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sabato 31 dicembre 2016

Su Lankenauta "Dietro le linee" di Onoda Hiroo (Edizioni di Ar)




Fra mezz'ora torno al lavoro. Altra serata impegnativa. Ovviamente tutta questa gente mi permette di tenermi il lavoro ma non capisco come possano andare a vedere di merda come quelli in programma.

giovedì 29 dicembre 2016

Uno dei libri dell'anno - Appunti


In assoluto uno dei libri dell'anno. Sono oppresso dall'ansia, dalla depressione, dai dolori al collo, alla schiena, alle mani, allo stomaco. Aprire questo libro mi fa respirare. Ovunque io lo apra. Si avvicina l'ultimo dell'anno. Lavoro e poi qualche alcolico seduto sul divano. Il primo dell'anno lo trascorrero' con la mia compagna. Niente cenoni o pranzi. Solo silenzio e ricerca di pace.

mercoledì 28 dicembre 2016

I regali di fine anno

Ho ricevuto alcuni regali in questi giorni.

Questi due libri:





e poi un fastidioso mal di schiena, due mani doloranti come mai negli ultimi mesi, herpes in pianta stabile, mal di testa, bollette inaspettate, inutili discussioni con parenti e colleghi, un carico di lavoro che mi sta travolgendo, sbalzi stagionali che mi distruggono l'umore.

Un video in tema natalizio:

martedì 27 dicembre 2016

Un estratto da "Sul senso della storia" di Giorgio Locchi (Edizioni di Ar)


“Sul senso della storia” di Giorgio Locchi (Edizioni di Ar) è uno dei libri più interessanti che ho letto quest'anno. Letto in un giorno ma da rileggere altre volte e su cui riflettere con impegno. Leggendolo ho provato il rimpianto di non aver studiato filosofia all'università. Lascio la conclusione del primo dei due scritti inediti contenuti in questo libro. Da segnalare, in coda, anche l'intervento di Adriano Scianca. Ecco il lungo estratto:

“Il destino dell'Europa

Nel 1935 Heidegger disse in una lezione che fu poi pubblicata con il titolo di “Introduzione alla metafisica”:

Questa Europa [...] si trova oggi nella morsa della Russia da un lato e dell'America dall'altro. Russia e America rappresentano entrambe, da un punto di vista metafisico, la stessa cosa: la medesima desolante frenesia della tecnica scatenata e dell'organizzazione senza radici dell'uomo massificato. [...] Siamo presi nella morsa. Il nostro popolo, il popolo tedesco, in quanto collocato nel mezzo, subisce la pressione più forte della morsa; esso, che è il popolo più ricco di vicini e per conseguenza il più esposto, è insieme il popolo metafisico per eccellenza. Da questa sua caratteristica, di cui siamo certi, discende d'altronde che questo popolo potrà forgiarsi un destino solo se sarà prima capace di provocare in se stesso una risonanza, una possibilità di risonanza nei confronti di questa caratteristica, e se saprà comprendere la sua tradizione in maniera creatrice. Tutto ciò implica che questo popolo, in quanto popolo “storico”, si avventuri ad esporre se stesso e insieme la storia stessa dell'Occidente, colta a partire dal centro del suo avvenire, nell'originario dominio della potenza dell'essere.”

Queste parole valgono anche oggi, anzi oggi più che mai, poiché non solo il popolo tedesco si trova nel centro, ma anche poiché il centro passa attraverso questo popolo in maniera devastante. E per questo le parole di Heidegger devono condurci a una definitiva presa di coscienza del “senso della storia”.
L'”immagine lineare della storia” e quella “tridimensionale” sono state esposte e illustrate. L'una si fonda su un tempo unidimensionale, mentre l'altra su un tempo affermato come tridimensionale. Qual è quella “vera”? Quale corrisponde alla “realtà”? Che tempo esiste veramente? E poi, come domanda preliminare, non sono forse entrambe queste immagini antagoniste il riflesso di sentimenti del mondo da tempo immemorabili appartenenti all'uomo? A quest'ultima domanda è certamente da rispondere in maniera affermativa, proprio perché l'Esserci storico è sempre posto di fronte a una scelta, deve sempre decidere tra possibilità contraddittorie, ed egli è sempre libero di prendere questa decisione secondo il suo proprio “sentimento”. Si pensi ad esempio a un fenomeno come quello delle piramidi. Per un “sentimento del mondo” le piramidi rappresentano un simbolo della decadenza e dell'alienazione” umana, giacché solo schiavitù, sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo, “cattiva coscienza” dei governanti e superstizione dei “più umili” hanno potuto condurre  alla progettazione e all'edificazione di questi monumenti “sporchi di sangue”. L'altro sentimento del mondo, invece, tenta di penetrare l'originalità straordinaria di queste opere d'arte, meravigliato dall'essenza grandiosa e terribile” dell'uomo costruttore di storia. Oppure poniamo mente a quella sentinella romana di Pompei che Oswald Spengler ha una volta rievocato. Questa sentinella morì, sepolta dalle ceneri causate dall'eruzione, proprio lì dove egli doveva essere, in attesa dello scioglimento della consegna che mai arrivò. Il comportamento di questa sentinella romana è del tutto privo di senso per chi ritiene che la storia non abbia senso. A costui la sentinella appare cioè come la vittima di un' “illusione”, di un “errore” assurdo e inutile. Oswald Spengler vive invece in questo soldato romano, che si è sacrificato “invano”, il modello esemplare dell' “attitudine storica”, del “voler-divenire-sé stessi” fino alla morte e nella morte. E allo stesso modo egli ha anche voluto vedere l'Occidente – ormai al collasso, secondo la sua teoria – che incontra la sua fine in una “vana” battaglia eroica finale.
Questi sentimenti del mondo antagonisti, tuttavia, si trovano essi stessi nella storia e mutano a seconda delle possibilità epocali che impongono una scelta. Noi conosciamo l'uno o l'altro solo a partire dal nostro presente, da questo presente facciamo nostro l'uno o l'altro, e solo così, in noi stessi, possiamo comprenderli. Ma, così procedendo, non facciamo altro che “scrivere” la “nostra” storia (Historie).
Ora dobbiamo tornare a chiederci: qual è la “vera” immagine della storia? Quella “lineare” o quella “tridimensionale”? Quale corrispondere alla “realtà”? Quale tempo è il tempo della storia, quello unidimensionale o quello tridimensionale? Queste domande sono le nostre domande, ossia le domande di coloro che in qualche modo appartengono alla nuova tendenza epocale. Chi appartiene alla tendenza egualitarista, infatti, non si pone tali domande, poiché “crede” o “sa” di essere nel giusto e nel vero. Egli sa dove la storia irresistibilmente e ineluttabilmente è diretta: alla fine che inaugura la post-storia. (Egli si chiede al limite come questa fine possa essere raggiunta “al più presto”, il che ben rappresenta ai “nostri” occhi una domanda grottesca e fin “troppo umana”).
Questo domandare, che è il “nostro domandare”, avviene ora, affinché esso risulti infine non un puro domandare, bensì un'aspirazione, un progetto arrivo e agente. Né l'una né l'altra immagine della storia sono “vere”. Il tempo unidimensionale, scaturito dalla temporalità inautentica, è il primo ad essere penetrato nella coscienza dell'uomo e, anche da una “prospettiva storica mondiale”, è stato il primo a entrare nella coscienza storica dell'umanità. Esso non rappresenta tuttavia il tempo della storia, bensì solo il tempo in cui “si” vive. Qualora il compimento del progetto egualitarista trasformasse ogni uomo e ogni popolo in un “Si”, allora la storia e l'Esserci stesso come possibilità sarebbero per sempre cancellati; solo allora l'Esserci non ci sarà mai stato.
Tutto ciò è possibile. La fine della storia è possibile. La temporalità autentica è l'unico senso dell'Esserci e, in quanto senso del possibile, è anch'esso una possibilità. Questo senso ormai – divenendo cosciente in una nuova tendenza epocale (in un uomo nuovo) – entra esso stesso nella storia come possibilità – coinvolgente tutta la “storia mondiale” - di una nuova origine storica. “Si” continua tuttvavia sempre a essere, poiché sempre “si” è un Esserci raggiunto dalla vita, e la vita in quanto vita vive anche senza Esserci, anche senza il “puramente-umano” (Rein-Menschliches). Per questo motivo Wagner ha parlato della necessità di “rigenerare il puramente-umano”. Per questo motivo Nietysche ha dovuto parlare del “superuomo”, ossia della necessità – al di la del “si” storicamente divenuto – di realizzare una nuova origine umana, un nuovo “inizio” storico. E anche questo è possibile. Un nuovo cominciamento della storia è possibile. Anche questo fa parte del conflitto epocale. Non esiste alcuna verità storica. Se esistesse, allora non ci potrebbe essere storia. La verità storica è sempre da conquistare e da realizzare. Questo è appunto – per noi – il senso della storia. (pp. 41-44)

