Quasi vent'anni ricevetti una lettera scritta da un amico, in quella lettera c'era una citazione, fra virgolette, con due iniziali, R. B. Avevo appena combinato una cazzata gigante. Quelle frasi le ho recuperate oggi leggendo questo libro e suonano così. Lui è Robert Brasillach:
"Qualunque stupidaggine faccia un amico, qualunque strada prenda, la fedeltà vuole che lo si sostenga nonostante e contro tutto."
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Ieri è morto Wes Craven. Vidi "Le colline hanno gli occhi" da ragazzino e ricordo il panico della visione ma anche il piacere che mi percorse tutto.
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Sempre rimanendo nel campo del cinema, per Gallucci è appena uscito "Splatter", una raccolta di racconti di Ed Wood. Un grande.
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Il resto sono giornate di fatica. E di abbandono. Di due ore a notte di sonno e di un senso di angoscia che mi spezza lo stomaco. Di persone del cazzo col quale avere a che fare e alle quali sparerei volentieri in testa. Di sindacalisti che seppellirei in fondo al lago. Di legami familiari che non mi dicono nulla. Di diarrea. Di buco del culo che brucia. Di mal di testa da far passare a colpi di pillole. Di dipendenza dall'alcool. Di supermercati. A breve la necessità di trovare un nuovo lavoro. E colloqui. E scuse. E curriculum. E intorno il vuoto. Mi dedico alle camminate. Al fiume. Al lago. Alla mia pianta. Alle letture. Non c'è mai fine allo schifo. La speranza è che dopo la morte non ci sia assolutamente nulla.
Potrei stilare una lista di chi (e che cosa) non mi piace ma cento fogli bianchi non mi basterebbero. Sono un misantropo, un coglione, un presuntuoso, un arrogante, uno che se è ancora vivo lo deve solo agli altri, un solitario, uno che straparla spesso ma in questi giorni ho ricevuta la conferma di quanto mi confessò quasi dieci anni fa una delle persone più importanti della mia vita: "Non ti fidare mai di quelli che ascoltano i 99Posse..." Di acqua ne è passata sotto i ponti ma, salvo le solite eccezioni, devo confermare che da quelli che ascoltano i 99Posse (uomini e donne che si riempivano la bocca di diritti, libertà, rivoluzione, solidarietà, antirazzismo e tanti bla bla bla) ho ricevuto sempre e soltanto un sacco di fregature e vigliaccate e meschinità di ogni genere.
Mi è successo anche recentemente e fatico a digerire questa storia.
E non voglio digerirla.
Questa volta no.
"L'angelo Esmeralda" di Don DeLillo (Einaudi, traduzione di Federica Aceto) raccoglie nove racconti scritti in un arco di tempo che va dal 1979 al 2011. Tranne i primi tre suoi libri "Americana", "The End Zone" e "Great Jones Street", noiosissimi e pedanti, amo la produzione letteraria di DeLillo.
Di questi nove racconti, tutti molto belli, quelli che ho particolarmente apprezzato sono "Momenti di umanità nella terza guerra mondiale" del 1983 che racconta di due astronauti dispersi nello spazio, "Il corridore" del 1988, breve, angosciante nella sua circolarità di particolari e "La Denutrita" del 2011 che mi ha ricordato che un caro amico. Quello più angosciante in assoluto "Baader-Meinhof" del 2002. Ci sono frasi di DeLillo che mi piace rileggere e rileggere per sentirne il peso nella testa.
