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mercoledì 31 ottobre 2012

Coast to coast

Ho sempre amato aggirarmi fra i cimiteri. Ci entro dovunque io mi trovi, non necessariamente nel mio paese. Mi piace camminare fra le tombe, leggere i nomi, studiare le fotografie, le cappelle, le sculture, immergermi fra parenti addolorati o sereni, bambini annoiati o con la macchinina in mano, fiori e chiacchiere di ogni genere. Mi piace rimanere per tutto il tempo che voglio davanti alle fotografie dei miei morti senza che nessuno mi obblighi ad andarmene o ci veda qualcosa di male in tutto ciò. Non lo faccio solo nelle ricorrenze comandate come quella dei prossimi giorni ma ogni volta ne ho l'opportunità. Non credo che esista una vita dopo questa e considero come una vera disgrazia tutte le altre opzioni possibili di cui sento parlare. Io lo so che dentro quelle bare ci sono solo ossa e corpi in decomposizione e che non c'è nessuno che mi può ascoltare e rispondere eppure mi piace parlargli, ricordare, domandare e sono gesti che riescono a confortarmi e a dare un senso alle mie giornate che di senso non ne hanno proprio per niente. Si tratta di un conforto temporaneo, della durata limitata perché l'effetto dura mezz'ora, un'ora, poi svanisce e si torna alla disperazione di sempre. 

Libri che sto leggendo e recensirò su Lankelot: "Wilson lo Svitato e i Gemelli Straordinari" (Mattioli 1885),"The Fan" di Peter Abrahams (66thand2nd) da cui è stato un film diretto da Tony Scott e "Sofia si veste sempre di nero" di Paolo Cognetti (Minimum Fax).





(Visto che questi sono i giorni dei morti, il 21 ottobre 2003 moriva Elliott Smith e i suoi dischi sono stati uno fra i motivi che mi hanno fatto conoscere la ragazza che amo e Coast to coast è una canzone che lei ama tantissimo.)

lunedì 29 ottobre 2012

blin blin

C'era un articolo ieri sull'inserto del Corriere della Sera "La Lettura" che mi ha fatto parecchio pensare. Parlava degli abitanti delle città che emigrano verso le campagne in cerca di tranquillità, benessere e soprattutto di un'idea di campagna che è quella dei libri, dei film, delle favole e che non corriponde minimamente alla realtà. Molti di loro (quelli coi soldi) sono poi quelli che si fanno allargare la strada per arrivare al rustico trasformato in magione, che s'infastidiscono per l'odore di letame e il rumore dei trattori e tanto altro e che vedono nell'agriturismo una specie di regno fatato dove si mangiano le specialità locali (il 90 % di quelli dove sono stato mi hanno fatto semplicemente schifo, meglio di gran lunga i Sofficini Findus). Ne conosco anche io di persone così che, con l'ovvia complicità di molti degli abitanti delle mie zone e del lago che ci hanno lucrato mica mae, hanno distrutto territori, culture, tradizioni, basti vedere cos'è sucesso sul Lago di Como. Niente mitizzazioni ma m'incazzo sempre quando so di vecchie trattorie a gestione familiare dove si potevano trovare piatti locali, vino a basso prezzo, e clienti di tutti i genrei, trasformate in banalissimi ristoranti o locali dove ti servono la stessa orata che potreste mangiare a Napoli o a Trento. Scomparsa la trippa, scomparsi gli uccellini, scomparsi i risotti alla milanese e il persico e tanto altro oppure eccoli riproposti in versione light, mini o a prezzi esorbitanti. Sì, li potete ancora mangiare a basso prezzo gli ossi buchi ma chiunque conserva un minimo di onestà sa che gran parte in qusti ristoranti si mangia da schifo, che è tutto giocata sull'abbuffata, sulla quantità. Probabilmente mi sbaglio, anzi di sicuro, ma appena esco dalla Lombardia noto come altrove le cose vadano un po' meglio. Cotinuo a considerare un po' folle che a Milano non si possano trovare tranquillamente cibi locali così come quando vai a Firenze trovi il lampredotto. Mi è sucesso quest'estate che due turisti mi chiedevano dove potevano mangiare la Cassoela e non ho saputo rispondergli. Con quest'ultima tirata sono forse uscito fuori tema ma al di là del vegetarianesimo, eccetera, eccetera, sono anche stanco quando mi dicono che la trippa è pesante e resta sullo stomaco. Davvero sicuri che sia vero? Non la mangio da secoli ma trovo che sia decisamente più pesante un kebab o un trancio di pizza d'asporto.

Questa è il tipico post pieno di cazzate che inaugura una settimana del cavolo.

domenica 28 ottobre 2012

"Quattro soli a motore" di Nicola Pezzoli (Neo Edizioni)


Trovate qui la mia recensione del romanzo di Nicola Pezzoli "Quattro soli a motore" (Neo Edizioni).

E se per caso interessa a qualcuno vi lascio anche l'editoriale uscito oggi su Lankelot a proposito di problemi e prospettive future: "Editoriale di ottobre 2012. Sui guasti del server: sull'attacco hacker. Sulle prospettive del sito"

sabato 27 ottobre 2012

Sabato è giorno di ritorni e regali

(Premessa: questa settimana si è celebrata la Festa del Sacrificio e mentre leggevo articoli e guardavo immagini relative a questa festa non trovavo un senso, qui, oggi, nel 2012, nel sacrificare animali in nome di un presunto Dio o per qualsiasi altro motivo. Se non riescono proprio a farne a meno perchè non sacrificano se stessi o qualche volontario che crede nelle loro stesse stupidaggini? Che lascino stare agnelli, pecore, capre, capponi o qualsiasi altro animale che viene sacrificato in nome della paura da un confine all'altro di questo mondo. )

Film visti o rivisti di recente: "Ritorno a Brideshead" di Julian Jarrod, tratto dall'incredibile romanzo di Evelyn Waugh che consiglio a tutti di leggere, "Igby Goes Down" di Burr Steers, "Moneyball. L'arte di vincere" di Bennet Miller e "Polisse" di Maïwenn Le Besco.