lunedì 26 dicembre 2016

Dischi di fine anno (Mineral, Texas is the Reason, Rainer Maria, Sunny Day Real Estate) + edimburgo mega-panda

Praticamente, tranne alcune novità annuali, ascolto quasi sempre le solite cose. Soliti gruppi, solite canzoni, soliti dischi. Questi quattro sono fra i dischi che sto (ri)ascoltando parecchio in queste settimane. Qualcuno li troverà iperdepressi. Da tagliarsi le vene. Io li adoro.


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sabato 24 dicembre 2016

Film dell'anno

- Dopo aver lavorato questa mattina trascorro qualche ora di pausa prima di ricominciare alle 1800. Lavoro in un cinema ma praticamente non ci proiettano pellicole di mio interesse. Non ne ho visti nemmeno molti di film quest'anno visto che non scarico, non guardo in streaming e non mi piace stare in mezzo alla gente. Per questo mi siedo raramente in sala e aspetto i dvd da acquistare o noleggiare e persino i passaggi in tv, quando mi accorgo di averla.

 Non saprei cosa scegliere come film dell'anno 2016 visto che tendenzialmente ho guardato pellicole di un'altra epoca ma comunque questi sotto sono i due film "nuovi" che mi sono rimasti davvero in testa:



Poi ho visto qualcos'altro ma niente che riesco veramente a segnalare come memorabile.

Fra i grandi recuperi, questo:


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Non vedo l'ora di stanotte. Uscire dal lavoro e camminare sul lungofiume. Nel silenzio completo. Ascoltando questa canzone.

giovedì 22 dicembre 2016

Brunori Sas, La verità, le mie lacrime, Anima vecchia



Torno dal lavoro stanco, con le mani e la schiena distrutte. Soprattutto la testa annientata. Ore e ore trascorse nell'inutilità completa. Gli esseri umani non sembrano fatti altro che per chiacchierare.
Nel dolore che mi devasta, la quotidianità. Mi toglie il fiato l'esistenza.
Nell'incazzatura che mi sale dalle viscere, dal cuore, dalle dita e che mi sostiene con quell'adrenalina che poi mi prosciuga di energie e mi impedisce di vivere il resto delle ore. Ma perché viverle quelle ore rimanenti? Sentila quella parola "rimanenti"...sentila...altro che speranza. 
La città mi sfila addosso come uno scheletro di malati che incontro sin da bambino.
I palazzi come croci. Le case come sarcofagi. I passeggini. I cani. I lavoratori come me e per i quali non provo nessuna solidarietà.
Torno dal lavoro senza aver voglia di far nulla. Accendo il pc su un pezzo che avevo già ascoltato in pausa al lavoro. Quando mai l'avessi fatto. Lo riascolto. Una, due, venti volte. E piango. 
Non tanto per il video. Ma per il testo della canzone. Come se parlasse di me. A me. Sempre il solito egocentrico.
Bevo birra e guardo lo schermo e disegno sulle pareti il mio passato che è presente e futuro.
Non è un pezzo memorabile ma son cose che succedono. Succede anche di mangiare, cagare, pisciare, cucinare, uscire di casa.
Ho fatto di peggio nella vita. Molto peggio.
Ma se volessi fare qualcosa per me credo che mi butterei da un ponte e la farei finita. Sarebbe quello che mi pare. Credo che mi chiuderei in un ospedale psichiatrico. Una pallottola. Un cubetto di dado. Un fritto di merda qualunque. 
Sono un uomo senza carattere. 
Ma gli uomini col carattere non m'interessano. Mi hanno sempre fatto del male, deluso, annoiato. Quelli in carne e ossa. 
Mollare tutto. 
Gli ormeggi non ho mai saputo cosa fossero.
Poi mi vengono in mente le mie sale d'ospedale.
Una donna con le mani trasparenti che mi accarezza i capelli.
Un'infermiera bellissima che mi racconta dei suoi sabato sera e mi bacia sulla fronte sussurrandomi di non morire.
E i letti di motel di provincia dove ho incontrato l'amore e dove sono stato deriso da ospiti, turisti, camerieri, cuochi, amanti.
Dove sono tornato per trovare la mia vita. E scopare. Scopare. Scopare per ritrovare nel tuo acne la resurrezione. Nei tuoi sorrisi, nel tuo luminoso scontrarti con le certezze.
E scendo da una montagna che è una collina divorata dal cemento dove vivono i miliardari, gli evasori, i dittatori, gli artisti, gli stronzi come me e mi fermo per ammirare il tramonto. 
Parcheggio in divieto di sosta e fra le mie mani un aereo lascia la sua scia nel cielo. 
S'accartoccia, s'infiamma, scompare.
I gabbiani veleggiano come fiammiferi nel vento.
Gli sparo con le dita e non so dove ho letto che porti sfortuna ucciderne uno. O forse sono i corvi. Non ricordo.
Sogno Lindos, Stegna, Bristol, spiagge assolate, Pat, onde che mi bacino il volto.
Riscaldo piatti invecchiati. Peperoni, le chiacchiere delle casalinghe e degli immigrati che gridano come gridano di merda tutti gli esseri umani a questo mondo.  Le ucciderei queste casalinghe. Una strage.
E mi sento addosso tutta l'inutilità dei gesti.
Dei miei gesti.
Pensati. Ipotizzati. Compiuti. Falliti.
Guardo mia madre sorridente.