Un estratto da "Momenti di umanità nella terza guerra mondiale":
"Vollmer è entrato in una fase strana. Adesso passa tutto il tempo alla finestra, e guarda la Terra. Dice poco o nulla. Vuole guardare e basta, non fare altro che guardare. Gli oceani, i continenti, gli arcipelaghi. Siamo stati programmati per intraprendere una serie di orbite cosiddette variabili e non c'è monotonia da una rotazione intorno alla Terra a quella successiva. Sta seduto lì e guarda. Mangia alla finestra, spunta la sua lista da cose da fare alla finestra, dando appena uno sguardo alle istruzioni mentre passiamo sulle tempeste tropicali, sopra gli incendi boschivi e le maggiori catene montuose. Io aspetto che lui riprenda la sua abitudine prima della guerra, che torni a usare frasi arzigogolate per descrivere la Terra: un pallone da spiaggia, un frutto maturato al sole. Ma lui si limita a guardare fuori dalla finestra, a mangiare croccanti di mandorle, con gli involucri che galleggiano in aria. È chiaro che quella vista riempie la sua coscienza. Ha il potere di ridurlo al silenzio, di zittire la voce che gli rotola giù dal palato, di lasciarlo tutto storto sulla poltrona, attorcigliato scomodamente per ore e ore di fila. Quella vista dà un appagamento senza fine. È come la risposta a una vita di domande e di vaghi desideri. Soddisfa ogni curiosità infantile, ogni aspirazione messa a tacere, lo scienziato che c'è in lui, il poeta, il veggente primitivo, l'osservatore del fuoco e delle stelle cadenti, qualunque ossessione abbia mai tormentato le sue notti, qualsiasi desiderio dolce e sognante lui abbia mai provato nei confronti di quei luoghi lontani e senza nome, qualunque senso della Terra lui possegga, l'impulso neurale di una consapevolezza ancora più scatenata, una comprensione per le bestie, qualunque fiducia in in una forza vitale immanente, nel Signore della Creazione, qualunque segreta convinzione dell'idea dell'unicità umana, qualunque desiderio e speranza, qualunque troppo e non abbastanza, qualunque tutto in una volta e a poco a poco, qualunque bisogno ardente di fuggire dalle responsabilità e dalla routine, di fuggire dal suo essere troppo specializzato, dall'io circoscritto e rivolto all'interno, qualunque fossero i resti del suo fanciullesco desiderio di volare, dei suoi sogni di spazi strani e altezze inquietanti, le sue fantasie di una morte felice, qualunque inclinazione a un'indolenza sibaritica - lotofago, fumatore di erbe e piante aromatiche, occhi azzurri che fissano lo spazio -, ebbene, tutti questi bisogni sono soddisfatti, tutti raccolti e ammassati in quel corpo vivente, lo spettacolo che vede dalla finestra. - È semplicemente troppo interessante, - dice alla fine. - I colori e tutto quanto. I colori e tutto quanto." (pp. 45-46)
Un grande libro di Ernst Jünger: "Sulle scogliere di marmo" (Guanda) che ho letto a 17 anni. Su Barbadillo ne scrive Renato de Robertis qui. Ne aveva scritto anche Gianfranco Franchi su Lankelot qui.
"Abolire il carcere" di Luigi Manconi, Stefano Anastasia, Valentina Calderone, Federica Resta (Chiarelettere) è un libro importante che merita di essere letto e discusso all'interno di coloro che hanno veramente a cuore le sorti del paese/pianeta dove vivono. Personalmente potrei essere anche più radicale e molto meno riformista o quantomeno potrei anche aggiungere che (come tra l'altro viene espresso anche in questo saggio) sono favorevole alla giustizia fai da te e alla vendetta piuttosto che rinchiudere una persona in cella fino alla fine della sua vita. Ho sempre disprezzato i forcaioli di tutti i colori e chissà cosa ne penserebbero i fatti quotidiani davanti al titolo dell'ultimo capitolo: "Perché nessuno (nemmeno Berlusconi) deve andare in galera".
All'interno del saggio è presente anche un Decalogo per l'abolizione immediata del carcere, ecco i punti:
- Il diritto penale come extrema ratio
- Cancellare l'ergastolo, ridurre le pene detentive
C'è stato un periodo della mia vita, ne ho già scritto altrove, che ero quasi sul punto di mollare tutto e arruolarmi nella Legione Straniera o partire per l'Africa in cerca di avventura e ho sempre subito il fascino del mercenario, del legionario. Un fascino ovviamente più letterario e fantasioso che altro o tutto frutto di racconti di un paio di amici di mio nonno che dopo la guerra non ce la fecero proprio a rimanere in Italia e che per un sacco di anni continuarono a combattere in giro per il mondo. Non ho nemmeno fatto il militare. Di libri dedicati ai mercenari ce ne sono tanti in circolazione ma forse quello che ho apprezzato maggiormente è stato "Battaglione Leopard - Ricordi di un africano bianco" di Jean Schramme (qualche informazione qui). Recentemente mi è capitato anche di leggere "Mercenario. Dal Congo alle Seychelles. La vera storia di “Chifambausiku” Tullio Moneta" di Giorgio Rapanelli e Ippolito Edmondo Ferrario, Pag. 144 + 24 di foto b/n e colori, Euro 18,00, Edizioni Lo Scarabeo-Milano. Collana Documenti per la Storia). Informazioni qui. Se siete interessati a questo argomento vi consiglio di leggerlo.
