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venerdì 30 ottobre 2015

Di: "Il cerchio ermetico" di Miguel Serrano (Settimo Sigillo); "Peau froide, lager soleil" di Mika Vainio & Franck Vigroux (Cosmo Rhythmatic), film



"Il libro narra della breve ma intensa amicizia tra Hermann Hesse, Carl Gustav Jung e Miguel Serrano, tra la fine degli anni cinquanta e l'inizio degli anni sessanta e contiene le conversazioni e gli scambi epistolari tra questi tre uomini straordinari su temi fondamentali quali l'Amicizia, l'Amore e la Morte. All'interno alcuni acquerelli di Hesse a colori. Prefazione di Nicola Oliva."

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"Peau froide, lager solei" di Mika Vainio & Franck Vigroux (Cosmo Rhythmatic)" è un disco scoperto tramite questa recensione di Alessandro Pogliani uscita su SentireAscoltare. Un assaggio qui.

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In giro di film che m'interesserebbero ci sarebbero anche ma nelle sale non arrivano quasi mai.
Allora mi consolo con qualcosa che ho visto e rivisto fino all'abuso e quando vedo il viso di Elodie Bouchez il mio pensiero corre alla mia carissima amica E. M. che ci somiglia parecchio e alla quale devo una parte consistente della mia vita. Rivedere "La vita sognata degli angeli" mi riempie tutte le volte gli occhi di lacrime.





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Nei sacchi neri buttateci le discussioni motociclistiche, varoufakis, fazio, freccero, marino, i difensori dell'expo, l'albero della vita. 

Sui terreni dell'Expo spargete calce viva.
Date fuoco a tutto.
Spargete sostanze chimiche.
Scorie atomiche.
Fate in mondo che quella zona sia invivibile e inutilizzabile fino alla fine dei tempi.

giovedì 29 ottobre 2015

Delle rotture di cazzo

Stare troppo a contatto con gli esseri umani mi fa star male e mi toglie il sonno la notte. 
Nelle ore e nei giorni successivi non riesco mai a purificarmi come vorrei.
Non servono le docce, i lavaggi di denti, le camminate, i libri, i dischi, le chiacchierate.
E quando mi sembra di star meglio la giostra del cazzo ricomincia.




So quanto facciano male gli insaccati perchè fin da piccolo quando li mangiavo mi bruciava il culo (e poi mi uscivano le emorroidi) e mi usciva l'herpes sulla bocca e poi la gotta nei parenti e i tumori in ogni genere di anfratto del corpo, così come so che è decisamente preferibile una dieta a base di legumi, verdure, frutta e non solo per stare meglio ma anche per far sì che animali e pesci non siano allevati/sfruttati, così come bisognerebbe preoccuparsi delle condizioni di chi lavora nell'agricoltura e nella ristorazione e potrei andare avanti per ore e ore con tutte le sfumature possibili di questa questione ma certe volte di fronte a tutte questi consigli/regole per stare meglio, per vivere meglio, per preservare il pianeta mi sento mancare il fiato e ridotto a una via di mezzo fra un monaco, un purista, un censore. C'è in particolare una frase che mi piace poco: "Se fai sport, non fumi, mangi bene, eccetera vivrai a lungo...", come se ci fosse qualcosa di assolutamente positivo nel vivere a lungo. Poi penso a tutti quelli che si abbuffano di cibo di ogni genere per poi buttarsi in palestra e correre ore e ore per bruciare calori o quelli che si sottopongono a ogni genere di cura,  che ingurgitano medicinali o integratori o erbe per tenersi in vita e cagare bene e dormire bene e mi viene una gran voglia di prendere un fucile e sparare a ciascuno di loro quando mi passano sotto casa.

Insomma, non rompetemi i coglioni.



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Era da un bel po' di tempo che non iniziavo e finivo un libro di Chuck e pur non raggiungendo i livelli del passato me la sono davvero spassata. Ne scriverò nei prossimi giorni e scriverò anche di questo:


(informazioni qui)

e di questo:


(qui)




martedì 27 ottobre 2015

Di Mishima, Maureen O'Hara e Franti


È dall'adolescenza che leggere Mishima mi infonde tranquillità e di questi tempi ne ho bisogno parecchio. Lui è stato uno di quelli ai quali continuo a pensare nei miei momenti di sconforto. Un estratto da "Il padiglione d'oro" (Feltrinelli, traduzione di Mario Teti):

"Com'è comprensibile in un ragazzo nelle mie condizioni, presi a nutrire dentro di me due opposte e pur simili volontà di potenza. Studiavo storia e i racconti che prediligevo erano quelli di tiranni; mi figuravo io spesso tiranno balbuziente e taciturno, circonmdato da cortigiani che interrogavano ansiosi il mio volto, e dal mattino alla sera vivevano in un continuo terrore di me. Non avevoi bisogno di trovare parole chiare ed esplicite per giustificare la mia crudeltà: il mio silenzo bastava. Cosí immaginavo, da una parte, soddisfatto, con quanta severità avrei punito uno dopo l'altro gli insegnanti e i compagni che mi tormentavano quotidianamente, ma dall'altra parte mi vedevo anche artista sommo, sereno e perfetto, sovrano del mio mondo interiore: povero in apparenza, ma spiritualmente piú ricco di chiunque altro. Per un ragazzo tanto irrimediabilmente riservato e chiuso, non era forse naturale ritenersi creatura eletta? Mi pareva d'essere atteso in qualche parte del mondo, chiamato a compiere una missione che era ancora ignota a me stesso." (pag. 9)

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Maureen O'Hara, morta qualche giorno fa, è uno dei volti che fanno parte della mia vita familiare.  Non so ad esempio quante volte ho visto "Rio Bravo" di John Ford. 

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FRANTI – PERCHE’ ERA LI’. Antistoria da una band non classificata. A cura di Cani Bastardi. Pagine 320. Ill. € 18,00. DVD allegato in omaggio

Franti è il nome di un personaggio del libro Cuore: quello che rompe i vetri, fa uscire matto il maestro, ride quando il re d’Italia muore. Franti è fuori dalla scuola, ma non è morto e si muove nell’ombra. Se la musica di Franti è un giardino immaginario, questo libro è la biografia immaginale di una band inclassificabile, sospinta dalle voci di poeti, esploratori, musicisti, delinquenti, centravanti, iconoclasti, anarchici, invisibili, perché Franti era lì e chiede di essere testimoniato. Oltre che una band, uno spirito eponimo della Torino anni  Ottanta, che ha attraversato club, scantinati e cortei, che resiste nei decenni per quanto fosse di giorno in giorno sempre più intangibile, quasi volesse scomparire dietro questa raffica di insegne luminose e slogan ipertrofici, per essere così ritrovato oggi e decifrato come un corpo creduto perso, esplodendo di nuovo tutto il suo potenziale rivelatore di pratiche, esperienze e umori che hanno sempre rifiutato di pensare alla musica come a un bene di consumo, ma come a qualcosa di sonoramente libero.