Un'anima vecchia.

mercoledì 21 dicembre 2016

Schematico su "Venere in metrò" di Giuseppe Culicchia (Mondadori)


Ho trovato ieri sera per 3 franchi al mercatino della Caritas "Venere in metrò" di Giuseppe Culicchia (Mondadori) e l'ho letto d'un fiato stamattina nel mio giorno libero. 

Perché mi è piaciuto:

- perché è un libro di grande potenza morale e civile
-perché è una dura accusa a una Milano da bere che non è mai scomparsa e che semmai si è fatta piu' cinica, volgare
- perché Culicchia descrive alla perfezione questa Milano di riqualificazioni, di Saloni di questo e quell'altro, di sfilate, di corso Como e salumerie e Brera chic, di Fondazioni Prada e usurai
- perché mostra lucidamente come la nuova Milano che piace tanto è fondata su un gigantesco inganno e su un'opera di maquillage costruita su retate, sgomberi, tangenti, distruzioni empatiche
- perché contiene una magnifica stilettata ai metodi educativi steineriani e non solo ma alla moda di abbandonare i figli in questi istituti
- perché fa a pezzi la cortina fumogena costruita intorno a un mondo che dovremmo imitare e che invece si fonda sull'indebitamento, sulla menzogna, sulla finzione
- perché ha un'happy ending alla Frank Capra che riporta tutti coi piedi per terra
- perché offre una splendida e divertente soluzione su come si possano risolvere i problemi legati alla mancanza di luce, gas, acqua
- perché Gaia e sua figlia da Elettra sono due personaggi incredibili
- per le prese per il culo delle rubriche di cui sono infestate i giornali, del mondo degli avvocati
- per come descrive le amicizie femminili
- perché descrive splendidamente la realtà che aspetta chi finisce nella merda e bussa in cerca di lavoro alle agenzie interinali

Ciò che non mi ha convinto:

- il fantasma di Ellis certe volte si fa troppo pesante
- il tono ironico e sarcastico rischia di annoiare
- il finale può anche apparire alla Muccino, in stile "La ricerca della felicità", e quindi imbarazzante e fastidiosamente consolante
- la retorica sui lavori umili come riscatto morale
- alcuni passaggi sono scontati (l'amante s'intuisce sin da subito che sia gay, eccetera...)

Qual è la musica a cui ho pensato quando ho chiuso il libro:

martedì 20 dicembre 2016

Adriano Scianca su Raggi e e stelline decadenti; Louise Erdrich; un regalo per avventurosi; altro disco dell'anno "Senza far rumore"

- Quando incontro i votanti dei 5stelle, quando vedo i loro esponenti politici, quando passo dal blog di riferimento, quando incrocio il loro giornale di propaganda io sto malissimo. Non che sia meglio con gli altri partiti ma questo mondo rettiliano mi è assolutamente insopportabile. Mi fa quasi rimpiangere Cirino Pomicino. Di sicuro preferisco a tutti loro e a chi li sostiene gentaglia come Silvio.


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Louise Erdrich è una straordinaria scrittrice. Terzo capitolo della trilogia. "LaRose" (Feltrinelli), lo comincero' fra poco.

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Se avete figli, figlie, compagni, mogli, mariti, amanti, amici che amano l'avventura, che sognano ancora L'isola del tesoro, regalategli "Dietro le linee" di Hiroo Onoda (Edizioni di Ar). Impazziranno. Ne scrivero' su lankenauta.eu

Altro regalo per avventurosi e uomini che sognano gesta eroiche, rischiando magari di essere linciati, lo so:



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Altro disco dell'anno. E scrivero' con tanto ritardo anche di questo.

sabato 17 dicembre 2016

Vite tragiche; Immanu El; Natale

Ieri sera, leggendo un sito di informazione locale, ho saputo della morte di Benedetto. Quando ero piccolo lui era additato, a catechismo, all'oratorio, fra i parenti, in paese come un esempio da non imitare. Il marchio "Benedetto maledetto" gli è rimasto impresso in fronte per sempre.  Carcere, droga. Poi la riabilitazione e una vita da spazzino. Poi altri problemi e infine la scelta di lasciare questo mondo. Sotto le coperte avevo la mente piena di pensieri, ricordi, tanta angoscia e rabbia e comprensione.

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Appena uscito. Lo aspettavo da tempo.

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Per quanto riguarda io risolvo le pratiche natalizie nel pomeriggio, dopo il lavoro, e poi arrivederci.

mercoledì 14 dicembre 2016

Mattina presto, leggere, libri dell'anno, sorprese musicali dell'anno

- Mattina presto. Sono sveglio dalle 5 (mezz'ora in più di sonno rispetto al solito) anche se uscirò verso le 1030 per andare al lavoro. Poche ore per sbrigare alcune formalità legate alla catena per cui lavoro. È il settimo giorno senza staccare e, da domani, me ne aspettano altri cinque prima di riposare. Forse. Totale 12 giorni consercutivi. Sveglio presto per cercare di leggere, scrivere qualcosa. Dalla finestra, mentre aspettavo il caffé, ho salutato con la mano il fornaio parcheggiato davanti a un bar. Ci vediamo tutte le mattine. Lui mi saluta. Io lo saluto. Lui si sveglia molto più presto di me. 

- Continuerò a leggere "Appunti":



(28)"Nessuna filosofia della storia è mai riuscita a convincermi. In tutte rilevo una orribile tendenza alla leggerezza. Mi sembrano tutte più fantasiose che sicure.
Nemmeno una che proponga un sistema, il quale non venga automaticamente confutato dalla riflessione intorno a due o tre fatti.
Qual è, per esempio, il sistema che spieghi un fatto così singolare, significativo e oscuro come la esistenza quasi contemporanea di Confucio, di Lao-Tze, di Mahavira, di Buddha, di Zarathustra, dei fondatori dei Misteri greci e del Deutero-Isaia? Nessun sistema che spieghi perché civiltà, così diverse e lontane l'una dall'altra, abbiano conosciuto una incomune fioritura simultanea, come biancospini assopiti dall'inverno!
Nessuno ha chiarito che cosa sia stato a preparare questa misteriosa primavera." 