"Cinquemila chilometri al secondo" di Manuele Fior (Coconino Press) è una graphic novel struggente che racconta una storia d'amore a tre che dura tutta una vita. E che non finisce ma che finisce. Una storia d'amore senza lieto fine. I colori, il tratto, gli sguardi di queste pagine ti restano addosso.
Ho incrociato Michele su Lankelot dove tutti e due abbiamo scritto per un sacco di tempo e qui ci sono tutte le sue recensioni. Scrive su Satisfiction e Flanerì. Quando lo avrò letto vi farò sapere.
Leggere "Un posto al mondo" e più in generale i libri di Wendell Berry significa precipitare in un mondo fatto di piccole grandi cose, di solidarietà, drammi, cimiteri, fatica vera, campi coltivati, torrenti, fiori, relazioni sincere, vitelli, pecore, negozi malconci, alberghi improbabili, fittavoli, parentele che si intrecciano e si disperdono. Di tempo che scorre senza preoccuparsi a tutti i costi della modernità.
Il passaggio che trascrivo sotto riguarda un ragazzo dato per disperso durante la guerra. Anche mio nonno fu dato per disperso dal '43 e immagino la disperazione che provarono i miei bisnonni e mia nonna quando ricevettero la notizia.
"Attesa
Margaret siede nell'oscurità vicino alla finestra.
Ha sciolto i capelli e li spazzola con lunghi colpi lenti. I capelli scendono scuri sulle spalle della camicia da notte.
Mat è uscito. La casa è buia e silenziosa.
Finisce di spazzolare i capelli e li raccoglie dietro le spalle in una treccia spessa.
Terminata quell'ultima incombenza resta in silenzio seduta ad ascoltare, come captando le voci di grida e pianto dentro il suo corpo. Aspettava questo momento. Sa che sono continuate per tutto il pomeriggio e la sera, ma soltanto ora è abbastanza tranquilla per udirle.
La casa si riempie e trabocca del proprio silenzio.
Posa la spazzola in grembo. Si culla lenta sulla sedia a dondolo. I pattini cigolano e picchiettano leggeri sul pavimento di legno.
Gli occhi ora sono abituati al buio. La camicia da notte, i cuscini sul letto e le facciate bianche degli edifici lungo la strada brillano di una debole, pallida luce.
Resta in attesa nel silenzio della casa, come se, a mezzo mondo di distanza Virgil, ne potesse udire il respiro.
Quell'attesa non le pare tanto strana. Dopo la nascita di Virgil ha atteso di sentirlo piangere. Persino nel sonno, ha atteso di sentirlo risvegliare. Qui, in questa casa, ha atteso il suo ritorno da migliaia di partenze.
È nato dal suo corpo in quest'assenza.
Tenderà l'orecchio a ogni passo, a ogni porta che si apre." (pp. 85-86)
"Il porto delle nebbie" è un gran bel film del 1938 diretto da Marcel Carné e tratto da un altrettanto bel romanzo del 1927 scritto da Pierre Mac Orlan e uscito in Italia per Adelphi. Questo è uno dei tanti film dove recitò nella parte del pittore, Robert Le Vigan, l'uomo che scappò dalla Francia insieme a Céline, Lili e Bébert, nonché uno dei protagonisti di "Nord", capitolo centrale della Trilogia.
Fu, ad esempio, un intenso Gesù Cristo, nel film "Golgota" di Julien Duvivier.
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Nel frattempo ricomincia tutta la manfrina Tsipras di qua e Tsipras di là. E intanto sfoglio Il Manifesto e da qualche tempo a sta parte c'è questo dibattito all'insegna del: C'è vita a sinistra. Dopo averne letti un bel po', compreso l'insignificante articolo di Valentino Parlato, la risposta è: no, non c'è vita a sinistra. Almeno non in questa sinistra.
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"L’usuraio distruggerà ogni ordine sociale, ogni decenza, ogni bellezza" (Ezra Pound)
E non vedo l'ora di leggere il nuovo romanzo di Martin Amis, che tanto sta facendo discutere:
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Alcuni giorni fa io e la mia ragazza abbiamo incontrato su una strada di montagna a poca distanza da casa nostra un cinghialino disperso che dopo qualche tentennamento nei nostri confronti si è subito nascosto nella boscaglia. Tempo prima era stata la volta di un paio di daini e le volpi mi capita spesso di vederne. Quando incontro degli animali selvatici sono scosso dal torpore e attraversato da scariche di adrenalina e piacere. Vivere in un bosco, fra le montagne, lontani dai centri abitati è uno dei sogni che abbiamo. Speriamo di riuscirci prima o poi.