Dischi che mi sono stati gentilmente forniti dagli alieni in giro per le galassie: "Divinian" di Autumn's Grey Solace, "Stranger" dei Balmorhea, "Notes On Death" di Petra Jean Phillipson e se avete avuto la pazienza di arrivare fino a questo punto mi permetto di lasciarvi un brano sempre tratto dalle memorie di Hitchens che ha a che fare con uno dei miei scrittori preferiti in assoluto e che amo così tanto che per Lankelot ho scelto la copertina di un suo romanzo come avatar (che per altro si lega alla mia decisione di non divulgare foto che ritraggono su internet & Co. e tanto per farvelo sapere non possiedo una macchina fotografica o un cellulare capace di scattare foto e tranne che quelle sulla carta d'identità e sulla patente non possiedo foto di me stesso e quando per caso me ne scattano una e me la fanno avere le distruggo al momento o dopo qualche giorno).Comunque, ecco il passaggio che ha a che fare con Thomas Pynchon (e Ian McEwan):

Qualsiasi momento sarebbe stato buono per incontrarlo, ma questo, in retrospettiva, sembra essere stato perfetto per fare la conoscenza di Ian McEwan. Fu Martin che ci mise in contatto (Ian gli era succeduto come vincitore del Somerset Maugham Award). A quell’epoca, eravamo “tutti” ipnotizzati dalla sue prime raccolte di racconti, Primo amore, ultimi riti e Tra le lenzuola. Incontrandolo di persona, egli sembrava di primo acchito possedere alcune delle qualità vagamente inquietanti dei suoi racconti. Non alzava mai la voce, scrutava il mondo in modo imparziale e quasi distaccato attraverso occhiali da nonna a forma di luna, avev capelli a frangia sulla ronte, era magro come uno stecco, era orientato verso interessi che Martin definiva “di grana hippy”, e quando lo incontrai aveva scelto di vivere ai margini della “prima linea” del gheto nero d Brizton, zona allora infestata di erbacce. “Quello che scriveva, lo vedeva”, disse Clive James quando utilizzò il personaggio di Ian in un romanzo, e nell’invenzione narrativa sembrava avere contatti con altre, remote sfere. (Riusciva e riesce ancora, per esempio, a scrivere dell’infanzia e della giovinezza con una capacità quasi misteriosa di pensare e sentire reimmergendosi in quelle epoche della vita; una facoltà che molti pur eccellenti scrittori non sanno recuperare dentro di loro). Un pomeriggio ero seduto alla mia scrivania al “New Statesman” quando squillò il telefono e una strana voce chiese di me chiamandomi per nome. Dopo aver confermato che ero io all’apparecchio, la voce disse:”Sono Thomas Pynchon”. Sono contento di non aver risposto con la battuta che avevo pensato in un primo tempo, perché riuscì ababstanza rapidamente a dimostrarmi che era effettivamente lui e che un comune amico di nome Ian McEwan gli aveva suggerito di chiamarmi. Il libro di un altro amico, Faggots, un lavoro ultraomosessuale di Larry Kramer, era stato bloccato dai funzionari della dogana britannica e le copie sequestrate correvano il rischio di essere tutte distrutte. Pynchon, che si trovava in Inghilterra, era molto preoccupato per questo fatto. Che cosa si potev fare? Potevo denunciare la cosa, come gli era stato assicurato da Ian? Gli dissi che si poteva protestare come e finché si voleva, ma che la Gran Bretagna non aveva leggi che proteggessero la libertà di parola o vietassero la censura di stato. Chiacchierammo ancora un po’, naturalmente mi offrii di richiamarlo, ridendo declinò questo trasparente tentativo di aggancio e scomparve nel mondo in cui soltanto Ian McEwan poteva trovarlo (Ian sembrava in grado di fare questo genere di cose senza mai vantarsene: strinse anche amiciza con il quasi irreperibile Milan Kundera).” (pag. 222)





giovedì 25 ottobre 2012

"Un gioco da grandi" di Benjamin Markovits (66thand2nd)



Il primo o magari il secondo pensiero che prenderà forma nella vostra mente leggendo “Un gioco da grandi”, romanzo di Benjamin Markovits (pubblicato da 66thand2nd nella collana Attese con la traduzione di Michele Martino) tutto giocato fra invenzione e autobiografia come per altro suggerito dall’epigrafe di Byron: “E poi detesto le sole opere di fantasia […] Persino nella costruzione più eterea dovrebbe esserci qualche fondamento di realtà, e la pura invenzione non è che il talento di un bugiardo”, sarà probabilmente una domanda del genere: che ci fa un mediocre cestista statunitense, studente e aspirante scrittore a Landhust, cittadina a poca distanza da Monaco di Baviera? Possibile che esista veramente un personaggio del genere? La risposta è sì, basta che sfogliate qualche giornale sportivo per accorgervene. Confesso che appena mi sono posto questa domanda il mio cervello si è messo ulteriormente a scavare nelle fosse della mia memoria per poi formulare un’ulteriore domanda, questa volta del tutto personale: ma che diavolo ci facevano una cestista croata (Vedrana Grgin) e una statunitense (ahimè, il nome mi è del tutto oscuro) nel mio paese di provincia a metà degli anni ’90 per giocare nella locale squadra di basket femminile che militò solo per quell’anno in A1? Che tipo di vita era la loro? Cosa significava vivere in Brianza? Perché erano finite da noi? Denaro, possibilità, apprendistato, fine carriera? Qualche risposta me la sono data anche perché non era poi difficile incontrarle nella piazzetta del paese o a passeggiare nei dintorni del palazzetto sportivo. Erano davvero in pochi quelli che non si fermavano a guardarle, qualcuno di noi tifosi ci aveva pure stretto una lontanissima amicizia, si era fatto autografare sciarpe e scattare foto ricordo ed ecco che mentre leggevo “Un gioco da grandi” riflettevo sull’abilità di Benjamin Markovits di raccontare una storia del genere trovandogli una forma pressochè perfetta. Una volta ascoltai quella ragazza croata dire “Per fare qualcosa devo andare altrove” e alla fine se ne andò in giro per il mondo, giocando anche in Brasile e negli Stati Uniti.

