Adoro il caldo e mi sento a mio agio col caldo e mi piace l'afa e mi piace camminare nelle città assediate dall'afa e mi piace, sì mi piace il caldo, mi piace l'estate, d'estate il mio fisico sembra star meglio, anche se il mio umore non cambia di una virgola e il caldo non mi mette certo voglia di vivere o di vedere persone, anzi, il problema di stare con gli altri aumenta perchè quando mi capita di uscire (anche solo per fare un giro al parco) le persone sono ancora di più e trovare zone libere dall'assedio umano diventa un'impresa ardua e che non sempre vale la pena d'intraprendere, anzi, quasi mai.
Un libro che mi è arrivato e che prossimamente recensirò su Lankelot: "Storie di martiri, ruffiani e giocatori", a cura di
Vicolo Cannery (CaratteriMobili). Informazioni
qui.
Intanto in questi giorni ho ripreso in mano "Rimini" di Tondelli e non mi è piaciuto esattamente come la prima volta che lo lessi ma finalmente ho anche ritrovato questo libro:
ma intanto per aiutarmi in uno scritto è stato necesario riprendere in mano questo libro che è/sono il suo libro che amo di più:
"Parla, poi si mette a sedere. Fuori c'è vento: rumore di macchine, in strada; la muta dei cani intorno. Si rannicchia sulla sedia, fa un gesto per allontanarli, e va avanti, lucidissimo:" E la mia morte, quella ce l'ho sempre davanti, dentro. Per il momento mi basta proteggere mia moglie dai dispiaceri che avrà quando non ci sarò più io. Lavoro, scrivo, inseguo un'idea, e sto con la testa nel futuro prossimo, quando sarò morto e sotterrato: vale per me e per tutti. Le parlo e sono sicuro che adesso, all'improvviso posso accasciarmi, e addio. Mica mi rattrista, 'st'assillo, mica mi paralizza, come invece tanti morti-vivi che ci giocano a nascondino, con la putrefazione".
"Louis, vuoi una tazza di tè?" gli urla la moglie. Le risponde con un altro urlo, come sempre. Il tè arriverà comunque. Insieme con i gatti, i canarini, la tartaruga e tutti gli spiriti semplici dell'arca di Meudon. Seduti l'uno di fronte all'latro (come all'inizio, sulla terrazza invasa dall'ombra) attorno a noi un assembramento di uccelli e di insetti, attentissimi. Louis-Ferdinand non ci fa caso; tormenta il foulard.
Fra le rughe degli occhi e della bocca prepara una rivelazione decisiva:"Bisticciano, 'sti morti-vivi, o perdono la testa. Singhiozzi, casini, o "gioia di vivere", che è ancora più bestia e più inutile - ridicolo balletto di cadaveri recalcitranti, che s'aggrappano alla bara! Me, la morte mi abita. E mi fa ridere!
Se lo ricordi bene: la danza macabra mi diverte, la gran farsa. Quando nei miei libri c'è l'immagine del "fatale trapasso", lì c'è uno che ride. Una trovata comica, uguale alla realtà che la fa nascere e le dà senso! Realtà strampalata, dettagli burleschi, niente paurosi: in superficie sono lì che si agitano miliardi di nori in atomi che appena si sono stretti ecco che si dividono; e hanno già gridato, i vanitosi, il loro nome di uomini: c'è qualcosa di più ridicolo? Creda a me: il mondo è spassoso, come la morte; per questo i i miei libri sono allegri, e in fondo sono allegro pure io.
Sono mica troppo cambiato, in fondo, anche se me ne hanno fatte di tutte. Fino a che (fra un quarto d'ora o un secondo) l'allegria scoppierà con quel che chiamano vita, che per me e per gli altri è un modo d'esser morti, semimorti, rimorti. Morti tranquilli. E se ha un senso, 'st'accoppiata verbali, morti contenti".
Concludo. In lui convivono tre personaggi: il plebeo, l'artista, il ribelle. Il primo si lamenta, bercia, motteggia, improvvisa. Il secondo crea la sua piccola musica. Il terzo annienta la terra e bestemmia il cielo. Tutti e tre insieme incontrano il fantasma della morte. Nell'opera in cui palpita il demone della disperazione esplode lo straordinario clamore della vitalità: dal fondo dei secoli la sua ilare eco già si traduce in murmure inquietante. E' come una vibrazione più lieve: il sospiro del pudore e della tenerezza céliniana...Quel che, all'inizio di Mort à crédit, gli evocava l'immagine dello zoppo dal cuore deluso: il simbolo d'un'umanità ardente e fragile che ha sprecato i suoi doni, gli sforzi, le proprie generosità tragicamente incomprese:" Sono andati lontano, molto lontano, a cercarsi un'anima...Io invece preferisco raccontare delle storie. E ne racconterò di quelle che torneranno apposta per ammazzarmi, dai quattro angoli del mondo. Allora sarà proprio finita e sarò tutto contento, io".
(Robert Poulet, "Il mio amico Céline", pp. 108-110, Elliot)