Un articolo di Adriano Scianca a questo proposito qui:
- Quanta tristezza ho respirato ieri a Milano. La Darsena rifatta sembra la hall d'ingresso di un outlet o di un centro commerciale o anche di un ospedale o le labbra a botulino di parecchie star ma anche persone qualunque. Quantomeno potevano rifarla senza buttarci dentro altre strutture o divanetti. Stessa cosa per il resto del Ticinese. Divertimentificio a tutto spiano. Per non parlare del resto della città. A un certo punto circondato com'ero da fantasmi con in mano un bastone del cazzo per farsi un selfie sono stato preso da un tale attacco di rabbia che per calmarlo ho dovuto chiudermi in un cesso. Per non dire dell'orrore che mi hanno trasmesso le librerie Mondadori e Feltrinelli. La Hoepli si salva ancora. Che bello è stato tornare in una cittadina semivuota e placida e senza particolari motivi di interesse per il mondo intero. Ma c'è il lago e i negozi sono chiusi la domenica e il resto dei giorni alle 19 o anche prima. E continuare a leggere Wendell Berry e trovare me stesso nella continua rilettura di Céline.
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"Genitori" di Alberto Fasulo è stato presentato fuori concorso al Festival di Locarno ed è un film che mi interessa molto. Ho lavorato per anni coi disabili e altre persone con gravi problemi e spesso ho avuto a che fare con i loro genitori e familiari. In cooperativa poi arrivò anche Simona, la ragazza nata il mio stesso giorno. Sua madre partorì poco prima della mia. Ci facemmo forza a vicenda. Sua madre ci mise molto prima guardarmi senza odio nel cuore.
"Il gregario", uscito nel 2008 per Minimum Fax, è il romanzo di un carissimo amico, Paolo Mascheri. Sto di merda tutti i giorni, mi sforzo ogni giorno di trovare un motivo per continuare a vivere e non gettarmi da qualche precipizio che facilmente troverei fra le montagne che mi stanno vicino. La depressione mi divora lentamente nella sua durevolezza. Insiste e non mi molla mai anche quando prendo un caffè nel primo bar che incontro per strada. E postare video su Goole Plus o come cazzo si chiama è solo un modo per rendermi ancora più ridicolo. Per amplificare il disagio. L'angoscia. La voglia di morire. Perché intorno alla morte ci giro intorno tutto il giorno. Al senso di fallimento. Di inappetenza. Di disagio. Di voglia di scomparire. Contro questo romanzo mi sono scontrato appena uscì, mi comportai da stronzo perché non ebbi il coraggio di affrontarlo veramente o perché lo avevo affrontato talmente a nudo che ne uscii distrutto o forse perché lo lessi nel periodo sbagliato e mi ci scaraventai addosso proprio perché sembrava che parlasse di me. E parlava di me. Eccome se parlava di uno come me E non ho fatto altro che pensarci durante tutti questi anni. Avevo pure promesso di scriverci sopra una recensione ma non ce l'ho mai fatta a pubblicarla. Ce l'ho in testa la parola gregario. Ce l'ho conficcata nella carne. Nel cuore. Nella testa. Nella voce. Nel fiato. Nelle strette di mano che offro come un servo al lavoro, in casa, ai vicini, ai familiari, ai dottori, a tutti quelli che incontro nella mia vita. Ce l'ho qui, in fondo alla gola, nelle lacrime che non verso mai perché poi tutti mi chiederebbero come sto.
Nelle corse ciclistiche a un certo punto il gregario si stacca dopo aver lavorato un casino per il proprio capitano.
E ce lo si dimentica.
Dimenticatemi.
"Non riesce a togliersi quella parola dalla testa: radiato. Tuttavia quel verbo francese, quel participio passato tanto definitivo quanto amputato, defunto, andato, morto, non gli fa paura. Radiato.
Se non ha paura è solo perché c'è una parte di lui che si è sempre sentita radiata, tagliata fuori.