Informazioni qui.


Due righe su "I traditori" di David Bezmozgis (Guanda)


Tradire se stessi. Tradire i propri ideali. Tradire per amore, per aver salva la vita, per proteggere i propri familiare. Conservare la purezza originaria. Perdonare per risolvere il passato? Non perdonare perchè perdonare significherebbe assolvere? Attorno a queste questioni complesse ruoto l'ultimo intenso romanzo di David Bezmogzgis "I traditori" (Guanda, traduzione di Corrado Piazzetta) ma non solo intorno a queste perchè nel romanzo sono presenti spunti di riflessioni sul Sionismo, la nascita d'Israele, il conflitto coi Palestinesi e quello interno fra ortodossi/laici/coloni ma anche sugli orrori dell'Unione Sovietica, sulle persecuzioni subite dagli ebrei e sul mondo ebraico in via di dissoluione nei paesi dell'Est. Cuore del romanuo è il confronto/scontro lungo mezzo secolo fra due uomini: Baruch Kolter, uomo politico israeliano, con un passato di prigionia nei gulag sovietici, oggi al centro di uno scandalo sessuale (un ricatto per costringerlo ad appoggiare il piano di trasferimento dei coloni) che fugge con la giovane amante/assistente Leora, abbandonando moglie e due figli, trovando rifugio a Jalta, in Crimea, dove per puro caso incontra Vladimir Tankilevic, colui che lo avevo denunciato al KGB, un uomo ormai invecchiato, che vive sotto falso nome con la moglie Svetlana, in un stato di perenne difficoltà economiche e che espia le proprie colpe compiendo un duro e umiliante viaggio ogni fine settimana fino a Sinferopoli per permettere che sia raggiunto il numero consono per celebrare la funzione religiosa. Questo incontro è l'occasione per risolvere alcune questioni, gettare luce sulle motivazioni che portarono Tankilevic a denunciare Baruch ma soprattutto è una durissima partita giocata sul tavolo del perdono, della misercordia e della fedeltà ai propri ideali: Tankilevic vuole ottenere il perdono e la possibilità di avere una nuova vita, magari in Israele, Baruch pur comprendendo le ragioni di Tankilevic sembra non disposto a concedere questo perdono. Se lo scontro fra Baruch e Tankilevic è il cuore del romanzo, l'autore, come nelle opere precedenti, sembra offrire il suo meglio quando si dedica agli apparenti comprimari della storia e in particolare ai personaggi femminali: in questo caso Leora, Svetlana e la moglie di Baruch, Miriam, tutte donne indimenticabili e forti. Le pagine più intense del romanzo sono forse infatti il dialogo/scontro fra Leora e Svetlana sul senso del perdono e sul giudizio terreno contrapposto a quello divino e la lettera che Miriam invia a suo marito e che è una perla di sentimento religioso, richiami biblici e parole d'amore.
"I traditori" ha il respiro quasi di un thriller ma rimane sempre una sottilissima e delicata indagine delle debolezze umane, del senso del dovere a cui sono chiamati gli esseri umani, della difficoltà di perdonare chi si è macchiato di colpe terribili, delle conseguenze che le nostre scelte, seppur motivate da nobili ideali e sentimenti, comportano nelle vite altrui, delle piccole e grandi meschinità, del sentimento religioso come narrazione d'incontri. L'autore smorza il tono umoristico delle precedenti opere accentuando il dramma e la cifra malinconica/tragica della narrazione, riuscendo ad appassionare, entusiasmare, commuovere e far riflettere senza mai risultare verboso o didascalico e quando si arriva all'ultima pagina di questo romanzo non si può che pensare che il peso del mondo che si porta nell'animo un Santo è, come cantano i Massimo Volume,: "un peso d'amore troppo puro da sopportare."

sabato 24 ottobre 2015

"La zona d'interesse" di Martin Amis (Einaudi)


Sono di parte perchè Martin Amis è uno dei miei scrittori preferiti in assoluto ma "La zona d'interesse" (Einaudi, traduzione di Maurizia Balmelli) è davvero bello. Pur se qua e là l'autore non sempre è perfetto, nel complesso è un romanzo che lascia il segno. Commuove. Trascina. Fa riflettere. Micidiale. È, ma non solo, una straordinaria storia d'amore fra Golo, un nazista mediocre, e Hannah, la moglie del comandante di un campo di concentramento. Non aggiungo altro. (Romanzo totalmente sconsigliato a chi ritiene che non possano essere scritti romanzi sull'Olocaustolma chi non ritiene che anche i nazisti o comunque i complici del nazismo possano amare e scusatemi ma anche ai pesantoni di ogni genere che mi stanno davvero sul cazzo...)

Un estratto:

"È seguita un'ora segnata da grande immobilità, ma tutt'altro che priva di eventi. Ogni pochi minuti Hannah increspava la fronte, e l'increspatura variava (dallo sconcerto al dolore); tre o quattro volte uno sbadiglio subliminale  le ha allargato le narici; una lacrima si è formata, è scivolata e le si ü dissolta sulla guancia; e a una tratto l'ha scossa un breve singhiozzo infantile. E poi c'era il ritmo del suo sonno, il respiro, il moto delle sue delicate insufflazioni. Era la vita, che si muoveva dentro di lei, era la prova, la prova reiterata della sua esistenza...
Hannah ha aperto gli occhi e mi ha guardatom scomponendosi talmente poco da farmi sentire che ero già lí, pienamente insediato nel suo sogno. La bocca si è aperta in tutta la sua estensione e ha emesso un suono, come il suono della marea di un mare lontawno.
- Was tun wir hier, - ha detto decisa e senza retorica (come se davvero volesse saperlo), - mit diesen undenkbaren Leichenfresser?
Cosa ci facciamo qui, con questi inconcepibili sciacalli...
Si è alzata, e ci siamo abbracciati. Non ci siamo baciati. Anche quando lei ha cominciato a piangere e probabilmente abbiamo entrambi pensato quanto delizioso sarebbe stato, non ci siamo baciati, non sulle labbra. Ma io sapevo di esserci.
 - Dieter Kruger, - ha infine esordito.
Qualunque cosa fosse, io ne facevo parte. E qualunque cosa fosse, sarebbe dovuta continuare.
Ma dove? E per dove?" (pp. 106-107)

"Configurazioni dell'ultima riva" di Michel Houellebecq (Bompiani)


Esce settimana prossima e non vedo l'ora di leggerlo.

venerdì 23 ottobre 2015

Test rapidi dell’epatite C al BLQ Checkpoint di Bologna

Sarà perché ho tre parenti con l'epatite C, sarà perché d'essere ignoranti sembra quasi che ce ne si debba vantare, sarà perché prevenire è sempre meglio che curare, sarà perché di alcune malattie se ne parla poco o nulla, sarà per tante altre questioni ma io segnalo volentieri che da ieri a Bologna, presso BLQ Checkpoint gestito da Plus onlus, sarà possibile effettuare anche il test rapido (salivare) per l’HCV (l’epatite C). Maggiori informazioni qui.


giovedì 22 ottobre 2015

"Ridete, per Dio" di Stephane Charbonnier (Piemme); "La prigione della fede. Scientology a Hollywood" di Lawrence Wright (Adelphi); Suburra; i nuovi burocrati sovietici


Informazioni quiPerché non dimentico.