Il protagonista di questo romanzo è Benjamin un ragazzo con padre ebreo e madre tedesca che all’ultimo anno di college decide di tentare la fortuna giocando a basket in Germania e facendosi qualche soldo. Lo favorisce la lingua, che conosce perfettamente, la sua voglia di andarsene ma non certo un talento cristalliano perché Ben in fin dei conti ha passato una vita in panchina ma si sa se un giocatore che arriva dagli Stati Uniti ha un certo fascino, anche se non ha mai visto l’NBA ve la fa comunque sognare. Ben però non è solo un cestista, è più un ragazzo che vorrebbe diventare uno scrittore e emigra in Germania perché non sa che fare della propria vita, non sa se proseguire negli studi ma soprattutto non sa se esista davvero un senso nel diventare uno scrittore e soprattutto, dentro di sé, teme di rimanere uno scrittore mediocre esattamente ome è un mediocre cestista. Pur trovando grazie a un’alchimia di video e marketing la possibilità di giocare in una squadra che si chiama Yoghurt, in find dei conti Ben è un emigrante, uno che scappa in cerca di un lavoro saltuario, un giocatore di basket interinale, uno in cerca di un’occasione per svoltare nella vita, certo un lavoro ben pagato, con un sacco di comfort, un appartamento a dispozione ma alla fine Ben altro non è che un ragazzo modesto e timido emigrato in una cittadina di provincia a svolgere un lavoro che non gli darà mai soddisfazione.

Markovits è magistrale nel trasmettere le contorsioni dell’ambiente cestistico ma più in generale di quello sportivo, l’architettetura fisica e mentale degli allenamenti e delle partite, la vita degli spogliatoi che rimbombano di chiacchiere, sfottò e pulsioni sessuali latenti o evidenti (un qualsiasi ragazzo o ragazza che conosca gli spogliatoi si ritroverà magicamente in ciò che viene descritto a pagina 9 e 10), il confronto/scontro /unione con con l’allenatore, la dirigenza e gli altri giocatori che della squadra, come la futura promessa autoctona che arriverà nell’NBA, il ruolo dei talent scout/agenti alla ricerca di talenti e denaro, il cestista nero adottato, gli altri giocatori statunitensi come l’anziano, si fa per dire, talento sulla via del tramonto al quale soffierà per qualche mese l’ex moglie vogliosa di cambiare vita. Markovits soffia sulla pagina ritmo di gioco, tensioni, dolori alle ginocchia e lo fa con una malinconia rappresa che ha il sapore di una certa provincia soporifera, quasi gentile nei modi ma che sa portare a galla tutte le delusioni, incapacità, timidezze, sconfitte che covano nell’animo.

Markovits è un giocatore di panchina, uno di quelli che rimane in panchina non solo nel basket ma anche nella vita e non sa come sfruttare questa situazione perché è una situazione, pensate a quanti giocatori mediocri sono diventati degli ottimi allenatori per esempio. Ciò che gli viene offerto durante questo anno è tempo libero in grandi quantità quando non si allena e gioca, tempo da trascorrere nella propria stanza in solitudine oppure bighellonando con la bicletta nella campagna tedesca alla ricerca delle proprie origini, perché nelle giornate tutte uguali Ben rientra in sinagoga, lì, in quella Germania che ha spazzato via parti della sua famiglia, una sinagoga protetta da un uomo armato, un luogo dove Ben sembra trovare un conforto o comunque la via d’accesso a una dimensione più profonda dell’esistenza. Anche se questa parte dedicata alle proprie origini ebraiche non è a mio avviso la parte migliore del romanzo (insieme alla relazione che Ben intreccia con Anke, interessante nella fase iniziale e poi snervante) perché quasi sulfurea e a tratti insipida, c’è da chiedersi se alla fine non sia un bene che l’autore non abbia calcato la mano sulla tematica ebraica perché avrebbe caricato eccessivamente la narrazione di elementi troppo ingombranti che avrebbero guastato l’atmosfera generale del romanzo seppure non manchino delle interessanti riflessioni sul razzismo strisciante e sull’ambiguità del politically correct ma sono sempre fatte con garbo, inserite sotto forma di discussioni, di incontri, senza mai che scivolino in tirate ideologiche o moraliste.

In questo modo l’autore immerge il lettore in questa atmosfera distesa che fa sfondo ideale allo scorrere di questo anno di formazione giocato fra ripensamenti, slanci emotivi e rimessa in discussione dei rapporti familiari. Un anno apparentemente di svago ma molto pericoloso perché Ben è circondato da uomini che si sono fatti trascinare nel fallimento, che vivono ai margini, uomini con le ginocchia rotte, sfiduciati, intristiti dalla vita e per una volta è commovente leggere di giovani statunitensi senza più radici, sdradicati, esiliati dalla propria stessa patria e in questa condizione di solitudine narcolettica Ben finisce quasi anche per perdere la passione del gioco in sè, del gustarsi una partita per divertimento, dell’abitudine di snocciolare statistiche che è una sorta di elemento ricorrente in molte narrazioni statunitensi perché se si pensa allo sport americano è impossibile slegarlo dalle statistiche che diventano essenziali anche nella costruzione di una narrazione (e bisogna dirlo, per motivi culturali, sociali, di sistema scolastico gli scrittori/artisti statunitensi sono dei maghi nel raccontare di sport). Markovits ritroverà solo alla fine di questo anno sabbatico il piacere del gioco e proprio da questa esperienza saprà trarre la forza e il coraggio per affrontar eil futuro. Leggetelo “Un gioco da grandi” perché può rivelarsi il romanzo ideale per chi ha vissuto lo sport da comprimario, da giocatore assolutamente normale che non può vantare grandi successi nella propria carriera (anche se Ben vivrà un anno sportivamente trionfale) o magari sì ma mai come protagonista assoluto. Questo è un romanzo per tutti coloro che hanno visto le partite dalla panchina ma che poi sono riusciti ad alzarsi in in qualche modo e magari hanno fatto altro nella vita, senza però mai vergognarsi di sedersi in uno stadio o davanti alla tv per godersi con gioia e trepidazione un qualsiasi evento sportivo.

Edizione esaminata e brevi note:

Benjamin Markovits (1973), è cresciuto tra il Texas, Berlino e Londra, dove vive attualmente. Appassionato di pallacanestro e Romanticismo, autore di sei romanzi e di un’acclamata trilogia ispirata alla vita di Lord Byron, Markovits è stato inserito dal «Daily Telegraph» nella lista dei venti migliori romanzieri Under 40 attivi in Gran Bretagna.

Benjamin Markovits, "Un gioco da grandi", 66thand2nd, Roma, 2012. Titolo originale "Playing Days", 2010. Traduzione di Michele Martino.