Si è sentito radiato quando era un bambino timido che non partecipava ai giochi di gruppo, quando era un adolescente incapace di vivere un'adolescenza come tutti gli altri. E ora non c'è forse in lui la consapevolezza profonda di essere stato, per i suoi anni migliori, fermo al palo, ad aspettare - chi? e che cosa? - sprecando la giovinezza?
Come può pensare di fargli paura, questo collega? Che ne può sapere questo uomo di lui e del suo passato?" (pag. 83)
- ho in testa solo in testa di scomparire per sempre -
“Oggi il nome «democrazia» è rimasto alle usurocrazie, o alle daneistocrazie, se preferite una parola accademicamente corretta, ma forse meno comprensibile, che significa: dominio dei prestatori di denaro.”
Pensavo che nel 2015 si fosse ormai smesso di stare ad ascoltare preti, vescovi, sciamani, mullah, rabbini e compagnia bella. Se poi a tutte queste dichiarazioni sommiamo quelle dei "politici", dei giornalisti, degli analisti, dei filosofi il livello della merda sale così tanto che ovunque vado sento puzza, in un panorama composto da uno stuolo di persone che baciano le loro reliquie lavorative, religiose, le loro schede elettorali, le loro tessere, le loro bandierine sindacali, le loro carriere, i loro contratti, gli scontrini, le borse della spesa, i gratta e vinci, il romanzo d'autore. E il fetore mi resta tanto addosso che solo con del cianuro starei finalmente bene.
È un periodo che vedo parecchi dottori, ospedali, cliniche. Anzi sono quasi tre anni che sono i luoghi che frequento con più assiduità. Rileggevo “Da un castello all'altro” e c'è un pezzo molto bello dedicato ai chirurghi:
“ma i satanassi avevano la mania di operare! Non importa che cosa, non importa come, ernia, otite, verruche, cisti!... tagliare che volevano, tutti!... chirurghi!... è da notare pure, anche nella vita ordinaria, che i balenghi, illuminati, guaritori, chiropatrici, fachiri, sono per niente soddisfatti di dare appena dei piccoli consigli, pillole, fiale, amuleti, caramelle... no!... il Grande Gioco che li ossessiona!... Grand Guignol!... che coli sangue!... palpiti!... oh, senza assolutamente mettersi a fare il Daudet!, l'evidenza stessa, che la chirurgia ordinaria, la più impeccabile, la più ufficiale,, somiglia parecchio al Circo Romano!... sacrifici umani così tartufi!... ma che le vittime ne chiedono ancora! Autopunitivi come nessun altro! che gli taglino via tutto!... nasi, seni, ovaie...burro dei chirurghi! macellai di precisione, orologiai... avete un figlio che s'indirizza?... si sente lui vero assassino?... innato? il vecchio fondo antropopitetico? strappacervelli, trapanatore, cranio maciullatore?... bene! bene! Eccellente!... delle Caverne? che si butti! che lo proclami! ha il dono!...la Chirurgia è affare suo! ha la stoffa del “Grande Maestro”!... le signore, stronze e sadiche come nessuno, andranno in estasi solo che a vedergli le mani... “ah che mani!... che mani!”... s'arrapano folli!... supplicano, rantolano, che gli prenda proprio via tutto! e subito! tutta la loro grana! la loro dote! il loro utero! il loro essenziale e le tette! le sventri bene!... gli rivolti bene il peritoneo, le svuoti! coniglie! tutte le entragne sgocciolanti a dovere! tutto il loro bazar! parecchi chili, pieno il vassoio!... diletto orrendo assassino!... “sacrificatore del mio cuore” Landru, Petiot d'Accademia!
Idoli aztechi? Puah! sangue coagulato, comiche!...gran mangiatori pauini sforniti di missionari?... da ridere!... Sade, divino marchese?... bambinate! la più piccola sala operatoria, là vedi la Grande Arte vera!... “Sacrificatori imbottiti d'oro!” e i visisezionati, raggianti! in paradiso!... gli animali alla Villette o Chicago hanno paura! hanno il senso di ciò che sta per accadere... i cari malati del Grn Maestro vanno a farsi aprire con amore...”