(qui)


L'ho visto senza pregiudizi e ne sono uscito deluso. Due recensioni: qui e qui.

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Quando incappo nei politici del Movimento 5 Stelle o nei giornalisti del Fatto forse capisco i racconti sui burocrati/agenti governativi dell'Unione Sovietica.

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Sono curioso di leggere questo romanzo:



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mercoledì 21 ottobre 2015

Di avventure e Africa


Leggere "Il corsaro nero. Herny de Monfreid l'ultimo avventuriero" di Stenio Solinas (Neri Pozza) è  come fare un viaggio fantastico sulle orme africane di un uomo dalle mille contraddizioni: spia, innamorato del fascismo italiano, trafficante d'armi, perle e stupefacenti, pirata, scrittore. È un libro stracolmo di suggestioni, di inviti alla lettura, all'avventura, alla ricerca. Trascrivo a mo' di esempio un brano dedicato all'avventura coloniale italiana e a tre uomini dei quali non credo avrete mai sentito parlare:

"Eppure, se si va a guardare un po' più in profondità, oltre la patina colorata della gita scolastica e dell'esibizione muscolare, e il suo contraltare di una infezione dello spirito, il Corno d'Africa italiano è fatto anche di presene tali da incutere ammirazione, tipi umani unici e insieme emblematici perché rappresentativi di un humus che ne permette la crescita, nel quale affondano le loro radici. Si tratta di gente che, di là dalle differenze d'età e di mestiere, è accomunata da quella dote che Wilfred Thesiger invidierà a Henry de Monfreid e che è alla base della straordinaria e più che ventennale esperienza africana di quest'ultimo: l'immergersi nell'altro da sé, accettarlo e rispettarlo, stringere legami, adottare un codice d'onore. Il primo che viene alla mente è Amedeo Guillet, classe 1909, ufficiale di cavalleria degli Spahi durante la guerra d'Etiopia e poi nello scacchiere bellico dell'Africa orientale; Il Commandar as-Shaytan, il Comandante Diavolo del Gruppo Bande Amhara a cavallo; l'uomo che trasforma quel conflitto in una specie di guerra di corsa fra le colline e le pianure, vestito come un arabo, Kedija, la figlia di uno Shayk del Semien, come compagna di vita e di lotta, mesi di guerriglia alla testa di una banda composta da guerriglieri eritrei, etiopi e arabi, all'insegna del genio tattico e del coraggio...La foto, scattata di nascosto nel 1941, che lo ritrae come Ahmed Abdullah al-Redai, operaio yemenita, rimanda singolarmente al de Monfreid "pirata" del ma Rosso e racconta l'incredibile "guerra privata" che, dopo la resa italiana, Guillet continua in un susseguirsi di travestimenti e traversie sino al raggiungimento dello Yemen neutrale. Guillet non è fascista, sicuramente non lo è nella accezione banalmente denigratoria di un certo moralismo storiografico, è qualcosa di più, è un italiano che serve lealmente il suo Paese, che pensa che se si fa una guerra si deve cercare di vincerla, combattere bene, deporre le armi solo quando ogni resistenza si rivela inutile. Guilet è anche il più eccentrico rispetto al rapporto vita-scrittura fino a qui privilegiato. La sua è rimasta a lungo una memoria privata: solo molti anni dopo diverrà racconto biografico.
Della stessa pasta è Paolo Caccia Dominioni, di quindici anni più vecchio, già volontario nella Grande Guerra e in quella etiopica impegnato nella Pattuglia astrale di ascari K7, una rete di spionaggio antinglese che si avvale di personale indigeno, pastori del Tigrai e pescatori del mar Rosso; capitano delle truppe coloniali ai cui ascari, i soldati indigeni inquadrati, dedicherà due libri, e poi ufficiale superiore sul fronte libico. Ingegnere, architetto, scrittore, la sua è l'opera antiretorica di chi nel secondo dopoguerra si impegnerà nella costruzione di quel sacrario di Quota 33 destinato a raccogliere spoglie e cimeli dei caduti italiani di El-Alamein.
Alberto Denti di Pirajno è il terzo e ultimo di questi italiani con il mal d'Africa: aveva dieci anni più di Dominioni, una ventina più di Guillet, come il primo era stato ufficiale nella guerra '15-18 e, medico, nel 1924 aveva aperto l'ambulatorio di B duerat el-Hsun, in Tripolitania, poi di Mizda e di Misurata, per passare in seguito in Eritrea, Somalia e Etiopia, e in ultimo a Tripoli come prefetto. Dopo l'occupazione della città da parte delle truppe del generale Montgomery, nel 1943 si ritroverà prigioniero di guerra in una serie di campi di concentramento, dall'Uganda al Kenya, che sono in parte gli stessi di cui Henry de Monfreid sarebbe stato "ospite". Dotato anche un talento di ritrattista, mentre de Monfreid aveva quello di paesaggista, entrambi lo useranno come merce di scambio con i loro carcerieri...La mia seconda educazione inglese è il libro scritto da Denti di Pirajno su quell'esperienza: "In verità, il prigioniero di guerra è come il cadavere nelle mani del lavatore dei morti" scriverà per riassumerla. Un medico in Africa è invece (come il mai tradotto A Grave for a Dolphin, che Denti scrisse direttamente in inglese, lingua conosciuta alla perfezione in virtù della sua "prima" educazione inglese) il racconto dei venti anni precedenti, l'immersione fra tribù e malattie, leggende, animali e tipi umani: mendicanti, prostitute, principi, contrabbandieri...
Ciascuno a suo modo, Guillet, Caccia Dominoni e Denti di Pirajno illuminano i nostri Ludi africani e sono lì a ricordarci ciò che troppo spesso viene frettolosamente dimenticato. Da Marco Polo a Pietro Della Valle, passando per Alvise del Mosto e le catalogazioni di Giovanni Battista Ramusio, fino al XVIII secolo siamo stati grandi viaggiatori, poi la decadenza politica e sociale della penisola l'ha avuta vinta e l'ultimo campione di una tradizione illustre, Giacomo Casanova, è un veneziano proscritto in patria, che scrive in francese e non lascia eredi. È un peccato, perché la sua Histoire de ma vie incarna quello che nel Novecento sarà il prototipo dell'avventuriero tentato dall'azione e dalla dissipazione, solitario e sempre in movimento, eternamente fuori posto." (pp 54-57)

martedì 20 ottobre 2015

Alcuni appuntamenti del fine settimana: Invisible Show/Yes Deer, Filippo Corridoni, Ezra Pound


YES DEER
INVISIBLE°SHOW - BERGAMO - DOMENICA 25 OTTOBRE
dalle h.18:00
- conferenza stampa & concerto -
info e prenotazioni - invisibleshow@yahoo.it \ 349 88 30 539 - 349 16 80 619


[L'appuntamento è da intendersi come anteprima di qualcos'altro, previsto tra novembre e dicembre per l'abituale cura di Invisible Show. Nomi, luoghi e altri dettagli di tale rassegna verranno svelati con una conferenza stampa, posta a introduzione della performance musicale degli Yes Deer.] 