"Chiuse gli occhi e vide davanti a sè la strada maestra, deserta, e se stesso, cencioso, esausto, che si trascinava verso la città, e lo stabilimento che si allontanava sempre di più alle sue spalle, fino a essere inghiottito dall'orizzonte; e in quel momento capì che aveva già perso quei soldi prima ancora di ottenerli, poiché quel che da lungo sospettava, era stato confermato: non solo non poteva più, ma ormai neanche voleva andarsene da lì, perché almeno lì poteva rintanarsi nell'ombra delle solite visioni, mentre fuori, oltre lo stabilimento, chissà cosa l'avrebbe atteso." (pag. 24)

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Mi hanno chiesto dei miei libri dell'anno. Non mi piacciono le classifiche ma fra i libri dell'anno sicuramente c'è "Non ci sono innocenti" di Anna K. Valerio e Silvia Valerio (Edizioni di Ar) che ho recensito qui e le cui autrici ho recensito qui.

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Fra le sorprese musicali ce ne metterei alcune e fra queste "Comet" di Lim (La Tempesta) anche perché nutro a pelle una grande antipatia per lei e per il suo socio negli Iori's Eyes.


e



 Marie Davidson col suo "Adieux Au Dancefloor":


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Di Gentiloni e oppositori, di finti rivoluzionari e 5stronzi non me ne frega un cazzo.

martedì 13 dicembre 2016

Guardando "Bling Ring"



L'altro ieri ho acceso la tv e su Iris ho guardato “Bling Ring” di Sofia Coppola. Pellicola mediocre ma capace di irretirmi e travolgermi totalmente. Sono tornato agli anni del collegio. Quel ragazzo e e quelle ragazze che rubavano nelle case di Paris Hilton, della bellissima Lindsay Lohan (stravedo per lei, la sua interpretazione in “The Canyons”  é magistrale e in generale il film di Schrader é un capolavoro) mi hanno ricordato i miei compagni e soprattutto le mie compagne. Una in generale. Che poi sarebbe Emily Watson. Emily Watson fisicamente ma il personaggio che la diva di Harry Potter interpreta. Nella sua totalità credo. Che poi ci sarebbe anche un'altra mia compagna di classe. Praticamente il mio cervello é tornato indietro, si è riavvolto su se stesso e ha cominciato a rivivere, a macerare. Stanotte ho avuto un sacco di incubi tutti ambientati in collegio. Mi svegliavo. Mi riaddormentavo e partiva un altro incubo. A un certo punto ho detto basta e mi sono alzato. In coma. Ma era un altro sogno. Il peggiore. Quello più schifoso. Quello di quando mia madre andava a parlare coi miei professori. La settimana successiva sarebbe stata devastante. Se alle medie incontrai il mio primo stimolatore di seghe, in collegio incontrai la prima vera donna della mia vita. Che poi era un'adolescente. Se l'avessero rapita quel giorno ci avrebbero fatto un sacco di soldi con tutto quello che indossava. Difficile spiegare al mondo intero che quella ragazza aveva un'anima. Che poi quest'anima nel film della Coppola non c'è. Però le mie compagne ce l'avevano eccome. Anche se qualcuno le potrà considerare snob, troie, fighette, modaiole, paracule, col futuro spianato, ricchissime, imbucate, con la puzza sotto il naso, anche se non mi considerarono mai per un secondo, tranne una persona, io non smetterò mai, a modo mio, di voler bene a tutte quante loro.



sabato 10 dicembre 2016

Leggere Englander, ascoltare Klimt 1918



“Per alleviare insopportabili impulsi” é una splendida raccolta di racconti di Nathan Englander (Einaudi, traduzione di Laura Noulian) uscita nel 1999. La sto rileggendo in questi giorni di gelo infernale.

Come la prima volta sono rimasto per esempio freddato dall'attacco del primo incredibile racconto “Il ventisettesimo uomo”:

Gli ordini furono impartiti dalla casa di campagna a Kuntsevo. Stalin li passò all'agente in comando senza maggior emozione di quando ordinava l'uccisione dei kulaki o dei preti o delle mogli di amici molto cari, se non erano capaci di tenere a freno la lingua. Gli accusati dovevano essere arrestati nello stesso giorno, arrivare ai cancelli della prigione nello stesso momento, e – con un ultimo rantolo simultaneo – essere spediti al diavolo con un'unica crepitante raffica di fucile. Non era questione di ostilità, solo di fedeltà. Perché Stalin sapeva che si può essere fedeli a un'unica nazione. Non sapeva, invece, i nomi degli scrittori sulla sua lista. Ma il mattino dopo, quando gliela presentarono, firmò senz'altro il mandato, benché adesso i nomi fossero ventisette, e il giorno prima ventisei.
Una cosa di nessuna importanza, salvo forse il ventisettesimo.” (pag. 3)

o dalla chiusura de “Il ricongiungimento”:

Ma é stato Tizio a far cadere il rabbino, non Marty. Robin avrebbe dovuto maledire Tizio. Sputare sui piedi di Tizio. Sarebbe stato più giusto, dopo tutto. La Rebbetsen corre a soccorrere il marito. Anche Robin si avvicina al rabbino ma non si piega su di lui né gli domanda se si é fatto male. Tizio resta piantato là, rosso in faccia, le mani chiuse a pugno. E Marty alza lo sguardo, vede tutti quei visi di bambini che gremiscono le finestre e si domanda: Se quando si fa cadere in terra la Torah bisogna digiunare quaranta giorni, quanto a lungo dovrà digiunare il figlio di un rabbino quando viene fatto cadere per terra suo padre?” (pag. 80)

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Intervista a Luigi Iannone

venerdì 9 dicembre 2016

Uno dei miei dischi dell'anno; TinTin; Nicolás Gómez Dávila


Che bello quando un disco che aspettavo mi spacca in due. Colpisce al cuore. Mi permette di scaricare tutta l'ansia che ho dentro. Sto parlando di "Slow Burn" degli Old Gray.

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Ho recuperato nelle varie biblioteche alcuni volumi di TinTin e le sto leggendo commuovendomi e divertendomi come se fossi un bambino. Se avessi un figlio credo che gli farei sicuramente conoscere TinTin.

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L'emozione di aprire un pacco a sorpresa e trovarci "Appunti" di Nicolás Gómez Dávila (Edizioni di Ar) e cominciare a leggerlo aprendolo mosso dal destino:

(1087) "La civiltà figlia della tecnica è il prodotto della intelligenza del bisogno e del servizio. La civiltà autentica è il prodotto della scomposizione di mille cultura in un'anima illuminata dalla ragione e dalla passione.