(brano tratto da “Un castello all'altro”, pag. 208, traduzione di Giuseppe Guglielmi)
In questo romanzo viene citato "Les vampires", dateci un'occhiata:
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Quando guardo una foto di Costanzo Preve mi sembra di vedere mio nonno. C'è una grande somiglianza fra loro. Su L'Intellettuale Dissidente è stata da poco pubblicata la traduzione di una sua lunga lettera. Qui. Un libro interessante è questo: "IL PARADOSSO DE BENOIST" (Settimo Sigillo)
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Album in ascolto costante da un po' di tempo a questa parte:
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Per mia madre e per una persona lontanissima (visto che mi ricordo?), il nuovo ep di Bridget Kelly: "Summer of 17"
Nell'articolo si fa riferimento anche a questo libro:
E tantissimo tempo fa mia madre mi regalò per il mio compleanno il saggio di Robert Conquest, recentemente scomparso. I saggi erano letture troppo impegnative per mia madre ma ci teneva che lo leggessi:
- Ferragosto. Senza festeggiare. Senza vedere familiari, parenti e cazzi vari. La maledetta pioggia che cade dal cielo. Domani è San Rocco. La vera festa di mia madre. Da quando lei non c'è più per me si è trasformata in una giornata maledetta. Da bambino, se non ero al mare, c'erano il palo della cuccagna, la cassoela, la trippa, la messa col bacio alla reliquia, la pesca coi regali più improbabili di questo mondo, le frittelle, i fiori e i paramenti a tutte le finestre e balconi del rione, il ballo liscio, il tiro con le freccette, la processione con la statua del santo, i pesciolini fritti e soprattutto il ritorno nel rione di tutti quelli che erano nati e cresciuti lì e che poi se n'erano andati via. Oggi è tutto scomparso, resistono solo la messa mattutina e la processione serale. L'intero rione è cambiato. E ci sono ancora tante case che aspettano di essere abbattute. Dell'antico nucleo finirà per rimanere in piedi solo l'antica chiesetta. E le persone come me che cercheranno di ricordare quello che è stata questa festa. Uno dopo l'altro muoiono. Rimaniamo in pochi. E purtroppo a molti di quelli che rimangono interessano solo gli aspetti esteriori. Mi sento in colpa anche per questa festa. Sono milioni i motivi per cui mi sento in colpa nella mia vita. Me li porterò tutti nella tomba.
"Si può amare Céline in vario modo. In Francia, in Italia o altrove, tra i céliniani ci sono i célinofili, i célinologhi, i célinomani. Ci sono quelli a cui piace Céline pe le sue idee politiche ( e che sicuramente non l'apprezzerebbero molto se avesse professato idee diverse o opposte!) e anche quelli, al contrario, che lo amano nonostante le sue idee politiche. Ci sono quelli a cui piace l'uomo ancora più dell'opera e quelli a cui piace l'opera senza avere grandi simpatie per il suo autore. Ci sono quelli interessati innanzitutto alla sua lingua e al suo genio letterario e quelli interessati in particolare all'atmosfera così originale che si respira nei suoi libri, allo sguardo che sa portare su uomini e cose. Ma tutti, sono più o meno concordi, nel riconoscere che la "petite musique" di Céline - è così che egli definva la sua scrittura - ha lo scopo primario di far nascere i sentimenti, di sollecitare le anime pittosto che deliziare lo spirito"
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- Succede che alcuni giorni fa mio padre mi aveva raccontato di una persona che conoscevo di vista e che viveva nel paese accanto al nostro che era stata data per dispersa. Poi accade che consulto la pagina di un sito informazione lecchese e scopro che hanno ritrovato il cadavere di questa persona. Probabilmente un suicidio. E telefono a mio padre che resta senza parole. Perché lui la conosceva questa persona. Tutto qui.