INVISIBLE SHOW (egocore, Villa d'Adda/Castel Rozzone/Mozzo/Oggiono)

Sono quattro ragazzi, mediamente di buona famiglia, mediamente visibili, mediamente inservibili. Uno è un fonico, un altro è un tipografo, un altro ancora è un manager, l'ultimo è un correttore bozze. Il primo mi ha regalato un Wurlitzer senza tasti, col secondo ci suonavo assieme, il terzo ha investito nelle mie doti di ittiologo free lance, al quarto ho rubato la ragazza. Da diverse delle loro idee hanno tratto gratuitamente ispirazione e benefici, con notevole risparmio d'idee, alcuni uffici stampa di locali e band, realtà curatoriali più o meno istituzionali, quotati sound artist della scena underground. Hanno tutti e quattro un grande futuro, dietro di loro.

YES DEER (free jazz/noise, Norvegia/Danimarca)

Sono due ragazzi e una ragazza. Lei suona il sassofono, gli altri due chitarra e batteria. Musicalmente dicono di sentirsi vicini ai connazionali Noxagt, che a propria volta dicono di sentirsi vicini ai Melvins. A me piacciono molto.



nota 1: 
Gli Yes Deer sono un giovane trio norvegese/danese di jazz cacofonico. A maggio dell'anno scorso, per l'etichetta francese Gaffer Records (Mats Gustaffson, Talibam!, Walter Weasel dei Flying Luttenbachers, Zu), è uscito il loro primo album: The Talk of Tennis. Dicono di sé: “Yes Deer è lo sfregamento stridulo ed esplosivo tra libido e intelletto, pre e post, polifonia freejazz e egopatia noise. È disperazione entusiasta.”. È disperazione entusiasta.

nota 2:
Nell'inglese antico, la parola deer (cervo) indicava qualsiasi tipo di animale selvatico, ma nel corso del tempo ha finito per riferirsi solo ai mammiferi ruminanti della famiglia Cervidae. Il termine non presenta parentele linguistiche con dear (caro) né con drear (noioso). 


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Non amo per niente le presentazioni di libri ma vi segnalo lo stesso due presentazioni:


A novembre vi ricordo che esce questo libro di Filippo Corridoni.


24 Ottobre ore 15:30, presso 
Società d'Incoraggiamento d'Arti e Mestieri
Biblioteca
via Santa Marta 18, Milano

Ezra Pound: da Jefferson a Confucio, passando per Mussolini
Con Luca Gallesi e Cesare Cavalleri
A più di quarant’anni dalla sua scomparsa, Pound continua a far parlare di sé, tanto per la sua statura poetica quanto, e soprattutto, per il progressivo avverarsi delle sue profezie, specie dopo la catastrofe economica che ha travolto l’Europa, all’alba del nuovo millennio. Al tempo inascoltato, il suo pensiero è di un’attualità sconcertante, nella denuncia dell’usura e dei Signori dell’Oro, che giocano con i popoli vincolando i loro destini alle oscillazioni del capitale. 

Libri:

lunedì 19 ottobre 2015

Beach House - Walk in the Park - messaggio del giorno


Messaggio del giorno e riassunto di queste due ultime giornate.
Per fortuna oggi sono a casa e resterò in casa tutto il giorno con la mia ragazza.
Stare troppo a lungo in mezzo alle persone è debilitante per me.
Ne risentono tutto il mio fisico, la mia mente e ci vogliono giorni e e giorni per recuperare.
E comunque era da parecchio tempo che non incontravo nello stesso momento così tanti stronzi, snob, intellettual-chic, cattocomunisti, affaristi, esperti d'arte di sto cazzo, borghesi milanesi/comaschi del cazzo come sabato al matrimonio di mia sorella. 
L'ho fatto solo per mia madre che me lo fece giurare prima di morire.

Per fortuna ci sono gli Explosions In The Sky






sabato 17 ottobre 2015

"Per Tutti i Giovani Tristi" di Giona (To Lose La Track) e altro


Lo potete ascoltare e comprare qui.

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Un articolo di Adriano Scianca: "Tutti in ginocchio da Veltroni: recensioni folli al suo romanzo". Sempre Scianca oggi su Libero mi ha fatto venir voglia di leggere questo romanzo "50 sfumature di Palahniuk. La satira contro il femminismo: con i sex toys le donne cancellano i maschi". È da tanto tempo che ho perso di vista Palahniuk, magari è tempo di darci un'occhiata. Informazioni qui.



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E si parte per l'inferno.



venerdì 16 ottobre 2015

Venerdì (matrimoni, Inside Outlet, Donal Ryan, Fabio Merlini, Kari Hotakainen)

- Meno un giorno al matrimonio di mia sorella. Tanta ansia. Tanta sofferenza al pensiero di dover stare così tanto in compagnia di tante persone, la stragrande maggioranza delle quali mi stanno veramente sul cazzo. E non potrò nemmeno bere visto che dovrò guidare a notte fonda, passando il confine, e la mattina dopo mi aspetta una durissima giornata di lavoro. Non so come noi due faremo a uscirne vivi.

- Diciamocela tutta: quegli esponenti politici e non che si oppongono al matrimonio fra persone dello stesso sesso (al di là di qualche intellettuale, etc etc...) sono solo dei razzisti, omofobi, oscurantisti, eccetera. Non lo ammetteranno mai, vi faranno litigare ma la realtà è semplice semplice. Poi sti' garanti dello Stato/Patria/Famiglia non capiscono che il matrimonio è proprio uno dei garanti della sopravvivenza dello Stato. Nasceranno altre famiglie, altre unioni, altri vincoli, altro lavoro per imbrattacarte, avvocati, fotografi, cuochi, ristoratori, eccetera, eccetera...


Si è fatto un gran parlare di questo film. A me non ha detto proprio nulla. Ma zero proprio. Praticamente tutto quello che penso è stato espresso da Dario Incandenza in uno sfogo che trovate qui.

- Ma davvero ve ne frega qualcosa del Senato?
Ma davvero ve ne frega qualcosa degli intellettuali e degli scrittori che firmano appelli e merda varia?


(qui)


(qui)


Su "La legge di natura" la penso come lo splendido esemplare di orsetto prussiano Simone Buttazzi. Qui. L'Orso Buttazzi è un esemplare unico e inimitabile, per favore non ingabbiatelo e non impagliatelo. Mi raccomando!

martedì 13 ottobre 2015

"Sindacalismo e Repubblica" di Filippo Corridoni (Idrovolante edizioni)

Un'altra gran bella uscita per Idrovolante Edizioni. Maggiori informazioni qui.