(1536) "Ciò che è popolare è vile"

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mercoledì 7 dicembre 2016

Niente giornali; lavoro; "Cormorani", "La macchina di von Neumann"; Ferdinando Camon, Carlomanno Adinolfi

- Per qualche giorno, niente giornali. Nessuna voglia di leggere di politica italiana.

- Da domani comincia la fase più impegnativa del mio anno lavorativo. Si protrarrà fino a Pasqua. Come sopravvivere? Non lo so. Oggi è il mio giorno di riposo ma ho così tanta ansia, senso di inutilità e vuoto che mi son svegliato alle 3 senza più sonno.

- Mi dedico ad altro:


Luca Pacilio ne scritto qui.

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Per ascoltare il disco e acquistarlo andate qui.

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E poi leggo:



(qui)


"Il Sole dell'Impero" di Carlomanno Adinolfi (Idrovolante Edizioni) è appena uscito e ha una copertina bellissima, disegno di Marta Crognale e opera grafica di Vincenzo Sortino. 
C'è un facebook se vi interessa. 
Non cercatemi su facebook, non ho un profilo.


lunedì 5 dicembre 2016

Riflessioni post Innocenzi - Meat is Murder - Il cuore nel sesso



Ovunque si parla di cibo. Televisione, colleghi, amici, conoscenti, parenti. Eataly, Bio, prodotti di qualità, sagre di paese, specialità tipiche, specialità fatte in casa. Assaggia questo, assaggia quell'altro, ingoiati quest'altro. Voti su Tripadvisor. Commenti sul nuovo esclusivo ristorante o sulla tale osteria. Sughi e condimenti. Tempo questo di abbuffate, di carne in grande quantità, di cesti regalo, di carrelli pieni. Di supermercati ancora più pieni di quanto già non lo siano sempre.

Uno dei motivi per cui ho sempre odiato le feste è la tavola imbandita.

Mi faceva schifo vederla tutta piena di affettati, insaccati, olive, cetriolini, cipolline, patè, insalata russa e poi ecco arrivare portate su portate.

Sono nipote di ristoratori. Mia nonna cucinava come un dio. Mio padre e mia madre vi avrebbero fatto impazzire. Praticamente sapevano cucinare quasi ogni cosa. Dalle quaglie alle cappesante, dal capitone alla pasta fatta in casa, dall'orata in cartoccio agli uccellini, dal piccione alla cassoela, dall'omelette alla pasta alle cime di rapa, eccetera. Mio padre leggermente più ruvido e standard, mia madre ricercatrice di sapori. Sapori che si sono persi con la sua morte. Abbinamenti. Profumi.

Crescendo ho sviluppato il ribrezzo per le tavole imbandite.
E soprattutto il disgusto per mangiare esseri viventi.
La discussione sarebbe infinita a questo proposito

Ma quello che più m'infastidisce ultimamente è la parola "qualità" applicata al cibo.
Che è una cazzata gigantesca.
Basta essere un pochino svegli, avvezzi al mondo per capire che è solo una truffa, con la copertura dello stato, delle Asl, dei giornali, dei critici, delle etichette truffaldine.
Poi certo esistono le microscopiche eccezioni ma anche parole come Bio, allevamento a terra, marchio certificato sono solo parole su parole. Vere e proprie campagne pubblicitarie.

Il made in Italy è una truffa bella e buona.

Il libro della Innocenzi sarebbe da regalare a Natale (anche in virtù della sua agilità) proprio per far capire quanta poca qualità ci sia in quei piatti che verranno consumati: cibi imbottiti di antibiotici, malattie. Che provengono da allevamenti che è giusto definire lager. Dove gli animali sono sottoposti a ogni genere di crudeltà e manipolazione genetica pur di garantirci un consumo continuo di cibo. Di carne soprattutto ma anche di pesce e latticini. Bisognerebbe farlo trovare in tavola e rovinare un po' l'appetito.

Non tanto per trasformarci in integralisti ma almeno per rallentare qualche consumo, per farci qualche domanda ulteriore, per non essere complici sempre e comunque. 

Tanto per rimanere sulla stretta attualità, anche se non si mangia il cotechino, la salsiccia, il cappone, la trippa, il capitone non è che il Signore non nasca o non arrivi il 1 gennaio o non ci si possa divertire lo stesso.

NOTA CONCLUSIVA:  All'Innocenzi va il mio ringraziamento per essersi ricordata anche di coloro che lavorano in questi settori e che proprio a causa del contenimento dei costi e ritmi sempre più infernali si stanno autodistruggendo.


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Finalmente me l'avrebbero trovato.

Old Gray - Mattina presto

Sto per andare al lavoro e ho dormito pochissimo questa notte. Troppi pensieri, ansia. Non certo per l'esito del referendum. Ho letto Esenin, pagine di Gaddis e ascoltato musica nelle cuffie, seduto sul divano, al buio.


e poi qui e qui.

sabato 3 dicembre 2016

referendum, Céline, Satantango, Innocenzi, Esenin, Tristano e Isotta

Non vedo l'ora che questa cazzo di giornata di referendum passi perché davvero m'ha rotto i coglioni. Anche per uno come me che non andrà a votare, che non gliene assolutamente un cazzo di questo referendum è impossibile uscirne vivi. Discussioni familiari, con qualche collega e poi giornali, tv, internet, blog. Ovviamente anche sui rotoli della carta igienica ho trovato i sì e i no ai quesiti e per uno come me che soffre di cronici problemi intestinali non é facile da accettare.

Il mio pensiero, come ho già ripetuto altre volte su questo sito, lo riassume perfettamente Céline:

"Sono anarchico da sempre, non ho mai vo­tato, non voterò mai per niente né per nessu­no. Non credo negli uomini. Perché vuole che mi metta d’improvviso a suonare lo zufolo so­lo perché decine e decine di falliti me lo suo­nano? io che me la cavo piuttosto bene col pianoforte? Perché? Per mettermi al loro livel­lo di gente meschina, rabbiosa, invidiosa, pie­na d'odio, bastarda? Questa è davvero buona. Non ho niente in comune con tutti questi froci - che sbraitano le loro balorde supposizioni e non capiscono nulla. Si immagina a pensare e a lavorare fra le grinfie di quel gran coglione di Aragon, per esempio? Questo sarebbe l'av­venire? Colui che dovrei adorare, è Aragon! Puah! […] Non sente, ami­co, l’Ipocrisia, l’immonda tartuferia di tutte queste parole d’ordine ventriloque! […] I nazisti mi detestano al pari dei socialisti, e i comunisti anche, senza contare Henri de Régnier o Comoedia. Si in­tendono tutti quando si tratta di sputarmi ad­dosso. Tutto è permesso tranne che dubitare dell’Uomo. Allora non c’è più niente da ri­dere.
Ho fatto la prova. Ma io me ne frego, di tutti.
Non chiedo nulla a nessuno". (Céline a Elie Faure, 1934)






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Che emozione vedere una settantenne comprare il libro da cui é tratto uno dei film della mia vita:




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Ho terminato la lettura “Tritacarne” di Giulia Innocenzi e la ringrazio per avermi aiutato ad abbandonare le ultime pratiche alimentari che coinvolgevano carne/pesce. Adesso sarà la volta anche dei latticini, uova, eccetera. Per quanto mi é possibile, senza autodistruggermi.