Mentre guardavo la miniserie statunitense "The Pacific" non facevo che pensare a mio nonno e alle sue storie di guerra. Ci sono alcuni passaggi di questa serie televisiva durante cui mi sembrava proprio di ascoltare la sua voce. Mio nonno tornò dalla guerra con quello che viene chiamato "Disturbo post traumatico da stress". Non si manifestò subito. Anzi, mia nonna mi racconta che fino al matrimonio tutto sembrava normale, per quello che può essere normale la vita di un reduce in un'Italia uscita distrutta dalla guerra. Forse per la mole di attività che mio nonno si ritrovò a svolgere appena tornato in Italia: l'albergo, il matrimonio e molto altro. Diciamo che fu il matrimonio lo spartiacque: la calma, la vita che riprende, i figli a farlo crollare. Uno dei primi episodi (in The Pacific c'è questa scena) accadde durante un'uscita di caccia con dei parenti di mia nonna. Ritrovatosi nel bosco col fucile in mano fu preso da un rovinoso attacco di panico. Nelle settimane successive cominciò a svegliarsi di notte sollevando le coperte e sparando contro bersagli visibili solo nella sua testa, gridando, piangendo, nascondendosi negli angoli bui della casa. Dovette trascorre parecchio tempo prima che ne uscisse e intanto erano già nati nel '47 mio zio e nel '48 mio padre. In realtà la guerra non lo abbandonò mai e in parecchi mi raccontavano che non era più il Cesare partito per l'Albania nel '39. Crescendo ho finito per chiedermi cos'abbia significato per mio padre e i miei zii avere come padre un uomo con un cuore e una mente così lacerati. Ma c'è una cosa che mi diceva sempre mia nonna che lo amò fin da quando lei aveva 15 anni e lui 21: "Tuo nonno è tornato dalla guerra cambiato e silenzioso ma non ha mai smesso di essere una persona buona, sensibile e generosa." Di sicuro non amava i film di guerra. Non guardava assolutamente niente che riguardasse la Seconda Guerra Mondiale. Diceva: "Non c'è realismo. Non c'è niente lì dentro di quello che ho visto." Chissà cos'avrebbe detto di questa miniserie e di altri film bellici usciti negli ultimi anni. O dei libri di guerra che leggo continuamente. Avrebbe acceso una sigaretta e mi avrebbe chiesto le motivazioni della mia proposta. Così come quando mi chiese di spiegargli cos'avevo capito del Don Chisciotte. Non la trama ma il significato. L'uomo che gestiva un albergo e non sapeva cucinare nemmeno una bistecca. Solo il caffè e il latte nel pentolino in ghisa. L'uomo con più charme che io abbia mai incontrato. Che leggeva il giornale tutte le mattine, saltando solo le notizie sul calcio. Che doveva vedere il tg almeno una volta al giorno. Che amava il mare. Adesso che sono invecchiato ho compreso perché desiderava che affrontassi la carriera militare. Ma questa è un'altra storia. In questo periodo di vera merda pensare a lui mi tranquillizza.
Un gran disco metal, post-rock, doom: "Migration Light" dei Three Steps to the Ocean (SHOVE / Sangue Disken). Lo potete ascoltare, scaricare gratis o acquistare qui. L'ha recensito Manfredi Lamartina su Rockit.
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Maggiori informazioni qui. Così, tanto per ricordarci di come stiamo trattando questo pianeta.
- quanto non mi fanno ridere o pensare i vignettisti dei giornali...il vuoto che mi lasciano addosso....che tristezza che mi fanno....che dolore...
- e quanta tristezza mi fanno i vari cardinali, cei, sindacatini, salvini, grillo, destrini e sinistrini, fatti quotidiani e manifestiani, renzinai e cuperliani, civatiani e ferreriani, piddini e vendoliani, pidiellini e fratellini italici e compagnia degradante. al solo vederli vengo scosso dalla diarrea.
- ascolto i Disciplinatha, cerco di combattere contro le zanzare e il mal di stomaco e cucino polpette di lenticchie.
- poi mi diverto con Grimes che non piace quasi a nessuno.
- e leggo. leggo tanto. ma non vi dico cosa. vi sarete annoiati. e comunque fra le varie cose mi sto dedicando a Martin Heidegger.