Alcune piccole note d'autunno

- Sfoglio i giornali, consulto siti, incrocio le radio e continuo a non capire come cazzo possa esserci ancora gente che sta a preoccuparsi di quello che raccontano il papa, i vescovi, il sinodo, i catechisti. Ho incrociato pure Leonardo Boff in tv e sentirlo parlare mi ha fatto salire una certa rabbia dentro che non vi dico. Continuo a pensare che siano proprio i teologi/preti/missionari/laici "progressisti" o "autenticamente cristiani" quelli più infidi nel propagandare questo genere di menzogne. Lo stesso discorso vale ovviamente per il resto delle religioni e adesso avremo pure le moschee a rompere i coglioni.

- Preferirei affidare i miei figli a down, disabili di ogni genere, tossici, carcerati, muti, sordi, ciechi piuttosto che a molte/i insegnanti/e/maestri/e che ho incontrato nella mia vita. Per non parlare di preti e suore.

- Continuo a non capire come si possa sentire la mancanza di personaggi come Merola, Pisapia, Fassino, Marino, De Magistris.
Le possibili alternative sono altrettanto penose.



lunedì 12 ottobre 2015

Un omaggio a Robert Brasillach e a "I sette colori"


Rileggere “I sette colori” di Robert Brasillach è ritrovare un pezzo della mia adolescenza. Una ferita aperta perché quanto mi fece piangere questo romanzo quando lo lessi. Brasillach è uno degli scrittori, o meglio uno degli uomini, che mi ha spinto a scrivere, che mi ha dato la forza di resistere, di cercare la mia strada. Uno che ho sempre sentito come un fratello, un compagno di viaggio, una guida, un amico. Da poco tempo ho ricevuto in regalo una copia della Ciarrapico Editore che avevo perso tanto tempo fa. Dentro a questo romanzo ci sono le mie ferite, le mie angosce, i miei durissimi giorni di collegio, i miei sogni traditi, il mio dolore, i miei morti, la mia voglia di resistere e di rimanere fedele a me stesso costi quel che costi.

Trascrivo un estratto del romanzo:

“Fu difficilissimo sapere, quando li ebbero richiamati in sé, che cosa era accaduto. Alla fine della giornata, Caterina aveva seguito Patrizio in camera sua, e si erano distesi l’uno accanto all’altra. Non si erano toccati. Ma a lungo eran rimasti cosí, immobili, un poco tremanti, senza nemmeno accostare una mano all’altra. Tenevano gli occhi chiusi. Lei non capiva nulla del turbamento che l’aveva invasa e che la possedeva, nello stare cosí vicina a quel ragazzo che di lei voleva solo la presenza. Egli non sapeva nemmeno che cosa poteva aspettarsi e lottava con tutte le sue forze contro il desiderio di accostarsi a lei, di sentire il suo calore, fosse solo attraverso le vesti, di calmare, di fondere la sua propria febbre. Sarebbe vano credere che egli non pensasse qualcosa di più, ma non voleva cedere. Nella vicinanza dei due corpi vestiti v’è qualcosa di magico e di inseparabile dai primi momenti dell’amore: la resistenza, la tentazione, la vergogna, il rimpianto, la speranza si mescolano nella stretta fittizia e provvisoria, in cui gli ostacoli lievi simboleggiano le barriere più irriducibili. E poiché ella era pura, non indovinava, quando egli si mosse un poco e si distese, che aveva raggiunto il più forte del suo desiderio, che l’aveva presa in sogno e che si placava. Di sopra a loro volteggiavano in una nube le loro tentazioni, ed essi chiudevano gli occhi ed erano rossi. E cosí tesi erano per avvicinarsi senza toccarsi, per fondersi senza raggiungersi, più separati da quella poca aria fra loro che dalla spada di purità della leggenda, che subitamente, nel medesimo istante, qualcosa in loro si spezzò, e come aveva indovinato il vecchio pazzop, non furono più presenti. Patrizio avrebbe spesso pensato che, fosse vissuto anche cento anni, avesse avuto più avventure dell’uomo che ne ebbe mille e tre, mai più avrebbe raggiunto cosí completamente l’attuazione del sogno maschile come in quei minuti di annientamento totale, in quel possesso nella purezza. (pp. 61-62)

e un altro tratto dalla premessa di Stenio Solinas:

“Oggi ci sembra naturale osservare che allo “splendore del fascismo universale della mia giovinezza”, del “fascismo nostro male del secolo” Robert Brasillach non poteva sopravvivere. Lui, per la verità, pur amando la vita, ne era consapevole già allora: “Quelli che muoiono dopo la trentina non sono consolidatori ma fondatori. Portano al Mondo scintillante esempio della loro vitalità, delle loro conquiste. Frettolosamente, accennano qualche strada al lume della loro gioventù sempre presente. Abbagliano, interpretano, meravigliano. Dio, nella sua apparenza terrestre, ha scelto di essere simile a questi esseri, di morire all’età di Alessandro. Intorno a voi, uomini e donne, avete conosciuto apparizioni simili, un poco esaltanti, un poco misteriose. Bruciano la loro vita, talvolta quella altrui ma danno la fiamma, l’avvenire. Non si immaginerebbe Alessandro, vecchio e saggio, legislatore dell’Oriente: la sua parte sta nel mettere di fronte l’Occidente e l’Oriente. Dopo di che, sbrigatevela da doi. Tali sono gli esseri che scompaiono prima delle menomazioni, prima dell’equilibrio, prima della riuscita. Non sono venuti a portare nel mondo la pace, ma la spada”. 
A Jacque Benoist-Méchin che, nel carcere di Fresnes, lo rimprovera di avere “delle idee nere”, Brasillach tranquillamente replicherà, il viso pallido, la sciarpa rossa annodata con civettuola negligenza: “ Bisogna saper morire giovane. Robert Brasillach a 75 anni che legge con voce tremula le bucoliche greghe, mentre riscalda i suoi reumatismi accanto al fuoco. Pensateci sopra. Quale orrore!” Non era una sbruffonata. Come insegna Jacques Laurent, “Brasillach è stato ucciso dagli adulti. Essi hanno riunito il loro consiglio di disciplina. Cocteau, per spiegare l’impunità di Dargeolos – uno dei protagonisti de Les enfants terribles – osserva che la pena di morte non esiste nei licei. Invece la pena di morte, quell’anno, era di moda in Francia” Solo che l’autore dei Sette colori non era un enfant terrible. Era, se mai, un enfant du paradis.”