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Riprendere in mano “Confessione di un teppista” Sergej Esenin (Passigli Poesia, a cura di Bruno Carnevali) e sentirmi vivo. 

“Mi rattrista guardarti,
ne provo dolore e pietà!
Sapere che ci è rimasto soltanto
A settembre il rame del salice.

Labbra altrui hanno rapito 
Il tuo tepore e il palpito del corpo.
Pare quasi che una pioggerella cada
dall'anima, un poco morta.

Ma che importa! Io non la temo.
Un'altra gioia mi s'è aperta.
Ma nulla m'è rimasto
Se non la gialla e umida putredine.

E io non mi sono conservato
Per una vita placida, i sorrisi;
Così breve è la strada percorsa,
Tanti sono gli errori commessi!

Ridicola vita, ridicolo dissenso.
Così è stato e così sempre sarà.
Come un cimitero è disseminato il giardino
Di ossa spolpate di betulla.

Ma anche noi sfioriremo così
E come gli ospiti del giardino
Cesseremo di fare rumore...
Se nell'inverno non ci sono fiori,
Non bisogna rattristarsi per essi.” (pag. 79)

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venerdì 2 dicembre 2016

Alcuni estratti da "Intervista sull'etologia" di Konrad Lorenz, a cura di Alain de Benoist (Oaks Editrice)


Sin dalla prima volta che lessi Lorenz apprezzai il suo stile "immediato" (nei limiti possibili) e chiaro, quasi narrativo. Succede anche in questo libro che contiene spunti molto interessanti. 

Trascrivo un passaggio:

"L'idea di cultura è inseparabile dall'idea di società. Quando si vuole definire la vita, si fa generalmente ricorso a ciò che Crick e Watson hanno scoperto, alla "doppia elica" del codice genetico. Questo meccanismo di ripetizione genetica è comune a tutti gli esseri viventi. Ma, presso l'uomo, noi abbiamo, come ho appena detto, un altro meccanismo capace di assicurare la ripetizione dell'eredità nel suo proprio campo. Certamente, per fare un cervello, occorre per prima cosa una base genetica. Ma, una volta che il cervello dell'uomo è là, vi è un'altra forma di eredità. Se un uomo inventa qualcosa, per esempio la freccia e l'arco, da questo momento non soltanto i suoi figli, ma l'insieme del gruppo etnico al quale appartiene ed anche molto probabilmente tutta l'umanità possiederanno questi strumenti e la possibilità che essi siano dimenticati non è maggiore che la probabilità di riduzione di "oblio" per un organo biologico della stessa importanza. La cultura implica l'immortalità del sapere, la reale immortalità dello spirito.
Si può spingere più lontano il paragone. Perché l'eredità genetica possa trasmettersi, bisogna che vi sia una certa rigidità del genoma. Se vi sono troppe mutazioni in una discendenza, questa dà vita a dei mostri.  Ma, all'inverso, se non vi sono molte mutazioni, si ottengono dei fossili viventi, come i dinosauri o gli iguanodonti. Succede lo stesso con la cultura. Come nel campo genetico, vi è interazione tra i fattori di conversazione, d'invarianza, ed i fattori di mutamento. In ogni cultura, la vitalità dipende dall'equilibrio tra queste due specie di fattori in rapporto all'ambiente. (pag. 86)

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io ascolto sempre i Massimo Volume:



e anche questa canzone bellissima:


giovedì 1 dicembre 2016

Lapo, Annalisa Chirico, Charlotte Matteini, calcio Lecco, Gomma, Alice in Chains

Che Lapo sia un mezzo, grande, totale coglione é ovvio. Che sia un privilegiato é scontato. Dire che provenga da una famiglia che fa tutto quel che vuole in Italia e altrove da oltre un secolo significa scoprire l'acqua calda. Che per certi versi la sua figura é anche lo specchio della società contemporanea. Come scrive giustamente e duramente Massimo Del Papa

Detto tutto questo, confesso che a me Lapo sta simpatico. Molto più di tante altre persone che frequento tutti i giorni o che vedo in tv o di cui leggo o che dovrei rispettare. Sarà perché ci ho scambiato insieme due chiacchiere secoli fa e lo trovai una persona garbata e molto educata. Sarà perché mi ricorda tremendamente un mio compagno di classe di liceo. Me lo ricorda perché, con le dovute differenze, anche lui proveniva da una famiglia importante. Pesante. E ha sempre vissuto malissimo questa situazione. Lui non era un nome. Non aveva emozioni. Sogni. Aspirazioni. Era sempre e solo un cognome. E doveva sempre dimostrare qualcosa che non aveva nessuna voglia di dimostrare. Viveva una vita di sofferenze e debolezze. Eterni confronti. Attese disarmanti. E ovviamente anche di grandi bagordi. 

Sarà anche perché ci trovo anche molto di me stesso in Lapo. Il mio essere nipote é stato un peso per tanti anni. Lo é ancora oggi. Sensi di colpa. Voglia di mandare tutto all'aria.




Sostanzialmente, per quanto mi riguarda, Lapo é un tossico e un uomo che ha gravi problemi con la propria identità sessuale. 
Non voglio certo assolverlo, anzi, ma tutta questa gogna mediatica mi intristisce e preferisco le sue cazzate, il suo non fare un cazzo, il suo sprecare tutti i soldi a quelli che fanno la predica, a tutti quelli che mi parlano di vita giusta, di lavoro, di fatica, di pene, di condanne. 

Lascio due articoli che per fortuna non si adeguano al tiro al piccione e mi fanno respirare. 

Quello di Annalisa Chirico (giornalista che adoro per la sua vena da stronza) sorvola su molti aspetti ma mi é piaciuto il piglio: "Nessuno tocchi Lapo!" e poi quello di Charlotte Matteini: "Io sto con Lapo, vittima sacrificale del perbenismo borghese"

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E intanto il Lecco sta per fallire. Per morire. Pensare al Ceppi in rovina mi fa venire il magone. Intanto il mio abbraccio va ai tifosi e agli ultras che conosco. Nemmeno i giocatori scenderanno in campo.