Andrea Consonni, ottobre 2012  

(Questa recensione è anche su Lankelot al momento purtroppo fuori uso)

C'è qualcuno che si diverte e meriterebbe invece di prendersi un sacco di calci nel culo

L'umore è a terra per questioni che spero si risolvano in fretta ma sulle quali purtroppo non ho nessuna capacità o bacchetta magica per poter intervenire. Mi tocca aspettare e  riflettee sui possibili sviluppi futuri che scaturiranno da questa situazione. Aspettare, leggere e prepararsi al freddo che ha già spedito in avanscoperta i suoi esploratori del cavolo e forse nel fine settimana arriverà anche la neve. Emigrare, trasferirsi con le proprie cose come fanno il padre e il figlio in The Road? Sfidare le intemperie, i rischi e partire, andarsene ma per farlo bisogna avere speranza ed è proprio quella a mancarmi, la speranza. Intanto che penso alla riscrittura in altra forma della recensione del romanzo di Nicola Pezzoli mi vengono in mente prima alcune immagini dell'infanzia e poi due passaggi del libro di James Franco "In stato di ebbrezza" (ebbene sì, "quel" James Franco) che sono questi:

"C'è della gente che da giovane spara ai caprioli, e alle volpi. Faulkner sparò a un orso, Hemingway sparava ai leoni e a un sacco di cose. Nelle bande si spara alla gente come iniziazione. Noi sparavamo agli animali, e alla gente. Ma erano tutti animali piccoli, e non abbiamo mai ucciso nessuno." (pag. 61)

e

"Quando ero piccolo insieme a Nick ho fatto una pozione. Nick era francese; suo padre aveva la barba a punta e parlava con l'accento francese. Abbiamo preso una grossa bacinella di plastica rettangolare e ci abbiamo messo dentro lumache e bacche rosse, che erano velenose e facevano ubriacare i merli che poi andavano a sbattere contro le finestre e morivano. E abbiamo preso la cacca del gatto dalla lettiera con una paletta di plastica e l'abbiamo messa nell'intruglio. Alla fine ci abbiamo pisciato dentro. Il mio pene sembrava un fungo e quello del mio amico francese era ricoperto di pelle, come tonaca di un monaco. Abbiamo cercato di farla bere a mio fratello piccolo ma lui s'è rifiutato. Abbiamo lasciato la pozione in cortile nella bacinella rettangolare. un giorno ci ho trovato vicino un topo morto." (pag. 74)

e ce ne sarebbe anche un altro di passaggio che sta a pagina 166 e che descrive esattamente come sto oggi e non solo e vi dico solo che questa storia (dovrei dire racconto ma alla fine io preferisco storia per questo libro) porta il titolo di: "Potrei uccidere qualcuno".

Non fateci caso.

Invece se volete leggere la recensione del romanzo di Benjamin Markovits "Un gioco da grandi" andate a questo link: http://www.lankelot.eu/letteratura/markovits-benjamin-un-gioco-da-grandi.html

martedì 23 ottobre 2012

Tatuaggi e stermini



Appena finito di leggere l'ultimo libro di Nathan Englander "Di cosa parliamo quando parliamo di Anne Frank", un ottimo libro anche se ho preferito "Per alleviare insopportabili impulsi", pur non trovandolo pienamente nelle mie corde, mi sono imbattuto in un articolo di Jodi Rudoren pubblicato dal The New York Times e riproposto da Internazionale numero 971 dal titolo "Scritto sulla pelle" (con le foto di Uriel Sinai) dedicato ai giovani israeliani che si tatuano un numero sul braccio per conservare le sofferenze patite dai loro familiari durante l'Olocausto. Un capitolo quello della memoria che mi interessa particolarmente: perché ricordare? Come ricordare? Come muoversi quando i testimoni diretti muoiono e non rimangono che documenti, libri, registrazioni, ricordi sbiaditi? Non so dire se ciò che fanno questi israeliani ha un senso, per loro probabilmente sì, ma la loro scelta mi ha ricordato la mia amica israeliana che ha avuto trequarti della propria famiglia originaria spazzata via nell'Est Europa e che come ho già scritto una volta vive decisamente male il suo rapporto con l'Olocausto che è diventato per lei una sorta di peso da cui non riesce a liberarsi. Per protesta, individuale, lei si è fatta tatuare un codice a barre esattamente nel punto in cui i nazisti marchiavano i prigionieri. Suo fratello la disprezza per questo motivo (anche se non è vero che la disprezza), i suoi genitori ci hanno messo anni per accettare questa roba che secondo loro la fa sembrare uno yogurt scaduto (considerazione cattiva e pungente perchè lei ha qualche chilo in più, secondo lei almeno quindici) e solo sua sorella (ragazza dolcissima e che cucina benissimo) ha capito fin da subito le ragioni profonde di questo suo gesto, tatuaggio che non ha mai sbandierato ai quattro venti (gira sempre con maniche lunghe ma non per questo motivo ma perchè soffre il freddo come me) ma che è ovvio notare quando la si incontra. Quando poi uno scopre che questa ragazza dalle dita lunghissime è israeliana scatta un ulteriore stupore. Lei vi risponderà sempre (anche se è particolarmente aggressiva) sull'Olocausto, vi dirà cosa ne pensa del conflitto coi palestinesi, vi parlerà del suo annuale viaggio da sola in un campo di concentramento, vi parlerà di tutto ciò che può significare essere  israeliana, etichettati come ebrei anche se siete atei, ma se voi la faceste parlare chessò di Motown o film di fantascienza lei sarebbe decisamente più contenta.