Ralph Franklin Keeling e Simone Cattaneo



Leggere "Un raccolto di sangue. I crimini Alleati e sovietici contro il popolo tedesco, 1945-1947" (Italia Storica) non è semplice, commentarlo nemmeno. Facile anche immaginare alcune domande del tipo: stai parlando della Germania nazista responsabile delle leggi razziali, dei campi di concentramento, dello sterminio sistematico di ebrei, rom, omosessuali, comunisti, disabili, partigiani? Stai parlando di quella Germania che combattè strenuamente per Hitler fino all'ultimo giorno? Quella delle parate, di Norimberga, delle croci uncinate? Sì sto parlando di quella e questo libro racconta di quello che fu preparato scientificamente e messo in atto per la distruzione di un popolo sconfitto. Sto parlando dei bombardamenti genocidi sulle città tedesche, vedasi Dresda (ne scrisse Sebald in "Storia naturale della distruzione"), della deportazione dei soldati verso la Russia sovietica e del trattamento che subirono nei campi di prigionia, delle violenze subite dalle donne, dell'esodo di milioni di tedeschi, della divisione in due di una nazione, eccetera. Senza dimenticare bene chi erano gli altri attori in campo in quella guerra, non certo dei veri interpreti di libertà: imperi coloniali (Francia, l'Impero Britannico), il nascente impero statunitense (come dimenticare la segregazione razziale, il comportamento verso i nativi, le operazioni anticomuniste...)...Questo è un saggio (partigiano, di certo anticomunista e condito di molti altri aspetti discutibili) che spinge il lettore di oggi a rivolgersi una domanda: come comportarsi con i vinti? Con i co-responsabili dei peggiori crimini? Se la vendetta è giustificabile, ovvio che è giustificabile da un punto di vista umano, nel pratico come comportarsi? Esistono la pietà e la misericordia? Giusto accanirsi anche sul popolo? Quanto dura questa pena da scontare? Giusto impedire per legge la diffusione e la manifestazione di idee che riteniamo nefaste? So di essere andato fuori tema ma sono queste le domande che mi sono posto mentre leggevo questo libro.


Avevo già scritto di Simone Cattaneo qui e lui mi manca un casino. Ieri, mentre tutti erano fuori per il bel tempo, io ero in casa, stanco morto di lavoro, con ancora questo libro fra le mani. Trascrivo qualche altra poesia.

"Stanotte di fronte al televisore spento
mi sono messo a ballare con una canna da pesca
un lento tragico e romantico, ho spostato i mobili
del soggiorno e al centro del pavimento ho ammucchiato
quotidiani vecchi, cartoni di latte e qualche
fazzoletto sporco. Poi ho dato fuoco a tutto
e mi sembrava di partecipare a uno di quei veri balli
studenteschi pieni di gioia e speranza nella vodka
con un chiasso infernale che mi riempiva le orecchie
con il rumore del mare.
Spento il fuoco, qualche ombra fiera e dura
incisa sulle mura, la canna da pesca incrinata
sono rimasto a suonare su una tastiera sgraziata
chissà poi cosa
aspettando di riprendere fiato
e ho pensato di uscire all'aria aperta ma chiudendo
gli occhi il rosso del fuoco divideva ancora
il mio pavimento e non colava a picco,
rimaneva lì a marchiare il territorio in attesa di tutta la mia miseria." (pag. 24)


"Hai poco da scrivere 
sui rossi riflessi degli ubriachi da bar
se da Desio a Limbiate
ti sognano come un'oliva
in un campari 
hai ben poco da ridere
sui buchi da riempire e da svuotare
se l'unico buco
che t'aspetta è quello
in un polpaccio o nel cervello
hai poco da difenderti
se oggi ti vuoi aggiustare con un santo e 
ti rendi conto che è San Pammacchio. (Pag. 35)


"La madre di un mio compagno delle scuole medie
mi ha bloccato in una strada del vecchio quartiere
dicendomi che suo figlio era morto.
Non si è sbilanciata più di tanto e mi ha invitato al funerale.
Mi è paesi buona educazione accettare.
Una settimana dopo mi ha fermato sotto casa e con aria decisa 
mi ha confidato che calzo lo stesso numero di piede del suo povero figlio,
così mi ha regalato due paia di scarpe e un giubbotto giallo.
Qualche sera fa sono finito in un bar di Milano e 
ho abbordato una ragazza sudamericana molto sensibile
al mio nuovo giubbotto canarino. Ho stretto gli occhi
e le ho sussurrato che per i particolari non bado mai a spese." (pag. 49)


"E finiremo buttati in qualche ospizio 
a bere nei cessi e pisciare per terra
lieti del passato, sereni del presente e poi chissà
tutti insieme a cantare qualche vecchia canzone che non ricorderemo più
diretti dalle mani esperte dell'animatrice che ha appena fatto
un pompino per sfizio al capoufficio e una sega raffinata
al guardiano nigeriano in nome dell'ospitalità del popolo italiano.
Basta un girovita stretto e un culo un po' alto per credere in qualcuno,
anche io in quell'eremita appiccicato alle colline toscane che si crede
la sorella di Maometto sempre pronto a frustarsi schiena e petto
anche quando si scorda il corsetto." (pag. 76)


"Troppo bello per essere un pugile,
troppo brutto per fare il magnaccia
camminavo nel centro di Buccinasco
senza lavoro e inzuppato di grano
aspettando l'ora dell'aperitivo
quando mi sale la voglia di farmi fare le carte dalla vecchia strega del quartiere.
In realtà i suoi tarocchi non sono altro che
pezzi di bibite strappati a dentate ma alla fine ci si arrangia con quel che si può.
Rifilato un carico da venti alla vecchia le chiedo brutale
quando morirò, lei mi sorride e risponde presto a ventisette compiuti.
La informo dei miei ventinove e la mia anziana strega di Buccinasco mi conforta dicendomi,
vedi allora sei un uomo fortunato.
I soldi migliori spesi negli ultimi dieci anni." (pag. 77)

sabato 10 ottobre 2015

Un appello per William Vollmann, "Geopolitica dell'Islamismo. L'integralismo musulmano nel mondo" di Anne-Clémentine Larroque (Fuoco Edizioni), Mordecai Richler, Maura Chiulli,


Un appello alle case editrici: traducete William Vollmann e rimettete in circolo le opere già tradotte. Per piacere: date continuità alla traduzione del ciclo de "I sette sogni". Negli Stati Uniti è appena uscito il quinto volume:


Su Lankelot avevo recensito: "Venga il tuo regno" e "Europe Central". 
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Ieri sul Corriere del Ticino ho l'intervista di Osvaldo Migotto a Anne-Clémentine Larroque autrice di questo saggio che mi piacerebbe leggere: "Geopolitica dell'Islamismo. L'integralismo musulmano nel mondo" (Fuoco Edizioni).