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mercoledì 30 novembre 2016

Il mio amore per il rock, Jerry Lee Lewis, Giulia Innocenzi - Tritacarne

Non so dove sia nato veramente il mio amore per la musica rock. Sicuramente avere un padre che in macchina ascoltava continuamente "Foxy Lady" o "House of The Rising Sun" mi ha aiutato parecchio. Così come quei concerti che mandavano ogni tanto su Rai 3. Forse Monterey. Forse Woodstock. Ero troppo piccolo per ricordare. O perché mia madre mi ha sempre ricordato Grace Slick. O invece se sia merito di "Suspicious Mind" di Elvis che quando la sentivo io mi rotolavo sorridente sulla moquette. Oppure "I Corvi" che mio zio cantava sempre quando cucinava. O "Blitzkrieg Bop" dei Ramones

Di sicuro devo ringraziare Jerry Lee Lewis. Ricordo ancora che mi innamorai totalmente di lui guardando un suo concerto in tv. Poi in prima media mi trovai dei soldi in tasca e chiesi a mio padre se poteva andare da "Amadeus", un mitico negozio di musica nel paese accanto, e ordinare una cassetta coi suoi successi. Mi arrivò sei mesi dopo quando praticamente avevo ormai cominciato ad ascoltare una valanga di roba nuova, compresi i Nirvana.

Però quella cassetta quando mi capita fra le mani l'ascolto ancora. Ha un ritmo bestiale Jerry. Musica di Satana. Sexy. Dannata. Ci pensavo ieri ascoltando la puntata de "Il falco e il gabbiano" di Ruggeri a lui dedicata.  Uomo devastante. Uno che mi ha dato la forza di vivere. 

Guardatevi questo video e pensate oggi a chi possa fare una roba del genere. Nessuno probabilmente.


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Comprato oggi, dopo averla vista da Augias. Sì, nell'articolo di ieri ho parlato male di lui. Oggi,(praticamente una giornata di lettura, malessere e alcolici e mangiavo facendo zapping), ho seguito metà della trasmissione e mi ha incuriosito parecchio. Tratta alcuni argomenti su cui mi batto da parecchi anni. Inascoltato e deriso quasi sempre. Ho intenzione di scriverne.

martedì 29 novembre 2016

"L'ubbidiente democratico" di Luigi Iannone (Idrovolante Edizioni)


E allora bisogna essere concreti e spietati: con Lorenz è diverso non in quanto nazista ma per le sue teorie sull'imprinting e forse, soprattutto per qualche suo saggio non-conformista come “Gli otto peccati capitali della nostra civiltà” (peraltro, pubblicato in Germania nell'anno del Nobel) in cui mette alla berlina il modello democratico che esalta una innaturale disumanizzazione della nostra specie. Per questo, e non per le sue passate “simpatie”, Lorenz è diventato un appestato. Ma non si ha il coraggio di dirlo.” (pag. 34)

Avevo trascorso una settimana di lavoro distruttiva, al limite dell'alienazione totale, e tenevo questo sferzante, incisivo e anche struggente libro “L'ubbidiente democratico. Come la civiltà occidentale è diventata preda del politicamente corretto” di Luigi Iannone (Idrovolante Edizioni, prefazione di Michel De Feudis) fra le mani ma prima di leggerlo volevo tornare a guardare, dopo un sacco di tempo, un po' di tv. Stando seduto sul divano. Senza alcuna voglia di uscire di casa. Sedersi e oziare. Bere un caffè dietro l'altro. Alla mia destra, sul tavolo, colonne di libri da leggere. Appunti da sistemare. Ma niente, volevo solo tv. Talk show e programmi “culturali”, documentari, approfondimenti. 

È bastato poco per sprofondare nel solito spettacolino indecente. A sorbirsi le solite chiacchiere. I soliti ospiti. Le solite battute. I soliti pseudo approfondimenti. Una cascata di lacrime e giornalisti con l'ipad fra le mani. Storie “vere” e politici sbraitanti. Poi, mentre mangiavo un panino, sempre seduto sul divano, arrivava il programma di Augias (e ci si chiede Ma non si era ritirato quest'uomo saccente? ) e davanti agli ospiti (sempre di primo piano, sempre eccellenze) avevo pensato: “Ma quante volte li ha invitati?”. Poi magari quell'ospite non l'avevo mai visto prima d'allora però l'avevo incrociato su Repubblica, sul Corriere, sul Manifesto, poi forse intervistato su un settimanale eper non farsi mancare nulla ecco i siti che gli dedicano uno speciale, in un girotondo continuo delle solite facce, dei soliti libri, del solito pensiero omologante, giusto, ineccepibile. 
E intanto venivo preso da noia e disgusto per quanto avevo visto e ascoltato.
Il giorno prima avevo letto il romanzo di Spaggiari “Le fogne del paradiso” e avevo pensato al suo sorriso, alle sue gesta, alla sua brama di vita e così mi ero deciso a spegnere tutto, luce compresa, rimanendo al buio a riflettere sulla miseria della mia vita bevendo una birra dietro l'altra. 
Affranto e triste. 

Più tardi mi ero messo a leggere il saggio di Iannone, in piedi in cucina, i fornelli spenti alle mie spalle e l'ho letto d'un fiato. Sentendomi letteralmente travolto e finalmente a casa. Non condividendone alcuni passaggi ma totalmente l'impeto, il desiderio di liberarsi dal conformismo che ci circonda, che permea ogni singolo istante dell'esistenza, della contemporaneità. Dalla tv ai giornali, dalle case editrici ai siti internet, dalla politica a chi grida al cambiamento. 
Conformismo. Conformismo anche nell'anticonformismo. 
Iannone non fa sconti a nessuno, nemmeno a coloro che ospitano i suoi interventi. 
Sono pagine dense, urticanti ma anche piene di sentimenti, di genuina passione.
A Augias e compagnia bella l'autore dedica un bellissimo e ironico passaggio ma sono emozionanti anche le ricostruzioni della formazione politica, del Fronte della Gioventù e delle letture non conformi (Evola, Drieu, Freda, Degrelle e molti altri). E ti viene voglia quasi di chiedere cosa significa letture non conformi? Ferretti cantava “Conforme a chi Conforme a cosa Conforme ad ogni strana posa” Eppure ricordo ancora la lite con mio padre quando trovò sulla mia scrivania “Rigodon” di Céline preso in prestito dalla biblioteca. Voleva quasi gettarlo e lo salvai solo perché era stato in preso dalla biblioteca. Caso volle poi che quando la biblioteca si liberò di alcuni libri in condizioni disastrose riuscii a recuperare proprio quella copia che ha segnato la mia esistenza. Qualcosa di simile è accaduto anche qualche tempo fa quando raccontando a una donna del mio amore per Ezra Pound e di come su un treno fossi stato insultato mentre leggevo “I Cantos” piuttosto che ricevere parole di conforto, mi sentii dire che avevano fatto bene a insultarmi.

Iannone non fa concessioni a nessuno: scoperchia l'ipocrisia della cultura di massa alla Benigni; le follie dell'amore al limite della pornografia per cani e gatti; il buonismo sterile di chi guarda sempre a Caino e mai ad Abele; restituisce luce e dignità ad alcuni valori dimenticati come l'onore, l'amore patrio e la lealtà ricordandoci la statura di uomini come Hiroo Nooda, Mishima, Dominique Venner; trovandomi anche in disaccordo quando tuona contro la solidarietà in stile “Je suis Charlie”; irride gli intellettuali che di professione firmano appelli; fa a pezzi il conformismo e l'opportunismo di chi mette alla gogna uomini straordinari come Konrad Lorenz; mi ha commosso profondamente e me lo ha fatto sentire istintivamente amico quando scrive di scuola, università, baroni (quante sofferenze ha vissuto mia sorella, figlia di nessuno e senza soldi, nel mondo universitario) e ricorda Papini e distingue fra studio e scuola, perché frequentare la scuola è spesso e volentieri una perdita di tempo mentre studiare, conoscere, ricercare arricchisce e forma l'uomo; si scaglia contro le derive di modernità, tecnologica, progressismo della Chiesa “prima o poi riceveremo la Cresima via WhatsApp e l'Eucarestia in contrassegno tramite corriere espresso, poiché uno schermo deresponsabilizzante filtra ormai ogni differenza tra il sacro e l'esecrabile” (pag. 87); mette in ridicolo l'arte contemporanea e i suoi intelligentissimi consumatori; illumina con dolore la realtà di un'infanzia contemporanea addestrata sin dalla prima ora a diventare consumatori; fa saltare in aria tutti i punti che tengono assieme il vestito lacero della democrazia e dei suoi docili ubbidienti che si scambiano a seconda di come tira il vento e delle opportunità il costume da rivoluzionario, dittatore, custode della libertà. 

Il saggio si chiude su un tono dolente, dimesso quasi, quando Iannone ricorda come il nostro tempo non viva di confronto vero e schietto e anche sanguigno fra idee contrapposte ma di uno scontro fra pance urlanti e dibattiti condensati in 120 caratteri sempre interni al sistema, fra politici e intellettuali disposti a tutto pur di garantirsi un'eterna posizione di rendita. 

Tono struggente che però non toglie mai al lettore la spinta a continuare a solcare strade impervie e poco battute, a non abbandonare la voglia di combattere, a non adeguarsi al pensiero unico, a sentirsi non-conformi e non per moda o per tenere qualche posa da maledetto ma per un sentire che si costruisce giorno dopo dopo, con animo libero e fiero, a costo di rimanere soli, di essere derisi e considerati non al passo dei tempi, disubbidienti, reazionari, non democratici, non progressisti.

Non mi piace il dialetto

A me non piace il dialetto. In generale. Quello delle mia zona di provenienza ma anche tutti i vari dialetti della penisola e del mondo intero. Ne riconosco il valore, l'apporto, l'importanza. So benissimo che il dialetto riesce a esprimere concetti con un'immediatezza che le lingue nazionali non possiedono. Che il dialetto insieme al regionalismo é una delle peculiarità della penisola. 
Non so parlare in dialetto ma lo capisco perfettamente. Sto parlando del brianzolo e di quello della zona del Varesotto/legnanese. Essendo la mia compagna una veneta non mi é ormai così tanto difficile comprendere il veneto parlato nel vicentino. Sono cresciuto in una famiglia dove il dialetto è la seconda lingua, anche se i miei genitori hanno sempre parlato esclusivamente in italiano con me e mia sorella e anche mia sorella non sa parlare in dialetto. E so benissimo che il mio italiano si sporca talvolta di errori figli del dialetto. Il mio stesso parlato, duro, con un certo modo di pronunciare ad esempio la Z rivela la mia provenienza. E pensare che l'italiano sia una forma ben determinata, rigida, statuaria, è una follia. Basti riflettere su come alcune traduzioni di letteratura straniera siano figlie anche dalla provenienza regionale del traduttore. La stessa lingua italiana si modifica ed è modificata col trascorrere degli anni. Si plasma sotto le mani di chi la utilizza, la parla. Si abbandonano termini. Insomma pensare che la lingua, le lingue in generale, siano una prigione, un dogma eterno è una follia.

Ma detto questo a me il dialetto continua a non piacere. E sapete perché? Per il suono. Sin da piccolo il dialetto mi entrava nelle orecchie in maniera sgradevole. Preferivo i miei nonni quando parlavano in italiano. Il suono dell'italiano mi confortava. Mi faceva star bene. Semplicemente mi piaceva. Mi piace sentirmelo in bocca l'italiano. È un sapore che adoro. Più del cibo. Ultimamente mi sta accadendo anche col francese, che al lavoro sono obbligato a riprendere a parlare/studiare (e nei prossimi mesi sono intenzionato a dedicarmici con impegno). Già pronunciare la parola “casa” in dialetto mi fa sentire la bocca tristissima. Brutta. Così come “figlio”. Intendo proprio il suono che mi esce dalla bocca quando pronuncio questa parola. La stessa bellezza la sentivo quando studiavo latino o ascolto ancora oggi mia sorella e una mia amica parlare o leggere ad alta voce in greco antico.

Ascoltare l'italiano mi quieta, mi fa sentire felice. Mi fa sentire, e questo vale solo per me, la realtà nelle sue varie sfaccettature. 

Sia ben chiaro non c'è nessuna pretesa di superiorità, nessun integralismo ma solo differenza.
Anche se per tanti anni utilizzare esclusivamente il dialetto mi ha spesso procurato un sacco di problemi.

Come qualche giorno fa, quando ho girato in lungo e in largo per il mio paese sbrigando commesse per mio padre e in successione sono passato dal macellaio, dal panettiere, dal fruttivendolo, da un paio di parenti. Tutti, dico tutti, quelli che ho incontrato parlavano dialetto. Stava filando tutto liscio quand'ecco che appena entrato nel bar in piazza sento alzarsi al cielo: “È arrivato il professorino svizzero”, ovviamente in dialetto. E tutti che ridono. L'idraulico, il pensionato, il bancario, l'avvocato, l'impiegata, il dottore, l'operaio. 

So che non c'era vera e propria cattiveria in quel commento ma solo l'abitudine allo scherno compulsivo e volgare che impera nella società ma confesso che in quel momento avrei voluto trasformarmi in un dittatore sanguinario che impone a tutti, pena la morte, la lingua italiana.

E invece sono andato al cimitero e ho passeggiato triste per le file di tombe.

Per fortuna ho incontrato Lucky, un becchino albanese. In italiano mi ha chiesto della mia famiglia, del mio lavoro. Secondo me lui non capiva perché fossi così contento di parlargli.

Per fortuna Lucky è uno di quegli immigrati che arrivato in Italia ha imparato prima l'italiano che il dialetto.