Ed è sia una raffinatissima testolina che sa di poesia e filosofia come pochissime altre persone che conosco, anche perchè conoscendo sette lingue può leggere qualsiasi testo in lingua originale, che una tamarra di proporzioni gigantesche che ama robe così, che poi questo pezzo non è neanche male:

Jay-Z & Bridget Kelly // Empire State Of Mind // Live ( Coachella Valley Fest )


Vorrei anche integrare questo post con la notizia della morte di Wilhelm Brasse, fotografo ad Auschwitz. Ne parlano a questo link: http://www.ilpost.it/2012/10/24/wilhelm-brasse/

domenica 21 ottobre 2012

Prosecco alle 9 e 10 di mattina

Una settimana fa ho incontrato una coppia di anziani amici dei miei nonni paterni che stava tornando a casa dal cimitero. Sono stati loro a riconoscermi, a fermarmi e a chiedermi se potevano offrirmi un caffè, una brioche o un bianco. Erano le 9 e 10 di mattina e un bel Prosecco per tutti e tre è stato un buon modo per cominciare la giornata. Hanno parlato quasi sempre loro e li ho lasciati fare perché si capiva che era da parecchio tempo che non parlavano con qualcuno ed eccoli partire coi loro soliti discorsi di politica, guerra, colonie, calcio, inquinamento, rivoluzioni, ragazze,  il mio libro che devo assolutamente stampargli. Parole come lotta di classe, internazionalismo, democrazia borghese, gulag, Jugoslavia e tante altre sono risuonate attorno a quel tavolino di plastica. Due comunisti di 90 anni, lui ex operaio metalmeccanico e lei ex- tessitrice, che non hanno mai votato nella loro vita perchè non credono nel voto e nella democrazia, odia(va)no il Partito Comunista Italiano e tutte le loro varie ramificazioni pre e post e ancora oggi girano con in tasca le foto dei vari baffoni e barbuti che ruberei i loro portafogli solo per impadronirmene. Una coppia carica di eleganza modesta e dolcezza trattenuta, di gentilezza amicale e di una straordinaria attenzione nell'utilizzo delle parole che alla fine di Prosecco ce ne siamo fatti un secondo giro accompagnato da fette di formaggio e olive per me e un salame intero per loro. Inevitabile che il discorso scivolasse sulla mia famiglia, sulla somiglianza fra mia sorella e mio padre, sul fatto che prima o poi avrebbero convertito al verbo comunista anche un anarchico provocatore come me, sui miei capelli rasati che mi stanno male, sulla mia compagna di vita che incredibile ma vero lavora nel settore alberghiero e sarebbe piaciuta tantissimo a mia nonna per la sua libertà assoluta di comportamento e ovviamente sull'alcool di cui non sappiamo fare a meno e che ci ha rovinato la vita. Inevitabile che si finisse a parlare di mio nonno e di come gestisse l'albergo e di come facesse credito a tutti senza mai riscuotere un centesimo e di come i soli soldi, davvero pochi, che i miei nonni videro furono quelli ricavati dalla vendita dell'immobile che stava cadendo pezzi e che mio padre e i miei due zii non avevano la forza e i soldi per ristrutturare. I miei nonni la pagarono cara con pensioni da fame ma mia nonna, rimasta sola in quel bilocale a cinque metri dalla provinciale, disse che non avrebbe cambiato una virgola nella sua vita perchè si era divertita e aveva fatto un sacco di incontri. Guardavo in faccia questi due vecchietti vestiti come in un film degli anni '50 - terzo giro di Prosecco - e pensavo che anche loro facevano parte di quell'ampia cerchia di persone che avevano mangiato e bevuto dai miei senza quasi mai pagare e pur sapendolo non ci trovavo nulla di male perchè la mia famiglia ha sempre inteso le relazioni umane in questo modo (se penso a come mio padre si è mosso nel mondo del lavoro mi si riempiono gli occhi di lacrime oppure a voi che potete bussare a casa dei miei genitori e troverete sempre un posto per dormire e di che sfamarvi) e ho sorriso quando si sono alzati e mi hanno lasciato tutto da pagare. Un sorriso, un bacio, una stretta di mano, un abbraccio, l'invito a mangiare la trippa anche se non la mangio e la fiducia nell'avvenire. Dietro il bancone Giulio e sua moglie sorridevano e scuotevano la testa quando sono rimasto lì con lo scontrino, loro sono due leghisti che non capiscono e non capiranno mai un cavolo di niente ma che, bisogna dargliene atto, smerciano un Prosecco da favola.

(Ovviamente ho chiesto di farmi credito che passerò a...)

venerdì 19 ottobre 2012

Nebbia

Vedi la nebbia e la tocchi. Non è male la nebbia ma l'autunno e l'inverno fanno schifo. Ieri c'era un bambino al supermercato che diceva "Dov'è il mare mamma?", quel bambino mi sta simpatico. L'umore è ai minimi, qui sotto trovate alcune delle citazioni che sono presenti nel libro "Hitch 22 - Le mie memorie" di Christopher Hitchens. Lo sapete già, lui mi piace molto, forse dire che stravedo per lui sarebbe più giusto, pur non condividendo tante cose che ha scritto, e io e lui abbiamo in comune alcuni lati del carattere, una certa impostazione di vita. A proposito di somiglianze e altre amenità secondo mio padre io somiglierei a una persona che gira in tv e sinceramente me ne vergogno ma non vi dico chi è perchè poi state male anche voi.

Comunque ecco le citazioni delle primissime pagine del libro di Hitch:

"Non aspirare alla vita immortale, ma esaurisci i limiti del possibile" (Pindaro, Pitiche III)

"I desideri del cuore son contorti come viti,
Non essere nato è il meglio per l'uomo;
La via di mezzo è un ordine formale,
Lo schema della danza; danza mentre puoi.
Danza, danza, facile è la figura,
Il motivo è orecchiabile e non s'arresterà;
Danza finché le stelle scenderanno dai travi;
Danza, danza, danza finché cadi."    (W.H.Auden, L'eco della morte)

"Siamo destinati a morire, ed è una gran fortuna. La maggior parte della gente, infatti, non è destinata a morire perché non è destinata neppure a nascere. Gli individui che avrebbero potuto trovarsi qui al mio posto, ma che di fatto non vedranno mai la luce del giorno, sono assai più numerosi dei granelli di sabbia dell'Arabia. Senza dubbio tra quelle larve mai venute al mondo vi sarebbero stati poeti più grandi di Keats e scienziati più grandi di Newton. Lo sappiamo perché il numero di individui cui il dna concederebbe di esistere supera di gran lunga il numero di individui realmente nati. Nonostante circostanze tanto incredibilmente avverse, voi ed io, nella nostra ordinarietà, siamo qui." (Richard Dawkins, L'arcobaleno della vita)

"Ah, le parole sono un povero balsamo per ciò che il tempo si è portato via..." (John Clare, Remembrances)