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venerdì 9 ottobre 2015

S-White house



Di Marino. dei suoi difensori, dei suoi accusatori e della fine che ha fatto non me ne frega un cazzo.
Così come di Salvini, Meloni, Renzi, Marchini, Casamonica, Grillo, repubblica, il corriere, il sole24ore, radio popolare, il tempo, il manifesto, il giornale, libero, Di Battista, Fassina, Civati, Landini, Travaglio, Lilli Gruber, Isis, templi, Palmira, Zoro, Alfano, il premio nobel, raduni, Pisapia, Buffon, Berlusconi, Vendola, Verdini, Cuba, Crozza, stati che esistono o che vorrebbero esistere, sindacati, giochi onanistici, blockbuster, tangenziali, matrimoni, festival letterari, festival cinematografici, teatri occupati, costituzioni, expo, olimpiadi, preti, votazioni, scrutini, esami, università, giubilei, sinodi, sinagoghe, mullah, pope, mosche, chiese, cardinali.

Ascolto S-Jenn Ghetto-Jane Champion
Questo ascolto basta per trasmettere il mio pensiero su molte questioni.
La mia vicinanza, appartenenza fisica, mentale su certe tematiche.
Non ho bisogno di molti sbrodolamenti.
Su tutto quello che tocco, leggo, mangio, vedo, accarezzo cerco di restituire la mia complessità, il mio dolore, le mie contraddizioni.
È una vita di merda la mia.
Sbaglio, lo so, sbaglio ogni giorno, ogni volta che respiro, che parlo, che ascolto, che scrivo, che presto attenzione.
Ma voi siete solo delle merde.
Voi sapete chi siete.
Meglio tornare a bere.
Non abbiate paura.
Non avete colpe.
La merda sta dentro di me, me la porto dentro e dietro di me sin da quando son nato.
Fino a quando morirò.
Spero presto.




Il Bestiario degli italiani - Numero 1



È uscito il numero 1 de Il Bestiario degli italiani. Informazioni qui.
Costa 3 euro.

Vi lascio il sommario:

In copertina: “La crocifissione di Pulcinella” di Mario Damiano
3 / L’editoriale di Lorenzo Vitelli – Illustrazione di Ottavia Pompei
4 – 7 / Italian Style di Luca Giannelli – Illustrazione di Matteo Bruni
8 – 9 / Furbi e Fessi di Valerio Alberto Menga – Illustrazione di Matteo Bruni
10 – 11 / L’arte di inabissarsi in Sicilia di Valerio Musumeci
12 / Studi per un discorso su Roma di Renato F. Rallo
14 – 15 / Arte, dissacrazione, religione di Angelo Crespi
16 – 17 /Dino Risi di Mauro Zanon – Illustrazione di Carlotta Correra
18 – 19 / Verranno a chiederci la nostra musica di Mario Manna – Illustrazione di Michele Di Erre
20 – 21 / Mondadori, ma facci Il piacere! di Andrea Chinappi
22 – 23 / L’Europa malata di Antonio Martino – Illustrazione di Pietrantonio Bruno
26 – 27 / No Glocal di Benedetta Scotti – Illustrazione di Michele di Erre
28 – 29 / Un campanile ci salverà? di Lorenzo Vitelli – Illustrazione di Mycelski
30 – 31 / Sicilia, la tragedia classica e la pellicola di Sebastiano Gesù
32 / L’estetica del brutto di Martina Turano
33 / Boudoir Europa di Alessio Mannino – Illustrazione di Lorenzo Vitelli
34 / Baricco, in soldoni di Andrea Chinappi – Illustrazione di Matteo Bruni
35 / Dove c’è spot, c’è casa
36 – 37 / Giuseppe Prezzolini di Valerio Alberto Menga – Illustrazione di Giorgia Visani
38 / Democra-Zia di Andrea Chinappi


Due righe su "Carne viva" di Merritt Tierce (Big Sur)


L'esordio di Merritt Tierce "Carne Viva" (Big Sur, traduzione di Martina Testa) è un romanzo crudo, duro, iper-realistico che racconta la storia di Marie, una ragazza madre un tempo destinata a Yale che vive un'esistenza dissoluta e che per campare supera tutti i gironi dell'inferno della ristorazione, salendo dai locali anonimi fino a a uno dei locali più lussuosi e alla moda di Dallas. La sua giovinezza è scandita da ritmi forsennati e alienanti e standard qualitativi da mantenere e botte di cocaina, autolesionismo, sesso occasionale con decine di uomini, pillole del giorno dopo, fiumi di alcol, erba e un dolore invincibile che le scava dentro. Marie prova un amore assoluto per la figlia, che vive col padre dal quale Marie ha divorziato. Per la figlia Marie sogna un futuro radioso, scuole di qualità, sicurezza economica ma quando trascorre del tempo, poco, con lei Marie non riesce mai davvero a tenere a freno l'orrore che cova nel suo cuore e scoppia spesso a piangere davanti a lei. E il futuro non sembra offrire a questa giovane donna nessuna possibilità se non quella di continuare a lavorare e lavorare e drogarsi fino a scoppiare. Seppur duro e crudo, confesso che le pagine più violente, quelle di sesso e sballo (e un paio di queste situazioni sono davvero da pugno nello stomaco), non mi hanno davvero colpito perché sembravano già sentite altrove e nella loro ripetizione si corre il rischio di annoiarsi.  L'autrice offre invece il meglio di sé nella descrizione senza veli e finzioni del mondo della ristorazioni: opera dei piani sequenza cinematografici straordinari che portano letteralmente a spasso i lettore, s'immerge nei meccanismi che regolano un ristorante come ad esempio la gestione di una sala, il servizio ai clienti, le mance, il rapporto coi colleghi (e qui la Tierce regala dei momenti di assoluto lirismo), gli ordini, la stanchezza, la facilità dei licenziamenti, contratti in nero, i ritmi infernali. I ristoranti descritti in questo romanzo sono dei campi di battaglia feroci da dove emergono personaggi incredibili, dai gestori ai camerieri, dallo chef ai lavapiatti, descritti a tutto tondo nei loro momenti di esaltazione e debolezza, nei loro errori e nei loro eccessi. Conosco bene, dall'interno, il mondo della ristorazione e non mi era mai capitato di vederlo narrato con questo sguardo clinico, preciso ma anche empatico, capace di ricreare sulla pagina un universo di suoni, odori, movenze, urla, getti d'acqua, sporcizia, unto, profumi. 
Chiuso il romanzo resto in attesa del prossimo romanzo della Tierce perché la stoffa della scrittrice di razza ce l'ha tutta.


giovedì 8 ottobre 2015

Su Greta Gysin, referendum, "I Avventur de Alìs ind el Paes di Meravili", Idrovolante edizioni


Chi frequenta questo blog conosce la mia totale avversione per i politici e i partiti ma capita d'incontrare persone che comunque siano di mio gradimento (in Italia non accade). Da quando sono arrivato in Ticino sono rimasto colpito positivamente da Greta Gysin dei Verdi. Ultimamente, viste le dimissioni di Sergio Savoia (un personaggio che detesto), si è tornato a parlare di lei. A lei va tutta la mia stima, pur se non sempre d'accordo con le scelte dei Verdi, e la speranza è che torni presto visto che il tema della distruzione del territorio è all'ordine del giorno.