Quando ero un bambino e vedevo questo libro in biblioteca o in libreria mi veniva un sacco di paura. Poi un giorno trovai il coraggio di leggerlo e lo trovai veramente bello. Quest'anno Stampa Alternativa l'ha riportato in vita insieme all'inedito "Vittorino testa di bue" con questa copertina:
Sono uscito devastato e commosso dalla rilettura di "Piattaforma". Un estratto:
"Assaporai un boccone del mio pollo al pepe verde; in effetti se ne poteva anche ipotizzare una variante coi manghi. Jean-Yves scuoteva la testa, pensieroso. Guardai Valérie: era una buona predatrice, più intelligente e tenace di me; mi aveva scelto per condividere la sua tana. Si può postulare che le società si reggano se non su una volontà comune quantomeno su un consenso - quel consenso che talvolta, nelle democrazie occidentali, i commentatori provvisti di idee politiche molto decise definiscono come fiacco consenso. Io stesso, di indole decisamente debole, non avevo mai fatto nulla per alterare tale consenso; quello che invece mi sembrava meno scontato era il concetto di volontà comune. Secondo Emmanul Kant, la dignità umana consiste nell'accettare di essere soggetti a leggi soltanto nella misura in cui si possa considerare al tempo stesso come legislatori; un'idea così bislacca non mi aveva mai neppure sfiorato la mente. Non soltanto non votavo, ma le elezioni le avevo considerate sempre e soltanto degli eccellenti spettacoli teletrasmessi - nei quali, peraltro, i miei attori preferiti erano proprio i politologi: Jérome Jaffré, in particolare, mi mandava in estasi. Quello della politica mi sembrava un mestiere difficile, molto tecnico e logorante - cui ero ben felice di delegare tutti i miei diritti. In gioventù avevo conosciuto dei militanti, gente che riteneva necessario far evolvere la società in questa o in quella direzione; per loro non avevo provato mai né simpatia né stima. Anzi, pian piano avevo imparato a diffidarne: quel loro modo di interessarsi a cause universali, di considerare la società come se ne fossero una porzione fondamentale, ai miei occhi aveva qualcosa di losco. Per parte mia cos'avevo da rimproverare all'Occidente? Ben poco, anche se comunque non provavo nessun tipo di attaccamento nei suoi confronti (e facevo sempre più fatica a capire come si potesse provare attaccamento per un'idea, per una nazione, e in genere per qualsiasi cosa che non fosse un individuo). In Occidente la vita era cara, e faceva freddo; la prostituzione era di pessima qualità. Fumare nei locali pubblici era diventato difficile, così com'era quasi impossibile rifornirsi sia di farmaci sia di droghe; si lavorava troppo, c'erano troppe automobili e troppo rumore, e di notte le strade erano sempre più pericolose. Insomma, la vita in Occidente era piena di inconvenienti. Con un improvviso senso di sgomento mi resi conto che vedevo la società in cui avevo vissuto fino a quel momento come una specie di habitat selvaggio, qualcosa tra la giungla e la savana, alle cui leggi avrei dovuto adattarmi. L'idea che fossi parte di quell'habitat non mi aveva mai neppure sfiorato; la mia era come un'atrofia, un'assenza. Era difficile credere che una società popolata da individui del mio genere potesse sopravvivere a lungo; io invece potevo sopravvivere grazie a una donna, una donna da amare e rendere felice." (pp. 268-269)
Che bello rileggere "Piattaforma" di Michel Houellebecq (Bompiani) mentre tutti vanno in vacanza e qualcuno mi parla di prossime vacanze esotiche. Rileggere questo libro dopo aver avuto al lavoro una responsabile thailandese e un collega assiduo frequentatore della Thailandia è ancora meglio. Adoro Michel.
Ci sono giorni come questo, d'attesa e fortissima depressione, che riesco solo a bere birra, guardare fuori dalla finestra, leggere vecchi albi di Mister No e pensare ai miei nonni.
Ho sempre trovato devastante il finale de "Il giovane Holden". Lo rileggo e mi salgono ancora le lacrime.
L'Expo di Milano fa schifo e ogni giorno inanella una serie di schifezze. Vaffanculo all'hamburger di zebra e a tutti quelli che l'hanno mangiato e che lo mangeranno...non so più dove sbattere la testa.
- I Radicali sono l'unico movimento/partito per cui provo simpatia in Italia, seppure su molti punti sono in disaccordo. Quando sono in auto e torno in Italia è quasi automatico per me cercare la frequenza di Radio Radicale e poi magari cambiare canale se trasmettono le noiosissime sedute di Camera, Senato o qualche commissione. Di questi giorni è il litigio fra Pannella e Bonino, uno dei pochi motivi per cui purtroppo le persone tornano a parlare dei Radicali. Su Il Garantista c'è un bell'articolo di Laura Arconti: I Radicali e la sindrome da "ex".
che mi sono messo a cercare i suoi scritti e l'interessante casa editrice Caravan Edizioni ha pubblicato "Rivendicazione dei diritti della donna". Sono stato cresciuto ed educato da donne forti, indipendenti, controcorrente. È anche grazie una donna, a una professoressa divenuta poi direttrice del collegio dove ho studiato, se mi sono messo a scrivere e non ho mai smesso di leggere.
- Negli anni ho sviluppato una specie di venerazione per Fleur Jaeggy. Domenica su Repubblica è uscita una sua intervista.