"Cos'ha in comune l'Inghilterra del 1940 con l'Inghilterra del 1840? Del resto, cos'avete in comune col bambino di cinque anni che appare nella fotografia che vostra madre tiene sul caminetto? Niente, tranne che per caso siete la stessa persona." (George Orwell, England your England: Socialism and the English Genius" [1941] )

"Leggere il proprio annuncio mortuario dice che allunga la vita. Ti fa riprendere fiato. Nuova erogazione di vita." (James Joyce, Ulisse)


(E ieri quando è partito in radio questo pezzo dei Massive Attack mi sono sentito vecchissimo. Avevo 15 anni quando uscì "Protection" e mia sorella lo portò a casa registrato su cassetta. Vecchissimo...e mi sento male a pensarci...)

giovedì 18 ottobre 2012

Appunti - Puntata numero 2



Ecco a voi la seconda puntata di "Appunti", rubrica saltuaria con annessi sviluppi direttamente dal Mondo Di: 

-.. Tesla Tesla Tesla...Lampi lampi lampi...uahuayhaua au..." (mancano dei versi e perdite di saliva ma si riferisce alle sensazioni provate durante la lettura di un piccolo capolavoro che è "Lampi" di Jean Echenoz dedicato proprio a Nikola Tesla che è David Bowie al cinema...leggetelo perchè vi commuoverete e non solo...)

-...perchè la polvere si ammassa sempre in un angolo preciso della sala? (praticamente nell'angolo libero accanto alla libreria con volumi dedicati alla cucina, psichiatria, psicologia e diete)

-...se a 33 anni improvvisamente ti piace un film di Woody Allen significa che sei diventato completamente pazzo?...(..il film era "Basta che funzioni" del 2009..e ho riso...il protagonista era fantastico...e anche io faccio quella cosa di canticchiare cose senza senso mentre mi lavo le mani...rapportandomi a me in terza persona...)

-...perchè quando cerchi di acchiapparla Polvere scappa? (...ho provato ad acchiapparla con stracci, scope, reti, aspiratori ma mi sfugge sempre...consigli di vita casalinga ne avete?)

-...hai sempre pensato di essere una merdaccia in cucina ma hai scoperto che quando vai a casa di altri mangi sempre di merda...(...colpa della nonna ristoratrice che mi ha educato male...un giorno mi cucineranno per questo atteggiamento spocchioso...)

-...trovare la strategia giusta per convincere l'amica vampiracarnivorabrit a mangiare tutti i formaggi...(...nel caso succedesse qualcosa di brutto mi sa che finirei azzannato dalle sue bestie feroci...ferocissime altro che feroci...)

-...telefonare all'industria elettrica per la storia del contatore!...(...tre mesi e non l'ho ancora fatto...ho ancora un mese a disposizione...e so che telefonerò l'ultimo giorno a disposizione...)

-...la prossima volta che senti uno che dice che la neve è bella togligli il saluto...(...guardate che lo faccio veramente...)

-...da quanto tempo non vai a una mostra seria? (..da tanto tanto ma tanto tempo e mi piacerebbe vedere una mostra come si deve con le opere di Robert Rauschenberg...)


-...vedi Formigoni e pensi ai tuoi parenti di Comunione e Liberazione...chissà cosa c'era in quei biscottini che ti davano da piccolo...ti ricordi gli effetti lisergici? (....quando ero piccolo i miei genitori mi portavano a trovare i parenti (materni) comunicati e liberati e ogni volta questi mi davano tè e biscotti e appena li mettevo in bocca partivo per indimenticabili viaggi freakkettonissimi che mi permettevano di fare la conoscenza di madonne vestite di prada, angeli in groppa a jet privati, stelle comete pieni di gioielli e molti molti altri personaggi bizzarri...)







(Aggiornamento dell'ultima ora: un saluto al grande regista giapponese Kōji Wakamatsu (Wakuya, 1º aprile 1936 – Tokyo, 17 ottobre 2012). Grazie per tutti i tuoi film.)

(E qui la recensione del romanzo di Alejandro Morales "Barrio in fiamme")

mercoledì 17 ottobre 2012

Grazie ai Godspeed You! Black Emperor


Stai scrivendo? Ci sto provando. E cosa stai scrivendo? Segreto però sto lavorando a qualcosa che guarda ai Godspeed You! Black Emperor perchè è da anni che quando ascolto i loro dischi sento che il romanzo che vorrei scrivere è qualcosa del genere. Difficile spiegare per me cosa significhi precisamente "qualcosa del genere", non so spiegarmi mai in realtà, però ecco sto ascoltando il loro nuovo disco e vi posso dire che quello è il mondo che ho in testa e che vorrei finalmente trasferire sulla pagina bianca che s'inumidisce del mio sudore. 

martedì 16 ottobre 2012

"Tutti a Berlino" di Simone Buttazzi e Gabriella Di Cagno (Quodlibet)

Magari siete fra quelli che a prescindere ne hanno già piene le scatole di Berlino, che disprezzate i tedeschi (anche perchè di economia ne capite poco), che siete ancora fermi al nazismo ma guai a sentir dire che gli italiani eran tutti fascisti, che da quando è caduto il Muro Berlino non fa più per voi, che preferivate Bonn, che quando ci siete stati avete raccontato una sera del 13 agosto 2012 che "Il Kebab è più buono a Sesto San Giovanni", che non ne potete più dei miei consigli librari perchè quelli che avete letto vi hanno fatto tutti schifo, eccetera, eccetera, però ecco il 31 ottobre esce per Quodlibet una guida scritta da Gabriella Di Cagno e Simone Buttazzi che s'intitola "Tutti a Berlino - Guida pratica per italiani in fuga" e che magari è la guida che state cercando da tempo, perchè siete anche voi italiani in fuga e state cercando un posto per vivere, lavorare, studiare, divertirvi, riprodurvi, fare sesso, dormire, portare a spasso il cane, provarci e soprattutto non siete dei nazionalisti che vorreste tirar su barriere ovunque...beh quest'ultima avrebbe bisogno di maggiori spiegazioni, però dai, su, ci siamo intesi.