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Felice che Civati abbia fallito nella campagna firme per i referendum.
Dargli o avergli dato credito è uno degli ennesimi errori che si possano fare.
Non ho bisogno di spiegare perché. 

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Non sono un grande amante del dialetto delle mie zone anche se lo capisco perfettamente ed è strettamente necessario in alcuni ambienti. Dove sto ora poi capire il dialetto è di grande aiuto sul lavoro e non solo. Così c'è questa traduzione in lombardo occidentale a cura di Gianpietro Gallinelli: "I Avventur de Alìs ind el Paes di Meravili" che si può ordinare qui: segreteria@terrainsubre.org

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Nasce una nuova casa editrice/costola: "Idrovolante edizioni". Informazioni qui e se ne parla qui .
Le prime due uscite:


(Qui)




(Qui)

mercoledì 7 ottobre 2015

Due righe su "Il mondo libero" di David Bezmozgis (Guanda) e "L'esercito di cenere"di José Pablo Feinmann (Sur)




Come per i racconti di “Natasha” anche il primo romanzo di David Bezmozgis “Il mondo libero” (Guanda, traduzione di Corrado Piazzetta) è dedicato al tema dell’emigrazione. Questa volta l’autore decide di raccontare le vicende della famiglia ebrea lettone dei Krasnanskij che nel 1978 fugge dall’Unione Sovietica e arriva a Roma per ottenere i documentari necessari per espatriare negli Stati Uniti. Un microcosmo composto dall’anziano patriarca Samuil, funzionario del Partito e veterano dell’Armata Rossa, dalla moglie Emma, dai due figli, Karl con la moglie Rosa e i due figli e Alec con la moglie Polina, che permette all’autore di raccontare e intrecciare la Storia con la S maiuscola a storie apparentemente marginali e intime. La bravura dell’autore sta nel costruire personaggi credibili e dalle mille sfaccettature che oltre a conquistare il lettore permettono di fare luce sulle contraddizioni dell’Unione Sovietica,  di parlare del dramma dell’Olocausto e della Rivoluzione russa e anche della nascita dello stato d’Israele, di raccontare le difficoltà che vivono gli immigrati, i loro sogni, le loro contraddizioni, l’opportunismo, gli escamotage per ottenere un permesso di espatrio, il rapporto con la città, in questo caso Roma e il litorale, che li ospita. È un romanzo che unisce pagine di umorismo e altre di profondissimo dramma e desolazione. Una famiglia che è un mondo che sta andando alla deriva, spezzato, che si dividerà inevitabilmente. Che porta sulle proprie spalle il peso di orrori indicibili, di viltà, di scelte incomprensibili e di fiducia nel futuro. Samuil credeva nella Rivoluzione, i suoi figli credono, sulla parola, nella possibilità di un Occidente o di un Isreale come terra di libertà e nuove possibilità, saranno forse i nipoti a trovare una nuova strada che unisca passato, presente e futuro. Forse.



Leggendo “L’esercito di cenere” di José Pablo Feinmann (Sur, traduzione di Francesca Lazzarato) è impossibile non riconoscere sin da subito, anche per stessa ammissione dell’autore, delle evidenti somiglianze con due capolavori della letteratura: “Il deserto dei Tartari” e “Moby Dick”: Argentina, primi del Novecento, c’è un colonnello, Andrade, che al comando del Settimo Cavalleria insegue per il deserto un nemico invisibile, forse immaginario ma che lascia dietro di sé massacri indibicili. Un nemico che diventa l’ossessione di Andrade, disposto a sacrificare tutti i suoi uomini pur di raggiungere il nemico. A raccontare questa storia è un giovane tenente, Julian Quesada, che dopo aver ucciso un uomo a duello viene inviato da Andrade per accompagnarlo nella sua missione e che di fronte alla follia del colonnello deciderà di prendere il comando dei soldati. Detto delle somiglianze con i due romanzi, “L’esercito di cenere” nella sua brevità è un romanzo di una potenza incredibile, dotato di una scrittura visionaria che mescola deliri, descrizioni, battaglie, sermoni alla Achab, ferocia inaudita, miraggi. Sono un estimatore assoluto di Moby Dick, un vero fanatico a dire il vero e ho apprezzato questo romanzo proprio per come l’autore ha innestato una dose ancora maggiore di ferocia, per come mi ha fatto sentire il peso di questa ossessione, di questo mostro da uccidere, di questa impurità da cancellare dalla terra, di questo Male che si guarda allo specchio, che ci divora da dentro, inafferrabile, misterioso, invincibile o forse siamo noi la preda, il vero Male, non siamo noi il cacciatore ma la preda e infatti la colonna verrà assaltata, salvandosi per miracolo. Una lotta contro la Morte che è lotta per la vita, che è difesa della vita e la Morte non è morte se la si raggiunge combattendo. Feinmann, come d’altronde Buzzati e Melville, ci fa sentire vicino il colonnello, ce lo fa sentire nostro, siamo noi il colonnello. Il suo crollo psichico, degno di un Don Chisciotte che combatte contro i mulini a vento, è da lacrime. Così come la bambina superstite di uno dei massacrici che si prende cura di lui, che lo custodisce. “L’esercito di cenere” è un viaggio che conduce alla follia e all’abbandono dei massacri come accade al tenente, figura tragica ed eroica insieme: inseguito dal Destino non dimentica il gesto d’amore, la riconoscenza nei confronti del colonnello, la giusta sepoltura, il rifiuto dell’anonimato di una fossa comune destinata ai pazzi. E nell’ultimo duello c’è solo il proprio corpo, il proprio volto da mostrare. La Morte è vinta.

martedì 6 ottobre 2015

Amianto, film (Un colpo di pistola, Argento vivo, Cenere e diamanti, La cerimonia), Ezra Pound

Per curiosità sono andato a sfogliare Repubblica per scoprire dove avessero messo la notizia del rinvio a giudizio di De Benedetti, Colaninno e Passera e ho dovuto sfogliare parecchio fino alle pagine di economia per trovarla. Anche sul sito bisogna scendere e scendere. Ovvio che andasse in questo modo, vale per tutti i giornali. Probabilmente a due nuove intercettazioni di Ruby avrebbero dedicato venti pagine.

Rimanendo all'amianto. Sono cresciuto vicino alla fabbrica dove per vent'anni lavorò mia madre col tetto ricoperto d'amianto e tanti casotti degli orti avevano la copertura in amianto. Lo utilizzavamo anche noi nei nostri giochi. Ricordo anche, potete non crederci, di come M. per vincere una scommessa ne leccò un pezzo. Adesso è diventato un gigante alto due metri e con una pancia a mappamondo. Ciao, M.

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Nel cinema dove lavoro non c'è un solo film che mi interessi e più in generale mi interessano poco quelli di cui si sta parlando attualmente (Segre, Caligari, eccetera) e allora sono andato a recuperare film di un'altra epoca che come al solito mi garantiscono ore di godimento.






Un libro che cercherò assolutamente: