. Voleva quasi gettarlo e lo salvai solo perché era stato in preso dalla biblioteca. Caso volle poi che quando la biblioteca si liberò di alcuni libri in condizioni disastrose riuscii a recuperare proprio quella copia che ha segnato la mia esistenza. Qualcosa di simile è accaduto anche qualche tempo fa quando raccontando a una donna del mio amore per Ezra Pound e di come su un treno fossi stato insultato mentre leggevo “I Cantos” piuttosto che ricevere parole di conforto, mi sentii dire che avevano fatto bene a insultarmi.
Iannone non fa concessioni a nessuno: scoperchia l'ipocrisia della cultura di massa alla Benigni; le follie dell'amore al limite della pornografia per cani e gatti; il buonismo sterile di chi guarda sempre a Caino e mai ad Abele; restituisce luce e dignità ad alcuni valori dimenticati come l'onore, l'amore patrio e la lealtà ricordandoci la statura di uomini come Hiroo Nooda, Mishima, Dominique Venner; trovandomi anche in disaccordo quando tuona contro la solidarietà in stile “Je suis Charlie”; irride gli intellettuali che di professione firmano appelli; fa a pezzi il conformismo e l'opportunismo di chi mette alla gogna uomini straordinari come Konrad Lorenz; mi ha commosso profondamente e me lo ha fatto sentire istintivamente amico quando scrive di scuola, università, baroni (quante sofferenze ha vissuto mia sorella, figlia di nessuno e senza soldi, nel mondo universitario) e ricorda Papini e distingue fra studio e scuola, perché frequentare la scuola è spesso e volentieri una perdita di tempo mentre studiare, conoscere, ricercare arricchisce e forma l'uomo; si scaglia contro le derive di modernità, tecnologica, progressismo della Chiesa “prima o poi riceveremo la Cresima via WhatsApp e l'Eucarestia in contrassegno tramite corriere espresso, poiché uno schermo deresponsabilizzante filtra ormai ogni differenza tra il sacro e l'esecrabile” (pag. 87); mette in ridicolo l'arte contemporanea e i suoi intelligentissimi consumatori; illumina con dolore la realtà di un'infanzia contemporanea addestrata sin dalla prima ora a diventare consumatori; fa saltare in aria tutti i punti che tengono assieme il vestito lacero della democrazia e dei suoi docili ubbidienti che si scambiano a seconda di come tira il vento e delle opportunità il costume da rivoluzionario, dittatore, custode della libertà.
Il saggio si chiude su un tono dolente, dimesso quasi, quando Iannone ricorda come il nostro tempo non viva di confronto vero e schietto e anche sanguigno fra idee contrapposte ma di uno scontro fra pance urlanti e dibattiti condensati in 120 caratteri sempre interni al sistema, fra politici e intellettuali disposti a tutto pur di garantirsi un'eterna posizione di rendita.
Tono struggente che però non toglie mai al lettore la spinta a continuare a solcare strade impervie e poco battute, a non abbandonare la voglia di combattere, a non adeguarsi al pensiero unico, a sentirsi non-conformi e non per moda o per tenere qualche posa da maledetto ma per un sentire che si costruisce giorno dopo dopo, con animo libero e fiero, a costo di rimanere soli, di essere derisi e considerati non al passo dei tempi, disubbidienti, reazionari, non democratici, non progressisti.