venerdì 12 ottobre 2012

Venerdì

Ci sono tanti libri in giro che vorrei leggere perchè mi interessano, perchè mi incuriosiscono, perchè è così, perché li devo recensire, perchè devo studiare alcune questioni ma non riesco a fare tutto, fra questi libri ce ne sono alcuni che potrebbe scottarmi le mani e disturbare qualche lettore, uno di questi è "SULLA QUESTIONE DEGLI OSTAGGI" di Ernst Junger pubblicato da Guanda e questo link http://lf-celine.blogspot.ch/2012/10/celine-ci-scrive-segnalato-da-massimo.html riporta in particolare il passaggio finale dell'articolo di Massimo Raffaeli pubblicato su Alias de Il Manifesto che mette a confronto Céline e Junger. Sono mie fissazioni, avevo anche pensato di comprarmi una maglietta di Céline ma visto che non mi piace mettere magliette dei gruppi o scrittori che mi piacciono, ho preferito non comprarla. Intanto sarei curioso di vedere anche il film "Iron Sky" che sembra una roba trash ma fatta con grazia. Qualcuno l'ha visto? Ma sopra ogni cosa il mio pensiero corre al fine settimana, quando, tempo permettendo, mi impegnerò in una lunghissima camminata in montagna e non ne vedo l'ora e sotto vi lascio un brano tratto da "Silencio", nuovo disco di Laetitia Sadier qualcuno ricorderà negli Stereolab. Ascoltando questo pezzo direte: ma questo brano non c'entra nulla con quello che ascolti solitamente, verissimo, ma stamattina ho bisogno di rifiatare e trovare quei grammi di caldo necessari a costruire la riserva per affrontare autunno e inverno senza crollare.

Laetitia Sadier - Find Me The Pulse Of The Universe

(Mentre invece potete leggere la mia recensione dell'ep "Demo_N" dei "The Flying Madonnas qui)

giovedì 11 ottobre 2012

Giochi

Non sono per niente capace di giocare a basket, mai imparato (anche se tifo, così tanto per dire, Cantù), ma in questi giorni ho letto un romanzo che ne parla in maniera molto interessante e che prossimamente arriverà in liberia pubblicato dalla casa editrice 66THAND2ND, l'autore è Benjamin Markovits e il titolo sarà "Un gioco da grandi" ma quella sotto è la copertina in lingua. Non è esclusivamente un libro sul basket (tra l'altro è la storia di un ragazzo texano aspirante scrittore e mediocre cestista che sbarca in una cittadina a qualche decina di chilometri da Monaco di Baviera per giocare a basket), perchè si parla anche di ebraismo e non solo, ma leggendolo è impossibile non pensare nuovamente a come in generale per uno statunitense lo sport sia, nelle sue impostazioni di base, qualcosa di molto lontano da come lo intende e vive un italiano medio. Meglio o peggio non lo so, preferisco la parola diverso perché difetti, storture e forzature ci sono da tutte e due le parti e certe volte mi domando quale sarebbe stato il mio ruolo in una scuola statunitense e forse sarebbe meglio che non lo facessi perchè ho quasi la certezza che sarei stato quel tizio magrolino e sempre malato che finisce per prenderle tutti i giorni dal bullo di turno che gioca a football...poi però penso anche che questo è  il classico stereotipo presente in tutti i film, libri, fumetti...come se io le botte non le avessi prese per tutto il primo anno di liceo, dentro e fuori dalla scuola...prese e alla fine anche date.


(robe da college di parecchio tempo fa: Nada Surf - "Popular" e qualcosa di leggermente più recente ma sempre di più di dieci anni fa: Rival Schools - "Used For Glue")

mercoledì 10 ottobre 2012

Supereroi


Su Lankelot trovate la mia recensione di questo libro di cui vi avevo già parlato qualche tempo fa.

(Ascolti per l'autunno: Thomas Köner - Daikan)

martedì 9 ottobre 2012

Polpette

Sono uno che ancora scrive lettere di carta, non possiede tablet e altri strumenti elettronici tipo l'i-phone e si circonda di quadernini, blocchetti, fogli, quadernoni per prendere appunti, scrivere, annotarsi le cose da fare e allora riporto alcune frasine che ho trovato qua e là con relativi aggiornamenti:

- "...per giorni il Venezuela ha occupato spazi insoliti nelle cronache giornalistiche ma dopo che Chavez ha vinto per l'ennesima volta il Venezuela è scomparso nuovamente...e poi non sono tifosi...chi conoscevi tu del Venezuela?" (un'ex collega della mia ragazza)

- "chiederle come si fanno le polpette di lenticchie...ma lo sa?" (non lo sapeva ma sono venute buonissime lo stesso)

- "telefonare per fare auguri" (clamorosamente sbagliato il giorno)

- "...io lo so chi è Yoani Sanchez, ho letto il suo libro, conosco molto bene chi ha tradotto in italiano i suoi scritti, l'ho difesa anche quando non avrei voluto difenderla ma quando succede una cosa del genere in Italia beh i toni sono tutt'altri...tranne rarissime eccezioni...sai dirmele tu le eccezioni?") 

- "capire come funziona il tumbler..ma come si scrive?" (che sarebbe quella specie di lavatrice che asciuga i vestiti, un asciugatore insomma  e la signora che ha cercato di spiegarmelo mi ha confuso così tanto le idee che ho desistito...)


- "...oggi ho risposto già a due persone che non voto e che ovviamente non voterò nemmeno alle primarie PD...da oggi in poi perchè non aggiornare questo computo?" (...da evitare...)

- "...potrebbe piacergli la serie Il trono di spade?" (l'ha già visto e testuali parole della risposta "Sgozzano e scopano a manetta che è un piacere...")

".........cercare il libro di Marco Maurizi "Al di là della natura. Gli animali, il capitale e la libertà"...." (quando riuscirò a leggerlo?)


- "....Lady Gaga somiglia alla ragazza di origini valdostane che mi ha rasato i capelli al supermercato per dieci euro e che a un certo punto è scoppiata a ridere così tanto senza motivo che quasi mi staccava un orecchio con la bocca..." (...alla mia ragazza ha invece starnutito e qualcosa in più sui capelli appena lavati e per scusarsi le ha offerto due caffè e la brioche...)

- "ricordarsi che il Vin Blanc del benzinaio dà alla testa in due bicchieri!"

E chiudo ricordandomi che l'articolo di Felice Cimatti che mi fece interessare al libro di Maurizi uscì su Il Manifesto del 19 gennaio 2012 ed era accompagnato dalla bellissima immagine che ho postato sotto tratta da un'installazione dell'artista Miru Kim intitolata "I like pigs and pigs me (104 hours)".

A voi piacciono i maiali?



domenica 7 ottobre 2012

Chimeras

Quando il cervello si spegne non c'è niente che puoi fare. Non serve camminare per chilometri lungo il fiume, non servono nemmeno l'alcool, i libri, la musica, i film, gli amori, gli animali, gli alberi, non c'è niente che ti possa aiutare, perché non ha più senso cercare un aiuto, non cerchi niente perchè non c'è niente. Niente e nessuno che ti diano una valida ragione per continuare a vivere. Poi tutto scende e quello che trovi al risveglio è un altro tipo di vuoto, quello in cui vivi quotidianamente. Estraneo a tutto e a tutti. Estraneo a me stesso che quando mi guardo allo specchio non mi riconosco e ogni giorno vedo una persona diversa che mi fa orrore. Capisci allora il senso del velo nero. Capisci il senso di una maschera, di una protezione come quella che indossa Tim Hecker qui sotto. Capisci che ciò che stai cercando è solo un pretesto per mollare gli ormeggi e andare incontro alla slavina. Perchè quando uno ti chiede a cosa hai girato intorno per tutta la vita, tu non hai il coraggio di rispondergli e la situazione è paradossale perchè l'altro conosce perfettamente la tua risposta e vorrebbe sentirtela dire ma tu non lo fai perchè non ti interessa, perchè se già conosce la tua risposta è inutile che te lo venga a chiedere. "Se lo sai perchè continui a chiedermelo?" gli chiedo sottolineando frasi su un quaderno e lui tace e guardandomi le mani risponde "Da quanto ci conosciamo?".




giovedì 4 ottobre 2012

Notiziole

Ognuno è libero di trascorrere le sue ore come meglio crede ma quando leggo una notizia come questa che parla di celebrazioni della battaglia di Lepanto a me viene voglia di passare con una macchina dotata di altoparlante e piuttosto che annunciare "Ombrelli, ombrelli, è arrivato l'ombrellaio!" oppure "L'arrotino, signore è arrivato l'arrotino!" mi metterei a gridare "Scappate! Scappate che stanno arrivando i Mori, bruceranno tutto!" e poi resterei lì per vedere quali sono le reazioni della gente radunatasi in quella chiesa.

Un romanzo che ho appena letto e recensirò prossimamente su Lankelot, "Barrio in fiamme" di Alejandro Morales (ad est dell'equatore) 

e recensirò un altro romanzo che ho appena cominciato: "Quattro soli a motore" di Nicola Pezzoli (Neo Edizioni):


Ben Frost - Theory of Machines (che sto ascoltando molto insieme a Tim Hecker, Boards of Canada, Burial, Four Tet, Shlohmo, Fennesz e altre cose del genere)

mercoledì 3 ottobre 2012

"Non c'è niente da ridere", Karl Kraus, Piano B Edizioni


"Non c’è niente da ridere (a proposito di giornalisti, esteti, politici, psicologi, stupidi e studiosi) è una raccolta di satire irriverenti e pungenti scritta dal più grande autore satirico in lingua tedesca del Ventesimo secolo: Karl Kraus. Molte di queste satire e aforismi sono inediti in Italia. In Kraus, maestro della satira grottesca e della risata amara, l’ironia sferzante e lo spirito anticonformista si traducono in articoli provocatori e dissacranti sulla società umana e le sue imperfezioni.  Questa antologia originale curata e tradotta da Simone Buttazzi raccoglie satire, lettere e aforismi di grande attualità, nei temi e nella forza dirompente. Tra gli inediti troviamo Le voci di corridoio e Il necrologio, il caustico testo autobiografico Io e l’esilarante Quando la sezione austriaca del club internazionale degli scrittori avrebbe dovuto accettarmi tra le sue fila. La penna pungente e sottile dell’autore austriaco, il suo «bisturi tagliente» secondo la definizione di Walter Benjamin, permette a Kraus di cogliere e distinguere ogni frammento della propria epoca – della nostra epoca – con incredibile attualità: la parodia del militarismo e del nazionalismo, i guasti della classe politica, la schizofrenia dell’opinione pubblica e del giornalismo, le storture della giustizia e le ipocrisie morali dei contemporanei."

Se vi interessa potete andare qui ed è davvero bello, pur non sapendo quasi nulla del tedesco, poter leggere un libro tradotto da una persona di cui mi fido davvero tanto.

"Dimmi che c'entra l'uovo"


Potete trovare delle informazioni su questo libro a questo link e qui invece trovate la mia recensione.

martedì 2 ottobre 2012

Above the Tree - Ca' Blasè, mercoledì 3 ottobre, ore 21.30


Ca' Blasè - mercoledì 3 ottobre, ore 21.30

Dopo un lungo peregrinare su e giù per il globo due anni e mezzo dopo aver inaugurato i concerti a ca' blasè torna nella suburbia nordmilanese Above the Tree (che nel frattempo ha buttato fuori dischi bomba per boring machine, musica per organi caldi, locomotiv records & more...)

ascoltatelo qui
guardatelo qui

(Oggi potevo permettermi di farlo e allora ho comprato dopo un po' di tempo Il Manifesto, pienissimo di ottimi articoli, fra i quali anche quello su Cage & Co. Vauro non mi mancherà. Per curiosità nei giorni passati ho provato ad acquistare il quotidiano di Telese, pessimo, l'ho abbandonato su una panchina per non ritrovarmelo fra le mani)

lunedì 1 ottobre 2012

Avete mai conosciuto uomini e donne del genere?




Se fin da quando eravate dei bambini e delle bambine coltivate il sogno di diventare dei supereroi questo libro fa per voi, se Batman è fico però fino a un certo punto allora qui potete trovare qualcuno che ha costumi ancora più fichi, se avete il dubbio di aver visto qualcosa del genere quando siete usciti una notte date una sfogliata a questo libro magari potreste riconoscerlo, se siete voi uno di questi supereroi leggetelo per scoprire se l'autore vi sta prendendo in giro o elogiando o magari si è inventato tutto di sana pianta, se avete paura di indossare il costume che avete pronto nell'armadio leggete questo libro per trovare la forza di uscire questa notte, su, dai, non fate i timidoni o i seriosi perché io lo so che ogni tanto ci pensate anche voi a queste cose.

Gente così insomma: